La ricerca del Centro Studi Tagliacarne mette in evidenza l’importanza della vicinanza dei negozi ai cittadini per la qualità della vita e dei centri urbani
Il progetto Urban Pulse 15 del Centro Studi Tagliacarne pubblicato due giorni fa dal “Il Sole24 ore” evidenzia la portata delle vicinanza dei negozi ai cittadini come elemento portante per misurare la qualità della vita delle persone. Grazie a Dio dopo anni in cui eravamo rimasti come “l’ultimo dei mohicani” a sostenere l’importanza della presenza dei negozi nei centri urbani il vento sembra cambiare.
La sbornia dei processi di globalizzazione e di digitalizzazione con lo sviluppo del commercio elettronico hanno in questi anni svalutato l’importanza di ciò che è vicino e facilmente raggiungibile peraltro in un Paese, l’Italia, che invecchia pesantemente, dove il tema della prossimità è e sarà sempre più importante.
Molto interessanti sono i risultati della ricerca dai quale emerge una geografia capovolta rispetto sia agli altri indici di qualità della vita pubblicati ad ogni piè sospinto dai giornali, sia all’ efficienza distributiva e al valore dei consumi. Non è un caso che le prime quattro città metropolitane Milano, Roma, Napoli e Torino che cubano da sole un quarto dei consumi alimentari italiani siano in grande difficoltà in questa misurazione. Lo studio evidenzia come in Italia i punti vendita accessibili a piedi sia solo per il 39% degli italiani con il dato che sale al 60% per il sud. Vedere ai primi posti per vicinanza dei servizi le città di Barletta, Andria, Bari e Cagliari e, per il centro nord, Livorno segnala la debolezza delle città metropolitane e soprattutto del nord che anche in questo ambito, come nell’inquinamento, risulta poco efficiente e sostenibile.
Insomma vent’anni fa molti dicevano che i negozi di vicinato erano superati a favore dei grandi centri commerciali extraurbani, mentre ora sono tutti li rimpiangono e tornano di moda. Direi che forse sarebbe ora di fare un po’ di autocritica e di dirci con schiettezza che è un po’ tardi. Solo una reale programmazione nazionale con fondi adeguati potrà sostenere i negozi sopravvissuti e farne riaprire degli altri.
Questo lo studio non lo dice, ma lo aggiungiamo noi.
Bergamo come è messa in questa speciale classifica? La ricerca evidenzia che la nostra città è sotto media nazionale ma in posizione migliore dei capoluoghi Milano e Brescia mentre per la provincia l’indice è in media, migliore di Milano e di Monza e Brianza.
Sarebbe curioso approfondire la casistica locale paese per paese che vede i cittadini dei centri della cintura della città (Curno, Treviolo, Seriate, Lallio, Dalmine, Torre Boldone ecc.) e alcuni grandi centri (Treviglio Grumello del Monte, Trescore ecc.), prossimi ad una grande offerta di supermercati esterni ai centri a discapito dei quartieri periferici, dei semicentri oltre che dei paesi di minori dimensione oramai completamente desertificati di negozi e dove, anche per le effettive difficoltà del trasporto pubblico, creano difficoltà di rifornimento di generi alimentari per le persone
che non guidano o non hanno un’automobile.
In definitiva, se i negozi hanno creato storicamente le città, oggi le rendono città migliori. Non solo da un punto di vista economico ma anche sociale e urbanistico, perché queste tre dimensioni sono profondamente intrecciate con ricadute sulla vita e le relazioni delle persone. Confcommercio è in prima linea attraverso il progetto Cities nella progettazione di politiche a favore dell’economia urbana per rispondere alle sfide della città. Presto presenteremo studi e progetti.