Se dopo anni di calo dei consumi si intravedono segnali di ripresa non vuol dire che i problemi del commercio siano finiti. I negozi continuano ad avere difficoltà e sono soprattutto le attività di vicinato, i piccoli market per gli acquisti quotidiani, a farne le spese. Tanto che Mauro Rocchi, presidente dei Gastronomi e Salumieri dell’Ascom di Bergamo, pensa che siano «realtà dal destino segnato se non diventano altro per tornare così ad essere appetibili».
Come mai una visione così drastica?
«Sarà perché sto vivendo in prima persona la scelta di modificare l’attività per riuscire, se non altro, ad andare avanti. Ridurre la superficie, 400 metri quadri circa, del punto vendita nel centro di Bonate Sotto, dove la mia famiglia è presente da tre generazioni, e contenere di conseguenza costi e personale. Il mio era il supermercato del paese prima che arrivassero strutture grandi e comode, ora penso debba diventare altro o comunque cambiare per trovare una sua nuova dimensione, più adatta a questi tempi».
Cosa è cambiato?
«Credo che ormai siano cambiate completamente le abitudini, lo stile di vita, e non ci sia verso di tornare indietro. Oggi ad attirare la gente sono i centri commerciali: è lì che si va quando si ha del tempo libero, non si decide certo di fare un giro in paese. Basta vedere questi giorni di vacanza, con i figli a casa da scuola cosa si fa? Si va al centro commerciale, dove si parcheggia facilmente, si sta al caldo, è tutto bello e illuminato, si mangia, poi magari si fa anche la spesa e qualche acquisto, non sono più nemmeno questi, infatti, i principali motivi di richiamo».
Il negozio “di paese”, quindi, da chi è frequentato oggi?
«Offre un servizio di vicinato, ma con un bacino di utenza sempre più ridotto. Sono agli anziani i nostri frequentatori più assidui oppure chi ha bisogno di qualche prodotto, di grandi spese ne sono rimaste ben poche, lo scontrino medio scende sempre più. E non è una questione di prezzi perché quelli degli articoli sui nostri scaffali non sono molto diversi da quelli delle grandi insegne, ma non c’è comodità né interesse a stare in paese. Senza contare che ormai sono rare le volte in cui la famiglia si ritrova attorno alla tavola, si mangia spesso fuori, non c’è più la mamma che prepara il pranzo tutti i giorni per tutti e che perciò deve fare la spesa».
Eppure sembrava in atto un qualche ritorno al negozio di prossimità, a Bergamo, ad esempio, Carrefour Express ha aperto in largo Rezzara, pieno centro…
«Sì, ma quanti sono quelli che hanno chiuso? Lo ha fatto da qualche giorno l’Unes di via Angelo Maj e non mi sembra ci sia stata la corsa a subentrare alle insegne Pellicano, solo per citare due casi».
Delle attività di vicinato si vanta il servizio su misura, il rapporto personale, neanche questo conta?
«Direi proprio di no, basti pensare che anche i salumi oggi si preferisce comprarli in vaschetta piuttosto che al banco affettati al momento».
E della famosa ricerca della qualità cosa ci dice?
«Probabilmente c’è una fetta di mercato attenta a questi aspetti, ma è molto ridotta. Nonostante se ne parli sempre più spesso, anche con clamore per via degli scandali alimentari, dall’olio di oliva alla passata di pomodoro, la maggior parte dei consumatori non ci tiene a verificare l’origine e il contenuto di ciò che acquista. Se c’è l’offerta, va bene tutto».
Recentemente in Lombardia è stata approvata la possibilità per piccoli negozi alimentari, come macellerie e pescherie, di fare spazio alla somministrazione non assistita, ad esempio per la pausa pranzo o l’aperitivo. È una strada interessante?
«Può esserlo, ma occorre valutare bene le condizioni in cui si opera. Deve esserci passaggio, se si lavora in zone desertificate o poco accessibili come molti dei nostri paesi non credo che possa dare grandi frutti. Valutando posizione e mercato, si può anche decidere di puntare sulle selezioni gourmet, sul biologico, sul catering: sono tutte possibilità, la certezza è che per il negozio di alimentari così come lo abbiamo conosciuto negli anni non c’è grande futuro, dovrà diventare altro, cosa dipende da ogni imprenditore».