Ragazzi, come vorreste le banconote? Disegnatele e partecipate al concorso della Banca d’Italia

Il bozzetto del liceo artistico Giacomo e Pio Manzù di Bergamo, vincitore del concorso "Inventiamo una banconota" nell'edizione 2014-15
Il bozzetto del liceo artistico Giacomo e Pio Manzù di Bergamo, vincitore del concorso “Inventiamo una banconota” nell’edizione 2014-15

Come disegnerebbero gli studenti una banconota? Quali colori e immagini utilizzerebbe e che messaggio trasmetterebbe passando di mano in mano?

È la stimolante sfida lanciata dal Premio per la scuola “Inventiamo una banconota”, ideato da Banca d’Italia e Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca e giunto alla quarta edizione.

Per l’anno scolastico 2016/2017 il tema del Premio è “Progettare il futuro; idee per un mondo che cambia”. Gli studenti e i loro insegnanti dovranno realizzare il bozzetto di una banconota in cui siano immaginati momenti della vita nel futuro. Conoscenza, formazione, lavoro, tecnologia, sensibilità ambientale e sociale, eredità del passato sono le variabili su cui investire affinché il futuro si trasformi in un posto migliore in cui vivere.

Possono partecipare le scuole primarie e secondarie in territorio nazionale e all’estero, statali e paritarie. Le iscrizioni devono essere effettuate entro il 1° febbraio 2017. Gli elaborati dovranno pervenire entro il 1° marzo 2017. Il bando è disponibile su https://premioscuola.bancaditalia.it.

Come per le passate edizioni, le tre classi vincitrici (una per la scuola primaria, una per la scuola secondaria di primo grado e una per la scuola secondaria di secondo grado) saranno premiate presso la Fabbrica della Banca d’Italia in cui si producono le banconote e riceveranno la stampa della banconota da loro ideata e un assegno di 10.000 euro per il finanziamento della propria scuola.

Gli alunni visiteranno anche la Fabbrica, per vedere “dal vivo” come si stampano gli Euro. “Inventiamo una banconota” è parte del progetto “Educazione finanziaria nelle scuole” portato avanti dalla Banca d’Italia per elevare il livello di alfabetizzazione finanziaria dei ragazzi.


Il futuro di Ubi tra banca unica e “good bank”

Ubi bancaNel giro di una settimana, Ubi potrebbe varare la banca unica, con l’accorpamento delle sue sette banche reti, ma restare ancora una holding. Che l’assemblea del 14 ottobre vari la fusione appare scontato: è troppa la convenienza in termini di risparmi e di efficienza di gestione per fermare un’operazione che, se non ci fossero stati personalismi e qualche problema tecnico di assetto societario, di fatto risolti solo con la Spa, si sarebbe realizzata da anni. Ancora incerto è invece il fatto che ad aprile, a compimento dell’incorporazione a tre fasi dei sette istituti che sarà votata in assemblea, Ubi sia ancora una banca unica o non si trovi con altre controllate, ovviamente da fondere anch’esse, in prospettiva, una volta realizzata l’integrazione, prima di tutto dei sistemi informatici.

È ancora tutta da definire la trattativa per rilevare tre delle quattro “good bank” nate dalla risoluzione di un anno fa, ovvero Popolare Etruria, Banca Marche e Carichieti, lasciando perdere proprio quella Cariferrara che all’inizio sembrava potesse essere il primo obiettivo. Giustamente Ubi non vuole rimanere invischiata in un’operazione che presenta opportunità interessanti, a partire dal salto di qualità da istituto multiregionale a veramente nazionale con una copertura anche di aree ora deserte, come la Toscana, ma anche rischi non indifferenti. Quindi, se l’operazione procede lentamente, e forse non verrà realizzata, è perché prima è necessario vedere e valutare le carte. Questo vuole dire, essenzialmente, controllare la qualità dei prestiti e capire a quanto ammontano non solo le sofferenze presenti (ora relativamente poche, considerato che i quattro istituti sono nati a crediti inesigibili zero, ma dopo un anno già pericolosamente in crescita), ma anche e soprattutto quelle potenzialmente future. E poi ottenere adeguate garanzie e le compensazioni del caso, anche per i costi che comunque dovranno essere affrontati per la ristrutturazione e il rilancio di banche che, se un anno fa sono state costrette alla bancarotta, devono essere rivoltate anche dal punto di vista gestionale.

Alla fine il conto potrebbe essere anche negativo. Del resto siamo in tempi di tassi negativi dove il costo del denaro esiste per chi fa il prestito, più che per chi lo chiede. Quindi non deve apparire paradossale nemmeno che le operazioni sulle Good banks si profilino come acquisizioni dove chi compra non paga, ma viene pagato, anche se non necessariamente in contanti. Nel caso di Ubi si ipotizzano infatti opzioni contabili-normative, come un riconoscimento dell’avviamento negativo da parte della Bce, l’immediato utilizzo dei modelli interni per il calcolo degli attivi a rischio o un intervento del Fondo atlante che rilevi i crediti problematici.

Anche se con ogni probabilità un aumento di capitale potrebbe essere necessario per Ubi – si parla di 300-400 milioni – più per una ulteriore cautela prudenziale, che per finanziare l’eventuale operazione, l’acquisto delle tre banche inevitabilmente dovrebbe avvenire a prezzi molto contenuti. Del resto, non c’è la fila per comprare gli istituti, anche perché non sono molti i gruppi che potrebbero ricavare dall’operazione sinergie e prospettive di ritorno dell’investimento. Inoltre questa è un’operazione che può interessare Ubi, sempre a condizione, come ribadisce in tutte le salse  il Ceo Victor Massiah, che crei valore, ma interessa soprattutto il sistema bancario e non solo per il danno di immagine e di credibilità che può derivare dalla vicenda. Entro sei mesi, il Fondo interbancario di tutela dei depositi deve restituire il prestito da 1,6 miliardi organizzato da Intesa Sanpaolo, Unicredit e la stessa Ubi per assicurare le risorse essenziali al riavvio delle quattro banche. Difficilmente i proventi della vendita potranno assicurare un rientro integrale delle risorse immesse per consentire il salvataggio e questo apre alla possibilità che il sistema sia chiamato a registrare nuovi esborsi per riuscire a liquidare quella che a seconda dei punti di vista è una “patata bollente” o una “opportunità”.

Del resto quest’anno ci sono già state almeno due acquisizioni bancarie dove il cliente è stato pagato. Recentemente la bresciana Banca Valsabbina ha chiuso l’accordo per l’acquisto gratis di sette sportelli di Hypo Alpe Adria Bank Italia (incluso quello di Bergamo) e di un portafoglio di mutui «performing» di circa 150 milioni di euro, ricevendo in più una «dote», di importo non svelato – si ipotizza una ventina di milioni,  a compensazione della cessione del ramo d’azienda – a titolo di contributo di avviamento. In precedenza Barclays aveva pagato 237 milioni per cedere 89 sportelli, con 3 miliardi di mutui residenziali  a CheBanca!, del gruppo Mediobanca. E pensare che nel 2007 Ubi Banca aveva ottenuto 488 milioni di euro dalla cessione di 61 sportelli alla Popolare di Vicenza. Insomma si è passati in neanche dieci anni da una situazione in cui la vendita di uno sportello bancario fruttava 8 milioni di euro a una in cui bisogna pagare 2,6 milioni per cederlo. Dato che questi sono prezzi di transazioni avvenute e non di ipotesi si può ben capire come sia cambiata la mentalità del mercato e perché siano così depresse le quotazione dei titoli bancari, ormai trattati a frazioni del patrimonio netto tangibile, non solo perché la loro redditività è bassa, ma anche perché quello che un tempo era un valore, adesso è diventato un costo.

 

 


Ubi Banca diventa sponsor ufficiale della Volley Bergamo Foppapedretti

ubibanca_foppapedretti_foto-gruppoIl Gruppo UBI Banca e Volley Bergamo Foppapedretti hanno siglato una partnership che prevede l’ingresso del Gruppo bancario, terzo in Italia per capitalizzazione di borsa fare l’ingresso tra gli sponsor ufficiali della prima squadra, oltre a prevedere il rilascio della carta prepagata Enjoy Volley Bergamo Foppapedretti, presto disponibile in tutte le filiali UBI Banca, e la realizzazione di campagne di promozione tramite attività di digital marketing. La partnership si inserisce nella più ampia strategia del Gruppo bancario di associare il brand UBI a marchi importanti e di richiamo internazionale nell’ambito dello sport. Negli ultimi mesi il Gruppo aveva annunciato l’assunzione del ruolo di Official Bank per Juventus F.C. e di Official Banking Partner di NBA (National Basket Association). “Uno degli aspetti meno evidenti del fare banca è l’importanza del ruolo che svolgiamo nel sostenere le attività di interesse sociale – afferma Andrea Moltrasio, Presidente del Consiglio di Sorveglianza di UBI Banca -. Tra queste rientra certamente lo sport che in casi di eccellenza come Foppapedretti, rappresenta il punto di riferimento che anima anche le organizzazioni giovanili e amatoriali”. “Volley Bergamo Foppapedretti non è solo la pallavolo di serie A – spiega Luciano Bonetti, presidente del Volley Bergamo – non sono solo i trenta trofei conquistati in oltre vent’anni di storia. Volley Bergamo è la passione delle giovani atlete che crescono nel nostro Settore Giovanile, sono le migliaia di tifosi che ci seguono in Italia e nel mondo. E sentire la vicinanza di UBI Banca al nostro movimento mi rende ancor più orgoglioso di questo connubio”. Alla presentazione sono intervenuti, oltre a Moltrasio e Bonetti, anche Riccardo Tramezzani, responsabile Area Retail UBI Banca, Giovanni Panzetti, direttore Generale della Volley Bergamo Foppapedretti, Osvaldo Ranica, direttore generale della Banca Popolare di Bergamo, Enrica Foppa Pedretti , vicepresidente della Volley Bergamo Foppapedretti. La squadra è stata rappresentata dalle atlete Eleonora Lo Bianco, Mina Popovic, Katarzyna Skowronska, Eva Mori, Suelen Pinto, Alessia Gennari, Martina Guiggi  e dall’allenatore Stefano Lavarini.

 


Borsa, Ubi banca e la quotazione tra giudizi e pregiudizi

Sulle teorie dell’asimmetria informativa sono stati vinti dei premi Nobel per l’economia, ma non si è ancora riusciti a decifrarne il mistero. Che è poi la base del mercato e della Borsa, il mercato per eccellenza. Da una parte c’è un venditore che sa molto dell’azienda, ma magari non sa i motivi per cui dall’esterno è interessante e appetibile, dall’altra c’è un acquirente che non sa tutto dell’azienda, ma sa qualcos’altro. A complicare il tutto è il fatto che non si sa mai esattamente cosa sia vero e falso, cosa sia una convinzione giusta o sbagliata, e cosa magari sia una falsificazione. Senza scendere nel filosofico, la settimana nera che ha appena passato Ubi, con cinque sedute consecutive tutte in forte ribasso (lunedì meno 2,7%, martedì meno 2,6%, mercoledì meno 1,7%, giovedì meno 1,6% e venerdì meno 4,4%), al di là delle tensioni borsistiche generali, e in particolare sul settore creditizio, è un caso particolare di assimetria informativa, dove il mercato crede di sapere qualcosa, che però non è detto accada.

ubi-banca1.jpgIl fattore temuto è il salvataggio di qualche banca più o meno fragile con il rischio che Ubi finisca invischiata in situazioni problematiche ed onerose. Il cd Victor Massiah ha sempre affermato che non intende fare alcuna operazione che non produca valore per Ubi, ma questo non basta più a tranquillizzare un mercato stressato e confuso da messaggi contrastanti su questa e su altre vicende. Ormai da due anni Ubi per la sua solidità patrimoniale viene regolarmente invocata come cavaliere bianco per ogni banca in difficoltà. Nella convinzione che ogni matrimonio proposto non farebbe che indebolire Ubi, il titolo che a inizio anno valeva 6,15 euro è rotolato fino a 2,17 euro venerdì 16 settembre, una performance che non si giustificherebbe di fronte a un bilancio patrimonialmente solido, una gestione operativa in attivo, una costante distribuzione di dividendo, una situazione dei crediti deteriorati sotto controllo e i costi già contabilizzati per il piano industriale che promette risparmi e sinergie. Insomma, in Borsa c’è l’idea diffusa che ci debba essere qualcos’altro che sta maturando e non è positiva.

Il mercato però è fatto da chi sa, da chi non sa e da chi crede di sapere. Se non ci fosse questa asimettria nessuno del resto comprerebbe o venderebbe e la Borsa avrebbe finito di esistere. Quello che per Ubi, in questi giorni, viene creduto vero anche se non si è ancora concretizzato e non è detto che si concretizzi è in particolare un intervento nell’acquisto delle quattro nuove “good bank”, ovvero la versione “risoluta” di Banca Etruria, Banca Marche, Cariferrara e Carichieti. In realtà l’interesse è stato più volte smentito in passato, con il ritornello che non c’è aperto nessun dossier, ma quando il mercato si convince di qualcosa è difficile fargli cambiare idea, anche perché a posteriori molte volte si è scoperto che alla fine ha avuto ragione. Per questa ragione, se non interverranno nuovi elementi che sgombrino definitivamente il campo dalle ipotesi, ovvero che Ubi rompa gli indugi o che le banche obiettivo trovino altri acquirenti – dato che anche le smentite più efficaci, in questa fase, lasciano il tempo che trovano -, si preannuncia una “nuttata” borsistica almeno fino a mese quando si chiuderà il termine per le manifestazioni d’interesse per le quattro banche e si capirà (forse) chi la sapeva veramente lunga e chi si è preso un abbaglio.

Al momento però si continua a restare nel campo di ipotesi che presentano inoltre tanti nodi da sciogliere. Le quattro good bank nascono infatti senza sofferenze, rimaste nel vecchio istituto, ma l’eredità della precedente gestione non è ancora del tutto chiara e sul piano operativo i primi mesi, seppure con tendenza al miglioramento, sono comunque in perdita. Non si conoscono poi i costi della necessaria ristrutturazione, oltre che dell’integrazione. E non si conosce nemmeno il prezzo d’acquisto, al di là del fatto che sarà sicuramente inferiore agli 1,6 miliardi del finanziamento erogato a novembre dal sistema bancario che auspicherebbe di poterli recuperare nella maniera meno parziale possibile. Sulla base di un acquisto a mezzo miliardo, gli analisti di Equita Sim hanno calcolato che con l’operazione, a perimetro invariato, l’indice patrimoniale Cet1 di Ubi scenderebbe da 11,4% a 9,1%, un livello che renderebbe inevitabile un aumento di capitale che, dato l’andamento della quotazione, non sarebbe molto gradito al mercato. La situazione sarebbe ovviamente meno pesante se l’acquisto fosse limitato a solo alcune (Cariferrara?) delle quattro banche. Ma le incognite e i dubbi che l’operazione apre, soprattutto con il sospetto che nonostante tutto l’acquisizione venga eterodiretta se non imposta, scavalcando l’istituto, fa diffidare il mercato, che nelle sue convinzioni non sta nemmeno valutando se queste operazioni hanno prospettive industriali, che a certi costi diventano interessanti. Vale più il pregiudizio del giudizio. E nel frattempo la quotazione si muove di conseguenza.

 


Ubi banca, al via il road show. Tappa a Bergamo il 29 settembre

Andrea Moltrasio, presidente del Consiglio di Sorveglianza, Letizia Moratti, presidente del Consiglio di Gestione e Victor Massiah, consigliere Delegato del Gruppo UBI Banca incontreranno gli azionisti, i clienti e gli interlocutori istituzionali nel corso di una serie di incontri organizzati dalla Banca tra il 21 settembre e il 10 ottobre. Lo scopo degli incontri è quello di presentare agli azionisti e alle comunità locali gli ambiti di attuazione del Piano Industriale 2019/2010 che saranno oggetto nella prossima assemblea straordinaria della Banca che si terrà il 14 ottobre a Brescia. Il Road Show prevede i seguenti appuntamenti: 21 settembre a Milano nella sede di  Confcommercio (Sala Orlando); il 22 settembre a Brescia (sede Ubi); il 23 settembre a Jesi; il 29 settembre a Bergamo al Centro Congressi Giovanni XXIII; il 3 ottobre a Varese; il 5 ottobre a Pavia e il 10 ottobre a Cuneo. Dato il limitato numero di posti, gli interessati possono prenotare la propria partecipazione attraverso il sito www.ubibanca.it oppure telefonando allo 035 221581.


Ubi, il 14 ottobre l’assemblea per la Banca unica

ubi-banca1.jpgA seguito dell’autorizzazione rilasciata da Banca d’Italia, il Consiglio di Gestione e il Consiglio di Sorveglianza di UBI Banca hanno deliberato la prosecuzione dell’iter societario relativo al progetto della “Banca Unica”. L’operazione prevede la fusione per incorporazione nella Capogruppo UBI Banca delle seguenti banche rete, Banca Regionale Europea, Banca Popolare Commercio e Industria, Banca Carime, Banca Popolare di Ancona, Banca Popolare di Bergamo, Banco di Brescia San Paolo CAB e Banca di Valle Camonica. Ora si procederà con la pubblicazione dell’avviso di convocazione dell’Assemblea straordinaria degli azionisti UBI che si terrà il 14 ottobre prossimo, alle 14:30. Il Progetto di fusione, le situazioni patrimoniali di UBI e delle banche rete, le relazioni illustrative, la relazione dell’esperto comune sulla congruità del rapporto di cambio e la restante documentazione assembleare saranno messi a disposizione del pubblico mediante deposito presso la sede sociale di UBI Banca e pubblicazione sul sito internet www.ubibanca.it (nella sezione Soci) nonché presso il meccanismo di stoccaggio autorizzato denominato “1info” (www.1info.it).


Credito, «il terziario bergamasco investe sul rilancio»

Cresce il fabbisogno finanziario delle imprese del terziario. Secondo i risultati dell’Osservatorio del Credito realizzato da Confcommercio-Imprese per l’Italia in collaborazione con Format Research, nel secondo trimestre 2016, l’indicatore congiunturale relativo all’esigenza di finanziamenti da parte delle imprese del terziario è passato da un valore di 39,6 a 40,9.

L’incremento del fabbisogno non va però di pari passo con l’aumento della richiesta formale agli istituti di credito. Dallo studio emerge infatti che nei mesi di aprile, maggio, giugno 2016 è rimasta invariata la percentuale delle imprese del commercio, del turismo, dei servizi che si sono recate in banca per chiedere il credito del quale avevano bisogno (un finanziamento, un affidamento o la rinegoziazione di un finanziamento o di un affidamento esistente): tale percentuale è risultata pari al 22,1% contro il 22% registrato a dicembre.

«L’indicatore nazionale rispecchia quanto sta avvenendo anche nella nostra provincia – afferma Antonio Arrigoni, direttore di Fogalco, la Cooperativa di credito di Ascom Confcommercio Bergamo -. Il fabbisogno aumenta, mentre il numero di finanziamenti è consolidato al dato dello scorso anno. Continua ad esserci una domanda di credito da parte delle imprese sia sul fronte degli investimenti che su quello relativo a nuove iniziative imprenditoriali. E stiamo esaminando richieste relative a piani di rientro da parte di aziende in difficoltà ma che hanno un buon progetto imprenditoriale e che intravedono una prospettiva di crescita. È un dato positivo che speriamo si mantenga anche nei prossimi mesi».

I dati della ricerca

Dalla ricerca confederale emerge invariata nel secondo trimestre 2016 la percentuale delle imprese del commercio, del turismo, dei servizi che si sono recate in banca per chiedere il credito del quale avevano bisogno: tale percentuale è risultata pari al 22,1% contro il 22% registrato a dicembre.

Si conferma, tuttavia, una percentuale di imprese (24,3%) che pur avendo bisogno di credito evita di chiederlo in banca a causa della scarsa fiducia nella situazione economica o per il timore di vedere respinta la propria richiesta (si tratta della domanda “inespressa”).

Per quanto concerne l’offerta, flette leggermente la percentuale delle imprese che hanno ottenuto il credito richiesto senza alcun problema (l’area di stabilità scende dal 38,7% al 38,2%) facendo ristagnare la percentuale di imprese effettivamente finanziate (8,4% contro il precedente 8,5%).


Banche e stress test, perché esultare è un po’ fuori luogo

montepaschi_1217Esultare per il superamento degli stress test da parte di quattro istituti italiani su cinque appare un po’ fuori luogo, essenzialmente per due ragioni. Prima di tutto perché, capovolgendo il discorso, i risultati peggiori, tra 51 banche europee, sono proprio di un istituto italiano, Montepaschi, l’unico che in caso di mercato avverso finirebbe addirittura con capitale sottozero.  E in secondo luogo perché anche un’altra promozione, quella di Unicredit, è stata così di misura, collocandola al quarto peggior posto d’Europa, che pone inevitabilmente la necessità di una ricapitalizzazione, per altro già ventilata, seppure per un importo non definito, ma che potrebbe arrivare a 5 miliardi, per irrobustire il patrimonio. Il nodo principale però è quello del Montepaschi, che ha presentato un piano di risanamento approvato sulla carta, anche dall’Europa, ma che deve passare dalla teoria alla pratica. Si basa essenzialmente su un aumento di capitale da 5 miliardi e sulla cessione di un portafoglio di sofferenze per 27 miliardi a un veicolo di cartolarizzazione per 9,2 miliardi, pari al 33% del valore lordo. Considerato che il Monte dei Paschi ha un tasso di copertura vicino al 66%, ovvero ha già accantonato perdite, svalutando le sofferenze di due terzi del valore nominale, la partita delle sofferenze si dovrebbe chiudere  con questa cessione senza produrre ulteriori perdite. Ma non è detto che un istituto a questo punto con i crediti in ordine sia appetibile per investirvi.

Quando un istituto chiede di punto in bianco cinque miliardi e in Borsa ha una capitalizzazione di un miliardo è chiaro che c’è molto che non sta andando. Non sarà facile trovare, insomma, investitori disposti a mettere soldi in una banca che sarà anche storica, ma non è ragionevolmente in grado di assicurare rendimenti adeguati all’impegno richiesto e non lo sarà per molto tempo.  Lo stesso problema del resto si sta registrando per trovare l’acquirente delle quattro banche oggetto della risoluzione di novembre (Etruria, Banca Marche, Carife e Carichieti), dove pure i bilanci sono stati completamente puliti a spese del sistema con un costo dal quale, in base alle proposte arrivate finora, difficilmente rientrerà. Gli ultimi aumenti di capitale bancari non sono peraltro andati bene. E’ riuscito quello del Banco Popolare da un miliardo richiesto dalla Bce come premessa per l’unione con Bpm, ma in quel caso la ricapitalizzazione non era legata a necessità di salvataggio. Sono stati dei flop invece quelli della Popolare di Vicenza e di  Veneto Banca, conclusi entrambi con l’intervento urgente da parte del fondo Atlante, che ne ha dovuto prendere il controllo.

Ma i precedenti non sono buoni per Mps anche solo guardando alla sua storia. Per la quinta volta in otto anni, dall’acquisizione di Antonveneta, che ha scatenato buona parte dei problemi attuali, Montepaschi chiede soldi ai soci, con operazioni che progressivamente hanno completamente stravolto l’azionariato, man mano che i vecchi proprietari (a partire dalla Fondazione) hanno passato la mano, diluendo la quota ad ogni richiesta non soddisfatta. Con questi ultimi 5 miliardi, il conto supera i 20 miliardi, ma nonostante questo il valore della banca attualmente non arriva, come detto, al miliardo. Aggiungendo ai cinque miliardi di Mps i probabili cinque di Unicredit, le banche italiane insomma chiederanno 10 miliardi in poco tempo ad azionisti generalmente delusi dai risultati: non è quindi scontato che vi sia una disponibilità nazionale a investire. Diverso può essere il discorso internazionale: in questi giorni si parla ad esempio di un interesse della cinese Fosun per Bcp, banca portoghese in difficoltà. Non si può escludere che da Pechino si possa guardare anche alla finanza italiana. Nonostante tutte le difficoltà, in ogni caso, magari con l’aiuto internazionale, non necessariamente cinese – Montepaschi e soprattutto Unicredit sono comunque sempre tra i primi gruppi non solo italiani  – è possibile che alla fine una soluzione la troveranno.

Il problema è che neanche allora saranno esaurite le criticità del sistema nazionale. Oltre alle quattro banche della risoluzione già citate, si devono ancora sistemare i crediti inesigibili nei due istituti del Nord Est, Popolare Vicenza e Veneto Banca salvati dal fondo Atlante, e di Carige. Più in generale, considerando anche quelli di Montepaschi, nel sistema ci sono circa 200 miliardi di sofferenze lorde, che scendono a circa 85 miliardi se si considerano quelle nette (la differenza, 115 miliardi rappresentano poste di bilancio sottratte negli anni agli utili per assicurare accantonamenti , o perdite di valore già spesate). E una volta risolto il problema patrimoniale si potrà anche metter mano a quello della redditività che, si vedrà nelle semestrali in questi giorni, negli ultimi anni è stata drenata proprio per cercare di risolvere le questioni delle sofferenze e degli adeguamenti richiesti dall’Europa. Insomma, forse ci sarà da esultare, ma non è ancora il momento.


Negozi di moda, finanziamenti su misura grazie all’accordo nato in Ascom

Parte da Bergamo l’accordo di collaborazione tra la Federazione Moda Italia e il Gruppo Ubi Banca che mette a disposizione di tutte le imprese commerciali lombarde dei settori abbigliamento, calzature, pelletteria e accessori uno specifico plafond di finanziamenti.

Realizzato in sinergia con Fogalco, la cooperativa di garanzia dell’Ascom di Bergamo, va a beneficio delle imprese che avviano entro la fine del 2016 programmi e progetti di investimento – riqualificazione, ristrutturazione, ampliamento, ammodernamento delle strutture o dei processi – o di sostegno nell’ambito della gestione ordinaria.

Il requisito per accedere è che l’impresa sia iscritta alla Federazione Moda Italia, la più importante organizzazione di rappresentanza del dettaglio e ingrosso dei settori abbigliamento, tessile per arredamento, tessuti per abbigliamento, calzature, pelletteria, accessori, articoli sportivi con oltre 35mila imprese commerciali piccoli e medie associate.

Il finanziamento proposto è di tipo chirografario a medio termine per un importo massimo di 100mila euro, con la possibilità di condividere eventuali deroghe. L’importo del finanziamento potrà essere al massimo pari a quattro volte il volume delle transazioni del Pos annuo, che sarà interamente canalizzato sul conto di regolamento del prestito. La durata massima è di 48 mesi, con rimborso in rate mensili posticipate costanti.

Il tasso proposto per la finalità investimenti è variabile indicizzato all’Euribor 3 mesi maggiorato di uno spread compreso tra il 2,65% e il 3,50%, a seconda del rating assegnato dalla banca. Per altre finalità gli spread vanno dal 3,15% al 3,95%.

Le spese di istruttoria sono ridotte nella misura dello 0,90% dell’importo del finanziamento, con un minimo di 300 euro e un massimo di 600 euro. Qualora intervenisse un Confidi, è previsto un ulteriore abbattimento del 50% delle spese di istruttoria con un minimo di 300 euro.

L’accordo riguarda le imprese del settore operanti in Lombardia e le banche del Gruppo Ubi Banca operanti sul territorio: Banca Popolare di Bergamo, Banco di Brescia, Banca Popolare Commercio &Industria, Banca di Valle Camonica.

«Sono soddisfatto per l’accordo che abbiamo stipulato – afferma Diego Pedrali, presidente del Gruppo abbigliamento di Ascom Confcommercio Bergamo e membro di Giunta della Federazione Moda Italia -, soprattutto perché è un accordo che ha una valenza lombarda ed è indirizzato a tutte le imprese del settore. Inoltre le condizioni offerte sono particolarmente vantaggiose e vanno a beneficio di una importante categoria che, nonostante le difficoltà del contesto economico, continua a svolgere un importante ruolo nell’economia del paese. L’accordo è frutto della collaborazione in atto tra Ascom Bergamo, Ubi Banca e FedermodaItalia, che ha scelto la nostra città per portare avanti e concludere un progetto così importante, la cui valenza potrebbe diventare nazionale. Dopo una primo rodaggio l’accordo potrà essere indirizzato alle 98 associazioni provinciali e alle 35mila imprese che fanno parte della nostra Federazione. È un aiuto che vogliamo offrire all’intero settore che nel 2014 ha visto chiudere 3.378 negozi e nel primo trimestre di quest’anno 1.749 attività. Per superare il momento di crisi attuale abbiamo pensato di mettere in campo un progetto che potesse dare ossigeno alle nostre imprese, coinvolgendo Ubi Banca che è presente su tutto il territorio nazionale. Vogliamo stimolare i nostri commercianti facendo loro conoscere questa nuova opportunità, che è un punto di forza del nostro sistema».

«Attraverso la società partecipata AsconfidiLombardia, soggetto intermediario finanziario vigilato, siamo nelle condizioni di prestare al sistema bancario una garanzia qualificata che consente all’imprenditore di ottenere risorse a condizioni agevolate – evidenzia Antonio Arrigoni, direttore di Fogalco -. Questo accordo consente inoltre di fornire all’impresa una consulenza mirata e personalizzata sulla propria situazione economica e creditizia, che permette di conoscere in maniera più approfondita la propria capacità e solidità finanziaria».

«La firma di questo accordo – dichiara Osvaldo Ranica, direttore generale di Banca Popolare di Bergamo – è importante sia per la nuova collaborazione attivata con una Federazione particolarmente rappresentativa di settori economici significativi per la nostra economia sia per la rinnovata sinergia con Ascom e la sua cooperativa di garanzia Fogalco, che si traduce in un quotidiano e reciproco essere al fianco delle aziende del territorio di cui siamo Banca di riferimento».

«L’accordo raggiunto con FedermodaItalia – aggiunge Luca Gotti, direttore territoriale di Banca Popolare di Bergamo – ci consente di mettere a disposizione di tutte le aziende iscritte una forma di credito, quella del finanziamento chirografario, con condizioni dedicate e finalizzato a sostenere sia l’avvio di programmi e progetti di investimento sia le più ordinarie esigenze della gestione operativa tipiche delle imprese del settore del commercio».

Per informazioni: Fogalco tel. 035 4120321.


Accordo Ascom-Popolare di Vicenza, nuove convenzioni per gli associati

L’Ascom di Bergamo e la Banca Popolare di Vicenza hanno rinnovato nei giorni scorsi l’accordo siglato nel settembre 2013, aggiornandolo ed integrandolo con nuove opportunità per gli associati.

Il pacchetto comprende condizioni agevolate su conti correnti, sistemi di incasso e pagamento e alcune forme di elasticità di cassa come l’anticipo sugli incassi Pos calcolato sul transato trimestrale. Le maggiori novità riguardano due strumenti di finanziamento: un prestito chirografario entro i 18 mesi non finalizzato e uno, sempre chirografario, della durata massima di 84 mesi, per un importo fino a 50mila euro, destinato alle start up. Ci sono inoltre alcuni servizi di base per l’operatività con l’estero.

L’intesa pensa anche alle esigenze personali degli imprenditori associati Ascom e di tutti i loro dipendenti. Prevede per entrambi i profili un conto corrente a costo zero e un affidamento fino a 5mila euro al tasso del 4,75%. «Con l’ingresso del fondo Atlante e l’aumento di capitale da 1,5 miliardi di euro – hanno evidenziato Diego Ipprio e Maurizio Rossi, responsabili di area e del mondo dei confidi della Popolare di Vicenza – sono rientrate le criticità emerse a fine anno. La banca è stata messa in sicurezza ed oggi la situazione patrimoniale è tra le migliori del settore. L’istituto di credito è pronto a scendere in campo mettendo a disposizione due miliardi per operazioni da qui alla fine dell’anno».

«L’economia mostra segnali di miglioramento, ma il momento resta difficile – ha affermato il presidente dell’Ascom di Bergamo Paolo Malvestiti -. Compito dell’associazione è ricercare tutti gli strumenti che possano essere d’aiuto alle aziende per uscire da questa lunga crisi. L’attenzione al mondo del credito è una delle priorità e l’accordo con la Banca Popolare di Vicenza si inserisce nel quadro delle nostre trattative con i diversi istituti per mettere a disposizione degli associati servizi e prodotti interessanti».

Per informazioni e dettagli sulle condizioni è possibile contattare in Ascom-Fogalco il numero 035 4120212.