Commesse, più facile 
a dirsi che a farsi 

Commesse, più facile a dirsi che a farsi 

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Le 500 donne in fila nei giorni scorsi a Genova per tre posti da commessa in una catena di negozi di abbigliamento per bambini sono un’altra delle istantanee del bisogno di lavoro in tempo di crisi. Sono però anche l’occasione per scoprire cosa sta dietro questa professione, spesso inquadrata in vecchi o scontati cliché, come quello che per farlo bastino una certa presenza e stare sull’attenti in negozio. Tanto che è soprattutto considerato un “lavoretto” per cominciare ad essere indipendenti da chi ancora studia o il ripiego di chi aveva altre ambizioni («è finita a fare la commessa!»), in ogni caso un’attività che non richiede particolari doti o preparazione, dove, in fin dei conti, basta avere la forza di stare in piedi per tante ore.
Naturalmente non è così. Ciascuno può infatti testimoniare quanto sia più gratificante lo shopping se si è affiancati da una brava assistente alla vendita e non può sfuggire come in questo periodo storico – tra consumatori sempre più attenti a come si spende e la crescente competizione tra insegne e forme di distribuzione – il ruolo diventi ancor più strategico per il successo di un’attività.
Per capire cosa significa fare le commessa oggi abbiamo chiesto a tre figure d’esperienza di raccontarci il proprio lavoro.
Mariastella Suardi, responsabile della profumeria Douglas nel centro commerciale alle Valli di Seriate, ha scelto questa strada 16 anni fa, dopo una precedente occupazione come impiegata in area commerciale. «Doveva essere un lavoro temporaneo – racconta -, in attesa di valutare nuove opportunità in linea con la mia esperienza e il mio profilo, invece, pur davanti ad altre offerte, è scattata la decisione di restare, di rimettermi in gioco». A conquistare Mariastella, stanca di ufficio e computer, «è stata la possibilità di stare con la gente». «Fare la commessa non significa solo contatto con il pubblico – precisa -, ci sono le pulizie, gli scatoloni da aprire, i prodotti da disporre e, man mano crescono le responsabilità, gli ordini, gli appuntamenti con i rappresentanti, le direttive dell’azienda da valutare. Avere a che fare con i clienti resta però l’aspetto più importante e al tempo stesso più gratificante di questa professione». «I prodotti li hanno tutti – annota -, la differenza la fa chi li propone. In profumeria, più che in altri settori, è indispensabile una precisa conoscenza tecnica delle referenze, ma soprattutto la capacità di capire il bisogno di chi si ha di fronte, saperlo ascoltare. Vendere un profumo, ad esempio, è vendere emozioni, occorre comprendere cosa il cliente si aspetta da una fragranza».
Un compito che si è fatto più arduo con la crisi, ma anche con la generale crescita della consapevolezza tra i consumatori. «Molti arrivano già con le idee chiare – spiega la responsabile del negozio -, ma magari esistono prodotti che possono rispondere meglio alle loro esigenze. La soddisfazione maggiore è, a mio avviso, quando si riesce a far cambiare idea: è la chiara dimostrazione che abbiamo conquistato la fiducia del cliente ed è quasi la certezza che tornerà». Guai però a puntare tutto sull’individualità, «saper lavorare in team è fondamentale – rimarca -, perché tutti contribuiscono a definire l’immagine del punto vendita e del servizio». L’ulteriore suggerimento è imparare una seconda lingua «sempre più richiesta per via dell’incremento dei turisti, ad esempio per lavorare ad Orio, ma utile anche per migliorare le possibilità di carriera, visto che le catene hanno ormai negozi in tutta Europa».
Anche per Tecla Legrenzi, responsabile di Sisley nel centro commerciale di Seriate, ciò che continua a rendere bello il lavoro anche dopo anni è «stare a contatto con la gente». «E pensare che ero piuttosto timida – ricorda -. Avevo 19 anni ed è stata una scelta di necessità. Certo la timidezza dipendeva anche dall’età, ma credo che questo lavoro mi abbia aiutato ad aprirmi ed anche oggi ciò che più mi appaga non è l’aver allestito una bella vetrina, ma il grazie di un cliente soddisfatto». Pazienza, solarità e disponibilità sono, per Tecla, le caratteristiche indispensabili per una commessa, ma non nasconde che la crisi ha reso più delicati i rapporti. «Oggi basta anche solo salutare, che è pura cortesia – rileva -, che ci si sente rispondere “do solo un’occhiata”, come se la persona temesse di essere costretta a provare e comprare per forza. C’è quasi timore a scambiare qualche parola, oltre ad una maggiore attenzione a quanto e come si spende». Volendo descrivere le tipologie di chi entra in un negozio di abbigliamento, agli estremi ci sono «chi vuole fare tutto da solo, anche perché crede, erroneamente, che se fa perdere tempo alla commessa debba alla fine acquistare qualcosa – afferma -, e gli indecisi perenni che senza un consiglio non comprerebbero nulla». Cosa è più difficile vendere? «Le proposte più originali e alla moda, si preferisce sempre di più andare sul sicuro sia nelle forme sia nei colori, così da poter sfruttare il capo per più stagioni. La capacità della commessa è ascoltare e rispettare il cliente, con l’esperienza si riesce ad inquadrare quasi subito il tipo e si impara a trattare anche con la persona più scorbutica».
Valentina Pavoni, del negozio Intimissimi di via Tiraboschi a Bergamo, ha cominciato a fare la commessa a 22 anni mentre era iscritta all’università (Design industriale alla facoltà di Architettura, «32 esami sostenuti, manca la tesi, che vorrei dare», sottolinea). Oggi ne ha 36, ha trovato la sua dimensione professionale e pensa a metter su famiglia. «Volevo rendermi più indipendente dal punto di vista economico – racconta – e non arrivare a 26/27 anni senza avere nessuna esperienza nel mondo del lavoro. Vedere che man mano crescevo, che aumentavano le responsabilità mi ha convinto a rimanere». «A differenza di quanto può sembrare, non si sta mai fermi, è un lavoro impegnativo e non per tutti – evidenzia -. Si può imparare, ma credo che se di base non c’è la predisposizione all’empatia non si regge a lungo». «Lavorare in un centro storico significa avere una clientela più fidelizzata rispetto ai centri commerciali – spiega –, ma anche qui il profilo è sempre più esigente e attento. E anche se le collezioni sono ogni stagione più belle («una decina di anni fa con queste proposte il marchio avrebbe fatto incassi da record», dice tra le righe), ora per spendere anche piccole cifre ci si pensa». Sono nel frattempo anche cambiati gli orari, con il moltiplicarsi delle aperture festive e serali. «Chi vuol fare questo mestiere – ricorda – deve mettere in conto di dover lavorare tutti i sabati, fare i turni serali e le domeniche, anche se può essere pesante. La parola “sacrificio” deve per forza far parte del suo vocabolario». «La retribuzione? Premesso che oggi già avere un lavoro è una fortuna, credo che sia nella media. Forse non sono ben valorizzate dal contratto le figure di maggiore responsabilità, il cui stipendio non è molto diverso da quello di chi inizia».