Balzer, il caso dei tre licenziamenti finisce in tribunale

Un caffè al Balzer, una pausa sul Sentierone
Un caffè al Balzer, una pausa sul Sentierone

La Fisascat Cisl di Bergamo porta Balzer alla sbarra, accusando la società di gestione del locale, la Codesa, di comportamento anti-sindacale e chiedendo ufficialmente il reintegro dei tre lavoratori licenziati meno di due mesi fa. Il prossimo 23 giugno, Monica Bertoncini, della sezione Lavoro del tribunale di Bergamo, dovrà dirimere la questione sull’articolo 28 dello statuto dei lavoratori: la Fisascat, infatti, imputa alla gestione di Barghi, che all’inizio del 2015 riaprì lo storico caffè del Sentierone, un comportamento non rispettoso di quanto stabilito negli accordi sindacali sottoscritti non più di sei mesi fa, “nei quali – ricorda Alberto Citerio, segretario generale della categoria CISL del commercio -, oltre a tutelare il personale, siamo stati attenti anche ai costi di gestione della nuova proprietà”. Infatti, nel contratto firmato tra le parti, Codesa ha ottenuto una riduzione del 10% del costo del personale, “ma con la contropartita che l’azienda aveva l’obbligo di mantenere il personale in forza”. Nel testo dell’accordo, infatti, si fa esplicitamente riferimento alla data del 30 novembre 2015 come primo incontro tra le parti per la valutazione dell’andamento dell’intesa.

Questo atteggiamento, si legge nella nota dell’avvocato Luca Pizzigoni, che assiste la Fisascat, “inadempiente, e addirittura contrario ai principi di correttezza e buona fede, ha posto nel nulla l’operato del sindacato, esposto a notevole pregiudizio e perdita di immagine nei confronti dei propri tutelati”.


Ammortizzatori, il governo rifinanzia quelli in deroga

di Silvia Spattini*

InpsNuove risorse sono state stanziate a finanziamento degli ammortizzatori in deroga sia per l’annualità 2014 sia per il 2015. Con il decreto n. 89936 del ministro del Lavoro e delle politiche sociali, di concerto con il ministro dell’Economia e delle Finanze, dell’ 8 maggio scorso, sono assegnati complessivamente quasi 500 milioni di euro alle Regioni Abruzzo, Basilicata, Calabria, Emilia Romagna, Friuli Venezia Giulia, Marche, Molise, Sardegna, Sicilia, Toscana, Umbria e Veneto per la copertura di tutte le domande relative al 2014 di concessione in deroga di Cigo, Cigs o mobilità (o per la loro proroga).

Il medesimo decreto (all’art. 2) indica anche per ogni Regione la misura del 5% delle risorse assegnate che possano essere utilizzare per autorizzare i trattamenti anche in deroga ai criteri di concessione fissati lo scorso anno con il decreto n. 83473 del 1° agosto 2014, che ugualmente individuata questa stessa deroga (art. 6, comma 3). Il decreto n. 83473 ha introdotto criteri restrittivi del campo di applicazione sia con riferimento ai datori di lavoro sia con riferimento ai lavoratori. Per la CIG in deroga, possono essere beneficiari soltanto i lavoratori con una anzianità lavorativa presso l’impresa di almeno dodici mesi, mentre per i datori di lavoro soltanto gli imprenditori possono essere ammessi (su tale punto, tuttavia, il Consiglio di Stato ha accolto l’appello cautelare presentato da Confprofessioni contro l’ordinanza del Tar del Lazio che non aveva accolto il ricorso contro l’esclusione degli studi professionali dalla CIG in deroga. Con riferimento alla mobilità in deroga, non possono esserne beneficiari lavoratori che ne abbiamo già goduto per 3 anni e comunque per non più di 6 mesi. In considerando dell’introduzione di tali criteri restrittivi, il decreto ha inteso garantire una fase transitoria riservando una quota di risorse per la concessione dei trattamenti in deroga ai nuovi criteri fissati.

A seguito dell’assegnazione delle risorse a chiusura della competenze 2014, l’Inps è intervenuto con il messaggio n. 3244 del 12 maggio 2015 per alcuni chiarimenti procedurali. In particolare, l’Istituto sottolinea che, in conseguenza della assegnazione posticipata delle risorse a copertura delle domanda relative al 2014, il ministero (con nota n. 9179 del 23 aprile 2015) ha esentato l’Inps da effettuare le verifiche preventive sulla compatibilità finanziaria. L’Istituto effettuerà solamente un monitoraggio della spesa attraverso il Sistema Informativo dei Percettori, consistente in una verifica del rispetto dei limiti delle risorse assegnate a Regioni e Province autonome.

Per il 2015, invece, il Consiglio dei Ministri del 18 maggio 2015 ha approvato un decreto legge (di cui al momento non si conosce il testo) per rifinanziare gli ammortizzatori sociali in deroga per 1 miliardo di euro, che ci aggiunge ai 700 milioni previsti, sempre per il 2015, dalla legge n. 92/2012 (art. 2, comma 65), e i contratti di solidarietà di tipo B per 70 milioni di euro, non rifinanziati, come di consueto, dalla legge di stabilità.

 * Direttore ADAPT

 


Traffico merci in ripresa, ma gli autotrasportatori continuano a soffrire

Il traffico merci in Italia è finalmente in ripresa: dopo dieci anni di calo, nel 2014 è tornato il segno più (+0,5%), mentre nel 2015 e nel 2016 la crescita sarà dell’1,6%.

Eppure i problemi del settore continuano ad essere evidenti, anzi c’è addirittura l’imbarazzo della scelta. Tra i tanti salta agli occhi un evidente problema di concorrenza, determinato anche da regole ambigue e da scarsi controlli, a scapito degli autotrasportatori italiani: tra il 2003 e il 2013 la quota delle merci entrate in Italia trasportate da operatori dell’Europa orientale è cresciuta di addirittura il 600% e supera ormai il 47%, mentre era meno del 7% nel 2003.

La quota degli autotrasportatori italiani si avvicina, invece, al 15%, quando nel 2003 era pari a quasi il 33%. Ma non si può certo trascurare altre storture che sanno di autolesionismo, come il fatto che tra il 2000 e il 2012 gli investimenti nei trasporti sono scesi del 47% (da 20 a 10 miliardi) o che nei nostri centri urbani si continui a viaggiare “a passo di lumaca”, con una velocità media è di 15 km/h, la stessa di fine ‘700…

Di tutto questo, e di altro ancora, si è parlato nel corso del quarto convegno annuale sui trasporti organizzato a Roma da Confcommercio, dal titolo “L’Italia disconnessa”, nel corso del quale è stato presentato il rapporto “Analisi e previsioni per il trasporto merci in Italia”, realizzato dall’Ufficio Studi confederale.

Dallo studio, illustrato dal responsabile Mariano Bella, emerge il malessere delle imprese italiane di autotrasporto: se una quota già ridotta di imprese “nostrane” ha mostrato ricavi in crescita negli ultimi sei mesi (6,9%), neppure la metà di questa frazione è espressa dalle imprese di autotrasporto.

Allo stesso tempo, se tra le imprese appartenenti a tutti i settori il 10,1% prevede ricavi in crescita (il 56% invariati, un terzo in riduzione) soltanto il 2% delle imprese di autotrasporto indica la prospettiva di ricavi crescenti nei prossimi sei mesi. Il tutto in una situazione, seppure parziale e ancora insoddisfacente, di ripresa: nel 2014 il settore è, come detto, tornato a crescere (+0,5%) e nel 2015 e nel 2016 è prevista una crescita dell’1,6%.

È finita, insomma, la fase discendente del trasporto merci, ma la strada da recuperare è eccezionalmente lunga. Le perdite in termini di tonnellate-chilometro sono state del 21,6% tra il massimo del 2005 e il minimo del 2013. Rispetto ai massimi, alla fine del 2016 i livelli saranno inferiori ancora del 18,7%.

Male, molto male, anche l’occupazione, se si pensa che il 97% della caduta occupazionale del trasporto merci tra il 2008 e il 2012 è da ascrivere proprio all’autotrasporto (27mila unità su 27mila e 900), soprattutto nelle imprese più piccole.

Ma se si può indicare nell’autotrasporto il “grande malato” del comparto, altrove non è che la situazione sia brillante, tutt’altro. Bastano pochi dati: per esportare un container occorrono 19 giorni e 1.195 dollari in Italia contro i 9 giorni e 1.015 dollari della Germania; il traffico su ferrovia riguarda 19 miliardi di tonnellate-chilometro contro i 122 della stessa Germania; la rete autostradale è pari a 1,81 km ogni 10mila vetture contro i 6,61 della Spagna.

Eppure, i trasporti sarebbero davvero la “chiave” della ripresa: riducendo solo del 10% tempi e costi medi di trasporto, il Pil crescerebbe dello 0,7%. Come se ne esce? Serve una cura drastica che Confcommercio ha declinato in cinque proposte: creazione del Registro internazionale dell’autotrasporto;  individuazione dei porti strategici, sviluppo dell’intermodalità dei collegamenti terrestri e potenziamento delle Autostrade del Mare; apertura di notte dell’Alta Velocità al trasporto merci tramite la realizzazione della “metropolitana italiana delle merci”; trasporto su ferro dei Tir che arrivano via mare nei nostri porti dal Mediterraneo e che trasportano merce destinata all’estero; avvio di una strategia nazionale in favore dell’accessibilità e della mobilità urbana.


Metalmeccanici, a Bergamo in calo del 61% le ore di cig ad aprile

metalm.jpgContinua a diminuire la cassa integrazione in Lombardia. Nel mese di aprile le ore di cig, rispetto al 2014, sono calate in valore assoluto del 30%. Per il settore metalmeccanico, il dato regionale parla di una diminuzione del 17%. Quanto alle tipologie di intervento, si evidenzia una lievissima flessione della cassa ordinaria (-2,14%), un calo del 9% della straordinaria, con un tracollo della cassa in deroga (-93%). A Bergamo le ore di cassa ad aprile sono state 546.119 contro 1.404.609 di ore registrate nello stesso mese dello scorso anno, con un calo generale del 61,1%

Più o meno analogo, a livello regionale, il trend nel confronto tra maggio2014/aprile2015 e maggio2013/aprile2014. La cassa integrazione in Lombardia ha fatto registrare, nel periodo in esame, una variazione in negativo del 14%. Segno meno che si ripropone nelle stesse dimensioni anche per la cassa integrazione fra le tute blu in Lombardia nel periodo in esame. Significative diminuzioni per tutte le tipologie di intervento: ordinaria (-66%), straordinaria (-52%), in deroga (-85%). “Nonostante la riduzione delle ore di cassa integrazione, è prematuro parlare di uscita dalla tunnel, in virtù del fatto che al momento non aumentano in maniera significativa i posti di lavoro. Più che altro si può parlare di situazione di crisi cristallizzata”, ha affermato Mirco Rota, segretario generale della Fiom Cgil Lombardia.


Crisi all’Abf, appello di Rossi ai consiglieri regionali

Bergamo260“La protesta dei lavoratori di Abf, che manifestano insieme ai loro colleghi di tutta la Lombardia che lavorano nei  centri di formazione professionale facenti capo alle Province è giusta e condivisibile. Proprio per questo in Provincia ho voluto incontrare personalmente una delegazione dei dipendenti di Abf. Ritengo infatti che vada contrastata ogni scelta tesa a ridimensionare la portata di questo servizio sul territorio bergamasco”. A parlare è Matteo Rossi, presidente dell’Ente di via Tasso, che aggiunge: “Com’è noto, abbiamo messo la formazione professionale in cima alle priorità della nostra agenda politica, come dimostrato dall’organizzazione della Fiera dei Mestieri appena conclusa che ha posto studenti e lavoratori di questo settore al centro dell’attenzione dell’opinione pubblica. In questo senso il taglio di 1.700.000 di euro da parte di Regione Lombardia risulta con tutta evidenza un danno per le famiglie, gli studenti, i lavoratori e per tutto il territorio bergamasco che ha bisogno di queste risorse per investire sull’innovazione della filiera artigiana e per continuare l’opera di contrasto all’abbandono scolastico. Faccio quindi appello a tutti i consiglieri regionali affinché nella discussione in atto sul nuovo pdl regionale in materia di formazione professionale e in quello riguardante le deleghe provinciali intervengano per modificare queste scelte e per ridare al territorio le risorse necessarie”. “Per ciò che concerne più specificatamente le scelte della Provincia – aggiunge Rossi – nessuna mancata risposta in materia di stabilizzazione dei lavoratori, anzi, un chiaro e trasparente impegno messo nero su bianco in occasione dell’ultimo consiglio provinciale dove è stato presentato direttamente dal Presidente e votato dalla maggioranza un emendamento che impegna il Cda di Abf a procedere con le assunzioni a tempo indeterminato, nel caso in cui la Corte dei Conti, già due volte sollecitata, si pronuncerà favorevolmente in tal senso. Esiste infatti per le Province il divieto di assunzione di personale e, per quel che riguarda le aziende speciali in capo alle Province stesse, la Corte si è fin qui pronunciata negando la possibilità di assunzioni a tempo indeterminato. Come Amministrazione provinciale siamo però convinti che con gli sgravi prodotti dal Job Acts e i nuovi contratti a tutele crescenti i vantaggi che deriverebbero per Abf potrebbero giustificare la scelta della stabilizzazione”.


Welfare, “carrello della spesa” e telelavoro tra le novità

telelavoroNel corso del 2014, sono stati 22 gli accordi aziendali bergamaschi riguardanti il welfare, nelle sue varie sfaccettature, firmati dalla CISL e dalle sue categorie. Si tratta di oltre il 23% delle intese totali strette in tutta la Regione, e riguardano i temi della previdenza integrativa, dell’Assistenza sanitaria e integrativa, della Famiglia e cura, dei Problemi sanitari, della Contrattazione fiscale e sociale e della Promozione di maternità e paternità. A questi vanno aggiunti i numerosi accordi e protocolli che la federazione dei Pensionati ogni anno produce con il suo lavoro contrattuale con ASL, comuni, Ambiti, RSA. Quest’anno, a livello regionale, sono stati registrati 366 tra accordi, verbali e protocolli con i Comuni, 10 con le ASL, 14 riguardanti i piani di zona, 4 con le RSA, 2 con i CDR. Il totale di questi accordi copre il 45,35% della popolazione lombarda.

Nello studio che periodicamente elabora Giorgio Caprioli, responsabile dell’area Welfare della CISL regionale, si scopre che nel 2014 sono stati registrati 96 accordi riguardanti la Lombardia (l’esame riguarda le intese firmate dalla CISL o dalle sue categorie).

In questo, la parte del leone l’ha fatta la FIM (categoria dei metalmeccanici), che ha sottoscritto più del 40% del totale degli accordi. Poi FEMCA (chimici e tessili) con il 15,6, gli agricoli e alimentaristi della FAI con il 15% degli accordi, FIBA (bancari) con il 7,5.

Tra gli aspetti più interessanti presenti nelle intese firmate nelle varie aziende, spiccano gli innalzamenti del contributo aziendale al fondo pensione; i contributi spese per il diritto allo studio dei figli; varie forme di permessi retribuiti e non per la cura; permessi per visite mediche o cure; la concessione di permessi retribuiti per nascite o accompagnamento e la formazione post-partum, la costituzione di fondi di solidarietà aziendale. Accordi innovativi riguardano la concessione del part-time e l’adozione del tempo flessibile fino a una certa età del figlio; l’introduzione del telelavoro e dello smart working. Inoltre, decine di accordi introducono il concetto di “carrello della spesa” e del lavaggio o fornitura degli abiti da lavoro.

“Prosegue la politica di elevare i contributi aziendali o dei lavoratori ai fondi di previdenza integrativa rispetto ai versamenti previsti dai CCNL – scrive Caprioli nella sua nota annuale -. Anche in questo caso la politica contrattuale si orienta a sostituire i contributi ai fondi di assistenza sanitaria integrativa a carico del lavoratore con quelli aziendali o ad aumentare i contributi del lavoratore in cambio di maggiori prestazioni. La politica contrattuale, inoltre, si orienta decisamente a favorire il diritto allo studio dei figli (19 accordi) o ad ottenere permessi per la cura dei parenti (12 accordi). Per la tutela della maternità e della paternità sono prevalenti i permessi in più per i neo-padri (14 accordi) e la formazione per favorire i rientri dopo i parti (6 accordi).

La contrattazione sociale si caratterizza per l’istituzione di fondi di solidarietà. Per le politiche di conciliazione dei tempi segnaliamo la concessione di part-time (5 accordi), la flessibilizzazione degli orari (4 accordi), lo smart-working (3 accordi)”.

A Bergamo, l’analisi della contrattazione aziendale e territoriale restituisce accordi interessanti e particolarmente significativi. Anche qui, sono le aziende metalmeccaniche a fornire la stragrande maggioranza delle intese (il 63% delle intese, infatti, porta la firma della FIM CISL).

Si va dall’elevazione dei contributi aziendali per la previdenza integrativa alla Fine Foods, all’assistenza sanitaria aziendale in Isocell, Kopre, Cugini e Record; dalle borse di studio per i figli dei dipendenti Itema, al contributo per l’asilo nido alla Ventomatic. Poi, in altri contratti spunta il “pacchetto maternità – paternità di 75€ per la nascita di un figlio” (alla Alfa Laval Olmi), i buoni spesa trimestrali collegati alla “cassetta delle idee” (alla Sabofoam). “In questi anni di crisi – dice Giacomo Meloni, della segreteria CISL di Bergamo – esercitare la contrattazione aziendale di secondo livello è stato più difficile, in alcuni casi impossibile, e se si è perso in quantità di accordi, si è sicuramente migliorato nella qualità e nel grado di innovazione.

Un tratto di forte caratterizzazione nella contrattazione è stato quello rivolto agli aspetti sociali, svolto dalla confederazione con il determinante contributo della FNP. Un impegno continuo nella contrattazione dei 14 piani di zona e della contrattazione sociale, ci ha visti e vedrà protagonisti con proposte di interventi mirati al contrasto dei bisogni conseguenti alla crisi, il lavoro che manca, l’emergenza alimentare, il sostegno alla casa, il contrasto alla solitudine delle persone e delle famiglie. Un connubio di azione fra lavoro e welfare – conclude Meloni – con il chiaro obiettivo per la CISL di dare continuità agli interventi concordati, non solo in chiave aziendale, ma con un forte intreccio con il territorio.

Di pari importanza è la contrattazione fatta nel 2014 sulle politiche attive del lavoro orientate alla rioccupazione delle persone che hanno perso il lavoro. Di questi in particolare vanno segnalati gli accordi di rete per il lavoro che riguardano le aree di Treviglio e Isola Bergamasca, e della Manifattura Val Brembana”. Il tema della contrattazione e i suoi contenuti, compresa la contrattazione per le politiche attive del lavoro, saranno tema di confronto nella prossima Fiera della Contrattazione che la CISL di Bergamo terrà giovedì 4 Giugno.

 

 


Bergamo si scopre sempre più povera

fisco Nell’arco di un solo anno, ben 1.000 persone, hanno visto ridursi sostanzialmente il proprio reddito. Si tratta di quasi il 7% del campione rilevato dalla ricerca Cisl Bergamo sui dati della campagna 730. In pratica, 778 lavoratori in più compongono la fascia da 0 a 15milaeuro, mentre sono 226 i contribuenti in meno nella fascia superiore (da 15 a 30mila euro). «Si tratta di una netta riduzione del reddito del lavoro dipendente, segnale inequivocabile che la crisi che ha colpito il nostro sistema economico ci ha lasciato. Dal punto di vista sociale, poi, fa effetto anche vedere il numero degli inoccupati arrivare a 3.669, e quello dei pensionati scendere a 45.667 (1183 in meno rispetto a un anno fa: lascito della “Fornero”)».

«Sono dati “reali”, perché riferiti alle stesse persone che per due anni di fila hanno fatto la denuncia dei redditi al CAF CISL di Bergamo. Li potremmo identificare uno per uno, e ognuno di loro racconta una storia per la maggior parte dei casi non positiva», ha detto Ferdinando Piccinini, segretario generale della Cisl orobica, nel corso della riunione del sindacato organizzata per lanciare anche a Bergamo la campagna di raccolta firme per la proposta di legge popolare per un fisco più equo.

«Mentre si fanno annunci, la situazione sul versante fiscale è ulteriormente peggiorata. Aumenti delle tariffe, aumento delle imposizioni fiscali locali come elemento compensativo della riduzione dei trasferimenti pubblici che ha assunto in questi ultimi anni una dimensione preoccupante, tassazione della prima casa. Interventi odiosi da contrastare con forza, perché colpiscono indistintamente redditi bassi e alti allo stesso modo, facendo venire meno il principio sacrosanto della progressività – evidenzia -. In questi ultimi anni il potere d’acquisto degli stipendi e pensioni è diminuito. In Lombardia e in provincia di Bergamo è aumentata la pressione fiscale di quasi il 3% per i dipendenti e oltre il 3% per i redditi da pensione. Il reddito medio da lavoro dipendente segna anche nel 2013 sul 2012 nella nostra provincia uno spostamento significativo nella fascia più bassa, sotto i 15.000 euro, mentre diminuisce sensibilmente la fascia di reddito dai 15.000 ai 30.000. Questo è l’ulteriore elemento che conferma uno spostamento verso un’area di povertà solo in questi due anni di oltre 1250 persone, centinaia di famiglie. Di questo elemento fondamentale non c’è traccia nella discussioni e nelle determinazioni che la politica a livello centrale e amministrativa sta facendo. Se vogliamo davvero rappresentare i più deboli non possiamo che assumere questo come elemento centrale della nostra azione contrattuale».

Le tasse salgono in media, nel campione Cisl, di 140€ tra i dipendenti e di 139 tra i pensionati. Gli inoccupati (cioè chi nel corso dell’anno fiscale ha perso il lavoro) hanno pagato mediamente 1.133 €. La media del reddito imponibile, per il 2013 è stata di 25.323, ma tra le donne l’importo medio scende a 20.820 (16.000 se pensionata), mentre i compagni uomini percepiscono 29.587 € (26.471 se “a riposo”).

L’area del capoluogo si conferma ancora la più ricca: in città la media del reddito sfiora i 30.000 euro, in provincia supera di poco i 25.000. «È il segno – secondo Ferdinando Piccinini – che, in questa provincia la parità uomo-donna anziché avanzare si allontana costantemente».

Negli anni presi in considerazione dalla ricerca Cisl (lo studio è partito nel 2008), il reddito medio per i dipendenti è aumentato del 2,59%, a fronte di un’inflazione del 11,70%. Si registra una perdita del potere d’acquisto del 9,11%. Nelle diverse classi d’età le uniche che superano l’inflazione sono quella dai 65 ai 69 anni e quella superiore agli 80 anni.

Per i pensionati l’aumento è del 7,98% e, conseguentemente, la perdita del potere d’acquisto è del 3,72%. Questo dato, nonostante il blocco della rivalutazione delle pensioni è possibile per il naturale sostituirsi delle pensioni basse, tipiche del primo dopoguerra, con pensioni più alte, caratteristiche delle classi d’età che sono andate in pensione più tardi, con una maggior regolarità dei versamenti contributivi.

«La crisi che abbiamo attraversato in questi anni, e che migliaia di persone stanno attraversando ancora, ha ulteriormente ampliato in misura inaccettabile disuguaglianze sociali, ha reso i poveri ancora più poveri e i ricchi ancora più ricchi. Il cambiamento di questi anni ha messo in sofferenza tante famiglie alla prese con una prospettiva di futuro sempre più incerta».

Ma la Cisl, hanno sottolineato gli intervenuti all’assemblea, tra i quali Osvaldo Domaneschi segretario generale Cisl Lombardia e Giovanna Ventura segretaria organizzativa Cisl nazionale, non può limitarsi alla protesta. «Oggi siamo qui a lanciare con forza una proposta seria, articolata, che parte dalla riforma fiscale come elemento determinante e che ci fa assumere l’iniziativa di creare adesioni e consenso sociale per costringere la politica ad affrontare questo tema. Una riforma complessiva per un fisco più equo e più giusto, articolata in cinque punti fondamentali: meno fisco ai lavoratori e pensionati, una nuova regolamentazione per garantire gli stessi servizi ai cittadini senza aumentare la fiscalità locale; un nuovo assegno per il nucleo familiare; scelte chiare sulla lotta all’evasione fiscale attraverso tracciabilità e contrasto d’interesse e una grande operazione di redistribuzione della ricchezza tassando le grandi ricchezze finanziare e immobiliari al di sopra dei 500.000 euro».

Su queste proposte, la Cisl di Bergamo avvierà una serie di iniziative, a partire dalla presenza nei mercati di sabato 16 maggio a Grumello del Monte, Lovere, Treviglio e Zogno. Sabato 23 maggio, invece, sarà possibile conoscere i contenuti della proposta Cisl e firmare la propria adesione a Bergamo, in piazza Matteotti, e a Gazzaniga, in piazza Mercato.


Centri commerciali in crisi. Citerio (Fisascat): «Il 2015 sarà l’anno delle ristrutturazioni»

«Il commercio e i consumi stanno attraversando crisi profonde e cambiamenti, ma in questa fase la sensazione è che le piccole insegne riescano a reggere il colpo meglio delle grandi. Sin dalla fine del 2014 sostenevamo che la ripresa non sarebbe iniziata nel 2015. La crisi dura dal 2008 e si è ulteriormente accentuata dal 2012 al 2014. Le grandi catene hanno retto in questi anni, ma ora i conti iniziano a pesare per la grande distribuzione e quest’anno si annuncia come l’anno delle ristrutturazioni e dei riassestamenti delle catene» commenta Alberto Citerio, segretario provinciale della Fisascat Cisl.

Si rivedono le strategie di marketing: «La concorrenza a suon di volantini e promozione dei “sottocosto” ha risicato i margini e creato ben più di un problema nei conti economici – continua -. Ora assistiamo ad una riduzione delle promozioni, con ribassi che interessano più che altro i prodotti a marchio, oltre ad una riduzione delle referenze tra gli scaffali».

A cambiare sono anche le abitudini dei consumatori: «I dati sui consumi più recenti evidenziano un aumento del numero degli scontrini battuti, ma i carrelli sono sempre più ridotti. Si sta inoltre riscoprendo la sobrietà, un concetto che stride con i numeri e la filosofia della gdo. Al supermercato ci si va sempre più spesso, ma si compra sempre meno e la situazione dei piccoli negozi sembra migliorare a discapito di quelli grandi». Non a caso grandi catene come Carrefour stanno aprendo market di dimensioni ridotte, come quello in centro in Largo Rezzara e l’ex Billa (già ex Standa) in via Tiraboschi, oltre ai punti vendita Essere & Benessere, l’anima bio della catena francese, come il negozio che in via Carducci occupa i locali dell’ex Blockbuster.

I dati più recenti dei primi tre mesi di quest’anno evidenziano una timida ripresa del comparto commerciale bergamasco rispetto allo stesso periodo del 2014: «È il secondo segno positivo che incontriamo dal 2008 ad oggi, dopo il +1,1% del quarto trimestre 2013. Il comparto alimentare arranca ancora (-0,8%) ma a soffrire è la media e grande distribuzione».

presidio sindacati fisascat auchemn bergamoIl caso di Auchan, il primo centro commerciale ad aver aperto a Bergamo nel 1976,  in piena trattativa è emblematico: «La multinazionale deve ridurre di 50 milioni di euro il costo della forza lavoro. Si parla di 1.462 posti in tutta Italia, di cui 29 a Bergamo ed altri 6 nel magazzino di Calcinate. Sabato c’è stato lo sciopero dei lavoratori ed il 12 maggio è la data del primo incontro a Roma». Negli ultimi mesi la geografia della grande distribuzione del territorio è sempre più incerta, tra chiusure, cessioni, cambi di insegne e ridimensionamenti: «Billa ha ceduto alcuni negozi al gruppo Carrefour, come l’ex Standa in via Tiraboschi, ma ha deciso di chiudere Cisano Bergamasco, dove erano impiegati una ventina di lavoratori, in mobilità dai primi di marzo – fa il punto Citerio -. È previsto un incontro per la questione Mercatone Uno al Ministero dello Sviluppo Economico, dal quale dipende il futuro di 4mila lavoratori in Italia, di cui 40 a Verdello. Siamo all’inizio degli incontri per Mediamarket, il gruppo di Curno che opera con i marchi Mediaworld e Saturn, che prevede 900 esuberi in Italia e la chiusura di sette punti vendita sul territorio nazionale, nessuno in Bergamasca. Le trattative sono in corso: l’azienda ha dato la sua disponibilità a vagliare diverse ipotesi ed il clima è positivo e costruttivo».

Il 2015 si è aperto con il passaggio di Zerbimark al Gruppo Sigma: «Un’attività storica anche per il nostro territorio, che nel passaggio al Gruppo Sigma ha portato alla chiusura di alcuni negozi, tra cui quello di Sarnico che impiegava 15 lavoratori». Il 2014, nonostante l’arrivo della Brebemi, ha visto sgretolarsi lo shopping center di Cortenuova Le Acciaierie: 175 negozi su due piani per 44mila metri quadrati, nato per rappresentare la meta dello shopping della Bassa, ma chiamato ad affrontare negli ultimi anni la concorrenza del centro commerciale di Antegnate: «A novembre è scomparsa la galleria commerciale, dopo che il supermercato Bennet aveva chiuso ad ottobre, con 78 dipendenti diretti dell’ipermercato». La corsa alle aperture di nuovi centri commerciali a suon di investimenti ha alterato il mercato: «L’investimento nel 2011 del Gruppo Lombardini nel Centro Commerciale di Mapello, con una notevole esposizione finanziaria, ha messo in crisi di liquidità lo storico gruppo bergamasco della grande distribuzione, con quartiere generale a Dalmine, che negli anni Settanta deteneva la leadership nazionale della gdo – prosegue il segretario Fisascat-Cisl -. Il riassetto societario- la cessione a Lillo Spa di Caserta delle insegne Ld, ora Md discount; il passaggio di mano degli ipermercati di Treviglio e Mapello alla Coop e gli altri cambi di insegne Comprabene, Conad e GrosMarket – ha portato a farne le spese più di duecento lavoratori, tra cassa integrazione straordinaria e procedure di mobilità. È stato il collasso di un vero e proprio impero, ma anche il segnale di un modello distributivo che ha fatto il suo tempo. Eccezion fatta per i discount, le aziende della gdo di medie dimensioni non reggono il confronto dimensionale con le multinazionali degli ipermercati».

Da ricordare anche il ridimensionamento dell’Iper a Oriocenter, il centro commerciale per antonomasia della provincia: «Nella primavera del 2014 l’ipermercato ha deciso di rinunciare ad un intero piano, dimezzando gli spazi commerciali, passando da una superficie di 13.400 metri quadrati ad una di 7.200 metri quadrati». Sulla situazione di crisi generale che la grande distribuzione sta attraversando nel nostro territorio pesa anche – oltre alla rivoluzione in atto nei consumi – l’ondata di liberalizzazioni introdotte dal Governo Monti: «Il provvedimento del 2012, arrivato in piena crisi, ha distorto il meccanismo delle vendite, esacerbando la concorrenza tra centri e la rincorsa alle aperture domenicali, troppo spesso in perdita».

Una crisi annunciata

Da tempo la Cisl aveva sottolineato come l’occupazione iniziasse a dare segni di cedimento, rilevando una crescita di 150mila metri quadri dal 2003 al 2013 destinati alla grande distribuzione, fino ad arrivare a quota 500mila metri quadri nel 2013. «Nonostante i segni di un lento declino di questo modello di commercio siano già stati lanciati è ancora viva la tendenza a costruire mega strutture per il commercio – commentava in un comunicato alla fine del 2014 Alberto Citerio -. Ora serve una regia territoriale condivisa che sappia gestire l’esistente e lo sviluppo per evitare cattedrali nel deserto e l’uso inappropriato del territorio, mentre avvii una gestione oculata delle potenzialità occupazionali».  In dieci anni (secondo i dati di UnionCamere Lombardia elaborati dalla Fisascat-Cisl di Bergamo) la superficie di territorio destinata alla grande distribuzione è passata dai 292.225 metri quadri del 2003 agli oltre 446mila quadri del 2013. Nel frattempo, la popolazione degli addetti è passata dai 20.500 del dicembre 2011 ai 20.108 del dicembre 2013. Due cifre per definire l’impatto della “grande crisi” sul pianeta del commercio in provincia di Bergamo. Il settore che era naturalmente il salvagente occupazionale degli altri comparti (soprattutto manifatturieri)  segna il passo ma, soprattutto, delinea scenari per il futuro particolarmente inquietanti. Se infatti il continuo crescere degli spazi destinati ai grandi centri commerciali, ma anche alle strutture di medie dimensioni ( dai 470 mila ai 615 mila metri quadri), segue una pianificazione partita almeno 10 anni fa, quando cioè la crisi non era certo all’orizzonte, oggi si inizia a pagare lo scotto di una disponibilità economica molto inferiore e di una propensione alla spesa non prevista nei “business plan” dell’epoca.


Garanzia giovani, a un anno dal via incassa una sonora bocciatura

Il primo maggio non è stato solo la festa del lavoro ma anche il primo anniversario dell’avvio del piano Garanzia giovani nel nostro Paese. Il piano, annunciato con grande entusiasmo, aveva l’obiettivo, grazie anche ai 1,5 miliardi stanziati, di aiutare i giovani italiani senza lavoro ad accrescere la propria occupabilità grazie ad esperienze lavorative vere e proprie oppure grazie a tirocini o anche corsi di formazione.

Durante l’anno gli osservatori hanno più volte denunciato rallentamenti e criticità nell’attuazione di Garanzia giovani, ma pochi o nulli sono stati gli interventi correttivi. Ci troviamo quindi, a 12 mesi dall’avvio, con oltre 500mila giovani iscritti, ma soltanto 280mila che sono stati effettivamente contattati e poco più di 80mila quelli che hanno ricevuto una proposta concreta.

La situazione si aggrava se si dà una occhiata alle offerte pubblicate dal portale online del piano. Un’analisi degli annunci (69.792) induce a ritenere che nessun filtro sia stato utilizzato per discernere le opportunità offerte ai ragazzi, con la conseguenza che delle 80.000 “offerte” riconosciute ai ragazzi, molte potrebbero non avere i requisiti della “Garanzia”. Nella maggior parte dei casi si tratta infatti di annunci, che oltre a non essere specificamente collegati a Garanzia Giovani (lo si deduce dal fatto che si tratta nella maggior parte dei casi di annunci pubblicati da operatori privati del mercato del lavoro reperibili in molti altri contesti e che riguardano per lo più posizioni che richiedono “esperienza nel settore” o anche “comprovata esperienza” relativa alle mansioni che non costituiscono oggetto) evidentemente poco sono rispondenti alla dimensione qualitativa dell’esperienza, numerosi sono gli stage che nascondono anche grossolanamente abusivi rapporti di lavoro a tempo pieno e subordinato e gli apprendistati palesemente privi di ogni contenuto formativo.

Cosa ne pensano i giovani?

Negli ultimi 12 mesi gli osservatori del piano Garanzia giovani avevano un appuntamento fisso: il report settimanale diffuso ogni venerdì dal ministero del Lavoro. In questo documento vengono indicati i progressi quantitativi del piano, come i numeri degli iscritti, dei presi in carico e di coloro che hanno ricevuto una proposta concreta. Poco emerge della dimensione qualitativa dell’iniziativa, ossia il giudizio che i giovani stessi danno sulle diverse fasi di attuazione del piano. Per questa ragione Adapt e Repubblica degli stagisti hanno avviato a partire da ottobre un monitoraggio informale su Garanzia giovani che in pochi mesi ha raggiunto oltre 3.000 adesioni.

I primi dati che emergono sono interessanti e non molto soddisfacenti. Si evince infatti in primo luogo che la categoria di “giovane” in Italia è molto diversa da quella Europea, infatti il 64,5% dei partecipanti al sondaggio ha tra i 25 e i 29 anni, una fascia d’età che non era inizialmente neanche coperta dal piano europeo. Il secondo dato che colpisce è il fatto che il 72% dei giovani interpellati sostiene di cercare attivamente lavoro, con la conseguenza che il piano non sembra sempre intercettare i cosiddetti Neet per il quale è stato pensato.

Fin qui la mossa dei giovani, più desolante lo scenario delle risposte da parte del piano europeo. Soltanto il 48% dei giovani contattati ha effettuato il primo colloquio e più della metà è ancora in attesa. Di coloro che l’hanno sostenuto il 39% dichiara che durante il colloquio non è stata avanzata alcuna proposta concreta e il 44% parla di generiche ipotesi future di lavoro e stage. E cosa accade dopo il primo colloquio? Solo il 24% dei giovani sostiene di aver effettuato un secondo momento più operativo dopo il primo conoscitivo.

Alla richiesta di dare un voto complessivo da 1 a 10 al piano Garanzia giovani i 3.000 partecipanti al sondaggio hanno dato in media il voto di 3,7. Una sonora bocciatura.

Francesco Seghezzi (ricercatore Adapt)


La “guerra” degli orologi. “Le multinazionali penalizzano i riparatori”

orologiTutelare riparatori e acquirenti di orologi dalle multinazionali dei produttori, che non rilasciano ai laboratori artigianali i ricambi necessari per le riparazioni. È l’obiettivo di una risoluzione, approvata all’unanimità dal Consiglio regionale della Lombardia. “Dal 2010 le multinazionali del settore dell’orologeria, soprattutto svizzere, hanno avviato una selezione dei destinatari dei pezzi di ricambio che mette a rischio l’immenso patrimonio di esperienza di migliaia di qualificati ed esperti artigiani – denuncia il consigliere Marco Tizzoni -. Già due anni prima la Ue respinse un ricorso contro questa politica, sostenendo che si tratta di un settore di piccole dimensioni, caratterizzato da una vivace concorrenza; decisione ribadita dalla Commissione europea nel 2013. In questo modo, i colossi internazionali sono stati messi sullo stesso piano dei piccoli laboratori artigianali. Il punto di vista della Commissione europea è solo quello dei produttori e danneggia anche gli interessi dei consumatori, con servizi di riparazione limitati e privi della necessaria concorrenza”. Come rileva Tizzoni, negli ultimi anni le attività connesse al settore dell’orologeria si sono ridotte drasticamente. Per dare un’idea degli interessi in gioco, basti dire che in Italia si contano 5.000 laboratori di orologeria, 500 dei quali in Lombardia, ai quali si aggiungono 24.000 negozi in tutto il Paese. Ad oggi, i pezzi venduti ogni anno in Italia sono 6.600.000, che alimentano un mercato dei ricambi stimato tra i 150 e i 200 milioni di euro/anno. La risoluzione approvata dal Consiglio regionale impegna presidente e Giunta regionali a sollecitare il governo ad intervenire presso la Commissione europea affinché tenga conto delle istanze della categoria degli orologiai riparatori e a trasmettere la stessa risoluzione ai parlamentari lombardi eletti in Europa.