Patelli: «Troppi negozi sfitti? È anche perché sono vecchi e non a norma»

Patelli: «Troppi negozi sfitti? È anche perché sono vecchi e non a norma»

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Tasse elevatissime e un parco di negozi, uffici e capannoni chiusi che non trovano compratori. Il quadro del mercato degli immobili commerciali e industriali bergamasco non è incoraggiante. «Per vedere davvero una ripresa – dice Luciano Patelli, presidente Fimaa Bergamo – ci vorranno ancora otto-dieci anni».  

Luciano Patelli
Luciano Patelli

Almeno, il mercato del residenziale è in leggera ripresa e i prezzi si stanno stabilizzando.

«Le compravendite sono per lo più legate all’acquisto della prima casa, anche grazie al calo del valore di case e appartamenti. E questo aiuta molto anche le banche a erogare mutui più proporzionati sulla capacità di spesa del cliente, tra reddito e costo dell’immobile».

Da cosa dipende la crisi del mercato non residenziale?

«Fatta eccezione per alcuni uffici di prestigio nel cuore di Bergamo, richiesti dai professionisti, immobili industriali e uffici sono ormai obsoleti e non rispondono più alle esigenze di chi vuole comprare, a meno di investire somme ingenti per riqualificarli. Inoltre spesso non sono supportati da parcheggi o da servizi pubblici. Così oggi chi compra un ufficio o un capannone lo cerca fuori, nei centri direzionali che sono nuovi e hanno tutti i servizi. Lo stesso vale per i negozi. A Bergamo ci sono più di cento negozi sfitti. Non hanno più le caratteristiche sanitarie e urbanistiche necessarie. I proprietari dovrebbero investire per metterli a norma – ma i più non lo vogliono fare – oppure ridimensionare i prezzi di locazione o di vendita così che possano sistemarli gli acquirenti, ma anche qui stentano. Il risultato è che, anche se sono in una bella posizione, rimangono vuoti».

Come sarà il 2016?

«Non vedo una ripresa a breve termine. Le tassazioni sul sistema immobiliare, a partire da quelle statali fino a quelle comunali, sono troppo pesanti, grossi investitori non ce ne sono e anche il piccolo investitore è scomparso. La piccola parte di mercato che rimane la può fare chi cerca un capannone per la nuova sede o, nel commercio, chi spera di fare un cambiamento nella propria vita lavorativa, ma si tratta spesso di persone che non hanno le competenze professionali, quindi le locazioni sono brevi e questo porta a una perdita di qualità».

Cosa si può sperare?

«Che ci sia più chiarezza sul valore degli immobili e che almeno si arrivi a un mercato stabile. C’è ancora qualcuno che propone prezzi alti e non riesce ad adeguarsi ai nuovi valori e così blocca il mercato. Devono capire che sono fuori mercato, il calo dei valori non è un ribasso di mercato, ma un riposizionamento del valore reale. Non si tornerà più ai prezzi di prima della crisi».

In tema di negozi e locali, si stanno affermando degli accordi che prevedono i primi cinque-sei mesi di affitto gratuiti. Il mercato può trarne beneficio?

«Sono tentativi di aprire nuove attività che non possono portare nessun risultato, testimoniano solo la disperazione che c’è in giro. Alcuni negozi messi in zone degradate non hanno più motivo di esistere. Con la tassazione e gli obblighi che ci sono, solo se si ha un progetto che ha concrete possibilità di arrivare a fatturati importanti si può sopravvivere, in caso contrario, si viene uccisi subito dagli oneri, anche burocratici».

Quali tipi di negozi chiede il mercato?

«Da un po’ di tempo, si stanno affermando i parchi commerciali, medie strutture da 400-500 metri in su. Si tratta di negozi a cielo aperto con strade carrabili, parcheggi e punti ristoro di grandi gruppi. Normalmente si sviluppano intorno ai centri commerciali o in zone strategiche con tanto passaggio. Sono tutte attività che portano danno al classico negozio di vicinato».

Le aziende invece che esigenze hanno?

«Un nuovo fronte molto importante che si sta aprendo è quello del capannone in acciaio. Hanno costi più bassi e quando devono essere demoliti si può recuperare l’acciaio».

Come va il mercato delle seconde case?

«Oggi, con il peso delle tasse, la gente non se le può permettere, anzi molti le mettono in vendita. Alcuni le stanno prendendo in affitto per trarne reddito come case vacanze e b&b. È un fenomeno ormai affermato che deve essere ancora regolamentato in modo intelligente. Noi non siamo favorevoli, non è liberismo, ma anarchia».

Come vede il futuro dell’agente immobiliare?

«La nostra professione deve evolversi per dare una consulenza a 360 gradi, così da garantire che la compravendita si definisca davanti al notaio senza problemi o contrattempi e che il cliente sia pienamente soddisfatto. Se non lo facciamo, siamo finiti».

Su quali progetti siete impegnati in questo momento come categoria?

«Ultimamente, le banche si sono buttate sul nostro servizio ma non hanno la nostra conoscenza del mercato e la nostra professionalità. Per questo abbiamo iniziato un percorso di collaborazione con Ubi Banca e siamo aperti anche ad altre banche del territorio che non fanno servizi immobiliari».