LA LETTERA
Aeroporto,
parcometro rotto
da giorni e gli utenti
fanno la coda

Caro direttore
capita spesso di leggere delle eccellenze bergamasche e un accenno all’aeroporto non manca mai, probabilmente a buon ragione. Che Orio sia, del resto, una porta su Bergamo e una grande risorsa per il territorio é fuor di dubbio, che sia il primo biglietto da visita per chi atterra nella nostra provincia altrettanto.
Ebbene, fatte queste premesse, ci si aspetterebbe da chi gestisce uno scalo di tale successo un’attenzione costante agli utenti, un’ incessante solerzia nel porre rimedio ad ogni sbavatura. Non è così, perlomeno stando a quel che mi è capitato nei giorni scorsi. Piccole cose, intendiamoci, ma che danno il senso di uno scarso rispetto per chi utilizza il nostro scalo. I fatti. Mercoledì, tardo pomeriggio, arrivo in aeroporto per accompagnare un parente. Parcheggio nell’area riservata alla sosta breve e dopo 20 minuti torno. Arrivo al parcometro, pronto a pagare, e lo scopro insolitamente libero. C’era un motivo: era fuori uso. Capita. Vado all’altro parcometro e trovo una quindicina di utenti in coda. Qualcuno un po’ seccato, a dire il vero. Me ne faccio una ragione, perché può succedere che una macchinetta vada in tilt. Torno in aeroporto domenica mattina, stesso parcheggio, stesso copione. All’uscita dall’area Arrivi, ritrovo un parcometro con una lunga fila di utenti e l’altro ancora fuori servizio.
Mi chiedo: possibile che in piena stagione turistica, uno scalo preso d’assalto come quello di Orio non abbia trovato, in tre giorni, il tempo di riparare un parcometro, o quanto meno di spiegare in modo esauriente – chessò, con un cartello – il motivo della disfunzione? Nulla, neanche due righe di scuse per il disagio. Ripeto: sono piccole cose, ma fastidiose, che non fanno fare una gran bella figura al nostro scalo.

Cordialità
Severo F.


Brebemi Shopping,
si acquista e si vince
ad Antegnate,
Barbata, Fontanella
e Romano 

Quattro comuni, due distretti del commercio e un solo calendario delle iniziative estive. I comuni di Antegnate, Barbata, Fontanella e Romano di Lombardia hanno aggregato i loro distretti di riferimento e hanno creato Brebemi Shopping, distretto diretto dal manager operativo Letizia Frosi e punto di riferimento per tutte le iniziative di rivitalizzazione e di aggregazione delle quattro realtà della bassa bergamasca.
Per l’estate il nuovo distretto ha lanciato il concorso “Acquista e Vinci”, che coinvolge circa 130 esercizi commerciali dislocati nei differenti comuni. Dal 1° luglio al 1° agosto 2013 a chi spenderà almeno tre euro in uno dei negozi aderenti all’iniziativa verrà consegnato un coupon per partecipare all’estrazione finale di buoni spesa del valore totale di 1.000 euro.
Per vincere i buoni in palio bisognerà compilare il tagliando in ogni sua parte, con i dati anagrafici e tutte le informazioni richieste, e imbucarlo nell’urna del distretto, che girerà nelle piazze di Romano di Lombardia, Antegnate e Fontanella durante le Notti Bianche e le serate di Shopping sotto le stelle.
Dopo Romano di Lombardia, l’urna si troverà sabato 13 luglio alla “Notte Bianca a Fontanella” (Piazza Matteotti); giovedì 18 luglio tornerà a Romano di Lombardia per il “Giovedì sera – Shopping sotto le stelle” (via Tadini), sabato 20 luglio verrà portata alla “Notte Bianca ad Antegnate” (Piazza Cavour – Piazza della Chiesa), mentre giovedì 1° agosto sarà ancora a Romano di Lombardia per il ”Giovedì sera – Shopping sotto le stelle” (via Tadini).


Treviglio, negozi “in rosa”
contro la violenza sulle donne

Per la Sagra di Sant’Anna Treviglio ha scelto come tema conduttore la sensibilizzazione contro la violenza sulle donne. Si tratta di un tema molto sentito dalla comunità, in cui trovano un minimo comune denominatore l’Amministrazione comunale, gli enti, le associazioni e le organizzazioni che, insieme a Pro Loco Treviglio, contribuiscono a vario titolo alla realizzazione delle iniziative proposte, anche nell’ambito dell’attività del Distretto del Commercio: Botteghe Città di Treviglio, Noi per Treviglio, Sirio Csf e Sportello Donna, Avis Treviglio, il Consiglio delle Donne e la Commissione Pari Opportunità Città di Treviglio, Soroptimist International, oltre agli sponsor collegati alle singole iniziative. Nei quattro giorni della festa i negozi del centro storico che aderiscono all’iniziativa si “vestono di rosa” ed espongono in vetrina le scarpette rosse, diventate ormai il simbolo della lotta alla violenza sulle donne, e uno specchio, simbolo di riflessione sul coinvolgimento di ogni individuo nell’impegno civile. Su questo sfondo si innestano le iniziative culturali e di animazione. Mercoledì 24 lo Shopping al Chiaro di Luna è accompagnato dall’esilarante esibizione di Andrea Prada, Giallorenzo e Il grande mago, ospiti fissi della trasmissione Zelig. Venerdì 26, giorno di Sant’Anna, alle 18 si celebrerà la Messa nel santuario della Madonna delle Lacrime, con l’accompagnamento della Schola Cantorum G.B. Cattaneo. Sempre venerdì, dalle 18 alle 20 i caratteristici cortili dei palazzi di via Galliari verranno trasformati in luoghi espositivi di immagini sacre e di fotografie storiche. La mostra sarà allestita anche sabato 27 dalle 17 alle 22.30. Inoltre, cortili e palazzi di via Galliari saranno visitabili sotto la guida delle divulgatrici culturali di Treviglio e dell’Ufficio Iat dalle 20.30 alle 22.30. Sempre sabato, dalle 18, la biblioteca civica proporrà una selezione di libri di donne e sulle donne, e ospiterà un “Aperitivo in Rosa” con DJ-set che si protrarrà fino alle 24 (parte del ricavato sarà devoluto in beneficienza). La festa si conclude sabato sera con la camminata solidale “Noi per le donne", che riporterà l’attenzione sul tema conduttore. La camminata partirà alle 20.30 dall’area mercato per svilupparsi lungo un percorso di 4,5 chilometri per le vie cittadine e si concluderà in piazza Manara con il concerto rock del gruppo musicale “I Gladioli”. Ai partecipanti alla camminata saranno distribuiti omaggi/buoni sconto offerti da alcuni esercizi commerciali del centro storico.


Valle Seriana e Val di Scalve,
al lavoro con arte e cultura  

Lorenzo Serafini, classe 1987, è laureando in Scienze storiche all’Università di Trento. Come tanti bergamaschi della sua età, sogna di poter vivere di arte e di cultura, trasformando la sua passione in un vero e proprio lavoro. E, per il momento, sembra che ci stia riuscendo. Lorenzo è infatti uno dei sei ragazzi che collaborano al progetto “Percorsi turistici e culturali e laboratori artistici”, in programma da luglio a ottobre in 23 comuni montani, in un'area che va da Ponte Nossa a Valbondione, fino a Schilpario. Dare un’opportunità occupazionale e di formazione a giovani precari partendo dal rilancio del patrimonio storico, commerciale ed enogastronomico è l’obiettivo, quanto mai ambizioso, di Valle Seriana e Val di Scalve. Un modo nuovo, insomma, per combattere disoccupazione e crisi economica, mettendo all’opera i cervelli creativi di studenti e laureati. L’iniziativa è sostenuta dal Pirellone che ha indetto un bando nell’ambito delle Politiche giovanili e stanziato un finanziamento di 29.780 euro che ha permesso agli under 35 della zona – formati professionalmente e coordinati da una guida esperta, Helen Debarros – di organizzare tour in borghi e ville storiche, degustazioni di prodotti tipici, biciclettate sotto le stelle, escursioni in mezzo alla natura e laboratori per bambini. Il Museo arte e tempo di Clusone e il gruppo Artelier si sono rivelati fucine di idee privilegiate da cui attingere le menti più preparate da inserire in questo progetto, tutti laureati o laureandi in discipline che vanno dalla storia dell'arte all'architettura: «Volevo riscoprire il patrimonio storico della Valle Seriana, così affascinante ma ancora poco valorizzato – racconta Lorenzo Serafini – quindi mi sono avvicinato al Mat di Clusone lavorando prima nella guardiania e poi entrando a far parte del Mat club, associazione volontaria nata nel 2009 e diventata il centro delle nostre attività culturali. Avevo però voglia di mettere la mia professionalità al servizio dei cittadini. Grazie al bando regionale siamo riusciti a organizzare una serie di iniziative che quest’estate porteranno i turisti, e non solo, a fare shopping ma anche a scoprire il territorio dal punto di vista dell’arte e della natura». Per questo progetto, Lorenzo è stato assunto con un contratto part-time mentre altri cinque sono per ora a tempo determinato: «Non è male per essere la mia prima esperienza lavorativa – aggiunge –. Intanto ho la possibilità di pagarmi gli studi, mi mancano gli ultimi esami e poi la tesi su un argomento che riguarderà il territorio in cui abito. Oggi si fa sempre più fatica a trovare lavoro ed è bello per un giovane come me potersi guadagnare da vivere con la cultura e il turismo. Posso unire l’utile al dilettevole. Il problema grosso, in questo settore, è sempre quello delle risorse. Per fortuna, ogni tanto, le istituzioni ci vengono incontro».
La precarietà è, purtroppo, il denominatore comune dei sei ragazzi che collaborano alle iniziative. Ci sono due insegnanti di storia dell’arte e italiano, sempre in balia di supplenze temporanee, un grafico e un impiegato in un ufficio turistico. Altri due giovani collaborano alla Galleria d’arte moderna e contemporanea di Bergamo. Una di loro è Romina Capelli, 31 anni, laureata in Arti figurative e spettacolo alla facoltà di Scienze umanistiche di Bergamo: «Sono da sempre precaria – spiega –. Al momento lavoro alla Gamec come educatrice museale ma è una prestazione occasionale. Così sono riuscita ad arrotondare il mio stipendio entrando a far parte di questo progetto, dapprima come custode del Mat e poi collaborando con il gruppo Artelier». Nato da una costola del Mat e diventato un braccio operativo della cooperativa sociale Aquilone, Artelier si occupa di gestione dei musei, dell’organizzazione di eventi culturali e della valorizzazione del territorio dell'alta Valle Seriana. «Con questa serie di iniziative estive, che proseguiranno poi anche a Natale e Pasqua – continua Romina – daremo vita a percorsi turistici ed enogastronomici, visite guidate e laboratori ludici per i più piccoli. Siamo in sei ragazzi e ci occupiamo un po’ di tutto. Io per esempio adoro i bambini ma se qualcuno ha bisogno di me per un'altra iniziativa inserita nel cartellone, corro volentieri in suo aiuto. Ormai siamo un bel gruppo di amici e questa è per noi un’opportunità per collaborare con musei diversi e farci conoscere all’interno delle istituzioni». L’auspicio di Romina è che questa bella esperienza possa un giorno trasformarsi in un lavoro a tempo indeterminato: «Sono mamma di due bimbi e per gestire al meglio anche la famiglia, fino ad ora mi sono accontentata di occupazioni saltuarie, ma per il futuro, soprattutto quando i miei figli saranno cresciuti, vorrei un po’ più di certezze».


Sale da ballo: «Penalizzati
dai troppi circoli fuorilegge»

Sale da ballo improvvisate e circoli fuori legge inaspriscono e rendono sleale la concorrenza con sale da ballo, discoteche e locali notturni, alimentando ingenti danni economici. La crisi poi non fa che agevolare il proliferare di circoli e club, nati con il solo scopo di sottrarre denaro all’erario e fare business, contrariamente a quanto impone una forma giuridica che bandisce il lucro dalle sue finalità. «Con la crisi crescono i circoli, che non versano tasse, non hanno dipendenti ma soci e non sono soggetti all’agibilità e quindi ai relativi standard di sicurezza. Sono oramai più grandi delle stesse discoteche e la maggior parte non rispetta le regole dei circoli – sottolinea Paolo Visinoni, presidente del Gruppo Sale da Ballo Ascom -. La forma giuridica sembra in molti casi un modo di aggirare la legge per sfruttare i vantaggi fiscali dei circoli, senza tuttavia rispettarne di fatto le regole. Un circolo infatti non ha fini di lucro e non può pertanto trovare nell’attività di bar e somministrazione una forma di guadagno, non può avere nemmeno un’insegna, né tanto meno fare pubblicità». D’estate la concorrenza di feste che trasformano cortili e prati in sale da ballo a tutti gli effetti si fa sentire sempre più con la crisi: «Ormai si balla ovunque. Le feste nei paesi e nei quartieri stanno portando ad una vera e propria erosione del popolo del ballo, specialmente degli appassionati di latino americano», continua Visinoni.
Una recente analisi del centro studi Fipe-Confcommercio realizzata per il Silb, l’associazione italiana delle sale da ballo aderente alla stessa Federazione, ha fotografato il fenomeno. «Far ballare senza avere le autorizzazioni previste per legge significa innanzitutto mettere a rischio la salute di chi partecipa agli eventi e significa anche sottrarre circa un miliardo di euro al circuito economico legale – evidenza il sindacato -. Un valore pari a quello generato dalle strutture che consentono lo stesso tipo di offerta, ma con tutte le carte in regola, e una fetta non da poco, visto che tutto l’intrattenimento, compreso cioè anche quello non danzante, genera un valore pari a 7,5 miliardi di euro».
Il fenomeno delle discoteche mascherate da circoli ricreativi, sportivi o culturali è conosciuto a molti cittadini come esperienza vissuta, ma scarsamente registrato a livello numerico. Eppure dalla ricerca risulta chiaramente che nel 43,6% dei casi la tessera associativa fatta firmare al cliente al momento dell’ingresso in realtà è utilizzata prevalentemente per vedere amici e bere qualcosa. Non meno rilevante è il dato che riguarda l’ascolto della musica e il ballo, finalità vera per cui si sottoscrive la tessera associativa nel 13,5% dei casi. D’altra parte, la rete dei luoghi non convenzionali, fra associazioni sociali e culturali è di circa 20.000 unità a cui vanno aggiunti altri 14.000 tipologie di circoli sportivi fra palestre, spa, centri, piscine e quant’altro. «Si tratta – spiega la ricerca – di potenziali luoghi di offerta di intrattenimento accompagnata da somministrazione di alimenti e bevande».
Le iniziative contro l’abusivismo sono aumentate in maniera notevole, passando dalle 10 del 2010 alle 97 dell’anno successivo per arrivare alle 147 del 2012 e 56 in questa prima parte del 2013. La provincia più responsabile nel denunciare questa forma di illegalità è stata quella di Parma con 31 segnalazioni effettuate dal Silb, seguita di misura da Lecce e Brescia con 20 denunce. «L’abusivismo – dichiara Maurizio Pasca, presidente Silb-Fipe – è la più sgradevole e pericolosa concorrenza sleale in grado di stravolgere e condizionare la competitività sana fra imprese. Come associazione di categoria stiamo svolgendo un ruolo di sentinelle sul territorio per combattere l’illegalità, ma non possiamo fare tutto da soli. Le nostre segnalazioni devono essere sostenute e portate avanti dalle forze dell’ordine, dalle pubbliche amministrazioni e anche dai cittadini che dovrebbero rifiutare di firmare tessere associative per ballare, bere e mangiare».
Il fenomeno non è nuovo anche in Francia, dove le azioni di contrasto si concentrano soprattutto nelle normative sulla formazione obbligatoria, sul controllo delle licenze per la somministrazione di alcol, sui divieti per la vendita di alcolici a minori di 18 anni e nelle limitazioni ai minori di 16 se non sono accompagnati da un adulto. La federazione francese ha anche istituito una commissione speciale dedicata all’abusivismo a cui si dà risalto con una campagna di informazione sui media. Non molto diversa la situazione in Spagna, dove i problemi del settore sono costituiti dalle abitudini di consumo variate anche in relazione alla multietnicità sociale, dalla liberalizzazione che ha portato ad una concorrenza sleale e dall’abuso di alcol che si tenta di contrastare con una cultura del bere responsabile e con una cultura dello stile di vita mediterraneo, cioè con “l’arte de vivir”.


Negozi storici, riconoscimento
all’Albergo Alpino di Colere

Daniele Vecchio riceve l'attestato dal presidente della Regione Roberto Maroni

Cerimonia di premiazione dei “Negozi storici” a Palazzo Pirelli a Milano. La Regione Lombardia lunedì 22 luglio, ha premiato le 64 attività commerciali lombarde che negli ultimi 12 mesi hanno ricevuto il prestigioso riconoscimento. Tra queste l’Albergo Alpino di Colere, al Passo della Presolana (via Cantoniera). Nato nel lontano 1925, su una struttura costruita nel 1840 dagli Austriaci e utilizzata come casermetta, è da sempre gestito dalla famiglia Vecchio, prima dal nonno Camillo, poi dal figlio Aldo e dalla moglie Germana e ora da quattro dei sei figli, Cristina, Daniele, Elena e Stefania.
Con l’Albergo Alpino i negozi storici bergamaschi riconosciuti da Regione Lombardia raggiungono quota 90: tre insegne storiche di tradizione; 27 tra locali e negozi storici (16 in città e 11 in provincia) e 60 storiche attività (11 in città e 49 in provincia).
«La nostra storia, l’identità dei nostri luoghi e delle nostre città vivono nelle tradizioni del commercio – afferma Paolo Malvestiti, presidente Ascom Bergamo -. Le 90 attività storiche della provincia di Bergamo sono un grande patrimonio da tutelare. Il riconoscimento valorizza la capacità imprenditoriale e la famiglia, due elementi che non vanno disgiunti quando si parla di commercio e di terziario e che rimangono il punto di forza di tutto il sistema, anche in un momento, come quello attuale, in cui il settore del commercio è in fase di profonda trasformazione».
A conferma del ruolo che le attività storiche rivestono nel commercio bergamasco, Ascom ha costituito un gruppo di coordinamento con lo scopo di valorizzarle e promuoverle, tra le prime iniziative la pubblicazione dell’insegna in alcune guide edite dal Touring Club.


Uniacque, da Federconsumatori
duro attacco alla gestione

Federconsumatori ribadisce il giudizio negativo nei confronti della gestione di Uniacque. “Azienda a totale capitale pubblico, cioè pagata da tutti noi – evidenzia Federconsumatori – che non vuol saperne di considerare  gli utenti come i suoi primi azionisti e continua a trattarli con un indisponente atteggiamento di presunta superiorità. Azienda che si nega al confronto con le associazioni di tutela dei consumatori al punto di non concludere la stesura della Carta dei Servizi e del collegato regolamento: strumenti dove si precisano diritti e doveri tra le  parti per la fornitura dell’acqua, il servizio di depurazione e quello di fognatura. Servizi “regolarmente” fatti pagare in bolletta”.
“Azienda – prosegue Federconsumatori – che l’anno scorso ha applicato l’aumento del 70% sul costo dell’acqua distribuita dalla rete di Bergamo  precedentemente gestita da BAS. Azienda che  acquisisce reti di distribuzione idrica dai Comuni (il diritto a farlo deriva dall’essere “Gestore Unico del Servizio Idrico Integrato”) e poi tarda a realizzare  le opere necessarie a garantirne l’efficienza e il rispetto delle norme di tutela dell’ambiente. E’ pubblica l’accusa fatta da Amministratori comunali che contestano l’immobilismo di Uniacque a  fronte di scadenze prossime che, se non rispettate, comporteranno sanzioni da parte dell’Europa”.
“In questo contesto – sottolinea Federconsumatori – la Provincia ci mette del proprio. Non si capisce come possa (la Provincia) essere contemporaneamente socia e promotrice di Uniacque quale Gestore Unico del Servizio Idrico Integrato sull’intero territorio bergamasco, e azionista di Hidrogest e Cogeide. Società che svolgono lo stesso servizio, in contenzioso con  Uniacque su  importanti aree provinciali. Federconsumatori auspica che  Provincia e Sindaci/Azionisti di Uniacque si interessino  anche dei problemi sopra esposti”.


Quel vigile che ha scelto
d’essere uomo prima che automa

La legge altro non è che una somma di regole, che gli uomini creano e si impongono, per vivere meglio: non è un dogma, né una monade astratta ed incontrovertibile, ma un mezzo per moderare l’istinto umano che, altrimenti, sarebbe quello della belva. Per questo, le leggi soggiacciono a due fondamentali criteri: si cambiano, quando non rispondono più alle esigenze della società, e si interpretano, in modo da adattarle alle situazioni, perché non sortiscano l’effetto opposto, rispetto alla volontà del nomoteta. Perché servano all’uomo, insomma, anziché asservirlo. Il modesto caso di cronaca che ha visto protagonista il vigile urbano Francesco Brignone, reo di avere indossato un copricapo fuori ordinanza nell’adempimento dei propri compiti e, per questo, sanzionato dai superiori, mi pare sia assolutamente esemplare. Perché, dal punto di vista strettamente regolamentare, i suddetti superiori hanno ragione, anzi ragionissima: una divisa non può essere vilipesa, adattandola al proprio gusto e alle circostanze quotidiane. Dal punto di vista civile, però, ossia dell’interpretazione della norma, questa censura ci pare algidamente inumana, date le circostanze che hanno condotto il vigile ad indossare il copricapo incriminato. Per capirci, un conto è un tutore dell’ordine che vada a dirigere il traffico in Porta Nuova con in testa un pitale, un cappellino con su scritto “Idraulica Bigliozzi”, un cilindro sfondato a stelle e strisce: altro è, come nella circostanza di cui stiamo parlando, se il vigile indossa un cappello alpino, nel giorno del funerale del più grande alpino che una città profondamente alpina abbia espresso nella propria storia. Perché è di questo che si tratta: Brignone era in servizio in centro, il giorno del funerale di Nardo Caprioli e, evidentemente per dimostrare il proprio cordoglio e la propria partecipazione ad un evento che ha coinvolto l’intera cittadinanza, ha indossato un cappello che è il simbolo e la sintesi di tutto un mondo, di mille storie di valore e di sofferenza, di una comunità umana e spirituale gigantesca e meravigliosa. Comunità di cui Brignone fa parte, essendo un alpino, e che rappresenta una fetta non indifferente e, certamente, socialmente benemerita, della popolazione bergamasca: mica l’associazione amici del vì de pomm, o quella dei giocatori di carambola. Il che, mi darete atto, non è esattamente la stessa cosa: mi pare che vi sia un margine discrezionale, per chi debba applicare la norma, tra un cialtrone che fa una pagliacciata e un gesto pieno di sentimento e di rispetto. Quella norma giuridica che regolamenta la vita degli umani non è al di sopra della legge morale: ne è, semmai, il portato. Il colonnello Brignone, nonno del reprobo, comandava il Morbegno: quello della “bala bianca” e del “Morbegno avanti!” di Nikolajevka. Il papà del reprobo era un alpino della Julia, quella del ponte di Perati. Il reprobo ha messo su di un piatto la minaccia di sanzioni disciplinari e, sull’altro, un cappello stropicciato, deformato e scolorito: e ha scelto di essere uomo, prima che automa. Ha voluto dimostrare affetto al suo presidente alla maniera degli alpini: non ha fatto male a nessuno, anzi, semmai ha rallegrato qualche passante, ha suscitato simpatia e ha fatto pensare ai bergamaschi, che lo hanno visto, quel giorno, dirigere il traffico con in testa il suo bel cappello alpino, che le istituzioni non siano poi così arcigne, così remotamente distanti dalla gente comune, così freddamente normative, intente solo a far multe o ad esigere gabelle. Per questo, oggi, la decisione di applicare rigorosamente il regolamento per il caso di Brignone ci pare che allontani l’istituzione dall’idem sentire della gente: ci pare, insomma, che si voglia sacrificare l’umanità al totem della regolamentarità. E ne deriverà, state tranquilli, un notevolissimo danno d’immagine per la pubblica amministrazione che, dal coté polizia municipale, non è che goda di tutto questo gradimento: l’idea che venga punito un vigile urbano, perché, nel giorno del funerale del presidente degli alpini, ha indossato un cappello che la sua famiglia ha portato con orgoglio per generazioni, non fa una gran bella impressione, in una provincia in cui ci sono ventimila alpini. Se fossi il responsabile delle pubbliche relazioni di palazzo Frizzoni, un pensierino a questo ulteriore aspetto della faccenda lo dedicherei. Perché è verissimo che le norme vanno rispettate, ma è anche vero che è il giudice che deve interpretarle: e anche la gente giudica, più o meno severamente, in base ai propri criteri. Che non sempre coincidono coi regolamenti, perché, per fortuna, certe volte si giudica col cuore.

di Marco Cimmino


Vini per l’estate,
su Affari di Gola
dieci bollicine
e dieci bianchi
a buon prezzo

Il successo all’estero dei prodotti agroalimentari tocca anche all’Agrì, piccolo gioiello caseario di Valtorta ancora lavorato a mano, che dà il massimo gustato fresco, appena fatto. Proprio questa caratteristica sembrava precludergli mercati più lontani e invece, grazie a nuove tecniche di imballaggio e conservazione, ha spiccato il volo. Merito anche di Slow Food che lo ha inserito tra i propri Presìdi e ne sostiene la promozione. Oggi alcune gastronomie di Amsterdam lo richiedono con continuità, ma sta crescendo anche il gradimento nella ristorazione. Al “formaggino” brembano è dedicata la copertina del nuovo numero di Affari di Gola, la rivista che racconta l’enogastronomia di Bergamo e provincia. Nel “menù” di questo mese anche una guida ai vini dell’estate, con focus sulle bollicine, dal buon rapporto tra qualità e prezzo e, sempre per stare freschi, due suggerimenti per mangiare bene all’ombra di un bosco. Si va poi alla scoperta dell’uso alimentare della canapa, i cui semi sono un concentrato di principi benefici, e di un allevamento di conigli a Casirate d’Adda dove gli animali crescono ascoltando musica classica. Si parla anche del salame di Monte Isola e si approfondisce l’evoluzione della produzione di formaggi caprini, sempre più all’insegna della qualità. Quaranta pagine tutte da gustare, in edicola e on line.    


“Bergamo è una città difficile,
più spazio ai giovani per innovare” 

“Se fossi un gelato? Sarei un cono al gusto zabaglione, perché dà forza ed energia”.
La chiacchierata con Riccardo Schiavi comincia così, con una domanda a sorpresa e finisce con “Ma io mi chiedo, dove vuole andare Bergamo?”. Una domanda (retorica) altrettanto sorprendente, mentre tenta di finire un toast sbocconcellato infinitamente nel corso di una mezz’ora abbondante inondata di parole, pensieri e massime. La prima che viene in mente, dopo aver diviso con lui un tavolino del suo locale “La Pasqualina” in via Borfuro (clone della sede storica di Almenno San Bartolomeo) è questa: “punta alla luna, male che vada avrai vagabondato tra le stelle”.  Per dirla in chiave più pasticciera: punta a fare una brioche tutta, ma proprio tutta integrale, male che vada avrai buttato via 7, 8 mila brioches e altrettanti impasti mal riusciti, ma avrai vagabondato tra li ingredienti più genuini del mondo. L’ultimo (impasto sbagliato) in ordine di tempo, risale all’ora prima dell’incontro e per sua stessa ammissione “in laboratorio sono dato fuori come un matto, mi capita ancora di buttare in pattumiera l’impasto, ma se prima succedeva spessissimo, adesso molto meno”:
Schiavi è comunque riuscito a sbarcare sulla luna delle brioches e a piantare la sua bandiera, una conquista che è tutta farina (integrale) del suo sacco, fatta di attenzione e cura per quello che si mangia ogni giorno. “Può sembrare banale, ma far colazione al bar tutte le mattine con cappuccino e brioche rientra nel piano nutrizionale del cliente e dunque, con 360 colazioni l’anno, una brioche ha il suo peso specifico”. Come tutto quello che si trova in questo locale aperto nel 2006 in un anfratto del centro di Bergamo (dove un tempo si vendevano lucidi, squadre e tecnigrafi) da questo signore che, in testa oltre a tanti capelli neri e un ciuffo candido beffardo in mezzo, ha tante idee (ristorativamente e qualitativamente parlando) meravigliose. “Le idee più belle mi vengono quando vado in montagna a sciare, libero la mente e i pensieri mi tornano leggeri”. Tipo quella volta che pensò al contenitore “coccodè” per il suo gelato: tanti scomparti come per le uova, per altrettante palline con i vari gusti tutti da assaggiare senza stancare il palato, frustrato nella scelta imposta da molte gelaterie (tre gusti e non di più). A dire il vero, se fosse un gelato, potrebbe essere gusto entusiasmo, fatto con gli ingredienti più genuini della passione “E’ la cosa che non mi fa sentire il peso del lavoro, io tutte le mattine mi alzo per andare a divertirmi” e dell’ottimismo, mantecati da quel pizzico di sana follia commerciale che fa la differenza. Quando sette anni fa ha aperto questo locale (succursale dell’azienda di famiglia di Almenno) molti gliela “diedero lunga” un paio di mesi. E, invece, visto così dà l’idea che la faccenda possa durare un paio di secoli. Tanto per cominciare, il personale che ci lavora, propone fuori menù e senza alcun costo quello che manca in moltissimi altri locali: il piatto della buona cera. Tutti gentilissimi, senza essere invadenti, professionalità e cortesia mixati quanto basta per dubitare di trovarsi a Bergamo dove in certi bar la musoneria la fa da padrone. Schiavi mostra la carte dei valori, cinque punti saldi, un “quintalogo”che comincia con “vivere e far vivere un’esperienza unica al cliente”. Solo quando è molto stanco, Schiavi si chiede “ma chi me l’ha fatto fare?” L’ultima volta gli è capitato di ritorno da Porto Cervo dove un anno fa ha aperto “La Pasqualina”, chiamiamola “on the beach” volendo togliere quell’allure vippissima che contraddistingue la località sarda. “Tornavo a mezzanotte in aereo ed ero alle prese con un grosso problema. Così, immerso nei pensieri famigliari, me lo sono chiesto”. Qualche senso di colpa? “No, compatibilmente con tutto il resto cerco di godermi i miei bambini, Gabriele e Tommaso. Loro sono la mia energia, quello che sto facendo è anche per loro, voglio dare loro una possibilità di lavoro, ma solo se saranno d’accordo. Se vorranno fare altro, ad esempio gli idraulici, non li ostacolerò di sicuro”. Che cosa voleva, invece, fare da grande Riccardo Schiavi, figlio maggiore di quella Rosa Preda (“tanti difetti, ci si scontrava ma quando ho iniziato la mia attività le ho detto chiaramente: “qui comando io, non impicciarti” ricorda mentre si commuove “ ci volevamo bene e adesso che non c’è più mi manca”) che era una vera forza della natura? “A scuola ero un asino, sono riuscito a prendere il diploma da ragioniere “te lo diamo ma sparisci dalla circolazione”, mi hanno detto. Sono sempre stato abituato a lavorare. Ho capito che per essere felice avrei dovuto fare quello che mi piaceva, seguire la strada professionale per cui mi sentivo tagliato. Se invece che nascere imprenditore fossi rimasto ragioniere, magari sarei stato meglio, ma sono nato così e non ci posso fare nulla. Sono un semplice ragioniere, ma certe cose le ho imparate per conto mio”. La più importante? “La strategia. Dal punto di vista imprenditoriale è importante sapere dove si vuole andare. Fino a qualche anno fa avevo in testa molta confusione, poi sono riuscito a capire quale fosse la mia strada. Adesso la sto perseguendo con serenità, questo è l’ingrediente principale della vita come del lavoro.Mi guardo allo specchio e mi vedo così”. Non dice né quante ore lavora ma ammette “Bisogna aver voglia di sbattersi”, né quante proposte di investimento ha ricevuto: “Tantissime”. L’ultima, in ordine di tempo, è appunto “La Pasqualina” di Porto Cervo che nasce dall’intenzione imprenditoriale di riportare nella località sarda il bel tempo che fu. “Ho firmato subito il contratto 6+6 su una promenade che stentava a decollare. Mi piace questo locale perché accontenta una clientela trasversale che sembrava che a Porto Cervo non avesse più punti di riferimento; non c’è solo la famosa piazzetta dove potersi trovare. La mia gelateria ha riportato un po’ di umanità nella località più in, diciamo i piedi per terra”. Con un piede in Sardegna e l’altro in via Borfuro, Schiavi pensa ad ampliare la Pasqualina di centro città e a creare un dolce caratteristico che identifichi Bergamo in campo dolciario. “Conosco abbastanza Bergamo, ma trovo che sia una città difficile come i bergamaschi che la vivono, del resto sono così anche io. Professionalmente parlando, anche nel campo dove opero, possiamo contare su grandi figure, gente a cui piace girare il mondo e a cui piace darsi da fare. Purtroppo, però, si assiste ad un certo invecchiamento dell’imprenditorialità, ed è quello che personalmente vorrei evitare avvalendomi di gente giovane. Sono sicuro che i giovani mi aiuteranno non solo a non invecchiare ma a innovare. Gliel’ho detto: se fossi un gelato sarei lo zabaglione, tradizione e innovazione insieme  ”.