Al tavolo, da sinistra: Massimo Torti, Diego Pedrali e Oscar Fusini
È scattato l’allarme etichettatura tra i commercianti di abbigliamento e calzature, ma Federazione Moda Italia corre in soccorso delle imprese con il “Kit Sos Etichettatura” ed un incontro dedicato ad approfondire i rischi legati al mancato rispetto delle nuove normative. A seguito dell’entrata in vigore del Regolamento dell’Unione Europea (1007 del 2011) i commercianti infatti rischiano grosso, con multe fino a 3.098 euro in caso di etichette non conformi. L’Ascom ha approfondito i dettami del nuovo regolamento europeo nel corso di un seminario che ha visto la partecipazione del segretario generale di Federazione Moda Italia, Massimo Torti, e dei vertici dell’Associazione per fugare ogni dubbio ed aiutare gli imprenditori a tutelarsi da eventuali sanzioni. L’obiettivo del progetto lanciato dalla Federazione Moda Italia è quello di creare maggiore consapevolezza tra le imprese del commercio, approfondire gli obblighi degli operatori commerciali sul controllo delle etichette dei capi venduti e sui rischi in caso di riscontri di vizi di etichettatura. Nel corso del seminario sono stati forniti consigli agli operatori commerciali per avere maggiore autorevolezza e forza contrattuale nei confronti dei fornitori.
«In un periodo già complicato per il commercio e in particolare per il settore abbigliamento e calzature, occorre evitare di subire ulteriori danni» hanno introdotto, in estrema sintesi, il presidente dell’Ascom, in rappresentanza anche della Camera di Commercio, Paolo Malvestiti, il direttore Luigi Trigona e il vicedirettore Oscar Fusini. «L’etichetta è una sorta di carta di identità di ogni prodotto tessile e accessorio e rappresenta oggi un oggetto di attenzione particolare da parte non solo del produttore, ma anche, e non con minori incombenze, dei commercianti – ha spiegato Torti -. In capo alla rete distributiva è infatti l’onere di controllo e rispetto della conformità dell’etichetta di ogni capo o accessorio venduto. È importante che i commercianti siano bene informati, le nuove regole europee, infatti, impongono alcuni criteri che, se non vengono rispettati, determinano una responsabilità del commerciante in solido con il produttore e sanzioni anche parecchio pesanti».
L’attenzione deve essere rivolta, in particolare, all’uso della lingua e dei codici meccanografici. «Per la salvaguardia e la tutela del consumatore finale è necessario che l’etichetta di un capo d’abbigliamento o accessorio sia riportata in modo chiaro e trasparente – ha aggiunto Torti -. In quest’ottica, il regolamento europeo impone che le etichette debbano riportare le denominazioni fibre tessili contenute nel capo in lingua italiana, mentre non devono essere riportate le abbreviazioni o codici meccanografici o altre formule poco trasparenti».
Il regolamento, su cui la Federazione Moda Italia si sta adoperando affinché la responsabilità della corretta etichettatura ricada – come sarebbe logico – sul produttore e non sul rivenditore, rappresenta un ulteriore obbligo per i commercianti già alle prese con contratti di fornitura sempre più pesanti. «Il rapporto con i fornitori diventa così ancora più asimmetrico, come se già non bastasse la rinuncia al diritto di rivalsa, che compare ormai tra le clausole contrattuali – evidenzia Diego Pedrali, presidente del Gruppo Abbigliamento e Calzature Ascom e consigliere nazionale di Federmoda Italia -. Ora il mancato rispetto delle regole di etichettatura si ripercuote anche sulla rete distributiva che non partecipa certo alla fase di produzione e non può far altro che limitarsi a constatare la conformità o meno di ogni singolo capo». E le tendenze moda non aiutano l’etichettatura: «Il trend di vintage e capi slavati, in voga sin dall’anno scorso, non agevola l’impresa – continua Pedrali -. Le aziende produttrici non hanno finora previsto, per ovvi motivi di costi, un passaggio ulteriore di lavorazione, così anche le etichette risultano “slavate”». Per quanto più stringente, la normativa europea tralascia tuttavia un aspetto fondamentale: la valorizzazione del “Made in Italy”, un marchio di immenso valore per la qualità e lo stile di capi e accessori che il resto del mondo ci invidia. «Purtroppo la questione del Made in Italy è rimasta ferma sui tavoli dell’Unione Europea, quando rappresenta un importante valore aggiunto per ogni abito, calzatura o borsa disegnati e realizzati in Italia – rileva il presidente -. Per ora, invece, di italiano ci sarà solo la lingua ad indicare ogni componente sull’etichetta».
Le polemiche non mancano da parte dei commercianti che hanno seguito con forte interesse il seminario. «È l’ennesima sorpresa che arriva dall’Unione Europea. Le norme ci inchiodano ogni giorno e appesantiscono il nostro lavoro, con il rischio di incorrere in pesanti sanzioni. L’etichettatura non tutela allo stato attuale né la produzione né la filiera italiana, che tanto ha investito ed investe ogni giorno nel Made in Italy – dichiara Lodovico Ruggeri, consigliere del Gruppo Abbigliamento e Calzature dell’Ascom e titolare dell’insegna che porta il suo nome a Costa di Mezzate -. Di contro non si tutelano nemmeno i consumatori, basti pensare alle dermatiti e ad altri inconvenienti riscontrati da chi ha acquistato capi, specialmente scuri, prodotti in Cina. Nell’era della globalizzazione l’italiano diventa obbligatorio solo nella lingua, non nei valori e nello stile che trasmette». «La questione dell’etichettatura è molto complicata – sottolinea Andrea Provenzi, di Provenzi Sport a Trescore Balneario, consigliere del Gruppo -. La sensazione è che le aziende produttrici abbiano scaricato il problema su di noi che nulla possiamo nella creazione delle etichette eppure abbiamo l’onere del controllo. È davvero assurdo che questo obbligo sia in capo nostro e che siamo soggetti a sanzioni, anche pesanti».
Roberto Rigoli del negozio Abitex di via Borgo Palazzo si unisce ai colleghi: «La normativa verte su questioni ridicole come l’obbligo di scrivere “cotone” anziché “cotton”, ma la cosa davvero inconcepibile è che ad essere passibili di sanzioni siamo anche noi commercianti. Sembra davvero illogico rivolgersi a noi. I controlli vanno fatti dai produttori non dai distributori e invece noi siamo in balia dei produttori».