Scusate la domanda banale: ma se a settanta giorni dal voto sul referendum il presidente del Consiglio si mette a parlare del ponte sullo Stretto di Messina e fa balenare 100 mila possibili nuovi posti di lavoro, tra fine novembre e il 3 dicembre (le urne saranno aperte il giorno dopo) che cos’altro ci prometterà? Memore dei luminosi esempi di Achille Lauro (quello che regalava una scarpa prima del voto e l’altra a risultato raggiunto) e di Silvio Berlusconi (ricordate il milione di posti di lavoro?), Matteo Renzi giorno dopo giorno sta sempre più entrando nella parte, che interpreta da consumato attore, dell’imbonitore da fiera di strapaese. Prometti, prometti, qualcosa resterà. E visto che con gli 80 euro ha fatto breccia nei cuori degli italiani che gli tributarono un clamoroso trionfo, da lui lungamente sfruttato ed abusato, alle elezioni Europee del 2014, eccolo pronto a sparare nuovi fuochi d’artificio per cercare di evitare la trappola che si è preparato con le sue stesse mani.
Lo ricordate? “Se perdo il referendum, il giorno dopo vado a casa” aveva garantito la primavera scorsa, quando ancora coltivava l’illusione di asfaltare gli avversari e di guadagnare, attraverso la vittoria al referendum, l’investitura per il prossimo Ventennio. Poi, però, sono arrivate le elezioni Amministrative e il responso per il Pd è stato assai deludente. Se non fosse stato per Beppe Sala, capace di salvare la ghirba in quel di Milano, si sarebbe potuto tranquillamente parlare di disastro.
Gli amici più seri e gli osservatori più equilibrati hanno cercato di far capire al premier che forse era il caso di accantonare la personalizzazione. Lui ha finto di cambiare strategia. In qualche occasione ha anche ammesso di avere sbagliato. Ma ormai la china è stata intrapresa. E allora, a fronte di sondaggi che danno il No in vantaggio o testa a testa con il Sì, Renzi ha pensato che non c’è altra strada che tornare a vellicare la tradizionale credulità degli italiani. Che storicamente son di bocca buona, lì per lì (e tanto basta al politicante di turno) digeriscono di tutto, salvo poi, a danno fatto, aprire gli occhi e impugnare il forcone contro il mentitore.
Su questo punta il Giovin signore fiorentino, icasticamente definito il Ganassa da Giampaolo Pansa. Sa che, sondaggi alla mano, il voto per il Sì è particolarmente basso al Sud e quindi ammannisce al popolo bue la fola del ponte sullo Stretto (subito inseguito da quell’altro fenomeno della Magna Grecia che risponde al nome di Angelino Alfano). E chissenefrega se quello che parla oggi è lo stesso Renzi che il primo ottobre 2012, da candidato alle primarie del Pd, diceva tranchant: “Basta parlare del ponte di Messina, i soldi li dessero alle scuole”. In linea, peraltro, con tutto il politburo del Pd, da Franceschini a Giachetti. Un’altra delle peculiarità degli italiani è la memoria corta. Chi vuoi che si prenda la briga di andare a vedere se il presidente del Consiglio ha cambiato idea? Quella è materia da rosiconi, quella brutta gente che non sa stare al mondo e non capisce che il governante di turno non va criticato e incalzato ma solo adorato.
Ma chissà che una volta tanto non possa arrivare uno scatto d’orgoglio, anzitutto dal Meridione che deve dimostrare di non essere un facile serbatoio elettorale alla mercè del demagogo congiunturale. Questo sì, al di là del merito, sarebbe il segno di una svolta. Perché dev’essere chiaro, comunque la si pensi sulla riforma che ci verrà sottoposta, che le regole sono neutre, diventano buone o cattive a seconda dell’uso che se ne fa. Ma soprattutto, non ci evitano il malcostume di chi continua a fare della politica uno sgradevole e perverso mercato delle vacche.