Coworking, anche a Bergamo cresce la voglia di lavorare insieme

La crisi occupazionale ha probabilmente accelerato un processo la cui direzione è comunque chiara. Lo sviluppo rapido e l’altrettanto rapida obsolescenza di prodotti e servizi “mette a rischio” pressoché ogni lavoratore e professionista, chiamato perciò a rimettete in discussione continuamente la propria attività. Non è un caso, allora, che stiano nascendo nuove forme di collaborazione capaci non solo di creare opportunità di lavoro, ma soprattutto di rispondere al bisogno di fare innovazione e stare sul mercato. Una di queste è il coworking, la condivisione di spazi tra professionisti, artigiani, partite Iva, che diventa contemporaneamente contaminazione di idee e progetti. A Seriate ha cominciato a pensare a questa modalità un gruppo di lavoro formato da Acli, Anpi, Cgil, Cisl, Pd, Rifondazione comunista e la nuova associazione Statale 42, promotori di un ciclo di tre incontri per comprendere meglio il tema e di un sondaggio per raccogliere l’interesse e le esigenze del territorio sul quale costruire un proprio piano locale di coworking.
Gli incontri hanno permesso di conoscere alcune esperienze già avviate o in fase più avanzata di realizzazione, facendo scoprire un certo fermento anche in Bergamasca. A cominciare dal protocollo d’intesa P@asswork, siglato da Acli, Cgil, Patronato San Vincenzo, cooperativa Aeper e Imprese & Territorio, che hanno deciso di costruire azioni integrate sui temi del lavoro, in particolare progetti innovativi di coworking solidale e incubatori. L’accento solidale è legato ai valori e alla vocazione delle realtà coinvolte, prevede perciò «la costruzione di uno schema del lavoro equo e inclusivo, attento alla tutela dei diritti delle parti più deboli».
«Con questo tipo di collaborazione – afferma Corrado Maffioletti per l’Acli – si condivide la necessità di confrontarsi con amministrazioni comunali, enti locali, università per favorire l’incrocio tra i bisogni del territorio e le progettualità e quella di fare rete, in modo che ogni esperienza possa entrare in sistema con le altre».
Nel Toolbox di via Pignolo, lo spazio che la Cgil di Bergamo dedica alle politiche giovanili e che è diventato un punto di incontro e progettazione comune per alcune associazioni giovanili, è stato ad esempio messa a punto un’idea particolare di coworking, «nel quale è possibile mettere a disposizione delle persone interessate a lavorare insieme degli spazi pubblici – spiega Marco Toscano – e che queste possano ricambiare fornendo servizi alla collettività, come potrebbe essere, restando nel campo delle professioni giovani e innovative, lo sviluppo di una app per un Comune o altri servizi per la popolazione».

Simona Faccioni e Roberta Testa
Simona Faccioni e Roberta Testa

Credono nella condivisione di spazi e competenze anche i ragazzi di Fablab Bergamo, associazione che gestisce un laboratorio dedicato alla stampa 3D, ospitato da un anno all’interno del Patronato San Vincenzo con il progetto “Fablab Bergamo in Patronato Hub”. «I Fablab sono presenti in tutto il mondo – ricorda Simona Faccioni, studentessa di Ingegneria e socia attiva del Fablab bergamasco – e vogliono offrire l’opportunità agli studenti, ma non solo, di fare pratica dopo aver appreso la teoria. In questo spazio sono infatti a disposizione di tutti macchinari e programmi che realizzano la nuova figura del maker, l’artigiano digitale. Teniamo inoltre corsi che insegnano a disegnare e stampare in 3D». Ma nel Fablab si condividono anche le conoscenze ed i risultati. «Il mondo della stampa 3D è open source – ricorda -, non ci sono perciò “gelosie” nel mettere a parte gli altri dei propri risultati, anzi, la regola è esattamente il contrario, la convinzione è che più ci si confronta più si cresce tutti e più in fretta». Non a caso da Fablab Bergamo sono già nati tre spin off, uno dedicato all’ecodesign, uno alla stampa 3D e uno ai droni.
Seriate invece ha scelto di partire dal basso. «Oggi è chiaro che il problema del lavoro non può avere risposte univoche, ma va affrontato in modo multiforme – evidenzia Renato Sarli, presidente dell’associazione Statale 42 –. Il coworking non è una soluzione ai problemi dell’occupazione ma è un modo diverso di pensare al lavoro. Noi abbiamo scelto di partire dal dubbio, di sondare quindi l’orientamento delle persone su questo tema e, al tempo stesso, l’interesse della aziende ad avvalersi di lavoro dall’esterno. Ne è nato un questionario, compilabile anche on line, e nell’ultimo dei tre incontri che abbiamo organizzato (in programma giovedì 26 febbraio alla biblioteca di Seriate alle 20.45 ndr.) ci confronteremo sui risultati con amministratori, imprenditori, politica e sindacati per vedere se si può realizzare uno spazio che possa diventare un motore per chi sta cercando lavoro, e non sono soltanto i giovani».


La lettera del commerciante: “Io sempre più in trincea”

Spettabile redazione, sono un piccolo commerciante della provincia di Bergamo che a fatica, come tantissimi altri, cerca di sopravvivere a questa crisi economica, alla mal gestione del commercio ed agli impegni economici che lo Stato ci impone. Arrabbiato con i vari rappresentanti dei politici che continuamente sbraitano in TV e sui giornali il problema del piccolo commercio, senza però nulla risolvere.

Nei paesi le serrande continuano ad abbassarsi ma nessuno si impegna seriamente a risolvere il problema, solo parole e parole.

Ho una cartoleria che da solo mi devo e cerco di gestire nel miglior modo possibile, ho 62 anni, e se con me ci fosse uno dei tanti ragazzi disoccupati di cui tanto si parla, la gestirei anche meglio, ma non posso permettermi tale lusso.

Sono una di quelle piccole attività che facendo anche un servizio alla comunità come fotocopie, fax, mail, stampe, cose che ancora i supermercati non fanno, oltre al materiale scolastico, riesce a stento a sopravvivere.

Il problema secondo il mio modesto parere non si risolve con l’aiuto della Regione Lombardia che tramite i Comuni stanzia ogni 4 anni dei fondi per il piccolo commercio e nemmeno con la nascita dei vari distretti che a nulla portano se non ad illudere il piccolo commerciante di risolvere il problema.

Il problema è molto più profondo, e sta semplicemente nella serietà sulla gestione del commercio, senza più regole, partendo dai grossisti che fanno ciò che vogliono e chi è del settore sa bene a cosa mi riferisco.

Alla vendita online, e poi si parla di kilometro zero, di inquinamento atmosferico ed acustico, con miglia di furgoncini che scorazzano per consegnare un piccolo pacchetto, ma la soddisfazione di uscire di casa, girando per le vie guardando le vetrine ( ormai rare ) non c’è più, non si ha più tempo per queste cose, meglio restare a casa davanti al computer (altro grande problema soprattutto giovanile ) ad ordinare e chattare.

Si esce solo il sabato con tutta la famiglia per la spesa settimanale, destinazione il centro commerciale, che più grande è meglio è cosi magari ci porto anche i figli la domenica.

Ma ci rendiamo conto che per comprare una lampadina ormai dobbiamo prendere la macchina?

E’ anche vero che un po’ di colpa è anche del piccolo commerciante che manca di professionalità, il negozio ereditato dal papà continua cosi senza nessun rinnovamento e senza una specializzazione oggi indispensabile, continua a rimanere un piccolo bazar, forse è qui che il commerciante va stuzzicato, forse è qui che dovrebbe intervenire l’esperto del commercio e non in iniziative mal pubblicizzate e copiate dai supermercati.

Si potrebbe continuare ma non finiremmo più, spero solo che questo mio piccolo sfogo, questa lamentela di un piccolo commerciante che sicuramente non è solo mia ma anche di molti altri, possa riuscire a mettere delle regole serie al commercio.

Ringrazio per l’attenzione e porgo distinti saluti.
A.A


Disoccupazione mai così alta, record a novembre

A novembre in Italia il tasso di disoccupazione ha toccato quota 13,4%, in aumento di 0,2 punti percentuali rispetto a ottobre. E si tratta, ha comunicato l’Istat, di un record storico, il valore più alto sia dall’inizio delle serie mensili (partite nel gennaio 2004) sia di quelle trimestrali, che vengono pubblicate dal 1977. Non solo: per i 15-24enni a novembre il tasso è balzato al 43,9%, in rialzo di 0,6 punti percentuali su ottobre e di 2,4 rispetto a un anno fa, anche se il valore è un po’ più basso del picco toccato in agosto quando risultava pari al 44,2 per cento. In tutto però, per effetto di un incremento del tasso di partecipazione, i giovani senza lavoro risultano essere 729mila, contro i 710mila dell’estate. I disoccupati a novembre hanno toccato la cifra di 3 milioni 457 mila, con una crescita di 40mila unità rispetto a ottobre (+1,2%) e di 264 mila su base annua (+8,3%). Si contano 48mila occup ati in meno in un solo mese.  Il loro numero cala anche su base annua, sempre dello 0,2% (-42mila).

 


Capo o leader? Come perdersi tra mille teorie

Sono trascorsi quasi sette anni da quando ho cominciato a scrivere regolarmente di tematiche legate alle Risorse Umane e il tema del leader, con le sue infinite sfaccettature, è stato uno dei primi affrontati in questo spazio. A distanza di anni, mi stupisce molto vedere che l’argomento continua ad essere oggetto di grande interesse e discussioni e che non abbia smesso di scaldare gli animi umani. La prova inconfutabile di ciò che dico è l’inarrestabile proliferazione sul web di articoli, blog e vademecum sulla leadership e sulle differenze tra l’essere “capo” e “leader” sul luogo di lavoro. Sono ormai evidenti a tutti le differenze tra i due ruoli in questione e in maniera molto stringata vale la pena ricordare quelle che ne caratterizzano i tasselli fondamentali, anche se lo scotto da pagare è che assomiglino ad una sorta di litania già sentita: un capo pensa di conoscere tutto, un leader ha sempre voglia di imparare; un capo prima parla e poi ascolta, un leader prima ascolta e poi parla; un capo critica, un leader incoraggia; un capo individua le debolezze dei suoi dipendenti, un leader ne scopre le qualità; un capo dice “io”, un leader dice “noi” e ancora, un capo pretende risultati, un leader richiede impegno ai propri collaboratori. Per quanto mi riguarda, ho letto più volte queste liste di buone prassi, consultando anche innumerevoli siti web con la speranza di trovare un po’ di illuminazione, ma quello che ho scoperto non mi ha offerto un contributo aggiuntivo, anzi ha confermato sempre di più quello che penso in materia di leadership: il modo migliore di essere un leader è quello di dare l’esempio, anzi il buon esempio.

Tutto il resto, almeno per me, rischia di essere solo un calderone di belle parole e teorie interessanti, difficili da calare nella propria realtà. Tutti, almeno una volta nella vita, hanno incontrato un capo, un leader, un responsabile, qualcuno alla guida di altre persone che ha detto agli altri di fare o non fare una certa cosa e poi, lui stesso si è comportato in modo diametralmente opposto, dando il cattivo esempio. Non c’è davvero nulla di peggio per il morale di un gruppo che essere guidati da individui che praticano la filosofia del “fai quello che dico io, non quello che faccio io“; e quando questo accade, vi è inevitabilmente una perdita di entusiasmo e di motivazione dei membri della squadra. Così, che piaccia o meno, uno dei modi più efficaci per costruire la credibilità con la propria squadra, è quello di dare l’esempio. Come? Considerato che la letteratura si prodiga in interminabili consigli e suggerimenti e considerato che non voglio far torto a nessuno, vi dico cosa ha insegnato a me l’esperienza personale. Innanzitutto, per essere un leader bisogna conoscere non solo il proprio lavoro, ma anche il lavoro dei propri collaboratori; ciò significa che non è necessario essere dei tuttologi o dei tecnici, ma avere voglia di studiare, di chiedere e di confrontarsi anche su terreni che interessano poco o sui quali non si è ferrati. Questo è un ottimo modo per costruire la fiducia e continuare a sviluppare le proprie conoscenze e competenze.

Bisogna poi rispettare e far rispettare agli altri quella che io chiamo la “catena di comando”; uno dei modi più rapidi, per causare un deterioramento strutturale, favorire la confusione e l’offesa personale, è quello di sostituirsi ai propri interlocutori diretti. I membri della squadra devono rispettare la leadership a tutti i livelli, per evitare sovrapposizione di ruolo e confusione a cominciare dallo stesso leader che non può scavalcare nessuno. Anche perché se non lo fa lui, perché dovrebbero farlo gli altri? Al tempo stesso è necessario fermarsi e ascoltare gli altri: un leader vero, anche se è costantemente impegnato a fornire direttive e trovare strategie, non deve mai dimenticare di fermarsi per ascoltare ed ottenere un feedback da chi lavora con lui; e questo fa davvero la differenza. Infine un leader deve saper mettere in campo una corretta supervisione del lavoro, senza cadere nel controllo eccessivo; deve comunicare la “mission”, la visione d’insieme, i valori e gli obiettivi e poi fare un passo indietro e lasciare che la sua squadra si attivi. Essere telecomandati e non poter essere utili in nessun modo, fa del lavoratore un individuo frustrato che non si sentirà mai rispettato fino in fondo. Spesso chi è alla guida di un gruppo di persone non ha capito che le persone non vogliono essere gestite, ma essere guidate; e se proprio ha il desiderio di gestire qualcuno, cominci a gestire se stesso, che è il primo fondamentale step per passare da capo a leader riconosciuto.


“Vi racconto com’era la Città Alta delle botteghe”

«Dopo la guerra Città alta era più brutta, più povera di oggi ma c’era il lavoro e pian piano chi ha potuto ha cominciato a sistemare le case». Così racconta i suoi esordi Ezio Lorenzi, 85 anni compiuti a maggio, che domenica scorsa ha ricevuto, insieme ad altre 13 aziende, il “Riconoscimento del lavoro e del progresso economico” della Camera di Commercio per i 58 anni del suo negozio, avviato da elettricista con rivendita di materiale elettrico, con l’aggiunta poi di ferramenta e casalinghi, seguendo l’evoluzione del mercato. È uno dei pochi esercizi di vicinato rimasti nella città vecchia. L’ha aperto nel 1956 nell’attuale sede di via Salvecchio, affiancato dal fratello Severino, morto nell’88. Negli anni ha cambiando diverse sedi, sempre nel centro storico, fino a riapprodare nell’86 nel locale d’origine, che nel frattempo aveva ospitato anche la libreria universitaria.

«Quello che caratterizzava Città alta era la presenza degli artigiani – racconta -, c’era il falegname, il tappezziere, il lattoniere, il materassaio, il fabbro, che non erano solo artigiani, ma quasi degli artisti. Perché a quei tempi si usciva dalla miseria e c’era più inventiva, si cercavano soluzioni. Eravamo giovani, c’era più vivacità, più socialità. Quest’ultimo aspetto, per la verità, non è andato perso. Tra gli abitanti di Città alta continua ad esserci un rapporto speciale, ci si conosce, si domanda come si sta, ci si dà una mano se serve. In fondo è ancora un paesotto, non come “giù” dove non si sa nemmeno chi abita nel proprio palazzo». Il “giù” sta per Bergamo bassa. «Per noi la Città è questa, sotto ci sono i borghi».
«Poi hanno costruito quartieri come Celadina e Monterosso – prosegue – e se ne sono andati in tanti perché erano case nuove ed era più comodo vivere lì. Saremmo stati 10-15mila, oggi forse arriviamo a tremila (2.500, il minimo storico ndr.) ». La nascita dei supermercati ha fatto il resto e decretato il tramonto delle attività di vicinato. «C’erano 3 o 4 salumerie, ne è rimata una; 2 o 3 macellerie, ce n’è una; 3 o 4 fruttivendoli, ora sono 2; le latterie erano due, oggi una. Hanno resistito i panifici, che però hanno cambiato impostazione e fanno pizza e prodotti da mangiare al momento, anche il mercato del venerdì si è ridotto a poche bancarelle, mentre quando lo istituimmo con la Circoscrizione, di cui facevo parte, c’era anche il banco del pesce. Quello che servirebbe davvero è una drogheria con tutti i prodotti per fare la spesa, ma i numeri sono troppo bassi, non credo che resiterebbe. C’è invece abbondanza di negozi di vestiti e accessori, anche se non è tutto rose e fiori nemmeno in questi settori. Chi viene in Città alta la domenica e la vede piena di gente pensa che gli affari sono assicurati, in settimana però è tutta un’altra storia, dopo le 17 le persone che girano si possono contare. Tanti hanno aperto per poi chiudere dopo poco».
Nonostante tutto, Lorenzi vede positivo. «Secondo me, vivere in Città alta è meglio che in altri quartieri, perché c’è questo forte senso della comunità e tutto sommato si sta tranquilli. Del resto sappiamo di abitare in un luogo storico e turistico ed i disagi legati a questo vanno un po’ messi in conto. Io il futuro non lo vedo brutto, ci sono tante potenzialità da sviluppare». Ezio Lorenzi

Si sentono solo i propri passi sulla Corsarola e si ha l’impressione di disturbare il sonno di un gigantesco organismo finalmente quieto. E pure generoso, qualche metro più in là, nel mettere a completa disposizione il suo più bel gioiello: una piazza Vecchia sgombra da ogni traccia della frenesia del giorno, che pare messa lì solo per accogliere. Sono le sei del mattino. Per farci raccontare da Ezio Lorenzi la sua vita da residente-commerciante di Città Alta abbiamo scelto di accompagnarlo nella passeggiata che apre ogni sua giornata. A guardarlo mentre esce dalla porta di casa su via Gombito pare proprio che la corroborante sgambata mattutina sulle mura faccia bene. Sul volto e sull’incedere deciso non si notano proprio gli 85 anni scoccati il 15 maggio e nemmeno lui – ci riflette – si considera vecchio.
Sceglie la versione corta del percorso. Si scende da via San Giacomo («questa è la via dei “titolati”, con i palazzi Colleoni, Moroni, Perini, mentre l’altra, via Porta Dipinta, è quella dei “signori”») e raggiunte le mura individua tutti i punti di riferimento («il treno delle sei e cinque è già passato, sennò era bello da vedere»). «La passeggiata è un’abitudine che ho da una ventina d’anni – spiega -, mi piace perché mi dà l’opportunità di mettere in ordine i pensieri e poi è l’occasione per respirare un po’ di aria pulita, altrimenti c’è troppo smog. Così mi godo davvero la città dove sono nato e cresciuto, ma a quanto pare anche altri hanno scoperto questo piacere, perché adesso incontro sempre più gente, soprattutto chi corre e si allena».
In Colle Aperto, sulle panchine fuori dal Caffè Cittadella, lo aspettano due “nottambuli” come lui, Angelo Piazzalunga, muratore di Petosino che è nato in Città Alta ed ha dei lavori lì attorno, e Ivan Benaglia, custode del Museo archeologico, che abita a Redona e preferisce alzarsi presto per evitare il traffico. Un tempo la compagnia era più numerosa, qualcuno ha cambiato giro, ma loro resistono. Ogni mattina, escluso il lunedì ed i festivi, in ogni stagione, anche al freddo o con l’ombrello scambiano qualche chiacchiera, prima di passare dall’edicola e tornare al bar in attesa dell’apertura, alle 7. Sono i primi clienti di ogni giorno, Angelo ha anche l’“incarico” di portare fuori le sedie da esterno. In perfetta successione arrivano tutti gli altri personaggi, Matteo Roncalli che consegna le brioche, le signore che vanno a servizio nelle case, Nelson, un incrocio di bulldog al quale Ivan porta sempre un biscotto per cani, e il suo padrone. Qualche commento sulla giornata e, per i due imprenditori, sulle tasse e le scadenze, poi ognuno va per la sua strada.
Lorenzi passa ancora per le mura e raggiunge il negozio in via Salvecchio dal vicolo di Santa Grata. Porta e vetrina sono chiuse da pannelli di ferro che vanno sfilati uno alla volta, l’insegna non c’è. All’interno, lo spazio è piccolo, gli scaffali, pieni, arrivano fino al soffitto e lui usa la scala tranquillamente. «Per capire cosa manca mi basta un colpo d’occhio – racconta -. Perché ogni articolo è sempre nello stesso posto, quindi se vedo qualche spazio vuoto so già di cosa dovrò rifornirmi», con buona pace di computer e programmi gestionali. «Possiamo definirlo un bazar – prosegue -, dove si trovano le piccole cose che servono in casa, dalle lampadine alla ferramenta, dagli utensili per la cucina ai prodotti per la pulizia, alle vernici. Scelgo l’assortimento in base a ciò che va di più. Spesso rappresento la risposte per chi ha bisogno di qualcosa in Città Alta, altre volte, lo confesso, mi chiedono prodotti che non so nemmeno cosa siano». Il lunedì è il giorno che dedica alle forniture e alle pratiche amministrative. Si muove in pullman («ma “giù” arrivo a piedi») a va da Rodeschini a Gorle per le prime, all’Ascom di Zogno per la contabilità («mi è più comodo salire presto in Valle che muovermi in centro»).
Inutile nascondere che di grandi incassi non ne fa. «Fino alle 10.30 non entra nessuno. Riesco ad andare avanti perché non ho dipendenti, non devo pagare l’affitto del negozio né quello di casa e mi basta ricavare quanto serve per pagare le tasse e le mie spese personali – dice –, altrimenti sarebbe un’attività da chiudere. Per il momento è un’idea che non ho ancora preso in considerazione, non fare niente mi sembra più faticoso che lavorare e finché la salute me lo permette resterò in negozio». La crisi, è vero, ha complicato le cose, ma nemmeno in passato era tutto rose e fiori. «Gli ostacoli in un’attività ci sono sempre – nota -, la cosa importante è che piaccia il mestiere che si fa, solo così si trovano soluzioni, altrimenti i problemi diventano insormontabili».
Anche il resto della sua giornata è scandito da riti precisi come quello mattutino. Attorno alle 17.30 lo si può trovare al Circolino per una “mini merenda” in compagnia («chi non mi trova in negozio mi viene a cercare lì»), mentre dopo la chiusura delle 19.30 il ritrovo è con Angelo Mangili della storica gastronomia e qualcun altro alla Pasticceria Cavour per un bicchiere di vino e qualcosa da stuzzicare (non lo chiama aperitivo). E poi a casa. Ecco la sua Città Alta.


Pmi e universitari, un’alleanza vincente

«Le idee non vanno soppresse, ma trasformate, perché dietro agli ostacoli potrebbero esserci grandi opportunità per futuri successi». È questo il motto che negli ultimi cinque anni ha spronato Camera di commercio, Bergamo Sviluppo e le organizzazioni di categoria a creare sinergie tra le aziende e i laureandi. Attraverso l’iniziativa “Sviluppo competitivo veloce nelle Pmi”, fra il 2008 e il 2013 sono state messe in relazione 106 imprese votate all’innovazione con altrettanti studenti pronti a portare freschezza, conoscenze e creatività nel mondo del lavoro attraverso tirocini di tre mesi. Il tutto coordinato dalla professionalità di 40 consulenti esperti. In un contesto economico sempre più globale, che richiede alle aziende di dotarsi di strumenti più efficaci per migliorare le loro prestazioni, la formula dello stage si è rivelata vincente. Da un lato gli imprenditori orobici hanno potuto concretizzare progetti di rinnovamento organizzativo o tecnologico; dall’altro i laureandi hanno cominciato a fare i conti con dinamiche aziendali che si discostano dalla teoria appresa sui libri. «Tra il 2008 e il 2009 hanno aderito all’iniziativa 50 imprese, 13 nel 2010, 10 nel 2011, 13 nel 2012 e 20 nel 2013 – ha illustrato il direttore di Bergamo sviluppo Cristiano Arrigoni –. Il progetto, finanziato interamente dalla Camera di commercio, è rientrato nelle buone pratiche insieme ad altri quattro a livello nazionale. Si tratta di un investimento durevole nel tempo dove il perfezionamento dell’innovazione introdotta nelle aziende prosegue anche dopo la conclusione del tirocinio, producendo benefici tecnologici, culturali e finanziari. Un elemento chiave è il binomio consulente-studente. Abbiamo quindi cercato universitari motivati e con un profilo adeguato per affrontare un’esperienza quotidiana in azienda, significativa per la loro crescita personale e professionale».
Quest’anno gli interventi di consulenza hanno riguardato soprattutto il settore del marketing strategico e della comunicazione. Circa il 50% dei progetti avanzati dalle aziende è stato infatti dedicato alla valorizzazione dell’immagine nel proprio mercato di riferimento e all’utilizzo del web come strumento di promozione e di vendita diretta alla clientela finale. Il 20% ha focalizzato la propria attenzione sulla creazione di metodologie più efficaci per la programmazione e il controllo della gestione (cost accounting, pianificazione finanziaria e gestione anticipata della tesoreria). Il 15% ha puntato su iniziative di ingresso in mercati esteri, mentre il 5% ha svolto interventi di sviluppo commerciale e di supporto alla vendita. «In quasi tutti i progetti è emersa una crescente sensibilità degli imprenditori verso la valorizzazione delle risorse umane – ha illustrato Sergio Panseri, consulente esperto coinvolto nell’ambito dei progetti –. Il ruolo dei tirocinanti, insieme ai consulenti, è stato fondamentale nel raggiungimento degli obiettivi, anche se la spinta dall’interno dell’imprenditore è stata quella determinante per il successo. Inoltre, il rallentamento delle attività dovuto alla crisi per alcune aziende ha forse ridato un ruolo maggiore alla strategia di medio-lungo termine».