La legge di bilancio e lo spread crescente sembrerebbero aver distolto l’attenzione dal tema che ha infiammato il settembre più caldo degli ultimi anni, ossia l’apertura o chiusura dei negozi nelle festività.
Eppure l’iter dei disegni di legge – che nel frattempo sono diventati sei – prosegue con le audizioni alla X Commissione Attività Produttive, Commercio e Turismo.
Il tema è stato fortemente dibattuto anche in Confcommercio Imprese per l’Italia ed è stato oggetto della sessione più partecipata – e forse più accesa – della Conferenza di Sistema 2018 svoltasi a fine settembre in Sardegna, che aveva a tema la pianificazione commerciale. Durante l’incontro si è parlato molto dei disegni di legge sul lavoro festivo e sono emerse posizioni molto diverse sul tema tra le oltre 200 associazioni di categoria e organizzazioni territoriali che compongono la Confcommercio.
La Confederazione ora sta facendo sintesi verso una posizione unitaria e i conti con i diversi progetti di legge allo studio.
Le diverse posizioni
Sui valori di fondo che ispirano i progetti e le diverse posizioni lo scontro è alto. C’è chi contrario sostiene che la domenica deve essere giorno dedicato alla famiglia e al riposo; chi afferma che i piccoli imprenditori, come i lavoratori, non possono reggere turni 7 giorni su 7, in quanto penalizzano le loro relazioni; chi dichiara che l’apertura incondizionata di ogni giorno mette in crisi il ricambio generazionale delle piccole imprese e lo stessa disponibilità dei dipendenti.
Tra i favorevoli che chi afferma che il mondo è cambiato e che le imprese devono rispondere ai bisogni della gente; che il diritto all’acquisto non può essere limitato dalla politica.
Qualcuno altro asserisci che se è un diritto riposare la domenica, allora il diritto dovrebbe essere esteso a tutti, non solo al commercio.
Di questo passo tutti hanno ragione e nessuno ha torto.
Le ricadute
Per questo dobbiamo abbandonare il piano dei valori e scendere su quello più pragmatico del contenere le ricadute.
Fu un grave errore pensare che l’economia si sarebbe ripresa con la liberalizzazione degli orari dei negozi. Forse in un momento di difficoltà si pensò che la liberalizzazione degli orari avrebbe riacceso i consumi.
L’economia purtroppo non la fanno i negozi aperti ma la spesa della gente.
Oggi probabilmente la chiusura generalizzata sarebbe un errore peggiore del precedente.
Secondo le nostre stime le ricadute occupazionali andrebbero dal 15 fino al 25 per cento degli occupati del commercio. Meno addetti, meno redditi, meno spesa in tutti gli esercizi.
In momenti di bilanci magri, inoltre, le vendite accessorie legate al trasporto, alla ristorazione, quelle nelle gallerie dei centri commerciali sarebbero recuperabili in altri giorni? Chi venderà di più, perché aperto in deroga, assumerà altri dipendenti, mentre chi venderà di meno li lascerà a casa?
Noi riteniamo che nel gioco della redistribuzione delle vendite il commercio elettronico guadagnerà a discapito di quello tradizionale.
Infine non voglio dimenticare le perdite che subirebbero i piccoli, e sono molti, che in questi anni hanno investito nell’aperura domenicale e che dovrebbero almeno avere la possibilità di continuare a lavorare la domenica.
Allora cerco di sintetizzare la posizione che limiti le ricadute.
La proposta
Innanzitutto servirebbe una deroga generalizzata all’apertura nei comuni turistici secondo criteri chiari e precisi per la loro selezione; di conseguenza deroga generalizzata per i soli esercizi di vicinato, nel nome di quel riequilibrio di forze che richiede il pluralismo distributivo.
E poi arriviamo al punto. Non credo sia gestibile la rotazione del 25 per cento degli esercizi per ogni festività e domenica. Chi la gestirebbe? Penso invece che si debba stabilire la chiusura totale di 6 su 12 festività civili e religiose a cui aggiungere massimo altre 6 domeniche, escluso dicembre. Pensando così, da un lato di far riposare almeno una volta al mese i piccoli imprenditori e lavoratori e dall’altro, senza mortificare chi sopravvive con il lavoro domenicali, preservare le vendite e i posti di lavoro.
Con questa proposta i piccoli non perderebbero nulla. I grandi, ubicati in località non turistica, potrebbero vedere ridotto il loro volumi d’affari solo del 10/15 per cento, che si riposizionerebbero in parte ancora su di loro. Così le ricadute sul lavoro sarebbero minime.
È solo una proposta, non valutiamola sul piano dei valori, solo dei numeri.
Forse riusciremo a mettere d’accordo molti, certamente non tutti, senza dividerci.