Oscar Fusini (direttore Ascom): “Il sistema dei buoni pasto va cambiato, è un circolo vizioso in cui perdono tutti”

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È una brutta storia all’italiana quella del fallimento della Quigroup, l’assegnataria dei lotti Lazio e nord ovest di 388 milioni di euro dell’ultima gara Consip per i buoni pasto dei dipendenti pubblici. L’impresa di Genova, una delle poche italiane ancora operanti nel settore, è fallita trascinando con sé decine di migliaia di esercenti che vantano buoni pasto non ancora riscossi. Solo in bergamasca stimiamo che siano circa 600/700 gli esercenti coinvolti, per oltre 2 milioni di euro di buoni che saranno insinuati nel passivo e probabilmente mandati a perdita dagli esercenti. Nella maggior parte dei casi l’ammanco si mangerà l’intera remunerazione annuale del titolare del bar /ristorante, in un mercato ormai in gravissimo affanno nel quale guadagnare è diventato impossibile. Perché chi ancora accettava questi buoni pasto, in verità, lo faceva più per spirito di servizio o necessità che per reale opportunità. Eppure siamo rimasti soli – Ascom, Confcommercio e Fipe – nella palude di questa brutta storia mentre l’opinione pubblica tace o ha già derubricato la questione come problema risolto dopo che Consip ha prima chiuso la convenzione con Qui group e poi riassegnato in maniera altrettanto celere a Sodexo il compito di emettere e consegnare i buoni pasto delle imprese pubbliche.

Dei ‘poveri’ esercenti che hanno erogato il servizio, dato da mangiare e da bere, nessuno si interessa perché nell’immaginario collettivo sono quelli che hanno guadagnano. Ma cosa guadagnano e che razza di Paese è questo?In attesa che il prossimo bando di assegnazione trovi un altro emettitore disponibile a rischiare l’osso del collo nel collocare a condizioni improbe i buoni pasto del pubblico sembra che il problema sia solo dell’impresa genovese fallita.

Non è così. Il problema non è la Quigroup o la prossima impresa appaltatrice disponibile al sistema CONSIP.  Il metodo è un circolo vizioso nel quale perdono tutti, dipendenti beneficiari dei buoni, emettitori, bar e ristoranti, e guadagna solo lo Stato. Questo sistema non può proseguire. Lo Stato vuole comprare i buoni pasto che sono salario diversamente reso ai suoi dipendenti ad una valore di acquisto inferiore del 20 per cento del loro valore facciale. L’esca della dimensione del bando è succulenta. Chiunque abbocchi e vinca l’appalto comincerà ad inasprire le condizioni verso gli esercenti, vendere servizi aggiuntivi non richiesti, ritardare i pagamenti, dichiarare buoni impagabili perché falsi e rubati. Insomma tutto quanto di peggio abbiamo visto negli ultimi anni, che si è ulteriormente aggravato con l’ultimo appalto. 

Il sistema va cambiato. I buoni sono salario e devono essere acquistati al loro valore facciale. Occorre risolvere in modo definitivo questo problema. Se serviranno 200 milioni nel prossimo bando di 1 miliardo per i buoni pasto dei dipendenti pubblici, li si faccia pagare a tutti, non solo ai dipendenti della malcapitata impresa emettitrice e a quei poveri diavoli di baristi e ristoratori.