Oscar Fusini (direttore Ascom): “Il sistema dei buoni pasto va cambiato, è un circolo vizioso in cui perdono tutti”

È una brutta storia all’italiana quella del fallimento della Quigroup, l’assegnataria dei lotti Lazio e nord ovest di 388 milioni di euro dell’ultima gara Consip per i buoni pasto dei dipendenti pubblici. L’impresa di Genova, una delle poche italiane ancora operanti nel settore, è fallita trascinando con sé decine di migliaia di esercenti che vantano buoni pasto non ancora riscossi. Solo in bergamasca stimiamo che siano circa 600/700 gli esercenti coinvolti, per oltre 2 milioni di euro di buoni che saranno insinuati nel passivo e probabilmente mandati a perdita dagli esercenti. Nella maggior parte dei casi l’ammanco si mangerà l’intera remunerazione annuale del titolare del bar /ristorante, in un mercato ormai in gravissimo affanno nel quale guadagnare è diventato impossibile. Perché chi ancora accettava questi buoni pasto, in verità, lo faceva più per spirito di servizio o necessità che per reale opportunità. Eppure siamo rimasti soli – Ascom, Confcommercio e Fipe – nella palude di questa brutta storia mentre l’opinione pubblica tace o ha già derubricato la questione come problema risolto dopo che Consip ha prima chiuso la convenzione con Qui group e poi riassegnato in maniera altrettanto celere a Sodexo il compito di emettere e consegnare i buoni pasto delle imprese pubbliche.

Dei ‘poveri’ esercenti che hanno erogato il servizio, dato da mangiare e da bere, nessuno si interessa perché nell’immaginario collettivo sono quelli che hanno guadagnano. Ma cosa guadagnano e che razza di Paese è questo?In attesa che il prossimo bando di assegnazione trovi un altro emettitore disponibile a rischiare l’osso del collo nel collocare a condizioni improbe i buoni pasto del pubblico sembra che il problema sia solo dell’impresa genovese fallita.

Non è così. Il problema non è la Quigroup o la prossima impresa appaltatrice disponibile al sistema CONSIP.  Il metodo è un circolo vizioso nel quale perdono tutti, dipendenti beneficiari dei buoni, emettitori, bar e ristoranti, e guadagna solo lo Stato. Questo sistema non può proseguire. Lo Stato vuole comprare i buoni pasto che sono salario diversamente reso ai suoi dipendenti ad una valore di acquisto inferiore del 20 per cento del loro valore facciale. L’esca della dimensione del bando è succulenta. Chiunque abbocchi e vinca l’appalto comincerà ad inasprire le condizioni verso gli esercenti, vendere servizi aggiuntivi non richiesti, ritardare i pagamenti, dichiarare buoni impagabili perché falsi e rubati. Insomma tutto quanto di peggio abbiamo visto negli ultimi anni, che si è ulteriormente aggravato con l’ultimo appalto. 

Il sistema va cambiato. I buoni sono salario e devono essere acquistati al loro valore facciale. Occorre risolvere in modo definitivo questo problema. Se serviranno 200 milioni nel prossimo bando di 1 miliardo per i buoni pasto dei dipendenti pubblici, li si faccia pagare a tutti, non solo ai dipendenti della malcapitata impresa emettitrice e a quei poveri diavoli di baristi e ristoratori.


Tutela del lavoro e web tax, ma serve un cambio di passo

Sarebbe stato impossibile, solo dieci anni fa, pensare come direttore di Ascom di partecipare ad un convegno con CGIL e di trovarsi d’accordo quasi su tutto, per di più in un’arena, come un’ex fabbrica, per antonomasia luogo di relazione industriali conflittuali come. Invece è quello che è avvenuto sabato 14 luglio nello spazio “Fabric” recuperato dallo stabilimento dismesso ex Reggiani, dove CGIL ha organizzato il convegno “The new order: tecnologia e inclusione nel terziario”. Temi molto caldi e non solo per il clima rovente di metà luglio.

Il simposio, aperto e ben concluso da Mario Colleoni segretario Generale Filcams CGIL, ha visto la partecipazione di Antonella Protopapa, segretario generale CGIL Lombardia e della sociologa Ida Regalia.

Da loro è emerso che nella fase di profonda transizione come quella attuale serve un cambio di paradigma nel sistema della formazione scolastica, della formazione continua in azienda per evitare che tanti giovani ma anche lavoratori in attività rischino di restare tagliati fuori dalla spinta digitale, che mette in difficoltà soprattutto i segmenti più deboli.

Su un punto si è già tutti d’accordo e i dati forniti dall’Osservatorio del digitale del Politecnico di Milano confermano questa convinzione. C’è ancora poca consapevolezza, tanto nelle imprese tanto nei lavoratori, del profondo cambiamento che sta intervenendo in questa quarta rivoluzione industriale. E le risorse messe in campo da tutti, fino a questo momento, sono insufficienti per garantire una transizione che possa includere tutti o buona parte dei lavoratori.

A questo tema che costituisce il più grande problema oggi si legano tutti gli altri.

Come quello storico della difesa del riposo domenicale, che accomuna i piccoli imprenditori con i lavoratori dipendenti, che vede le posizioni della rappresentanza delle imprese come Confcommercio e il sindacato alleati nel favorire una riforma della legge “Monti” a favore di un certo numero di festività rischia di essere “una vittoria di Pirro”, rispetto al tema di come conciliare i rapporti tra commercio reale e commercio elettronico.

In altri termini è impensabile raggiungere il risultato sperato di tutela delle piccole imprese e dei lavoratori senza preoccuparsi di quanto sta accadendo. Il commercio elettronico vale in questo momento al 5% del volume d’affari in Italia, un po’ meno nel commercio alimentare, secondo i dati dell’università Statale di Milano, ma è destinato a posizionarsi tra la quota attuale e quella significativa raggiunta in altri paesi continentali e americani. L’impatto si farà sentire.

Se nell’industria la minaccia imminente sono i robot che sostituiscono manodopera nel terziario è la concentrazione delle vendite nelle mani di pochi grandissimi player, che schiacciano tutti gli altri.

Il riequilibrio di forza con tutti gli altri imprenditori può avvenire solo applicando la progressività fiscale prevista dalla costituzione secondo modalità diverse da quelle attuali. Introduciamo una web tax adeguata e cerchiamo di farla pagare.

Sul fronte invece della tutela del lavoro adeguiamo i poli logistici che si riferiscono alla vendita al dettaglio alle stesse regole della distribuzione. Regole uguali per tutti. Se poi i poli si posizioneranno all’estero fermiamo almeno le consegne, magari tutti i fine settimana.

Insomma cerchiamo una soluzione. Nessuno può più (far) lavorare 24 ore su 24 7 giorni su 7 o almeno fissiamo un limite minimo di giornate di chiusura totale (24 ore) per tutti. Fermiamo per alcune festività il commercio e fermiamo anche i poli logistici dell’e commerce, equiparandoli ai canali tradizionali di vendita al dettaglio. Posso ordinare quando voglio ma l’ordine sarà evaso alla riapertura del polo. Questo in piena analogia con quanto regione Lombardia si appresta a deliberare. I poli logistici valgono come quelli commerciali. Se di grande dimensione movimentano milioni di mezzi e come tale vanno autorizzati con conferenza di servizi come i centri commerciali e non senza alcuna regola.
Anche perché a fronte dei 300 tanto osannati nuovi posti di lavoro – che ci auguriamo siano stabili e tutelati-  ne moriranno almeno 3.000 che noi definiamo “buoni” per condizioni di lavoro e retribuzione.

Su questo penso che saranno in molti d’accordo, non solo Ascom Confcommercio e CGIL.

 


A.A.A Motivazione cercasi

C’è un fantasma che aleggia nei corridoi degli alberghi, nelle cucine e nelle sale della ristorazione: è il personale che manca.
E’ paradossale che, con la disoccupazione giovanile tra le più alte d’Europa, sia difficile trovare ragazzi motivati, con le giuste attitudini e con le competenze adatte a rispondere alle esigenze del settore.
Su questo tema, nel grande evento promosso da Italia a Tavola, è stata lanciata la proposta di una nuova laurea sull’accoglienza. Ne è scaturita un’interessante discussione tra chi propone percorsi specialistici o generalisti e tra chi propende per una laurea breve o magistrale. La verità è che il mondo dell’Università ha sempre snobbato il lavoro in sala e in cucina. La laurea sembra più adatta al management della ristorazione e dell’ospitalità, piuttosto che per maestri di sala e cucina
Secondo il nostro punto di osservazione, per i tempi e per il percorso che richiede, questa è una proposta inadatta a risolvere le esigenze di chi cerca personale. I percorsi scolastici esistenti, infarciti di molta teoria e poco laboratorio, rivelano già i loro limiti. Le scuole puntano molto sul tasso di occupazione dei loro diplomati, mentre i ragazzi vanno in cerca di percorsi di studio poco impegnativi. Il risultato? Motivazioni scarse o inesistenti e fallimenti scolastici.
La corsa all’apertura di locali e il lancio di nuove formule che drenano manodopera senza formare competenze non fanno che aggravare ulteriormente il quadro.
Il lavoro c’è ed è quello del futuro. È una professione creativa e meravigliosa, che consente di stare a contatto con la gente. Ma è allo stesso tempo difficile, faticosa e impegnativa. Non solo non si improvvisa, ma richiede convinzione, determinazione e motivazione.
Come associazione desideriamo cogliere questa sfida, dando il nostro contributo. Il progetto ‘Next level’, che promuoviamo in collaborazione con gli istituti alberghieri, ha lo scopo di soddisfare il desiderio dei nostri imprenditori, che è quello di scovare il candidato con il profilo giusto, assumerlo e farlo crescere. E contribuire a fare grande il settore.


La sfida digitale nei pubblici esercizi Ristoratori, sicuri che non vi interessa?

Nell’organizzare il convegno per i ristoratori e i pubblici esercizi “Il web è servito: la sfida digitale nei pubblici esercizi” dello scorso 29 gennaio abbiamo avuto l’impressione di essere arrivati troppo presto.
Nonostante la qualità dei relatori – Axelero è partner selezionato di Google Italia – e della proposta fatta alle piccole e medie imprese del settore (in particolare un tagliando digitale gratuito per capire il posizionamento online del locale) la risposta è stata ben al disotto delle aspettative. Di più, invitando per telefono i ristoratori le risposte più frequenti che abbiamo ricevuto sono state “Non mi interessa” oppure “Siamo già attivi nel web e nei social”.
Ma è proprio così? E noi siamo stati davvero in anticipo nel proporlo?
In questo momento sono aperti i bandi del MISE e della Camera di Commercio di Bergamo che finanziano gli investimenti nel digitale. Lo scorso ottobre l’amministratore delegato di Axelero Leonardo Cucchiarini in un incontro a Milano disse in modo esplicito che nel digitale come organizzazioni ci stiamo preoccupando di far muovere i nostri associati nell’acqua alle ginocchia senza renderci conto che siamo dietro una diga che sta per venire giù.
È una visione forse catastrofica ma realistica che emerge dai dati di Google e da quelli dell’Osservatorio.net del Politecnico di Milano sulla situazione del digitale nei pubblici esercizi.
Secondo il rapporto Deloitte presentato lo scorso 25 gennaio a Milano l’innovazione potrà far crescere il giro d’affari delle imprese agroalimentari italiane di 15 miliari (+ 12% rispetto agli attuali 125 miliardi).
Siamo a monte della filiera ma buona parte di questa crescita si potrà trasferire anche sulla ristorazione, vista la crescita dei consumi fuori casa. Ma come e attraverso chi considerato che le stesse aziende produttrici hanno partnership importanti nel settore distributivo e Ho.Re.Ca e anche reti dirette di pubblici esercizi e ristoranti.
La preoccupazione riguarda la ristorazione tradizionale. I nostri locali puntano sull’eccellenza della qualità e dei servizi che sono sentieri già battuti con crescita potenziale contenuta.
Per i ristoratori bergamaschi gli ultimi due anni sono stati positivi in termini di giro d’affari, gli ultimi dodici mesi hanno segnato la vera ripresa per il settore.
Malgrado questo scenario, le difficoltà sono dietro l’angolo perché l’offerta per numero di ristoranti, proposte e offerta parallela cresce più della domanda.
I locali saranno pieni. Ma quando? La sfida non si giocherà sui momenti di punta e nemmeno sull’aumento dei prezzi che non potranno crescere considerata la forte concorrenza.
Allora non sarà sufficiente avere un bel sito Internet e un account di facebook molto seguito per cavarsela, cioè per riuscire a mantenere il dialogo con i clienti o e i potenziali clienti; quantomeno non basterà a riempire il ristorante a mezzogiorno o nelle serate infrasettimanali. Per i ristoratori che sono eccellenti nelle funzioni proprie di sala e cucina, non prendere possesso delle opportunità offerte dal mondo online significa lasciare all’improvvisazione o comunque all’esterno dell’impresa una funzione che è strategica. Molti ristoratori, la maggioranza, ancora oggi ritengono sia inutile investire nel web perchè ‘tanto le prenotazioni arrivano sempre con il telefono’. Vorremo sperare possa continuare sempre così ma non ci crediamo.
I nostri ristoranti e pubblici esercizi sono prodigiosi nella tecnica culinaria, nella scelta di materie prime, nell’ideazione di nuovi piatti, nell’accoglienza e nel servizio. Palesano invece carenze nell’organizzazione, nel marketing e soprattutto nel digitale. Si tratta di aspetti sui quali è necessario investire, anche alla luce di una auspicabile integrazione con le altri componenti del turismo (vettori, strutture ricettive, tour operator ecc.) che invece stanno investendo molto di più nel digitale.
Lo stesso utilizzo delle piattaforme di prenotazione, che non ci vedono totalmente favorevoli come associazione (vorremmo fossero in parte ridimensionate in una direzione di disintermediazione) in certi momenti e ambiti possono essere molto utili ed efficaci per richiamare clientela. Non va dimenticato, infatti, che è proprio il turismo a crescere nella nostra provincia e che il turista prenota spesso il pernottamento ma anche la cena. Come associazione dobbiamo assumerci la responsabilità di aiutare i nostri associati a recuperare il gap tecnologico. Quindi nei prossimi mesi insisteremo a dare questo messaggio.


Amazon, un modello perfetto. Ma è proprio quello che vogliamo?

di Oscar Fusini*

Dove stiamo andando? Ci soddisfa questo modo di “fare commercio”? Fino a quando sarà sostenibile? Sono le domande sorte dopo la visita al centro Logistico di Amazon a Castel San Giovanni, in provincia di Piacenza, proposta dal Gruppo Giovani Imprenditori di Confcommercio Milano, alla quale abbiamo partecipato con una rappresentanza dei nostri Giovani Imprenditori.

Si tratta di un centro logistico moderno e integrato, diverso da come lo si potrebbe immaginare. La più grande internet company del mondo riserva agli ospiti un’accoglienza impeccabile, una visita guidata nel cuore della propria portentosa logistica – durata circa un’ora e un quarto – in perfetto stile americano: guida con microfonino, cuffie collegate di colori diversi a seconda del canale di frequenza, spostamenti precisi, nessuna pausa né fronzoli. Visita perfetta. Guida bravissima. Si è potuto assistere a tutte le fasi che si svolgono all’interno del grande centro, dall’arrivo della merce allo stoccaggio nel magazzino, al prelievo, all’imballaggio fino alla spedizione.

Non ci sono dubbi, ci si trova al cospetto di un meccanismo ben ordinato, con procedure standardizzate, in cui vengono valorizzate le idee e le proposte dei singoli dipendenti. Ma è proprio l’aver visto da vicino gli ingranaggi del colosso che sta rivoluzionando il modo di fare acquisti in tutto il mondo a far nascere alcune riflessioni – serene e lontane da una visione puramente conservatrice -, sulla moderna e modernissima distribuzione.

Ciò che ha colpito immediatamente è stata la differenza tra percezione e realtà. Un conto è infatti interfacciare una maschera internet di un’organizzazione leader, che vende milioni di articoli, che ha il più grande assortimento al mondo, che è uno dei più grandi magazzini commerciali e che gestisce ogni giorno decine di migliaia di spedizioni. Un altro è vedere all’opera questa realtà: percepire la velocità delle macchine, dei rulli e delle persone che si muovono all’unisono, in un sistema teso a ridurre i costi e i tempi. Questo è certamente il nuovo che avanza. Moderno, efficace, efficiente sempre più robotizzato e innovativo.

Ma a chi conviene questo progresso?

Certamente, in primis, ai consumatori che desiderano visionare l’assortimento massimo di ciascuna referenza e trovare il prodotto che cercano al prezzo più basso. L’idea che paga psicologicamente è di fare, o pensare di fare, un affare paga. Però è un’idea non è una certezza.

Il consumatore vuole poi una consegna rapida ed efficiente e Amazon la offre. Ma fino a quando questo sistema sarà sostenibile nel lungo termine? Perché corrieri diversi che arrivano alla stessa casa per portare pacchi diversi a più famiglie o alla stessa famiglia non è detto che sia, almeno da un punto di vista ambientale ed economico, sostenibile.

Il cliente però non si accorge che sta perdendo qualcosa: l’aspetto emozionale del fare l’acquisto, il sistema di relazione con le persone, l’empatia che unisce chi vende a chi compra, la consulenza preziosa di un venditore esperto. Perde, infine, la luce dei negozi sotto casa, che chiudono a favore di un maxicapannone agli imbocchi dell’autostrada, dove si lavora 7 giorni su 7 per 365 giorni all’anno.

Amazon “conviene” poi ai produttori, che trovano nel breve termine un partner commerciale efficiente e che per volumi è oggi un canale in fortissima crescita. Ma fino a che punto è opportuno per un produttore di marca avere uno o pochi clienti di questa dimensione con un potere contrattuale maggiore rispetto al proprio?

E poi, naturalmente, ci sono i posti di lavoro, fintanto che, nel nome di una maggiore efficienza, gli addetti non saranno sostituiti quasi interamente da macchine e robot. Quanto al tipo di lavoro – personalmente – fa pensare ad una catena di montaggio fordista, che lascia poco spazio a movimenti diversi da quelli stabiliti, secondo tempi ben regolati, sette giorni su sette, per tre turni (almeno nei giorni feriali) e che offre uno stipendio sicuro a molti e vera ricchezza a pochi.

La verità è che il modello di Amazon è vincente, ma completamente diverso da quello al quale siamo abituati e da quello che vorremmo. È un modello molto “americano”, così lontano da quello di sviluppo economico e sociale delle piccole e medie imprese, delle famiglie, dei collaboratori familiari, che ha creato la ricchezza diffusa e lo sviluppo economico del nostro territorio e che ha dato vita alle nostre città e ai nostri borghi.

Chi rappresenta questo mondo non può fare a meno di volere che anche i propri figli possano continuare a condividerne i valori e i vantaggi. Valori e vantaggi che, invece, stiamo rottamando a colpi di liberalizzazione selvaggia, deregolamentazione, recepimento di direttive europee “farlocche”. Pensiamo bene dove vogliamo arrivare o sarà troppo tardi.

È su queste riflessioni che come associazione intendiamo aprire un confronto serio e costruttivo per gettare le basi delle nostre azioni future.

* direttore Ascom Bergamo Confcommercio


Illuminazione, con l’Ascom locali e negozi più belli e risparmiosi

ristorante - luci - comotti

“Rendi la tua attività più bella e risparmia oltre il 50 cento”. È questo lo slogan del nuovo servizio creato da Ascom Confcommercio Bergamo che studia l’illuminazione nei locali e nei negozi e fa risparmiare soldi nella bolletta elettrica.

«L’illuminazione è uno dei fattori meno considerati, invece, è fra i più impattanti nel definire l’esperienza dei clienti – spiega Andrea Comotti, responsabile dell’Area Gestionale -. La luce è in grado di influire sulle sensazioni delle persone e riveste un ruolo fondamentale nell’esperienza di acquisto e di scelta qualunque sia il settore merceologico o il tipo di attività: bar, ristorante, boutique, alimentari e grande negozio».

«Il cliente, quando fa un’esperienza d’acquisto compie un vero e proprio percorso: dall’entrata, durante l’orientamento verso la scelta del prodotto o del menù, fino all’uscita con acquisto e sensazione di appagamento – sottolinea Comotti -. Tutti questi passaggi, se non ben collegati tra loro, portano alla perdita d’interesse verso il bisogno del prodotto. Gli studi illuminotecnici permettono di costruire un appeal del prodotto, o di un ambiente, attraverso l’utilizzo specifico della luce abbinato al suo contesto: che si tratti di una vetrina, di un bancone, di un espositore, di un locale o di una grande facciata, con lo studio illuminotecnico si focalizza e si migliora l’esposizione dei prodotti e la percezione di un ambiente. E grazie alla moderna tecnologia Led, si possono avere preziosi vantaggi non solo dal punto di vista illuminativo, ma anche economico perché si può risparmiare in modo importante».

Il nuovo servizio Ascom permette di avere un sopralluogo del tutto gratuito in azienda da parte di un tecnico specializzato che analizzerà il numero e la potenza delle lampade, i consumi e le necessità di illuminazione degli ambienti e dei prodotti. Raccolta tutta la documentazione, insieme allo staff Ascom, verrà costruito uno studio personalizzato che sarà presentato all’imprenditore insieme al business plan dell’intervento.

Lo studio Ascom mostrerà in anteprima come sarebbe l’attività con la nuova illuminazione e indicherà il costo dell’installazione, il risparmio sulla bolletta della luce – che può raggiungere anche il 70 per cento – e il tempo in cui si ripaga l’investimento. «Il restyling illuminotecnico si rivelerà in ogni caso conveniente – spiega Comotti -. E questi per tre motivi: prima di tutto perché fa risparmiare molto e poi perché rende il negozio e il locale più belli e tutela l’ambiente in quanto riduce l’emissione di CO2. Si stima, infatti, che con la sostituzione di una sola lampada con quella a Led si salvano sette alberi».

Per le imprese c’è un’altra grande opportunità: la possibilità di non fare investimenti. «Grazie a un accordo con un’azienda specializzata – continua -, le imprese che desiderano realizzare il progetto illuminotecnico senza versare anticipi potranno scegliere il noleggio operativo che permette di avere le nuove illuminazioni pagando un canone mensile per 36 o 48 mesi e, dopo questo termine, volendo, di riscattare le illuminazioni con una cifra minima».

Anche in questo caso – assicura Ascom Confcommercio Bergamo – la scelta risulterà vantaggiosa perché la spesa del canone del noleggio e l’importo della nuova bolletta sommati saranno inferiori al valore della bolletta.

Per informazioni

Sistemi Gestionali Ascom

tel. 035 4120181- 129
fax 035 4120186
gestionale@ascombg.it


Le idee sono sempre più “in rosa”. Le storie di tre donne che hanno svoltato

donna impresa

L’imprenditoria è da declinarsi, non a caso, al femminile. Sono sempre più le donne che scelgono di mettersi in proprio o di lanciarsi nel mondo del lavoro da protagoniste magari dopo anni di difficoltà a trovare impiego. Non manca poi chi decide di investire in un’idea e sceglie di mollare quel lavoro “fisso e sicuro” che tanti invidiano.

In provincia di Bergamo le imprese femminili sfiorano il 20% del totale: a fine 2016 se ne contavano 18.698, pari al 19,6% delle attività registrate, cifra che colloca la provincia al terzo posto dopo Milano e Brescia. In Bergamasca sono diffuse soprattutto nel settore del terziario, tra cui spiccano il commercio all’ingrosso e al dettaglio (33,4%), le attività di confezioni, la ristorazione e le attività di alloggio (oltre il 30%) e le attività dei servizi d’informazione e di informatica. Le imprese femminili giovanili bergamasche – ossia quelle in cui controllo e proprietà sono in prevalenza under 35 – sono 2.646, l’11,4% delle imprese femminili registrate. Le imprese rosa con presenza maggioritaria di cittadini stranieri sono 2.125 e rappresentano il 9,7% del totale delle aziende femminili. Quanto alla forma giuridica d’impresa, la più diffusa è quella individuale, che interessa più di 6 imprese su 10. Il 24,4% delle imprese individuali è femminile, l’incidenza scende attorno al 15% per le società di capitale e di persone. La presenza femminile nel settore cooperativo è invece più alta, pari al 16,4%.

Sono sempre più anche le aspiranti imprenditrici: nel 2016 si sono rivolte al Punto Nuova Impresa, lo sportello di orientamento della Camera di Commercio di Bergamo, 264 donne, pari al 43,35% degli utenti del servizio. Le principali richieste accolte dal Punto Nuova Impresa hanno riguardato la ricerca di eventuali finanziamenti (per il 29,27% del totale), le procedure burocratiche che l’avvio d’impresa comporta (per il 21,27%), seguite dalla normativa di riferimento (14,01%) e dalle procedure legali (11,51%). Quanto all’età, l’identikit degli aspiranti imprenditori – non si discosta il quadro per le imprenditrici – è di giovani tra i 30 e i 39 anni (per il 31,69%) se non giovanissimi dai 20 ai 29 anni (29,56%), per lo più inoccupati o disoccupati (per il 33,99%). Non manca chi si trova ad aprire un’impresa tra i 40 e i 49 anni (il 19,70%) e oltre (il 9,69%  ha tra i 50 e i 59 anni, mentre sfiora il 5% l’incidenza degli over 60).

Ecco qui raccontate tre storie di imprese di successo, nate da esperienze e vissuti completamente diversi. C’è l’esperta di marketing e promozione, l’ideatrice delle sorpresine del Mulino Bianco, il primo fenomeno italiano di baby-collezionismo di massa, che ha ideato un brevetto e sta avendo grande successo con le prime audiocartoline religiose al mondo. C’è l’ex manager che si è fatta da sé, partendo da un lavoretto come cassiera part-time, e ha deciso di mollare tutto per dedicarsi più alla famiglia inaugurando un’attività di e-commerce nell’allestimento di feste e eventi. C’è l’ex segretaria di uno studio contabile che ha detto addio a pratiche e numeri per dedicarsi alla sua passione per le creme naturali, aprendo un negozio della prima catena franchising di cosmesi biologica.

Le imprenditrici

Ascolta la mia voce

L’audiocartolina si evolve e va in aiuto di medici e pazienti

Graziella Carbone ha fatto sognare una generazione intera ideando le “sorpresine” del Mulino Bianco, che han dato vita ad un vero e proprio baby – collezionismo (e non solo) di massa, tanto da essere inserito con i pezzi più significativi nell’esposizione, attualmente in corso, “Giro Giro Tondo – Design for Children” alla Triennale di Milano. Sono un centinaio le sorpresine fornite al museo per l’esposizione dalla collezione privata di Graziella Carbone. «Dal 1983 al 1993 sono stati realizzati per Mulino Bianco 1 miliardo e 700 milioni di pezzi delle 785 sorpresine con relative varianti, racchiuse in una scatolina come quella dei fiammiferi, per richiamare la famiglia e la cucina – commenta l’ideatrice delle gomme, della meridiana, delle carte gioco e degli origami inseriti in ogni confezione di merendine -. Se le mettessimo una in fila all’altra farebbero una volta e mezzo il giro del mondo».

La “mamma” delle sorpresine è un vulcano di idee continue e dopo l’apertura al mondo della sua casa di Trescore Balneario riadattata a bed & breakfast, due anni fa ha brevettato le prime audiocartoline, applicate inizialmente in ambito religioso, fondando “Ascolta la mia voce”.  Il progetto, entrato nell’Incubatore d’Impresa della Camera di Commercio e salutato come una delle idee più innovative dalla Start Cup dell’Università di Bergamo sia provinciale che regionale, si propone l’obiettivo di tenere compagnia a fedeli con la Preghiera Semplice di San Francesco, con tanto di ritratto del Cimabue riprodotto direttamente dal Museo della Porziuncola di Assisi, o con il Discorso alla Luna, con la voce di Papa Giovanni XXIII, solo per citare le prime cartoline prodotte.

«La malattia che si è poi portata via mio marito ci ha portato a frequentare centri e ricoveri – racconta Graziella Carbone -. Dopo la sua scomparsa mi sono messa a lavorare ad un’idea per tenere compagnia ed accompagnare le giornate dei malati, di chi fatica a leggere o di chi ha perso la vista. Così in un giorno di febbraio 2015 ho pensato alle vecchie cartoline musicali di auguri che con la loro musica facevano sorridere ogni festeggiato e ho subito pensato a come replicare l’idea con una voce registrata».  Nasce così “Ascolta la mia voce”, non senza un accurato studio di fattibilità e un’indagine di mercato, visto che marketing e promozione sono stati e sono tutt’oggi – visto che la collaborazione con Il Mulino Bianco ed altre aziende come Lactis continuano – il pane quotidiano di Graziella Carbone.

«Ho subito contattato il mio fornitore storico, con cui in tanti anni di lavoro abbiamo ideato centinaia di articoli promozionali e sorprese, per trovare i chip per registrare la voce e curare l’impaginazione delle audiocartoline – spiega l’imprenditrice -. Con il progetto Step e Incubatore d’Impresa di Bergamo Sviluppo ho validato l’idea imprenditoriale intervistando 300 persone durante la Fiera del Libro di Bergamo ed altre 300 ad Assisi all’uscita dal bookshop del Museo della Porziuncola. I risultati sono stati davvero positivi: il 50% del pubblico trasversale della Fiera ha dichiarato che avrebbe acquistato un’audiocartolina, tra questi l’80% per regalarlo e il 20% per sé. Fuori dal Museo della Porziuncola, con mia sorpresa e soddisfazione, il 100% degli intervistati ha dichiarato che l’avrebbe comprato non solo per sé ma anche da regalare e riteneva più che congruo un prezzo di vendita di 8-9 euro».

audiocartolina Ascolta la mia voce

L’idea diventa presto un brevetto e viene trasformata in realtà, con uno studio accurato di ogni aspetto, dalla registrazione vocale alle musiche, tutte realizzate ad hoc, alla veste grafica. Il progetto imprenditoriale conserva poi sin dagli esordi un’anima solidale: parte del ricavato sarà infatti impiegato per la realizzazione di sussidi didattici per malati di Alzheimer, in collaborazione con la Fondazione Santa Maria Ausiliatrice di Bergamo. «L’obiettivo è realizzare 92 audiocartoline di Santi, con registrazioni ascoltabili in media fino a 90-100 volte. La voce, originale nel caso di Papa Giovanni XXIII o la mia che interpreto preghiere e scritti dei Santi, viene incisa in studio e accompagnata da musica realizzata in esclusiva» precisa Carbone.

A maggio, nel mese della Madonna, partirà la raccolta fondi, lanciata sulla piattaforma statunitense di crowdfunding Kickstarter per la traduzione delle audiocartoline in altre lingue, preparandosi a rispondere al trend in crescita del turismo religioso che ogni anno muove nel mondo 330 milioni di fedeli. Ma una novità molto interessante rappresenta l’applicazione medica di Ascolta la mia voce, che sta entusiasmando gli operatori del settore, dai medici alle big company farmaceutiche. L’idea innovativa consiste in una scheda paziente personalizzata e “parlante” sotto forma di audiocartolina, dove il medico può incidere direttamente la propria voce, dando indicazioni e terapie, che si possono così riascoltare a casa data la scrittura proverbialmente arzigogolata dei camici bianchi: «L’audiocartolina speciale è dotata di due chip: uno per registrare e uno per ascoltare – spiega Graziella Carbone -. Il medico può incidere la propria voce indicando terapie e consigli fino a 50 volte e il paziente o chi per esso, penso ad esempio a badanti o familiari, può riascoltarlo quando desidera a casa. È uno strumento davvero semplice e immediato, che consente di fugare ogni dubbio su terapie e consigli riascoltando la voce del proprio medico, senza dovere ricontattarlo o affannarsi a cercare ricette e prescrizioni».

PalaParty

L’ex manager ora spopola con gli allestimenti per le feste

Silvia Gabriele si è costruita una carriera da manager partendo da un contratto come cassiera part-time a Roma da Unieuro per poi approdare direttamente a Monticello d’Alba, nel quartier generale di Oscar Farinetti fino alla sua cessione dell’azienda al gruppo britannico Dixon. È poi passata all’azienda Cellularline con il ruolo di category manager, accompagnando lo sviluppo dell’azienda nella distribuzione di prodotti. Trovato l’amore a Bergamo, qui ha messo su famiglia, continuando a lavorare per Cellularline in tutta Italia fino al 2013, anno in cui, con la seconda gravidanza si è concessa un anno di riflessione, che l’ha portata poi a dimettersi da manager.

Nel 2014 nasce di così PalaParty, portale di e-commerce, frutto della passione per l’allestimento della tavola e l’organizzazione di eventi di Silvia Gabriele, non senza un’attenta analisi di business pianificata con piglio manageriale. «Ho presentato, dopo mesi di analisi di mercato e ricerca prodotti, il mio business-plan in Camera di Commercio, cogliendo l’opportunità del bando per entrare nell’Incubatore di Impresa – spiega -. Il mercato è emergente: ormai ceramiche e porcellane cedono il posto a tavola a piatti, posate e bicchieri studiati per l’occasione, a tema con la festa. Il “servizio buono” ormai si usa per contesti formali e grandi occasioni. Per feste e ricorrenze, a partire dagli eventi riservati ai più piccoli, si cerca un modo diverso e divertente per apparecchiare la tavola».

Prima di decidere di sbarcare sul web è stata data priorità ad una gestione perfetta di magazzino e consegne: «La logistica è centralizzata e garantisce consegne in tutta Italia entro le 48 ore. La collaborazione con Amazon ci sta portando ottimi risultati. Per farci conoscere sul territorio abbiamo aperto a Natale un temporary-store in centro a Bergamo, tra via XX Settembre e via Tiraboschi, con allestimenti per la tavola dedicati alle festività». PalaParty ha ampliato l’offerta con alcuni prodotti a marchio privato, a partire da una bombola ad elio usa e getta proposta a 19,90 euro, con un erogatore particolare, e ha ottenuto la distribuzione in esclusiva del brand inglese Talking Table, tra i leader nell’allestimento. Tra i prodotti di maggior successo gli allestimenti della tavola per i più piccoli e i kit per fare foto simpatiche per rendere meno ingessati gli scatti di matrimoni ed altri eventi, oltre ad un’insolita campana che lancia stelle filanti al posto del riso, molto richiesta per la canonica uscita dalla chiesa.

Thymiama

Addio alla scrivania per aprire la profumeria bio

Francesca Vedovelli ha deciso nel 2013, a 29 anni, di dire addio una volta per tutte al lavoro di scrivania in ufficio, come segretaria di uno studio contabile, per aprire il suo negozio. Da sempre appassionata di cosmesi naturale e bio, impegnata nella ricerca di prodotti e trattamenti per se stessa, ha scelto di mettere a frutto le conoscenze acquisite sul campo e la sua passione per diventare imprenditrice.

«Avevo ricevuto un invito per l’inaugurazione del negozio Thymiama di Milano, una delle prime aperture italiane della prima catena in franchising di bioprofumerie nata a Roma. Ho chiesto un supporto al mio ex datore di lavoro, che oggi è il mio commercialista, per business plan e progetto imprenditoriale e nel giro di qualche mese sono diventata anche io franchisee della catena, aprendo la terza profumeria italiana Thymiama».

Il nome greco racchiude l’idea di un profumo naturale, l’essenza di una cura consapevole di sé. La scelta della sede è ricaduta su via San Tomaso, a due passi dall’Accademia Carrara: «Cercavo una via di passaggio, ma non troppo commerciale, dove vi fossero ancora piccoli negozi e botteghe artigiane. Da sempre sono legata a questa zona, a due passi da Borgo Santa Caterina, dove per anni mia zia ha avuto il negozio di ceramiche artistiche MammaRo’, una delle prime realtà artigianali a creare una rete franchising». Il negozio in questi anni ha fidelizzato una clientela ormai affezionata e sempre attenta a ingredienti, etichette, provenienze, eccipienti: «La maggior parte della clientela è giovane e giovanissima, dai 18 ai 30 anni in media – spiega Francesca Vedovelli -. Si informa molto su internet e attraverso i social, con un occhio sempre attento al rapporto qualità prezzo, che è anche un mio pallino perché la diffusione del biologico deve essere accessibile a tutti. Non mancano clienti vegane che possono contare su un’ampia gamma di prodotti, ovviamente anche cruelty free, come ogni altra referenza in assortimento in negozio. C’è anche una clientela più matura, che apprezza principi anti-age naturali e che magari scopre il beneficio di una cura naturale dopo anni di creme contenenti siliconi e petrolati».

La crisi comunque si fa sentire anche in un settore di nicchia come questo: «In questi tempi si sta attenti alla spesa che riguarda tutto ciò che non è strettamente necessario, ma non posso comunque lamentarmi dell’andamento dell’attività, anzi continuo a sentirmi una privilegiata perché ho l’opportunità di fare ogni giorno un lavoro che mi piace».


Nuove tariffe Siae, l’Ascom apre uno sportello e fa risparmiare

music-barLa scadenza per il  pagamento dell’abbonamento Siae che interessa bar, ristoranti, locali e pizzerie, prevista per il 28 febbraio, slitta al 24 marzo. Ma attenzione, le tariffe cambiano. Il nuovo accordo per la musica d’ambiente tra Fipe (Federazione Italiana Pubblici Esercizi) e Siae ha introdotto un nuovo sistema di calcolo degli importi che mira a rendere i conteggi più oggettivi.
Per assistere i gestori nel calcolo delle nuove tariffe e aiutarli a risparmiare, l’Ascom ha attivato un servizio di consulenza.
«Per tre anni, se non si hanno variazioni rispetto all’anno scorso, si potrà pagare il vecchio importo – spiega Andrea Comotti, responsabile dell’Area gestionale e del servizio di consulenza -. Chi ha modificato la composizione degli apparecchi presenti nel proprio locale e/o vuole usufruire del nuovo sistema dovrà dichiararlo con tempestività alla Siae e procedere al ricalcolo della tariffa per il 2017.
In questi  giorni Siae sta spedendo in automatico i MAV 2017 con le vecchie tariffe.
«Consigliamo di non pagarli e di venire con tempestività nei nostri uffici per calcolare i nuovi importi e valutare quali sono più economici – avverte Comotti – . In generale, le nuove tariffe dovrebbero rivelarsi meno costose per i locali di piccole dimensioni e scegliendo gli abbonamenti tutto compreso si può risparmiare».

I cambiamenti previsti riguardano diversi aspetti.  La novità principale è che la tariffa non viene più calcolata in base alla categoria del locale, ma rispetto alla superficie di somministrazione, cioè l’area destinata al servizio ai clienti che di solito è riportata sulla Scia o sull’autorizzazione. Non vengono conteggiati magazzini, cucine, depositi, locali di lavorazioni.
I locali sono suddivisi in tre fasce: fino a 75mq, parametro che interessa la maggior parte dei pubblici esercizi e che prevede la tariffa più bassa; da 76 a 250mq e da 251 a 500 mq.

«Un’altra novità importante – sottolinea Comotti – è che chi ha nel locale più monitor, altoparlanti e sistemi multimediali può risparmiare scegliendo l’abbonamento tutto incluso (flat): solo audio se non ci sono TV e monitor; audio-video se ci sono anche TV e monitor».

Le tariffe cambiano anche per le aree esterne: l’importo ora viene calcolato con una maggiorazione del 10% sull’importo della tariffa relativa all’interno del locale per le aree fino a 50metri quadrati e del 20% per le aree di superficie maggiore. Infine, da quest’anno si potrà pagare l’abbonamento on line registrandosi sul portale Siae dedicato alla Musica d’Ambiente, senza doversi recare preso i loro uffici.
Per il pagamento dell’abbonamento SCF la scadenza è fissata al 31 maggio, ma è possibile pagare entrambi in una unica soluzione, sia attraverso il portale sia agli sportelli Siae.

Lo sportello di consulenza Ascom è a disposizione gratuitamente alla sede di via Borgo Palazzo, al piano terra, dal lunedì al venerdì. Basta presentarsi con i dati relativi proprio locale: numero di metri quadrati dell’area destinata alla somministrazione, eventuali metri esterni con filodiffusione (entrambi sono riportati sulla Scia/autorizzazione), numero e tipo di strumenti utilizzati nel locale e copia della fattura SIAE del 2016. Sempre allo sportello può essere richiesto il modulo sconto Fipe per pagare una tariffa ridotta.

Per informazioni: Ascom Sistemi gestionali tel. 035.4120325 – gestionale@ascombg.it.



Auto, moto, elettrodomestici: a Bergamo consumi ancora con segno “più”

Cresce la spesa per i beni durevoli in Lombardia e a Bergamo lo fa con un ritmo ancora di più marcato. Nel 2016 – secondo la 23esima edizione dell’Osservatorio di Findomestic Banca, presentato oggi a Milano – le vendite di auto, moto, mobili ed elettrodomestici in Lombardia hanno raggiunto i 12,176 miliardi di euro, riportando un incremento del +6,9% sull’anno precedente, superiore alla media nazionale, che si è attestata a +6,4%.

In provincia di Bergamo i consumi complessivi hanno raggiunto quota 1,213 miliardi, per un aumento del 7,8%, secondo in regione solo al +8,5% di Brescia. L’aumento fa seguito a quello del 7,7% registrato lo scorso anno. Le spesa media delle famiglie Bergamasche sale da 2.438 euro a 2.615 (+7,3%)

auto-concessionari-autosalonisti-contrattiPer quanto riguarda i settori, la nostra provincia è la prima per incremento delle immatricolazioni di auto, passate in un anno da 26.905 a 32.340 (+20,2% – la media regionale è del 16,2%) che portano il parco circolante a poco più di 587mila vetture (+0,4%). Del totale immatricolato, 24.375 auto sono quelle acquistate dalle famiglie e 7.965 dalle aziende. La spesa per le auto nuove è cresciuta del 18,9%, contro il +20,6% di Brescia. Sopra la media nazionale (+14,1%) anche Lecco (+16,1%), Sondrio (+15,7%) e Milano (+15,1%).

Sul fronte delle auto usate sono invece Lecco e Mantova a far segnare l’incremento di spesa maggiore: +6% per un totale di 88 milioni di euro a Lecco e +5,5% a Mantova (119 milioni di euro). Bergamo è terza (301 milioni di euro per 46.406 passaggi di proprietà pari ad un +5,4%,). Seguono Como (+4,5%, 154 milioni di euro), Brescia (4,2%, 367 milioni di euro) e Milano (4%, 1.727 milioni di euro). Chiude la classifica Lodi con +2,7% e 54 milioni di euro di spesa.

Nei motoveicoli, Bergamo è seconda dopo Milano (17.412) per numero di vendite nel 2016 (4.471) e per parco circolante (151.146 mezzi). In quantità, la variazione rispetto all’anno precedente è +3,4%, mentre in valore l’incremento è del 7,1% (nel 2105 era +10,4%). A crescere di più nella spesa sono state Pavia (+17,9%), Varese (+12,9%), Brescia (+12,5%) e Mantova (+11,3%).

mobili - elettrodomesticiNegli elettrodomestici (grandi e piccoli), i consumi complessivi a Bergamo salgono dai 98 milioni del 2015 ai 104 del 2016 (+5,3%). Il maggiore incremento si è registrato a Cremona, con il 6,2%, mentre la media regionale è +5,7%.

Stabili le vendite nell’elettronica di consumo: 44 milioni sono stati spesi a Bergamo nel 2015, altrettanti nell’anno da poco concluso. Il dato è però migliore di quello dell’anno scorso, che aveva visto la nostra provincia perdere il 4,4%, per altro in un contesto regionale tutto negativo. Nel 2016 è Como ad aver messo a segno la migliore performance (+1,3%), il dato lombardo è +0,8%.

Si affievolisce la spinta per i mobili, con un +0,3% rispetto al +2,7% dello scorso anno. Che significa anche ultimo posto nella classifica regionale, dove l’incremento medio è stato del 2,1% (in linea con il dato nazionale, +2%). Per volumi venduti siamo comunque terzi (281 milioni di euro), dopo Milano e Brescia.

La voce più negativa del rapporto è quella dell’information technology (riferita ai consumi delle famiglie). La Lombardia ha perso il 2,7% e Bergamo, passando da 40 a 38 milioni di spesa, è scesa del 4,3% (dato peggiore rispetto al -2,3% del 2015).

Intanto la differenza di reddito pro capite nelle diverse province lombarde resta ancora molto alta. Milano è in testa (anche a livello nazionale) con 29.929 euro, seguita da Sondrio, seconda provincia con 19.881 euro. Bergamo è a centro classifica con 17.006 euro, inferiori sia alla media regionale (22.259 euro, sia a quella nazionale 18.658). Nell’ultimo anno, comunque la disponibilità dei bergamaschi è aumentata del 2,2%, come la media Lombarda (mentre in Italia l’incremento del reddito è stato del 2,4%). Il minor reddito pro capite è quello di Lodi, 14.386 euro (+2%).

consumi beni durevoli - tabella Osservatorio Findomestic su 2016

 


I ministri, i titoli di studio e il pessimo esempio al Paese

montecitorio-jpgCarlo Emilio Gadda, che oltre ad essere scrittore immenso, fu, forse, il più clamoroso esempio di italiano perbene del XX secolo, postulò, in una sua celebre pagina, che i caporali di giornata potessero anche avere la quinta elementare, ma che i marescialli di campo dovessero possedere tutte le cartebolle in ordine. Insomma, che uno che possieda una cultura, diciamo così, un tantino risicata, sarebbe meglio che non si occupasse di massimi sistemi. Questo, evidentemente, non per la nauseante albagia da pezzo di carta, che talvolta affligge capifamiglia pieni di aspettative per la prole o burocrazie dementi, ma per un’ovvia ragione di ampiezza di vedute, di preparazione di base, di senso elementare della cultura. Oggi, vige un equivoco che rischia di travolgere ogni differenza di merito e di talento: l’idea sacrosanta che tutti, nei confronti dello studio, debbano vantare eguali diritti, si è trasformata nell’idea, viceversa demente, che tutti siamo uguali davanti a Minerva. Che il figlio del contadino debba avere le stesse possibilità del figlio del barone di diventare neurochirurgo è cosa giustissima e bellissima: che sia obbligatorio che il figlio del contadino valga quanto il figlio del barone, per inclinazione allo studio e volontà nel medesimo, è stupidaggine sesquipedale. E viceversa, intendiamoci: uno può essere figlio di un premio Nobel e dimostrarsi un idiota formidabile: come è ben dato a tutti di constatare.

Ciò detto, che uno venga dalla malga o dal palazzo, se deve rivestire incarichi di comando e di vertice, deve dimostrare capacità davvero fuori del comune o possedere, quantomeno, un curriculum eccellente. Invece, nel mondo ribaltato e surreale della politica, tutto questo pare non conti nulla: la politica, oggi, è un’occupazione per prescelti, per unti del Signore, non mai per persone serie, competenti, umili. Può capitare, quindi, che un luminare dell’urologia, con tre lauree e venticinque master, debba attenersi ai Diktat di una signora che ha nel cassetto uno striminzito diplomino liceale, e che non distingue una vescica da un cavatappi: con che spirito il luminare accetterà i dettami della diplomata e, soprattutto, con quale ampia e circostanziata visione dei problemi deciderà in materia di salute pubblica la suddetta, non è mestiere dire. Può, del pari, accadere che un signore che, per tutta la vita, si è occupato di cooperative, dall’alto del suo bel diploma di perito agrario, si metta a discettare di lavoro, a fare scelte determinanti per milioni di persone e, quel che è peggio, a proferire apoftegmi destituiti di senso comune su quei giovani laureati che, spinti dalla necessità di trovare un Paese meno ingrato verso i propri figli migliori, se ne vanno a cercare miglior fortuna (e migliori ministri) all’estero.

In altri luoghi e in altre epoche, una simile cialtroneria sarebbe stata rimeritata con decine di calci nell’ampio preterito del farneticante, fino a ricacciarlo tra i banchi, a studiarsi l’abbiccì. Qui da noi, invece, tutto tace, tutto si placa: e gli asini continuano a ragliare, dai loro scranni dorati. Dulcis in fundo, nel Paese delle banane, può accadere che, in un crescendo da comica finale, venga nominata al dicastero che sovrintende, appunto, all’educazione pubblica, ovvero alla formazione culturale, civile e professionale delle future generazioni, una signora che proviene dal sindacalismo tessile (che sarebbe come mettere una baby sitter a comandare un incrociatore) e che, in un primo tempo, risulti essere laureata, poi diplomata e, infine, dotata di attestato triennale di maestra d’asilo. Quindi, per la formazione culturale chiudiamo un occhio, per quella professionale chiudiamone due e per l’educazione alla legalità che è alla base dell’educazione civica dei giovani, dobbiamo ricorrere al buddhismo e chiuderne un terzo: detiene il ministero della Pubblica istruzione una signora che non solo non è laureata né diplomata (adducendo a giustificazione il fatto che, ai tempi del Carlo Codega, quel titolo di laurea non esisteva: oplà!), ma che, dopo aver millantato titoli, peraltro del tutto estranei alla bisogna, anziché domandare scusa e ritirarsi in qualche opificio a veder girare gli amati telai e a cantare “Sciur padrùn dali beli braghi bianchi”, ha proclamato orgogliosamente di essere pronta a qualunque sfida didattica, essendo fieramente sindacalista.

Ora, mi domando e vi domando, quale esempio possono trarre da un comportamento del genere i nostri studenti: quale lezione ne dovrebbe conseguire? Che studiare non serve a niente? Che il sindacato è la nuova università? Che raccontar balle è il modo migliore per far carriera? Che, se fai parte della conventicola giusta, nessuno ti può toccare? Ditemi voi, perché io, sinceramente, non ho più parole per valutare questa politica e questo governo. E, se Atene piange, Sparta singhiozza: nella stessa ridente cittadina della Bassa che ha dato i natali alla nostra sindacalista-maestra d’asilo-ministra, fa l’assessore alla cultura un altro signore, di tutt’altra parrocchia politica, che aveva fatto il preside per anni, dichiarando una laurea inesistente, accoppiando questa benemerita attività educativa al ruolo di sindaco. Tutta gente che avrebbe dovuto, perlomeno, declinare, abbozzare, andare a nascondersi e che, in virtù delle arcane e contorte leggi della politica, cavalca, comanda, legifera: ministri, assessori, senatori e marescialloni vari. Gadda, poveretto, dorme nel suo loculo a Prima Porta e, per sua fortuna, non deve vedere realizzati i suoi incubi peggiori. Noi, invece, sì, purtroppo.