Sacerdote: «Nell’abbigliamento 
non vedo prospettive confortanti»

Sacerdote: «Nell’abbigliamento non vedo prospettive confortanti»

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“Io mi chiedo, ma tutta questa gente dove era prima?”. Luca Sacerdote si interroga con una domanda a mezz’aria, intendendo con quel “prima”, tutto il tempo trascorso prima che scattassero i supersconti con messa in liquidazione del negozio, lo storico marchio che da 86 anni a questa parte campeggiava sul Sentierone. Sabato 28 settembre è stato un giorno, nel negozio superstite a quello “uomo” chiuso a dicembre di un anno fa in Galleria Santa Marta, modello “assalto al forno delle grucce”. Cachemere che è andato via come il pane.
Un avvio con il botto…
“Quello che mi premeva in questo periodo era realizzare, fare cassetto. Certo la svendita è partita con il botto, ma non nascondo una certa amarezza. Mi chiedo, tutta questa gente che è venuta in massa, dove era prima?”
Evidentemente l’occasione fa l’uomo…saldo.
“D’accordo, ma è un fatto che deve far riflettere i commercianti. Significa che la tipologia di clientela è divisa in due: quelli che vorrebbero acquistare e non possono farlo e quelli che potrebbero farlo, ma che, con gli armadi strapieni, preferiscono aspettare il saldo o, come nel mio caso, la svendita”.
Certo, la clientela fashion addicted, quella che cambia un capospalla perché largo un centimetro è in via di estinzione…
“Il 90% della clientela preferisce dare fondo ai capi che ha già, non ne acquista di nuovi perché in pochi mesi sono diventati più stretti o più larghi. La gente è piena di cose e molti meno soldi in tasca. Diluisce gli acquisti nel corso dell’anno, tanto prima o poi una qualche occasione spunta sempre. La scorsa primavera è stata la volta di Tiziana Fausti uomo, adesso tocca a me…Si tratta solo di aspettare l’occasione giusta per approfittarne”.
Più che il commercio sembra che sia cambiato il mondo…
“Il piccolo negozio sta scomparendo ed il commercio, soprattutto a gestione famigliare, fatica moltissimo. Avranno un futuro i negozianti proprietari dei muri, dal momento che il canone di locazione incide moltissimo nel far quadrare i conti. Resisterà chi è bravo a fare questo mestiere e chi ha impostato il proprio lavoro con un occhio verso i mercati esteri”.
È la fine di un certo tipo di negozio…
“Sul Sentierone c’erano moltissimi negozi medio piccoli che sono scomparsi. Anche Bergamo è piena di catene, Zara, Stefanel, Benetton…cioè i brand che si trovano dappertutto. Il centro della città è una duplicazione del centro commerciale. I negozi sono gli stessi”.
Una omologazione senza scampo?
“In Bergamo si salva Biffi, in via Tiraboschi, che ha saputo ritagliarsi uno spazio personalissimo e molto qualificato. Mentre l’unica che ha saputo dare lustro al Sentierone, insieme ai ragazzi che hanno rimesso in piedi il Colleoni, è stata Tiziana Fausti che ha saputo creare uno store di respiro internazionale. Lei fa un lavoro diverso, facendo commerce dei grandi marchi mentre io faccio il commercio al dettaglio. Si tratta di ambiti commerciali ed operativi completamente diversi, che generano flussi, canali e cash flow diversi. Riconosco alla Fausti una grande intuizione imprenditoriale, quella di aver guardato all’estero con grande anticipo sugli altri. Chapeau, ha percorso una strada innovativa. È senz’altro lei la più brava”. 
Perché non ha modificato il concept commerciale di Sacerdote? Forse sarebbe bastato quello, un restyling merceologico e di location…
“Non è una cosa così semplice. Avrebbe significato cambiare un’immagine molto tradizionale, legata indissolubilmente al passato, e con un investimento che non mi sono sentito di affrontare. In questi ultimi anni ho messo mano al patrimonio personale per ripianare le perdite di gestione. Purtroppo, nel commercio al dettaglio dell’abbigliamento, non vedo delle prospettive confortanti”.
Dove sta andando l’abbigliamento?
“Non so dove finiremo, certo è che i commercianti di abbigliamento scontano una concorrenza fortissima dei centri commerciali che assolvono anche ad una funzione, come dire, sociologica, soprattutto per le giovani generazioni. In questo senso, va detto che quando la tradizionale clientela che abbiamo conosciuto non ci sarà più, subentrerà questa new generation che non è cresciuta con la stessa “cultura commerciale”.
Altri concorrenti?
“Gli outlet, dove anche aziende di punta fanno grossi investimenti, soprattutto immobiliari. Ci sono produzioni intere pensate e realizzate per essere commercializzate negli outlet che pure, malgrado i prezzi concorrenziali, garantiscono buoni margini di guadagno. Senza dimenticare poi gli spacci aziendali, dove si può trovare anche il capo dell’ultima collezione ad un prezzo più che buono. Ovvio che anche il cliente più affezionato, ci va per risparmiare. Infine occorre mettere in conto anche la concorrenza on line. che personalmente non ho mai considerato come un’opportunità da sfruttare. Quante volte i ragazzi sono venuti a provarsi capi che poi hanno acquistato con la taglia giusta, on line”.
Last but not least, i saldi…
“È una strada dalla quale non si torna più indietro: i saldi vengono sempre più anticipati, certi negozi addirittura li avviano, con messaggi personalizzati, alla metà di novembre o a giugno quando la stagione non è ancora cominciata. Chi acquista un cappotto oggi a settembre, sapendo che a novembre lo trova a metà prezzo? Per due mesi si fa andar bene quello che si ha già nell’armadio. Solo le shopaholiche non sanno dire di no”.
È un consumo di nicchia…
“Esatto. Mancano i volumi delle vendite a prezzo pieno. Sono queste che riescono a mantenere in piedi, in vita il commercio. Se mancano quelle si chiude. Per l’abbigliamento vedo in atto un cambiamento strutturale; resteranno i negozi aziendali, quei grandi store monomarca che hanno fatto scelte commerciali radicali. Penso, ad esempio, alle grandi griffes che si trovano solo nelle vie della moda delle grandi città”.
Certo, Bergamo non è Milano…
“La clientela internazionale qui da noi è ancora una chimera. Il nostro turista è come dire low cost di nome e di fatto, arriva con il trolley e il marsupio in vita; entra, guarda, tocca i vestiti con le mani unte di pizza, ma alla fine non compra nulla. E i negozi devono fare i numeri, come tutte le aziende. Numeri e fatturati, anche grandi, altrimenti non solo non si guadagna, ma non si vive”.
Un bel quadretto…
“Attenzione, è facile trovare scusanti, dalle bancarelle alla chiusura delle strade, al tempo, ma l’elemento di fondo resta comunque l’abilità dell’imprenditore, la sua capacità di chi gestisce il negozio. Inutile dare colpe anche all’ente pubblico, al Comune, a quello che fa o non fa: c’è chi ha raddoppiato il negozio e chi come me, invece, lo ha chiuso. Occorre guardarsi un po’ dentro e fare un serio esame di coscienza. Il destino non è sempre cinico e baro”.
Che cosa c’è nel suo futuro?
“Bella domanda, sicuramente un periodo di riposo assoluto. Ho deciso di chiudere perché andare avanti così era troppo difficile. Quando un’azienda non funziona, si ha la sensazione di continuare a mettere acqua in un lavandino senza tappo. Temo, però, che ci saranno altre chiusure dolorose. Per me è un lutto, come se mi fosse morto un parente molto stretto, mi servirà tempo per elaborarlo. E poi vedrò. Domani è un altro giorno”.