Tutela del lavoro e web tax, ma serve un cambio di passo

Tutela del lavoro e web tax, ma serve un cambio di passo

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Sarebbe stato impossibile, solo dieci anni fa, pensare come direttore di Ascom di partecipare ad un convegno con CGIL e di trovarsi d’accordo quasi su tutto, per di più in un’arena, come un’ex fabbrica, per antonomasia luogo di relazione industriali conflittuali come. Invece è quello che è avvenuto sabato 14 luglio nello spazio “Fabric” recuperato dallo stabilimento dismesso ex Reggiani, dove CGIL ha organizzato il convegno “The new order: tecnologia e inclusione nel terziario”. Temi molto caldi e non solo per il clima rovente di metà luglio.

Il simposio, aperto e ben concluso da Mario Colleoni segretario Generale Filcams CGIL, ha visto la partecipazione di Antonella Protopapa, segretario generale CGIL Lombardia e della sociologa Ida Regalia.

Da loro è emerso che nella fase di profonda transizione come quella attuale serve un cambio di paradigma nel sistema della formazione scolastica, della formazione continua in azienda per evitare che tanti giovani ma anche lavoratori in attività rischino di restare tagliati fuori dalla spinta digitale, che mette in difficoltà soprattutto i segmenti più deboli.

Su un punto si è già tutti d’accordo e i dati forniti dall’Osservatorio del digitale del Politecnico di Milano confermano questa convinzione. C’è ancora poca consapevolezza, tanto nelle imprese tanto nei lavoratori, del profondo cambiamento che sta intervenendo in questa quarta rivoluzione industriale. E le risorse messe in campo da tutti, fino a questo momento, sono insufficienti per garantire una transizione che possa includere tutti o buona parte dei lavoratori.

A questo tema che costituisce il più grande problema oggi si legano tutti gli altri.

Come quello storico della difesa del riposo domenicale, che accomuna i piccoli imprenditori con i lavoratori dipendenti, che vede le posizioni della rappresentanza delle imprese come Confcommercio e il sindacato alleati nel favorire una riforma della legge “Monti” a favore di un certo numero di festività rischia di essere “una vittoria di Pirro”, rispetto al tema di come conciliare i rapporti tra commercio reale e commercio elettronico.

In altri termini è impensabile raggiungere il risultato sperato di tutela delle piccole imprese e dei lavoratori senza preoccuparsi di quanto sta accadendo. Il commercio elettronico vale in questo momento al 5% del volume d’affari in Italia, un po’ meno nel commercio alimentare, secondo i dati dell’università Statale di Milano, ma è destinato a posizionarsi tra la quota attuale e quella significativa raggiunta in altri paesi continentali e americani. L’impatto si farà sentire.

Se nell’industria la minaccia imminente sono i robot che sostituiscono manodopera nel terziario è la concentrazione delle vendite nelle mani di pochi grandissimi player, che schiacciano tutti gli altri.

Il riequilibrio di forza con tutti gli altri imprenditori può avvenire solo applicando la progressività fiscale prevista dalla costituzione secondo modalità diverse da quelle attuali. Introduciamo una web tax adeguata e cerchiamo di farla pagare.

Sul fronte invece della tutela del lavoro adeguiamo i poli logistici che si riferiscono alla vendita al dettaglio alle stesse regole della distribuzione. Regole uguali per tutti. Se poi i poli si posizioneranno all’estero fermiamo almeno le consegne, magari tutti i fine settimana.

Insomma cerchiamo una soluzione. Nessuno può più (far) lavorare 24 ore su 24 7 giorni su 7 o almeno fissiamo un limite minimo di giornate di chiusura totale (24 ore) per tutti. Fermiamo per alcune festività il commercio e fermiamo anche i poli logistici dell’e commerce, equiparandoli ai canali tradizionali di vendita al dettaglio. Posso ordinare quando voglio ma l’ordine sarà evaso alla riapertura del polo. Questo in piena analogia con quanto regione Lombardia si appresta a deliberare. I poli logistici valgono come quelli commerciali. Se di grande dimensione movimentano milioni di mezzi e come tale vanno autorizzati con conferenza di servizi come i centri commerciali e non senza alcuna regola.
Anche perché a fronte dei 300 tanto osannati nuovi posti di lavoro – che ci auguriamo siano stabili e tutelati-  ne moriranno almeno 3.000 che noi definiamo “buoni” per condizioni di lavoro e retribuzione.

Su questo penso che saranno in molti d’accordo, non solo Ascom Confcommercio e CGIL.

 

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