Le aziende tornano a casa, Barcella:
«Va ricreato un clima favorevole» 

nella foto: Alberto Barcella

A volte ritornano. Sono le aziende che hanno delocalizzato in paesi lontani e che ora cominciano a riconsiderare il rientro nel paese d’origine, o magari in altri paesi vicini, sia perché hanno deciso di elevare la qualità delle loro produzioni, sia perché i costi locali cominciano a crescere.
C’è il caso di Mediolanum Farmaceutici che ha lasciato l’impianto di Parigi per concentrare la manifattura in provincia di Lodi. Nannini di Firenze ha abbandonato l’Europa dell’Est, gli Yacht di Azimut hanno lasciato la Turchia per tornare in Italia, la Bolzoni Auramo ha ricollocato a Piacenza la produzione di forche per carrelli elevatori, dopo averla trasferita anni addietro in Estonia, Finlandia e Spagna. E’ un flusso in senso contrario che è probabilmente ancora molto minoritario rispetto a quello principale, ma in Europa ci si sta cominciando a porre il problema di come agevolarlo, nell’ambito di un processo di re-industrializzazione che sembra essere fondamentale per far ripartire l’economia del continente. Se ne è parlato a Bergamo, nella sede di Confindustria, dove si è riunito il gruppo di studio internazionale del CCMI (Commissione consultiva per le trasformazioni industriali del Comitato Economico e Sociale Europeo – CESE) sul tema: "Riportare le industrie in Europa nel quadro del processo di re-industrializzazione". Di questo organismo fa parte anche Antonello Pezzini, bergamasco, imprenditore, rappresentante di Confindustria in Europa.
Dati alla mano, il fenomeno in Italia è particolarmente significativo, anche se nella Bergamasca non si hanno grandi segnali in questo senso. Luciano Fratocchi, Università de l'Aquila, con il suo gruppo di lavoro, ha creato una banca dati dove sono stati analizzati circa 400 casi di reshoring, 194 europei, di cui 79 in Italia, e 176 americani. “Non è un fenomeno recentissimo – ha spiegato – che tuttavia si è accentuato negli ultimi due anni e riguarda un po’ tutti i settori industriali, in particolare l’industria tessile, elettronica e meccanica”. Fra i motivi per il rientro spiccano le difficoltà logistiche e il costo del lavoro in aumento, nonché la volontà di puntare sul made in. “Se vengono considerati i costi totali, non solo quello del lavoro – ha concluso – non sempre la delocalizzazione è la migliore soluzione, molto dipende ovviamente dal tipo di prodotto”.
In Francia il ministero dell’Industria si è attivato, creando uffici dedicati e mettendo a punto un software destinato alle piccole e medie imprese che possono autoanalizzarsi e capire meglio se ha senso o meno rientrare. Costi nascosti e riposizionamento di gamma emergono, anche dai primi rilievi in Francia, fra le motivazioni principali del rientro, come ha sottolineato Francois Magnien, del ministero du redressement productif francese.
"Rilocalizzare le imprese è una sfida importante se legata all'obiettivo della reindustrializzazione dell'Europa – ha spiegato Matteo Zanetti, vice-presidente di Confindustria Bergamo nel suo saluto – ma nel nostro Paese dobbiamo fronteggiare innanzitutto un problema più generale del ridimensionamento dell’industria manifatturiera”. L'obiettivo dell'Unione Europa, su cui sta spingendo in modo particolare Antonio Tajani, vice-presidente della Commissione Europea, responsabile di industria e imprenditoria, è far crescere il peso del manifatturiero al 20% entro il 2020. Bergamo, pur in calo, vanta ancora un significativo 33,4% sul pil.
"L’Europa – ha sottolineato Luca Zanotti, CEO Tenaris Dalmine – non ha purtroppo politiche univoche. L'obiettivo del 20-20-20, cioè quello di ridurre le emissioni di gas serra del 20%, alzare al 20% la quota di energia prodotta da fonti rinnovabili e portare al 20% il risparmio energetico entro il 2020 non si concilia con l'obiettivo della rinascita industriale, perché grava l'industria di costi impropri, come quelli legati al sostegno artificioso delle energie rinnovabili".
Proprio la partita energetica appare cruciale: dà un lato l’Italia spicca in Europa per gli alti costi energetici, ma è tutta l’Europa che non è competitiva con gli Stati Uniti, i quali, grazie alle massicce riserve di shalegas e ad altri fattori competitivi come la flessibilità del lavoro e un clima generale più favorevole all’impresa, stanno facendo grandi passi per favorire il ritorno industriale.
"Il problema – ha riconosciuto anche Edgardo Iozia, relatore finale per la commissione – è che in Europa la consapevolezza della centralità dell'industria sta emergendo con difficoltà. Spesso il commissario Tajani è solo, anche per questo il  Comitato economico e sociale sta facendo azione di sostegno".
Anche per Alberto Barcella, consigliere delegato di B.M. spa, già presidente di Confindustria Lombardia e di Confindustria Bergamo, il fenomeno del reshoring deve essere considerato nel grande contesto della reindustrializzazione europea, dove però esistono grandi differenze in fatto di tassazione, costo del lavoro, costi energetici, burocrazia. Secondo l'imprenditore i processi di internazionalizzazione produttiva di questi anni sono stati una risposta all'esigenza di accrescere la competitività sui mercati globali e non solamente al tentativo di contenere i costi. "Bisogna puntare a creare e ricreare un clima favorevole agli insediamenti industriali – ha auspicato – perché solo l'industria garantirà la crescita in Europa e l'equità sociale, altrimenti non c'è rilocalizzazione che tenga". Per Barcella è inoltre miope cercare di favorire il rientro nel singolo paese, perché la visione deve essere più europea.
Fenomeni di rientro delle industrie, ha auspicato Marco Tullio Cicerone (Uil Bergamo) dovrebbero essere accompagnati, “per esempio sfruttando le facilitazioni concesse alle start-up". Ma il sindacalista ha anche messo in evidenza come quello della rilocalizzazione non sia un processo semplice. “Quando un’azienda se ne va – ha rilevato – spesso si perde anche il connesso tessuto di piccole e piccolissime imprese, che è poi difficilissimo ricreare”. 


Neet, una generazione
con la speranza al lumicino

Dottor Bergamaschi,

la leggo spesso e ho sentito il bisogno di farle pervenire il mio disagio crescente.
Mio figlio ha 20 anni, un diploma di ragioneria conseguito nel 2012 e non ha mai lavorato un giorno in vita sua. Sostiene che il lavoro lo cerca, ma non lo trova e ultimamente ha cominciato ad alzarsi tardi alla mattina ed è sempre molto nervoso.
Come madre sono preoccupata e la mia apprensione si è accentuata ulteriormente da quando ho visto una trasmissione sul fenomeno dei Neet, giovani alla deriva che non hanno speranza per il futuro.
Che possiamo fare noi genitori?

Una madre disperata, Bergamo

All’inizio erano soprannominati “mammoni” o “bamboccioni”. Poi per qualcuno sono diventati semplicemente i “fannuloni” e i “lazzaroni”. Comunque sia, la sostanza non è cambiata: sono tutti appellativi poco simpatici utilizzati per indicare quei giovani che fino a tarda età non riescono a rendersi economicamente indipendenti dai propri genitori o a costruirsi una quotidianità caratterizzata da autonomia e progettualità.
Oggi gli economisti e i sociologi li chiamano Neet, che è l'acronimo inglese di "Not (engaged) in Education, Employment or Training" e indica quelle persone tra i 15 e i 29 anni che non sono impegnate nel ricevere alcuna istruzione o formazione, che non hanno un lavoro, né sono occupate in altre attività assimilabili come i tirocini o i lavori domestici. E per l’Italia non ci sono buone notizie: nell’ultima rilevazione Istat è stato necessario cambiare il campione di riferimento dei Neet, aumentandolo da 29 a 34 anni; sono infatti sempre di più coloro che dopo aver superato la soglia dei 30 anni, continuano a vivere sulle spalle dei genitori come eterni adolescenti. Un dato sconcertante se pensiamo che fino a qualche tempo fa, i 34 anni segnavano la nascita del primo o del secondo figlio, una promozione lavorativa o l’acquisto della casa definitiva; tutto merito o difetto della “famiglia” che in Italia rappresenta il vero ammortizzatore sociale, ma che in moltissimi casi non aiuta il giovane a diventare adulto. Nel resto d’Europa se un giovane è disoccupato, può contare su un sostegno al reddito e su politiche attive, che lo aiutano a trovare un impiego e, non per un ultimo, su un supporto propositivo della famiglia, che lo sprona a migliorare la propria vita. In Italia è diverso: non esistono strumenti efficaci di politiche attive del lavoro, si è quasi dimenticato il valore dell’impegno e della determinazione, chi perde il lavoro, torna a vivere con i genitori e chi un lavoro non l’ha mai avuto o cercato, continua  a vivere alla giornata. Certo è che più a lungo si rimane Neet, più è difficile ricollocarsi e il risultato è un gruppo cospicuo di individui, che rappresenta una risorsa sprecata del Paese. E purtroppo il fenomeno cresce con la crisi e le storie di giovani in bilico tra speranze, fallimenti quotidiani e lavoretti mal pagati, sono all’ordine del giorno.
E la domanda, ormai sulla bocca di tutti, nasce spontanea: di chi è la colpa? Delle istituzioni che non sono in grado di offrire strumenti efficaci, utili alla collocazione professionale o delle nuove generazioni, che non posseggono la tempra e la motivazione necessarie e preferiscono vivacchiare, cullati dalla lamentela e dalla routine? Una risposta assoluta non esiste, forse il responso potrebbe essere “un po’ tutti e due”.
Da una parte la percentuale in continua ascesa di Neet, racconta molto della qualità e dell’efficacia dell’investimento (non) attuato per rafforzare le conoscenze e le capacità delle nuove generazioni e per preparare i giovani ad entrare nel mercato del lavoro; dall’altra una cultura tutta italiana che tende a legare i figli con un filo invisibile come per proteggerli da delusioni, fallimenti e frustrazioni, (dimenticando che fanno parte del gioco della vita), fa il resto.
Uscire dall’empasse si può, ma è necessario un radicale rinnovamento economico e sociale senza precedenti: in primo luogo è fondamentale riformare profondamente le politiche attive per il lavoro, i Centri per l’Impiego e le agenzie formative, dando loro una dimensione di natura nazionale: occorre infatti qualificare e monitorare in maniera diversa la formazione professionale, elargendo le risorse pubbliche solo a chi raggiunge dei risultati effettivi ed eliminando dal campo tutte quelle pseudo realtà che utilizzano i finanziamenti per organizzare percorsi formativi generici e poco professionalizzanti o per pagare gli stipendi ai propri dipendenti e le bollette della propria struttura. Poi è necessario proporre ai giovani una cultura nuova, attraverso la partecipazione ad attività di orientamento e di formazione breve, utili ad acquisire consapevolezza personale e professionale e competenze spendibili nel mercato del lavoro. Per qualcuno forse un’utopia, ma io spero di no. Chi mi conosce, lo sa, non è mia abitudine fare paragoni o peggio, essere ripetitivo, ma non posso non pensare al resto dell’Europa dove al giovane in cerca di prima occupazione e al disoccupato di ogni età, non solo vengono proposti moduli formativi, che consentono il conseguimento di una professionalità riconosciuta e in linea con le esigenze del mercato, ma sono anche accompagnati nella ricerca di un lavoro attraverso un efficiente servizio di intermediazione. Questo accade in Germania, Olanda e Danimarca, in Italia purtroppo no. Il risultato è che sempre di più le nostre città sono abitate da giovani senza ambizione e scoraggiati, che non hanno fiducia nelle istituzioni e in loro stessi e soprattutto che non pensano valga la pena lottare.
Anche la nostra città non fa eccezione: i Neet sono numerosi e accomunati dallo stesso destino: che sia per mancanza di risorse personali (volontà, motivazione, competenze) o per colpa delle istituzioni, sono persone private della capacità di scegliere e quindi esclusi dalle opportunità della vita. Io ne ho incontrate qualcuna, ho parlato con loro e ascoltato le loro storie; non posso e non voglio tirare conclusioni o giudicare la loro vita, ma alla luce delle nostre chiacchierate, mi permetto di dedicare loro un pensiero dell’artista Michelangelo Buonarrotti: "Il più grande pericolo per noi non è che miriamo troppo in alto e non riusciamo a raggiungere il nostro obiettivo, ma è che miriamo troppo in basso e senza accorgerci, lo raggiungiamo".

Leggi le testimonianze


Expo, «Bergamo si compatta
per vincere la sfida» 

Bergamo è decisa a non lasciarsi scappare l’opportunità rappresentata dall’Expo, occasione per dare una scossa alla crisi ma anche forte stimolo ad inaugurare un nuovo modo di promuovere e far crescere il territorio. Così, alla vigilia della prima grande manifestazione legata all’evento mondiale – il meeting dei Paesi inseriti nei cluster di prodotto che porta in Fiera e in città 300 delegati di 70 nazioni, tra cui anche rappresentati “di peso” come Cina e Russia – le amministrazioni pubbliche, le organizzazioni economiche, la Diocesi e l’Università si sono riunite per ufficializzare, attraverso la firma di un protocollo, la propria collaborazione in tema di ideazione, promozione e realizzazione di iniziative ed attività che valorizzino il sistema economico, sociale e culturale della provincia. Attorno alla Camera di Commercio, promotrice del coordinamento, si sono raccolti quindi Comune, Provincia, Imprese & Territorio, Confindustria Bergamo, Università e Diocesi, che con la sigla dell’accordo danno una struttura più organica ad un confronto e a sinergie che erano già in atto.
«Come è nello spirito dei bergamaschi che preferiscono prima lavorare sui progetti e poi annunciarli – ha sottolineato il vicepresidente dell’Ente camerale Matteo Zanetti, alla guida del Tavolo di coordinamento tecnico-operativo – formalizziamo oggi una cabina di regia che era già attiva da settembre e che ora punta a mettere a fuoco ogni aspetto strategico in chiave Expo, a sviluppare iniziative e a monitorare i diversi passaggi». «Si tratta – ha aggiunto – di una piattaforma comune d’impegno, perché per sfide importanti come questa è utile che ci sia una condivisione sin dall’inizio, anche sul fronte degli stanziamenti economici che, ovviamente, saranno necessari».
Il percorso, in effetti, sta già dando risultati. «È in fase di realizzazione – ha ricordato Zanetti – il sito “bergamoexpo2015”, che presenterà riunite tutte le eccellenze del territorio sul versante imprenditoriale ma anche su quello paesaggistico, turistico e culturale. Ci stiamo inoltre coordinando, attraverso l’assessore provinciale Silvia Lanzani, per la presenza del nostro territorio nel padiglione Italia, mentre la grandissima intuizione di portare a Bergamo i Paesi dei cluster si sta riempiendo di ulteriori significati. Il meeting ha attirato infatti l’interesse e la partecipazione anche di nazioni maggiori come Cina e Russia e offre sin da ora l’opportunità di veicolare l’immagine e il nome della città nel mondo e di stringere rapporti concreti». Altri aspetti su cui la cabina di regia si è mossa sono quelli di tipo culturale, «dove sono presenti iniziative diverse che necessitano di un coordinamento», e la mobilità attraverso incontri con Sacbo e Atb. Un altro dossier già aperto riguarda l’ipotesi di realizzare nell’area del Kilometro Rosso un’esclusiva idea di “Fuori Expo 2015” dedicata alle tecnologie per la nutrizione, con il co-marketing della società Expo 2015. 
«Si è potuto procedere speditamente grazie alla grande collaborazione e allo spirito costruttivo e disinteressato di tutti i soggetti coinvolti, che stavano già lavorando su progetti ed hanno voluto condividere l’esperienza», ha tenuto a precisare il vicepresidente. Ora l’azione si fa più serrata ed è prevista l’individuazione di almeno una decina di sottotemi, «ognuno affidato ad un responsabile che relazionerà al tavolo, così da aumentare l’attenzione e l’efficacia dell’azione in ogni settore». «In parte sono ambiti su cui si è già aperto un confronto, che ora saranno approfonditi ed entreranno in una fase sempre più concreta ed operativa – ricorda Zanetti -. Si va dalle iniziative culturali all’accoglienza, dal sito alla mobilità, alla presenza nel padiglione Italia».
Altri approfondimenti tematici attivati dal Tavolo di coordinamento sono la progettazione e la realizzazione, d’intesa con Fondazione Creberg e Università, della mostra su Palma il Vecchio, nel periodo di svolgimento dell’Expo, un’edizione speciale di BergamoScienza 2015 e della Settimana per l’Energia, che saranno in gran parte dedicate ai temi sviluppati dall’Expo. Su questa impalcatura si potranno inserire proposte per nuove iniziative e potranno essere costituite specifiche strutture operative ed organizzative. «L’obiettivo è rappresentare il territorio a 360 gradi – ha concluso Zanetti – anche per questo il protocollo è aperto a realtà ed associazioni che vi si riconoscono».

Camera di Commercio
Malvestiti: «La collaborazione è già un grande valore»

Un primo risultato l’Expo l’ha prodotto e di questo è particolarmente fiero Paolo Malvestiti, presidente della Camera di Commercio, che ha promosso la nascita del tavolo di coordinamento. «Questo protocollo indica chiaramente la volontà di collaborare da parte di tutti i soggetti coinvolti – ha rimarcato – ed è la strada giusta per cogliere un’opportunità importante come Expo per ridare slancio ad territorio e ad un Paese che continua a convivere con la crisi». In gioco non ci sono solo i visitatori che arriveranno per l’esposizione ma anche la visibilità internazionale e la possibilità di sviluppare progetti e collaborazioni. Bergamo ha dalla sua il valore sul piano del patrimonio artistico e culturale, delle bellezze paesaggistiche e naturali e delle sue imprese. «È necessario fin d’ora attivare azioni specifiche finalizzate al coinvolgimento delle imprese in progetti inerenti l’Esposizione Universale, cogliendo eventuali opportunità offerte prima, come fase di avvicinamento, durante l’esposizione e dopo il 2015 – dice ancora Malvestiti -. Per questo la Camera di Commercio si è posta come cabina di regia dei progetti che nasceranno nel nostro territorio. Interpretando la sua funzione istituzionale e in stretto raccordo con le Associazioni di categoria sta puntando inoltre a coinvolgere pienamente il mondo imprenditoriale attraverso l’offerta di servizi di accompagnamento, di formazione e di informazione necessari perché le aziende partecipino da protagoniste alle opportunità offerte da questo evento storico».

Comune di Bergamo
«La riqualificazione dell’area esterna di Astino la nostra grande opera»

«Bergamo farà la sua parte – è l’impegno del sindaco Franco Tentorio – per fare in modo che l’Expo non sia solo un evento legato all’area milanese, ma arrivi anche in città». I versanti su cui si concentra l’impegno dell’Amministrazione sono il rilancio dell’offerta turistica e la messa in rete delle diverse iniziative culturali. «Sul turismo lavoriamo di concerto con la delegata Roberta Garibaldi – ha ricordato l’assessore all’Urbanistica e all’Expo Andrea Pezzotta -, mentre in fatto di eventi, che avranno come clou la mostra su Palma il Vecchio, vogliamo dare vita ad un palinsesto organico raccogliendo e coordinando le manifestazioni che si realizzano in città». Ma la volontà è anche quella di realizzare «un’opera che resti nel tempo». «Non una grande infrastruttura – ha precisato Pezzotta -, ma la riqualificazione dell’area verde attorno al monastero di Astino, che ha ottenuto anche lo stanziamento di contributi regionali». L’obiettivo è recuperare la natura agricola del luogo, creando orti e percorsi fruibili dai cittadini e dalle scuole, in perfetta linea con i temi dell’Expo legati alla sostenibilità del cibo e dell’ambiente.

Provincia
«Al lavoro già dal 2010, valutati più di 200 progetti»

La Provincia di Bergamo è stata la prima in Lombardia a siglare, nel 2010, con la società Expo, allora guidata da Lucio Stanca, un protocollo d’intesa. Lo ha ricordato il presidente Ettore Pirovano sottolineando perciò come l’Ente si sia mosso per tempo e con lungimiranza sull’argomento, «intrattenendo e sviluppando proficui rapporti in questi anni». E la nascita di un assessorato dedicato «non è stata solo l’assegnazione di una delega ma ha comportato l’organizzazione di una struttura che ha lavorato alacremente – ha ricordato proprio l’assessore Silvia Lanzani – dando vita al tavolo di coordinamento attorno al quale si sono seduti e confrontati i soggetti che oggi formalizzano questo ulteriore impegno di collaborazione». In questi anni la Provincia ha ricevuto più di 200 progetti e realizzato più di 500 incontri «ed ora, per realizzare la parte più legata alla commercializzazione dell’offerta è giusto che intervenga la Camera di Commercio», ha evidenziato l’architetto Lanzani. «Non sappiano che distino avrà la Provincia, ma è certo che tutto ciò che è stato fatto sin qui – ha confermato Pirovano – sarà portato avanti».

Università
La mostra di Palma il Vecchio tra gli eventi clou

Anche l’Università plaude al lavoro di squadra che Bergamo sta realizzando ed è ben lieta di portare il proprio contributo al sistema territoriale. «Il nostro Ateneo partecipa anche al tavolo delle Università lombarde sull’Expo – ha ricordato prorettore delegato ai Rapporti con Enti e Istituzioni pubbliche del territorio Remo Morzenti Pellegrini – ed è proprio in questa sede che abbiamo avuto la riprova della grande attenzione con cui Bergamo guarda all’evento internazionale. Era infatti la primavera del 2010 quando il tavolo provinciale veniva portato ad esempio come l’unica esperienza attiva in regione». Dal punto di vista più strettamente operativo, l’Università cittadina curerà la parte scientifica della mostra di Palma il Vecchio, promossa dalla Fondazione Credito Bergamasco e in programma nel 2015 in contemporanea con il periodo di svolgimento dell’Expo. L’artista (nato a Serina attorno al 1480 e morto a Venezia nel 1528) non è mai stato celebrato in un’esposizione che ne racconti l’intera carriera, arricchita dalla possibilità di visitare le opere presenti sul territorio.

Diocesi
«Si stanno gettando le basi di un cambiamento culturale»

Ha scelto di definire il nuovo coordinamento «tavolo di Comunità» don Cristiano Re, direttore dell’Ufficio per la Pastorale sociale e incaricato diocesano all’Expo, evidenziando come questo impegno a confrontarsi e mettersi insieme sia «uno dei primi risultati veri di Expo». «La Chiesa da sempre riflette sulle tematiche proposte dall’esposizione – ha ricordato -, si nutre e cerca di nutrire attorno a questi argomenti. Il tavolo che oggi viene presentato è il luogo in cui possiamo dare il nostro contributo per fare in modo che l’evento internazionale porti con sé anche un cambiamento culturale ora, durante e dopo la conclusione. Ciò che Expo ci lascerà sarà ciò che potremo immaginare per il nostro futuro in fatto di convivenza, comunità, alimentazione, in ultima analisi di giustizia».

Imprese & Territorio
«In gioco la capacità di costruire chance per il futuro»

Getta lo sguardo anche oltre l’Expo Giuseppe Guerini, presidente di Imprese e Territorio, il Comitato unitario che raccoglie dieci associazioni d’impresa. «Il tavolo è un’occasione per porre le basi per lavorare insieme – ha ribadito – e affrontare le sfide che ci attendono. Si parla di risorse energetiche e approvvigionamento alimentare e, più in generale, di cambiare approccio rispetto ai concetti di giustizia ed equità. L’impresa diffusa presente sul nostro territorio è chiamata a fare proprie queste problematiche, attorno alle quali si giocano le chance per il futuro». «Si dice che per competere professionalmente occorre arricchire il proprio curriculum – ha chiarito con un esempio -, ebbene, in questo caso di tratta di arricchire il curriculum del territorio, con la capacità di presentarsi compatto e fare sistema». Ed è già il momento di operare concretamente. «Con la presenza dei Paesi cluster dovremo pensare sin da ora di stringere delle relazioni – ha ribadito -. Gli stessi soggetti che partecipano al tavolo dell’Expo sono inoltre coinvolti in questi giorni nei lavori per l’aggiornamento dello studio Ocse, che la Camera di Commercio ha voluto rifinanziare. Si tratta di un’altra tappa importante per delineare le prossime strategie».   


Ortaggi, l’esotico
cresce anche a Bergamo.
Su Affari di Gola
le storie dei produttori
e i numeri del fenomeno

Dopo i ristoranti e i market, sono arrivati gli “agricoltori etnici”, imprenditori che hanno scelto di puntare sull’esotico a chilometro zero per offrire prodotti freschi e locali anche a chi ha consuetidini alimentari distanti dalla tradizione lombarda e italiana. Bergamo può già annoverare qualche esperienza: ebbene sì, nelle nostre campagne crescono coriandolo, okra, peperoncini, korola e altri “strani” ortaggi tutti da scoprire. Ne parla il nuovo numero di Affari di Gola, la rivista dell’enogastronomia bergamasca, in edicola e on line in questi giorni. Il fenomeno è  ancora marginale. Una prima indagine realizzata nell’ambito del progetto Nutrire la Città che Cambia ha stimato che nei mercati generali della Lombardia sono vendute circa 250 tonnellate l’anno di ortaggi esotici (a fronte di scambi totali pari a circa 930.000 tonnellate), ma le persone potenzialmente interessate a questa offerta sono circa 750mila. Tra le esperienze locali c’è quella di Verde Orientale, con titolare pakistano, che su terreni a Cenate Sotto e Telgate ha puntato soprattutto sul coriandolo, erba aromatica utilizzata da numerose comunità straniere e per questo molto richiesta.
Nella nuova edizione tengono banco anche la polemica sui bambini al ristorante e la spaccatura all’interno dell’Associazione italiana sommeliers. Si racconta la “resistenza” dei cinque produttori di Scarola dei Colli di Bergamo, ma anche la nuova avventura di due amiche nel campo della cucina a domicilio, un servizio che hanno chiamato “A polpo d’occhio” dedicato alla soluzione di tutte le emergenze in campo culinario, dalla cenetta romantica alle cerimonie. E che dire della riscossa delle polpette? Il must della cucina casalinga sta vivendo una nuova stagione nella ristorazione ecco perciò consigli e ricette per rinnovare un piatto tanto amato. 
Il resto è tutto da leggere.


eCommerce,
ecco
le preferenze
di chi acquista
online

Il mondo dell’eCommerce sè in forte evoluzione e eBay – primo marketplace in Italia e monitor dei consumi online grazie agli oltre 10 milioni di visitatori unici al mese – stila la top 10 dei trend di consumo registrati nel 2013.
Cosa comprano gli italiani online? Su eBay.it cercano principalmente oggetti nuovi, di marca, con una media di un oggetto venduto ogni secondo. Ecco la classifica:
1) Primo posto per la telefonia con un acquisto ogni 4 secondi, a conferma che gli italiani non vogliono rinunciare all’ultimo modello di cellulare o smartphone, e che tendono a personalizzarlo con cover, custodie ed altri accessori: sottocategoria che infatti supera di oltre il 700% il totale di vendite di device. L’intera categoria tecnologia ha ruolo cruciale su eBay con la vendita di un prodotto ogni 2 secondi a sottolineare un trend in crescita rispetto al 2012 del +228%.
2) Argento per il settore Informatico – soprattutto per l’acquisto di iPad e tablet – che vede un prodotto venduto ogni 9 secondi.
3) Gli italiani si riscoprono un popolo di ascoltatori di buona musica, con una vendita ogni 10 secondi, sia che si tratti di semplici lettori Mp3 o di veri e propri Hifi Home Theatre. Una curiosità: sul fronte musica, il vinile è davvero di gran moda, con una vendita ogni 2 minuti e mezzo e con un totale di acquisti annuali inferiore solo del 17% rispetto ai “più moderni” Cd.
4) Debutta al quarto posto la categoria bellezza e salute, con un prodotto venduto ogni 15 secondi relativo alla cura delle mani e delle unghie, seguita dalla cura del corpo e dei capelli.
5) Il Gardening è l’hobby più in voga, con un articolo venduto ogni 32 secondi. Pare che avere un piccolo orto, magari nel terrazzo di casa, offra soddisfazioni impareggiabili!
6) Anche la gastronomia è un settore molto forte su eBay.it, dove si registra una vendita al minuto, segno che gli italiani amano cucinare utilizzando materia prime di qualità.
7) Il capo di abbigliamento più acquistato? Le scarpe, che registrano una vendita ogni minuto e mezzo e segnano l’ingresso della categoria Fashion in classifica. L’intero settore abbigliamento e accessori registra una vendita ogni 8 secondi. E qui curiosamente è l’abbigliamento maschile a registrare il maggior numero di acquisti (+ 13% rispetto a quello femminile).
8) Anche la compagnia di un animale domestico è un must per gli italiani, che spendono grandi cifre per viziare i loro piccoli amici (un articolo per animali venduto ogni minuto e mezzo).
9) In classifica non possono mancare i più piccini con un articolo per l’infanzia e premaman venduto ogni 2 minuti. Questo dato comprende un universo fatto di abbigliamento, giocattoli, passeggini, oggetti per fare il bagnetto e molto altro.
10) La classifica delle stanze di casa per cui gli italiani amano più spendere vede la cucina, seguita da camera da letto e bagno. La spiegazione è abbastanza scontata: gli italiani si riconfermano cuochi eccellenti e buone forchette! La cosa nuova da segnalare è la crescita di acquisti di accessori per la tavola (uno ogni 2 minuti e mezzo), pentole, piccoli elettrodomestici e forni, un fenomeno che mette in evidenzia come i nostri connazionali amino l’ospitalità in grande stile. Su eBay.it, il settore casa, arredamento e bricolage è in crescita esponenziale negli ultimi anni (+ 140% rispetto al 2012), con un acquisto effettuato ogni 5 secondi.


La produzione
industriale
segna
una svolta

L'ultimo trimestre del 2013 indica con nettezza un recupero consistente e significativo della produzione industriale bergamasca che aumenta del 3,1% nell’arco dei tre mesi e del 3,5% nel confronto con lo stesso periodo dell’anno prima. La svolta del ciclo, dopo il risultato incerto e debole del trimestre estivo, è di dimensioni più marcate rispetto al già ottimo dato medio regionale (+2,6 nel trimestre, +2,4 su base annua).  
A consuntivo, l’intero anno 2013 segna per Bergamo una crescita complessiva del +0,3% contro un risultato medio marginalmente negativo (-0,1%) per l’intera Lombardia. La “velocità di uscita” dal 2013 rende possibile un cambio di passo, necessario per affrontare i rischi e le incertezze del 2014.
La fase di ripresa è confermata, oltre che dall’andamento del fatturato e dal ciclo delle scorte, dal grado di diffusione del recupero produttivo. Tra le risposte del campione si nota la costante crescita della quota di imprese industriali (giunta al 41,9% del totale) in forte aumento tendenziale e la diminuzione di quelle (il 25,6% del totale) in calo accentuato, anche se va ricordato che la lunga durata della crisi ha determinato la chiusura di diverse aziende e quindi un’erosione dell’universo di riferimento dell’indagine campionaria.
La ripresa attuale è anche il risultato di una dura selezione e di un difficile adattamento a livelli di capacità produttiva che, come testimonia l’indice di produzione a quota 97,5 (fatto 100 il dato del 2005), sono ancora distanti dalla situazione precedente la crisi finanziaria internazionale (l’indice era a 109,8 all’inizio del 2008).
Questa distanza dà anche indirettamente la misura dei problemi da affrontare sul versante dell’occupazione. Nonostante qualche segnale di riduzione del ricorso alla Cassa integrazione, che resta su livelli elevati, gli addetti dell’industria sono diminuiti anche nell’ultima parte del 2013. In media sull’intero anno 2013 la perdita occupazionale è del -1,2%, uguale a quella registrata nel 2012. La tendenza negativa dell’occupazione potrà essere rovesciata solo se la ripresa si manterrà anche nei prossimi trimestri su tassi elevati.
Le previsioni delle imprese industriali indicano un proseguimento, anche se non un’ulteriore accelerazione, della fase positiva della produzione e un sostegno ancora forte della domanda internazionale, nonostante il rafforzamento dell’euro e le incertezze sull’evoluzione del quadro globale. Sulla domanda interna le attese stanno migliorando e ci sono spunti positivi delle vendite nell’ultimo trimestre del 2013. Per l’evoluzione dell’occupazione si conferma un tendenziale minor pessimismo.
I segnali di ripresa del ciclo dell’industria non si stanno ancora diffondendo all’artigianato manifatturiero. La congiuntura qui resta debole e le variazioni di pochi decimali (+0,5 nel trimestre, -0,4 su base annua) indicano che  ancora  non si avvertono cambiamenti netti rispetto a un livello di produzione, a quota 72,7 sull’indice in base 2005, che stenta a sollevarsi dai minimi storici.
Tuttavia, anche tra le aziende artigiane si conferma per il secondo trimestre consecutivo una leggera prevalenza di variazioni tendenziali positive, a indicare che il peggio dovrebbe essere alle spalle. In media d’anno, il 2013 vede la produzione dell’artigianato manifatturiero di Bergamo perdere l’1,5%, di poco meglio del risultato regionale (-1,9%).
Nel commercio al dettaglio si conferma un graduale e relativo miglioramento del giro d’affari in confronto all’anno precedente.  L’aumento del +1,1% delle vendite a Bergamo va valutato con qualche riserva e tenendo conto dello scostamento del dato provinciale da quello statisticamente più attendibile (-1%) a livello regionale, in relativo recupero. La dinamica del giro d’affari è in peggioramento nel settore alimentare (-3,8% a Bergamo contro il -2,8% in regione) ed è ancora negativa
(-0,6% a Bergamo, invariato in Lombardia) nel commercio non specializzato, dove prevale la grande distribuzione.  Il risultato positivo dell’intero settore a Bergamo sarebbe pertanto determinato dal solo commercio non alimentare con una crescita del +3,7%, a fronte di una variazione ancora negativa (-1,6%) per l’intera regione. 
Più stazionario il quadro che emerge dalla distribuzione delle risposte del campione: si conferma una riduzione delle imprese commerciali con forti flessioni delle vendite e quindi un tendenziale miglioramento della situazione, ma restano pur sempre in netta maggioranza le imprese ancora in fase negativa e che prevedono per il trimestre successivo tempi ancora difficili.
Nei servizi i segnali di miglioramento sembrano invece più solidi. Anche in questo caso il dato del giro d’affari complessivo a Bergamo (+0,9% su base annua) è più pronunciato del dato medio regionale (-0,4%) ma è coerente con il costante ampliamento del numero di imprese che stanno migliorando le vendite rispetto all’anno prima e con la corrispondente riduzione (al 35%) delle imprese che registrano una riduzione del giro d’affari. Nell’edilizia, i sussulti del dato provinciale, in caduta nell’ultimo trimestre, consigliano di attenersi al dato medio regionale (-3% su base annua) che posiziona il settore ancora nel quadrante negativo.


Congiuntura,
segnali
di miglioramento
anche
per il commercio

La dinamica del giro d’affari nel quarto trimestre del 2013 conferma il miglioramento su base tendenziale del commercio al dettaglio. In provincia di Bergamo si profila un dato positivo (+1,1%)  mentre a livello regionale il risultato è ancora negativo (-1%) ma in progressivo recupero. Le vendite nel settore alimentare sono ancora negative: -3,8% a Bergamo, -2,8 % in Lombardia, mentre migliora la tendenza nel non alimentare con un progresso a Bergamo (+ 3,7%). In Lombardia la variazione è invece ancora negativa (-1,6%).
Segnali di miglioramento si osservano nel commercio al dettaglio non specializzato, corrispondente in linea di massima alla grande o media distribuzione, soprattutto a livello regionale, con una stabilità del dato tendenziale. A Bergamo la variazione è di poco negativa (-0,6).
Il saldo percentuale tra variazioni di aumento e diminuzione su base annua delle vendite totali è sempre negativo (-22,6) e invariato rispetto alla precedente rilevazione. I prezzi sono segnalati in aumento sia a Bergamo (+1,5%) che in Lombardia (+0,9%).
L’occupazione nel quarto trimestre del 2013 cresce a Bergamo, (+0,6%) come risultato di un tasso d’ingresso di  3,7 % e di un tasso di uscita di 3,1%.
In Lombardia diminuisce del -0,1% a saldo di un tasso d’ingresso di  2,6% e di un tasso di uscita di 2,7%.
Per quanto riguarda le prospettive per il trimestre successivo, il saldo tra segnalazioni di segno opposto (aumento-diminuzione) è ancora negativo e in peggioramento per volume d’affari e occupazione. 
I servizi – Nei settori di commercio all’ingrosso, alberghi e ristoranti, trasporti e attività postali, informatica e telecomunicazioni, servizi avanzati alle imprese, altri servizi alle imprese, servizi alle persone, il volume d’affari è in aumento su base annua a Bergamo (+0,9%) mentre la corrispondente variazione in Lombardia
è ancora negativa (-0,4%) ma in progressivo miglioramento.
Il saldo percentuale tra segnalazioni di aumento e diminuzione riemerge in territorio positivo per la prima volta dopo lungo tempo a Bergamo (+6 contro il precedente -0,6) ed è in recupero, anche se ancora in campo negativo, in Lombardia (-2,4 contro il precedente -9,7). La quota delle aziende bergamasche con forti cali del giro d’affari (oltre il -5%) si riduce al 29,2% rispetto al precedente 34,4.  E un’impresa su tre (32,7%) del campione (rispetto al precedente 27,4%) segnala recuperi significativi del volume d’affari. 
Per quanto riguarda i comparti dei servizi (nella nuova aggregazione introdotta a partire dal primo trimestre 2013), la variazione tendenziale del volume d’affari è pari
a +0,4 % nel commercio all’ingrosso (in Lombardia: +0,9%), a +2,1%  per alberghi e ristoranti (in Lombardia: -0,6%), a +4,6 % nei servizi alle persone (in Lombardia: -3,4%) e a +0,4% nei servizi alle imprese (-0,4% in Lombardia).
I prezzi dei servizi risultano in calo  nel trimestre sia a  Bergamo (-0,5%)  che in Lombardia (-0,1%). In riduzione l’occupazione nel complesso dei servizi, più accentuata a Bergamo (-2,0%) che in Lombardia  (-0,4%). Le prospettive per il volume d’affari e l’occupazione nel trimestre successivo formulate dalle imprese di servizi di Bergamo restano prevalentemente negative ma in graduale relativo  miglioramento.


Libri,
il bonus
fiscale
si è già
dissolto

nella foto: Alberto Galla

Che l’Italia fosse il Paese degli annunci lo si sapeva. I librai non si aspettavano però che nel giro di poco più di un mese un provvedimento salutato come una boccata di ossigeno e un segnale di speranza per un settore in forte difficoltà perdesse gran parte del suo impatto.
Nel decreto legge 23 dicembre 2013 (interventi urgenti per l’avvio del piano “Destinazione Italia”) era infatti stato inserito un credito d’imposta del 19% per l’acquisto di libri, ad esclusione dei formati digitali, da parte di persone fisiche e giuridiche fino a 2.000 euro (1.000 per i manuali scolastici ed universitari e 1.000 euro per tutti gli altri libri). Peccato ci si sia resi conto solo a posteriori che i 50 milioni messi a disposizione per l’agevolazione non sarebbe stati sufficienti a soddisfare tutte le potenziali richieste. «Lo sconto fiscale massimo, se tutti ne volessero usufruire, sarebbe pari a 50 diviso 29 milioni: 1,27 euro. Impossibile, allora, gestire le potenziali perdite di gettito, contenendole all’interno dello stanziamento previsto», ha evidenziato il deputato Pd Marco Causi, che ha presentato l’emendamento alla norma approvato nei giorni scorsi senza alcun voto contrario nelle commissioni riunite Finanze e Attività Produttive.
«La misura – ha spiegato – passa da credito d´imposta a “buono sconto” destinato all’acquisto di libri di lettura (anche in formato digitale) presso librerie per gli studenti degli istituti secondari di secondo grado. Il “buono sconto” per ciascuno dei 2 milioni e settecentomila studenti dei licei e istituti superiori italiani sarà di circa 19 euro (50 milioni diviso 2.700.000) e varrà il 19%, potendo così attivare una spesa per l’acquisto di libri del valore di circa 100 euro per ciascun soggetto e di 270 milioni nell’aggregato. Se le librerie vorranno, cercheranno di attrarre la spesa dei "buoni" offrendo sconti ulteriori, e facendo così aumentare il valore complessivo del venduto attivabile dalla misura. Per le librerie il “buono sconto” equivale a un credito fiscale, automaticamente deducibile dalle imposte».
Insomma le librerie non possono più contare su un forte di stimolo ai consumi come poteva essere la detraibilità fiscale e si devono “accontentare” del rimborso del valore del buono sconto in forma di credito d’imposta. Il disappunto, soprattutto delle realtà indipendenti, che sono in maggiore sofferenza, non ha mancato di manifestarsi, affollando di commenti il web. «Amarezza e grave disappunto» è quanto esprime l’Ali, l’Associazione dei librai di Confcommercio. «Il Governo approva i decreti legge, poi si accorge che non ha i fondi per sostenerli e a quel punto arrivano gli emendamenti che cambiano completamente le carte in tavola», afferma il presidente Alberto Galla. «Gli emendamenti hanno, fra l’altro, disatteso il principio di base del sostegno alla lettura, per cui l’Ali si è battuta negli anni». «Nel precisare che l’Ali è totalmente favorevole ad ogni sostegno per le famiglie meno abbienti in merito all’educazione dei figli – prosegue Galla – non possiamo non rilevare che, contrariamente a quanto si pensa leggendo il nuovo testo dell’art. 9 e a quanto riportato da alcuni quotidiani, le librerie non sono affatto beneficiarie del provvedimento e, già fiaccate dalla crisi, sarebbero anzi costrette a sostenere in prima istanza tutto l’onere finanziario derivante dagli sconti concessi nell’utilizzo dei buoni, con conseguenti pesanti incertezze sui rimborsi. Inoltre va sottolineato che molte librerie già vantano crediti con le pubbliche amministrazioni per i libri di testo e in passato in alcune realtà, per i dissesti dei vari comuni, non hanno ricevuto i rimborsi dovuti, con gravissime conseguenze per il loro equilibrio finanziario. Il repentino dietro-front del Governo su un provvedimento che dovrebbe finalmente porre l’Italia in linea con quanto accade in diversi paesi della Ue – conclude Galla – è un segnale assai preoccupante che sta generando forti malumori fra i cittadini e gli operatori commerciali, per cui sollecitiamo l’esecutivo a fare chiarezza oppure a rinviare l’esame del provvedimento nel momento in cui si avrà la certezza di disponibilità dei fondi necessari a sostenere una vera detraibilità per l’acquisto dei libri e la promozione della lettura».


Commercianti, reintrodotto
l’indennizzo per chi cessa l’attività

Per scongiurare il rischio che i commercianti che cessano l’attività si trovino senza reddito ed ancora in attesa della pensione, tornano gli indennizzi, pari a poco più di 500 euro al mese. Il beneficio, già previsto dal 1996 e di cui la categoria ha potuto usufruire fino al 31 dicembre 2011, è stato ripristinato con la Legge di Stabilità. Un atto fortemente voluto dalla Confcommercio, vista la persistente crisi del settore. La prestazione funziona come un ammortizzatore sociale, per accompagnare fino alla pensione coloro che lasciano definitivamente l’attività.
L’opportunità è stata nuovamente prevista fino al 31 dicembre 2016 e le istanze possono presentarsi fino al 31 gennaio 2017. Non è assistenza a carico dello Stato, ma autogestione. La concessione dell’indennizzo viene finanziata – fino al 31 dicembre 2018 – con la maggiorazione dello 0,09 per cento dell’aliquota contributiva prevista per i commercianti in attività iscritti all’Inps.
â–  Destinatari
Sono tutti coloro che esercitano, titolari o collaboratori, l’attività commerciale al minuto in sede fissa o ambulante, i gestori di bar e ristoranti, gli agenti e rappresentanti di commercio. È necessario che gli interessati che hanno cessato o cesseranno l’attività entro il 31 dicembre 2016, abbiano più di 62 anni di età, se uomini, o più di 57 anni, se donne, e vantino un’iscrizione al momento della cessazione dell’attività per almeno cinque anni, in qualità di titolari o collaboratori, nella gestione degli esercenti attività commerciali istituita presso l’Inps.
Sono necessari anche: la cessazione definitiva dell’attività; la riconsegna dell’autorizzazione per l’attività di somministrazione al pubblico di alimenti e bevande (nel caso in cui quest’ultima sia esercitata con l’attività di commercio al minuto); la cancellazione del titolare dell’attività dal Registro delle Imprese; la cancellazione del titolare dal Registro degli Esercenti il Commercio per l’attività di somministrazione al pubblico di alimenti e bevande; la cancellazione dal ruolo provinciale degli Agenti e Rappresentanti di Commercio. L’indennizzo è incompatibile con attività di lavoro autonomo o subordinato e la corresponsione del beneficio termina dal primo giorno del mese successivo a quello in cui sia stata ripresa l’attività lavorativa, dipendente o autonoma. Il beneficiario deve comunicare all’Inps la ripresa dell’attività entro 30 giorni dal suo verificarsi. A sua volta l’Inps deve effettuare i controlli sul rispetto della norma.
â–  Misura, durata e modalità di erogazione
L’indennizzo compete dal primo giorno del mese successivo a quello di presentazione della domanda e fino al momento in cui si potrà percepire la pensione di vecchiaia. Ciò significa che, rispetto al passato, l’indennizzo avrà una durata superiore ai tre anni, visto che l’assegno dovrebbe essere erogato fino al momento di accesso alla pensione. Ma su quest’ultimo aspetto il condizionale è d’obbligo, in quanto è necessario attendere che si pronuncino prima il ministero del Lavoro e poi l’Inps con la circolare applicativa. L’importo – pari quest’anno a 501 euro mensili – è identico al trattamento minimo di pensione concesso dall’Inps ai commercianti iscritti alla gestione. L’Istituto ritiene che la titolarità di un trattamento pensionistico non impedisca la concessione dell’indennizzo. In una situazione del genere potrebbero trovarsi i titolari di assegno di invalidità, di pensione di anzianità, nonché le vedove ed i vedovi che hanno una rendita di reversibilità. Per ottenere la prestazione occorre inoltrare all’Inps un’apposita domanda. I periodi in cui viene riscosso l’assegno si considerano come lavorati ai fini della pensione. La contribuzione figurativa si somma a quella di lavoro solo per raggiungere il diritto, in quanto lo scopo della prestazione è di evitare che il commerciante con pochi versamenti possa restare senza reddito e pensione.
È possibile rivolgersi agli uffici del Patronato 50&Più Enasco che, gratuitamente, dopo una verifica dei requisiti, possono provvedere alla predisposizione dell’apposita domanda e all’inoltro presso l’Inps. La sede è in via Borgo Palazzo 137 a Bergamo (tel. 035 4120127).


Docenti stranieri, l’Università
di Bergamo seconda in Italia

nella foto: Stefano Paleari

“Il costo per abitante del nostro ateneo è pari a 108 euro, un po’ meno del canone Rai: siamo proprio un’università low-cost”. A confermare questo trend, con un tocco di sana ironia, è il rettore Stefano Paleari. D’altronde i numeri inclusi nel bilancio 2013 (presentato lo scorso 4 febbraio nella sede di via Dei Caniana) sono lo specchio di una struttura accademica che gode di buona salute, nonostante la complessa congiuntura economica e i tagli che hanno toccato inevitabilmente anche Bergamo. I soldi destinati all’Università dal Fondo di finanziamento ordinario dello Stato nel 2013 sono stati 35 milioni di euro. Eppure, se si tenesse conto di parametri come il numero degli iscritti, il livello dell’insegnamento e dei servizi, e la virtuosità del suo bilancio, l’ateneo orobico avrebbe diritto a 15 milioni in più. “Pensate a quante cose potremmo fare con quel denaro – dice Paleari – ma visti i tempi di crisi, limitare i danni a un calo dei finanziamenti dell’1,34 per cento è un risultato da non trascurare”. Accanto alle risorse pubbliche, giocano un ruolo fondamentale anche i cofinanziamenti provenienti dal sistema produttivo locale: “ Grazie anche al sostegno che ci viene da contributi di privati possiamo andare avanti senza fare debiti – spiega il rettore -. Dal 2000 a oggi l’università di Bergamo ha investito nell’edilizia quasi 90 milioni di euro di cui il 90% con risorse dell’ateneo. L’anno orribile per noi è stato il 2011 perché abbiamo dovuto ridurre tutte le spese non indispensabili, ma negli ultimi quattro anni siamo riusciti a ridurre il debito del 25%”. E anche per il futuro l’università continuerà ad investire su progetti infrastrutturali come il secondo lotto del collegio Baroni, l’allestimento dell’aula magna nell’ex Chiesa di Sant’Agostino, il restyling degli edifici del campus giuridico e la sistemazione degli uffici del rettorato. A livello didattico l’ateneo, che oggi conta 552 dipendenti complessivi e 15.206 studenti di cui 791 stranieri, punterà sull’internazionalizzazione: “Il 20% del nostro staff non è italiano – afferma Paleari – su 331 docenti, infatti, 63 sono stranieri. È il numero più alto in Italia dopo la Ca’ Foscari di Venezia. Per stimolare la multiculturalità e promuovere esperienze all’estero degli studenti, il nostro ateneo ha siglato rapporti di partnership con eccellenze mondiali come Harvard e Linz. Inoltre sta crescendo la percentuale di studenti che decide di redigere la tesi di laurea in inglese. L’anno scorso lo ha fatto il 14% dei laureandi mentre fino al 2009 non lo aveva mai fatto nessuno studente. L’obiettivo è raggiungere il 50% alla fine del mio mandato”. Insomma, un’università sempre più cosmopolita che continua a raggiungere consensi tra i nuovi iscritti, soprattutto a livello extraprovinciale: una matricola su tre, infatti, proviene da paesi situati fuori dai confini orobici (1.368 studenti) o lombardi (214).
Tra i nuovi progetti pensati del rettore c’è anche “Adotta il talento”, l’iniziativa che permette a privati, aziende e istituzioni di sostenere, con un importo libero, studenti meritevoli oppure specifici progetti scientifici. Questo consentirà di esentare dal pagamento delle tasse il 10% degli universitari più validi indipendentemente dal reddito. Continua infine la collaborazione tra ateneo e Accademia della Guardia di finanza attraverso il piano formativo, incentrato sui cinque anni di corso, che preparerà gli allievi ufficiali nelle materie giuridiche, economiche e aziendalistiche.