Mattarella ai giovani: “Siate pronti a cogliere l’opportunità della cultura”

Il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha concluso oggi pomeriggio la sua visita a Bergamo intervenendo nell’aula magna dell’Università degli Studi di Bergamo, in Sant’Agostino, alla cerimonia d’ inaugurazione dell’anno accademico 2016/2017. Dopo l’esecuzione dell’Inno nazionale da parte del Gruppo di ottoni dell’Istituto Superiore di Studi Musicali “Gaetano Donizetti” e la prolusione del rettore Remo Morzenti Pellegrini, sono intervenuti il rappresentante degli studenti, Andrea Saccogna, e il rappresentante del personale tecnico-amministrativo, Rosalba Pellegrini. Quindi Philippe Daverio, Ordinario alla Facoltà di Architettura, ha svolto la Lectio Magistralis dal titolo “L’Europa che vorremmo: quella della cultura”. La cerimonia si è conclusa con l’intervento del presidente Mattarella che ha esortato i giovani “a cogliere l’opportunità della cultura”. Prima del rientro a Roma, il Capo dello Stato ha visitato la Basilica di Santa Maria Maggiore, il Duomo e la Biblioteca Civica “Angelo Mai”.

In mattinata, Mattarella si è anche recato in visita alla sede del quotidiano “L’Eco di Bergamo”, accolto dal direttore del quotidiano, Alberto Ceresoli. Qui ha visitato il percorso espositivo “Nicolò Rezzara, a cent’anni dalla morte, l’architetto sociale della solidarietà” e ha incontrato i membri del Consiglio di Amministrazione e la redazione del giornale. Martedì sera, al Teatro Donizetti, il presidente ha invece assistito al concerto dell’Orchestra Giovanile Luigi Cherubini diretto dal maestro Riccardo Muti, in occasione del 50° anniversario del suo debutto che ebbe luogo proprio a Bergamo nel novembre del 1966.

 

 


Italia-Russia, scatta domani la “Task Force” in fiera

Scatta domani, al Polo Fieristico di via Lunga, a Bergamo, la 25esima “Task Force Italia-Russia sulla collaborazione per lo sviluppo delle Pmi e dei Distretti”: un appuntamento molto atteso, che si concluderà venerdì con le visite alle imprese e ai Distretti locali, e a cui sono registrati oltre 400 persone e imprenditori, oltre un quarto dei quali provengono da Piccole e Medie Imprese russe. La Task Force è un foro economico-istituzionale, cui sono chiamate a partecipare le principali realtà italiane e russe preposte allo sviluppo ed all’internazionalizzazione delle Pmi, quali le Regioni, le Associazioni di categoria, le Federazioni, le Confederazioni, i Consorzi, le Università, i Poli tecnologici, il sistema camerale, quello fieristico, nonché le imprese. I lavori della sessione di Bergamo saranno incentrati prevalentemente sullo sviluppo della collaborazione nei seguenti settori, che saranno oggetto di appositi “Tavoli tematici” :

–   Meccanica strumentale (attrezzature per l’agricoltura, agri-food, macchine per la lavorazione della plastica e della gomma, elettromeccanica, macchine per la lavorazione del legno, meccano-tessile);

–   Chimica/Farmaceutica (tecnologia, attrezzature per uso medico, prodotti farmaceutici, cosmetica e nutriceutica);

–   Sistema casa (arredamento e complementi di arredo, domotica, illuminotecnica, edilizia, smart cities).

La “Task Force italo-russa sui Distretti e le Pmi” è stata istituita durante il vertice di Mosca e Sochi nell’aprile 2002. Le sessioni si tengono due volte l’anno, alternativamente in Italia e in Russia, con l’obiettivo di sviluppare la collaborazione tra le principali realtà dei due Paesi preposte allo sviluppo ed all’internazionalizzazione delle Pmi, quali Amministrazioni, Regioni, Associazioni di categoria, Federazioni, Confederazioni, Consorzi, Sistema Camerale, Sistema Fieristico, Università ed imprese. Vengono organizzati tavoli e seminari tematici incentrati soprattutto sui settori innovativi e delle alte tecnologie, in modo da conferire un più efficace impatto alla crescita delle relazioni economico-commerciali bilaterali. Fino ad oggi si sono svolte 24 sessioni della Task Force, che sono state realizzate in 10 regioni russe e in 10 diverse Regioni italiane. Durante ogni sessione della Task Force sono firmati, oltre a un Protocollo ufficiale, anche Accordi e intese tra privati e sono presentati progetti di collaborazione.

 

 


Feste di Natale, i bergamaschi non rinunciano al ristorante

Il prezzo resta un fattore importante per la scelta, ma il desiderio di trovarsi al ristorante per scambiarsi gli auguri prima delle Feste o di sedersi a tavola e farsi servire comodamente il giorno di Natale c’è. Il barometro dei ristoratori bergamaschi alla vigilia del periodo più importante dell’anno volge al bello. Nessun exploit, intendiamoci, ma il dato che emerge da un piccolo sondaggio realizzato nel corso del Natale del cuoco – l’evento conviviale dell’Associazione cuochi bergamaschi dedicato ai professionisti dei fornelli, tra i quali numerosi titolari di locali – è che i clienti non tradiscono l’insegna di fiducia e la scelgono per condividere anche la stagione dei brindisi.

«C’è voglia di Natale», sintetizza Tarcisia Belotti, del ristorante Cadei di Villongo. «Forse è per ritagliarsi un momento di serenità tra le tante brutte notizie che ci colpiscono ogni giorno – riflette -, ma mi sembra che sia più forte quest’anno il desiderio di fare festa e stare insieme. C’è sempre una grande attenzione al prezzo, la prima cosa che il cliente mette in chiaro è il budget che ha a disposizione e ormai più nessuno ordina bottiglie speciali ma si affida al vino della casa, eppure a passare una serata in compagnia non si rinuncia. Questo a noi piace, un tipo di accoglienza meno pretenziosa, che sottolinea invece l’aggregazione, il conoscersi un po’ tutti. Per il menù di Natale stanno già chiedendo informazioni, sono tutti nostri clienti».

«Da un po’ di anni ormai le difficoltà economiche si sentono – le fa eco Monica Vitale del Ristoro Pugliese di via Tasso, a Bergamo -, è un fatto con il quale ci dobbiamo ormai confrontare costantemente. Capita così che, per gli auguri, amici e colleghi preferiscano incontrarsi a pranzo, approfittando del menù a prezzo fisso, e se in passato in prossimità delle Feste facevamo affidamento sulle cene aziendali, oggi lo facciamo un po’ meno. Ad avere la meglio è il rapporto qualità-prezzo, il che non ci dispiace visto che è la nostra politica – annota -. Per il pranzo di Natale la scelta è legata alla fiducia, stiamo ricevendo richieste da chi è già nostro cliente, segno che si vuole andare sul sicuro».

Di tenuta parla Carlo Fontana, del ristorante pizzeria Belvedere di Mozzanica. «Per le prenotazioni è un po’ presto – rileva – ma i clienti cominciano a informarsi. Abbiamo preparato menù e programmi interessanti per Natale e Capodanno. Per ora con le cene di colleghi, delle squadre e delle scuole siamo sugli standard degli altri anni. Vanno molto i menù fissi, con casoncelli, risotto ai porcini, grigliate e fritto di pesce su tutti».

«Mi sembra persino strano – rileva Giuliana Carenini della Trattoria Del Moro di Ponteranica – ma quest’anno sta andando meglio dello scorso. Abbiamo già prenotazioni per Natale e per le cene di lavoro. Il menù di Natale è fermo da due anni a 45 euro, forse la gente fa due calcoli e trova comodo e conveniente farsi servire dall’aperitivo al caffè, senza dover cucinare in casa o andare in gastronomia». In tavola non mancheranno i casoncelli, preparati freschi in proprio da 47 anni a questa parte.

Un lieve incremento delle richieste lo rileva anche Giorgio Sarinelli che, sempre a Ponteranica, gestisce il ristorante Parco dei Colli. «Il mercato si sta svegliando – afferma -, ma i prezzi sono quelli dell’anno scorso, per fidelizzare il cliente non si può pensare di aumentare. Molto incerto è diventato il settore delle cene aziendali, tra chi ha chiuso, chi non fa più la cena e chi ha compresso il budget».

 

 

 

 

A Bottanuco Stefano Ghisleni e la moglie Elena Corbetta gestiscono da due anni e mezzo il ristorante Morlacchi. «Per riempire a Natale non ci sono mai problemi – dicono -, ma quest’anno qualcosa in più si sta muovendo anche sul versante delle aziende». Il loro menù per il pranzo del 25 dicembre costa 58 euro, esclusi i vini. «Per Capodanno invece chiuderemo, per mantenere il livello della nostra proposta dovremmo stare sui 150 euro e non saremmo competitivi». La carta del locale si caratterizza per crudité pregiate e tagli di carni speciali, «scegliamo materie prime eccellenti e le rispettiamo il più possibile, la nostra è una cucina ricercata, ma vera, in cui i sapori si riconoscono ed i clienti ci danno ragione».

Anche dalle Valli arrivano segnali di ottimismo. «Un incremento del turismo si intravede – dice Igor Regazzoni dell’Albergo ristorante Coira di Santa Brigida -. Forse è perché alcune mete internazionali come Sharm El Sheik stanno perdendo quota per il timore di attacchi, ma sembra che si preferisca stare vicino casa e riscoprire le Valli». E scegliere il Coira vuol dire soggiornare in una dimora storica di 200 e gustare gli originali ravioli di maschérpa e parùch.


Gorle, con commercianti e associazioni le luminarie brillano di più

Domenica 4 dicembre Gorle dà il via alle Feste con IlluminaGorle, la giornata che accenderà luminare natalizie definite senza precedenti per il paese, con 112 corpi illuminanti, 7 alberi al centro delle rotatorie e il coinvolgimento di 23 vie del paese, per un totale di 5,8 km di strade illuminate.

Il progetto si deve al comitato di commercianti Gorle Shop & Service, alla collaborazione dell’associazione Arca e alla partecipazione di 121 aziende, 9 associazioni compresa, per la prima volta, la Parrocchia.

L’appuntamento è inserito in un ricco programma di iniziative, in piazza Marconi dalle 9 alle 19. Ci saranno l’Eco Cafè, auto d’epoca, mostre fotografiche, sculture di artisti gorlesi, foto storiche del paese, hobbisti con creazioni originali e writers. Si potrà anche visitare l’esposizione dei prodotti delle imprese locali, ideali per lo shopping natalizio, ed approfittare dei punti ristoro per una pausa corroborante e golosa. Dalle 14 scatteranno le proposte dedicate ai bambini. Santa Lucia con l’asinello raccoglierà le loro letterine, il parco della biblioteca ospiterà una fattoria didattica (con sottofondo musicale del baghet, giro su pony con istruttori abilitati e leccornie natalizie per tutti) ed i trampolieri animeranno la festa con le loro performance.

All’imbrunire si procederà all’accensione delle luminarie in tutto il paese alla presenza delle autorità, delle associazioni, delle aziende, dei cittadini, della Parocchia, con l’accompagnamento musicale della band X-MAS, una formazione di insegnanti e allievi dell’associazione Suonintorno. Non mancherà il brindisi con spumante e panettone offerto a tutti. L’evento vuole essere un’occasione per migliorare la conoscenza, scambiare opinioni ed idee, far crescere ed amalgamare la comunità promuovendo i suoi protagonisti e le loro potenzialità.

In caso di maltempo, la manifestazione si terrà al parco dei Caduti (ex polveriera di via Martinella). Per aggiornamenti: arcagorle.itcomune.gorle.bg.itGorle shop & service


Osservatorio sulle imprese, ancora contrastato il mondo del Terziario

cameracom.jpgSaldo ancora positivo per le imprese bergamasche. A ottobre, secondo l’Osservatorio pubblicato dalla Camera di Commercio, sono state 474 le nuove società iscritte al Registro delle imprese e 448 quelle cessate, con un saldo di 26 unità. Nel complesso, lo stock di imprese attive è risultato pari a 85.593 unità, tuttavia in calo (-200) rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente. Conferma il suo periodo contrastato il mondo del terziario. Il commercio all’ingrosso e al dettaglio segna una battuta d’arresto con un numero d’imprese attive che passa da 20.044 dell’ottobre 2015 a 20.013 del mese scorso (-0,2%), mentre le attività dei servizi di alloggio e di ristorazione (5.834 imprese attive) fanno segnare una crescita dell’1,5% e il comparto noleggio, agenzie di viaggio, servizi di supporto alle imprese (2.592 società attive) segna in aumento del 4,9%. In leggera sofferenza, complice la grave crisi che colpito l’edilizia, il settore immobiliare che a ottobre registra una variazione negativa dello 0,5% con uno stock di imprese attive pari a 6.182 unità. In flessione anche il manifatturiero (-1%) con 11.103 imprese attive, e il comparto delle costruzioni (-2,3%) che a ottobre ha visto il totale delle società calare da 18.705 a 18.283. Continua la crescita delle attività finanziarie e assicurative (+1%), sanità e assistenza sociale (+4,7%) e le attività artistiche, sportive, di intrattenimento e divertimento (+3,9%), mentre fa segnare un – 5,% il comparto delle forniture di energia elettrica e gas.

 


Medaglia d’oro a Muti. Il maestro: “Grazie Bergamo”

unnamed-1Il maestro Riccardo Muti, ospite del Festival Donizetti Opera per il cinquantesimo anniversario del suo esordio a Bergamo, con un concerto in programma stasera al Teatro Donizetti, ha ricevuto oggi pomeriggio la medaglia d’oro da parte del Comune di Bergamo nel corso di un Consiglio straordinario. Presente anche il presidente della Regione Lombardia Roberto Maroni che ha parlato di “giusto riconoscimento a un grande maestro”. Muti ha ringraziato per il riconoscimento tributatogli dalla città di Bergamo a cui è legato il ricordo della sua prima direzione d’orchestra. mail05tx0038


Start-Up Factory, anche Bergamo fa scuola ai nuovi imprenditori

start-up-factory-2Anche Bergamo ha portato la propria testimonianza a “Start-Up Factory”, il grande evento che Confcommercio Lombardia e Cariplo Factory, in collaborazione con Capac Politecnico del Commercio e Scuola Superiore, hanno organizzato allo Spazio “Base” Area ex Ansaldo di Milano, dedicato a start up, a imprese che vogliono avviare un percorso di rete, aspiranti imprenditori e liberi professionisti, ma anche agli studenti.

Obiettivo dell’incontro era offrire strumenti per dare corpo all’idea imprenditoriale o consolidare l’impresa già avviata, attraverso focus di informazione e orientamento sui diversi aspetti del business, con la possibilità di partecipare a desk di consulenza gratuita.

A raccontare la propria esperienza anche Luca Bonicelli, presidente del Gruppo Giovani dell’Ascom di Bergamo, che sta traghettando la salumeria di famiglia a Villa d’Ogna, classico esercizio di vicinato, verso il catering, con puntate anche all’estero. «Fare impresa oggi non significa solo sviluppare progetti high tech – spiega Bonicelli -, ma anche rinnovare e sviluppare qualcosa che c’è già. E non conta nemmeno da dove si viene, ma contano dove si vuole andare, la passione e la volontà per arrivarci. Nel mio caso, da perito chimico sono finito a fare il cuoco e l’imprenditore, mi sono ritrovato a portare avanti un’attività storica con la necessità di aprire anche nuovi orizzonti, in pratica una start up anche se non nell’accezione propria del termine».

Chi vuole lanciarsi in un’attività in proprio deve però muoversi con attenzione, perché se è vero che la nuove aperture in Lombardia sono in media 160 al giorno (33mila nel primo semestre), in prevalenza nel terziario (il 64,7%) e per un terzo su iniziativa di giovani, è altrettanto vero che quasi un terzo del totale non arriva ai tre anni di vita. «Fare impresa si può, ma non deve essere una scelta di ripiego, magari perché non si trova lavoro o lo si ha perso – prosegue Bonicelli -. È un percorso che va costruito con scrupolo, informandosi, studiando il mercato, valutando tutti i costi di gestione. In questo le associazioni di categoria come la nostra possono aiutare, dando indicazioni e supporto. È un tema che come Gruppo Giovani seguiamo con particolare interesse e che vogliamo sviluppare per proporci sempre più come un punto di riferimento per la nuova imprenditoria. Confrontarsi e fare rete è infatti importante, non solo dal punto di vista professionale, ma anche umano».

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La Fipe: ristorazione in crescita, ma trovare cuochi e camerieri resta difficile

La ristorazione in Italia riparte e fa largo ai giovani ma mancano figure professionali, in particolare cuochi. E’ quanto emerge da un’indagine di Fipe (Federazione Italiana Pubblici Esercizi) presentata nei giorni scorsi nell’ambito dell’evento “Food and Wine in Progress”. Mentre i consumi alimentari delle famiglie per i pasti in casa continuano a scendere (hanno perso oltre 12 punti percentuali dal 2007 al 2015), è stato rilevato che dal 2013 la spesa per il “fuori casa” ha ripreso a salire in maniera via via più marcata. E con essa è cresciuta anche l’occupazione nel settore: +1,5% dal 2008 al 2015, con una variazione positiva di 96mila nuovi addetti che non ha riscontri in nessun altro comparto economico, fatto salvo quello dei servizi. Non solo: con il 72% di dipendenti “under 40”, la ristorazione si dimostra un settore ideale per i giovani. Tra le figure professionali più richieste dalle aziende ci sono cuochi, aiuti cuochi, camerieri, baristi, pasticceri e gelatai artigianali. In alcuni casi, si legge in una nota, si tratta di personale di difficile reperimento, segno forse che le scuole dovrebbero dialogare di più con le imprese per predisporre percorsi formativi adeguati alle esigenze effettive del mercato.


Quante cantonate sulla storia del riso. Pure Cracco ne ha presa una

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«Qual è il piatto che unisce l’Italia?» – tuona Carlo Cracco in una delle puntate d’apertura dell’ultima edizione di Hell’s Kitchen. Schierata dinnanzi all’impudente mattatore, la spaurita brigata di cucina appare ancor più esitante del solito. «Il riso» – azzarda un commis di chiare origini sicule. Per quanto assai più pertinente della pizza che lo chef vicentino vorrebbe sentirsi suggerire, la risposta è da questi accolta con un’irridente canzonatura: “Certo, chi non conosce le celebri piantagioni siciliane di riso?”. La frecciata del nume televisivo dei fornelli sibila tra i risolini di condiscendenza degli astanti. “Ma gli arancini?” – si schermisce l’ingiustamente sbeffeggiato concorrente, cui nessuno presta però più attenzione.

Pur senza ubique coltivazioni, è in realtà indiscutibile che il riso sia profondamente radicato nella tradizione culinaria di quasi ogni angolo del nostro paese. E proprio la Sicilia fu il portale attraverso il quale, su impulso arabo, il cereale fece nel cuore del medioevo il suo definitivo approdo alla gastronomia della Penisola. Oltre che dai famosi arancini, questo importante passaggio storico è eloquentemente documentato da un manicaretto tutt’oggi in voga nel levante della Trinacria: la tummala, un timballo strettamente imparentato con i polow della cucina persiana. La singolare denominazione della vivanda è legata all’emiro-gourmet Mohamed Ibn Thumma, reggente di Catania nell’XI secolo, che nell’epopea dei paladini ha estorto discutibili simpatie tradendo i correligionari per stringere alleanza con il normanno Ruggero I d’Altavilla.

Quella su cui è sdrucciolato l’ineffabile Cracco non è certo la prima – ed a fortiori neppure la più illustre – delle topiche nelle quali, discettando di riso, sono incappati gastronomi e uomini di scienza. Già nel I secolo d.c. Plinio il Vecchio scriveva che lo stelo della graminacea è corredato di «foglie carnose, simili a quelle del porro, ma più grandi». Tale descrizione appare, ad essere generosi, quantomeno fantasiosa. A discolpa dell’illustre naturalista, v’è da precisare che all’epoca il cereale non era ancora coltivato in Europa e che dunque, con ogni probabilità, mai lo studioso aveva avuto facoltà di ammirarne una pianticella con i propri occhi. Diciassette secoli più tardi toccò nientemeno che al sommo Carlo Linneo, padre della moderna classificazione degli esseri viventi, prendere un veniale granchio collocando in Etiopia – e non, come successivamente assodato, in estremo oriente – la località d’originaria provenienza dell’oryza sativa.

Di minor indulgenza sono invece meritevoli gli svarioni dei quali sono zeppe parecchie pagine a stampa dei nostri giorni. Scrivendo ad esempio del vialone nano veronese, tal Marino Melissano, compilatore di una trattato dall’ampollosa titolazione di “Alimentologia”, sostiene che «la sua coltivazione fu spinta dalla Repubblica Serenissima di Venezia». Peccato che la celebre varietà risicola fu ottenuta per ibridazione presso la Stazione Sperimentale di Vercelli solo nel 1937 – ovverosia quasi un secolo e mezzo dopo la caduta dello Stato Veneto per mano del Bonaparte. A rincarare la dose ci pensa Rosalba Gioffré in un libello dedicato al “Vegano Italiano”. Nel trattare di risi e bisi – piatto che il giorno di San Marco era servito sulle mense dei Dogi – l’immaginifica gastronoma si spinge addirittura a speculare sul cru della graminacea di cui si sarebbero approvvigionati gli antichi cucinieri di Palazzo Ducale, azzardando chimericamente che «il riso utilizzato è sempre stato il vialone nano di Grumolo delle Abbadesse».

In effetti, le varietà risicole attualmente in voga nella nostra cucina hanno alle spalle una storia relativamente recente. Sino alla fine del XVIII secolo di fatto se ne conosceva solamente una – l’ormai estinta nostrale – appartenente alla sottospecie nota come indica. Si doveva trattare di un ceppo a grani cilindrici ed allungati, probabilmente simili a quelli dell’esotico basmati che oggi è agevolmente reperibile anche presso la grande distribuzione. All’inizio dell’ottocento le risaie iniziarono tuttavia a subire gli attacchi di un appestamento botanico – il cosiddetto brusone – il cui impatto sulla coltivazione della graminacea fu non meno devastante di quello che la fillossera avrebbe di lì a pochi decenni avuto sulla viticoltura. L’ottenimento di cloni cerealicoli resistenti alla patologia, che scamparono la risicoltura del nostro paese da un’altrimenti certa capitolazione, fu esclusivo merito di due autentici eroi della storia agricola Italiana, tanto schivi in vita delle luci della ribalta quanto ingiustamente relegati in un postumo oblio.

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Il primo dei due personaggi rispondeva al nome di padre Giovanni Calleri, un tenace gesuita sabaudo spedito nei primi decenni del XIX secolo ad evangelizzare i selvaggi delle Filippine. Sulla via del definitivo rientro a casa, l’ardimentoso canonico riuscì a trafugare dalla Cina le sementi di ben 43 varietà risicole endemiche, appartenenti alla sottospecie denominata japonica, la cui esportazione dal Catai era all’epoca (1839) severamente interdetta. Le pianticelle che germinarono dai chicchi arraffati dal religioso, immuni al brusone e produttive di grani pingui ed oblunghi, assicurarono le fondamenta genetiche delle principali tipologie di riso oggi coltivate nella Penisola.

La seconda figura è quella di Ettore De Vecchi, un caparbio agronomo pavese che nella prima metà del novecento dedicò la propria esistenza a selezionare nuovi cloni di elevato profilo qualitativo. Povero al punto da non potersi permettere un’automobile – perì infatti quasi ottuagenario travolto in sella alla sua vecchia motocicletta – De Vecchi fu l’indiscusso padre di molte tra le varietà d’eccellenza attualmente in dote alla risicoltura italiana. Tra queste hanno distinzione il carnaroli, cui per eccesso di modestia l’agronomo impose il nome di un collaboratore, ed il vialone, che ai nostri giorni sopravvive quasi esclusivamente nella versione ibridata con la varietà nano.

A pochi è infine noto che la coltivazione della nobile graminacea conobbe una timida quanto caduca fioritura anche nel nostro circondario. A metà dell’ottocento lo storico Gabriele Rosa censiva infatti diecimila pertiche a risaia sulla sponda meridionale del fosso bergamasco, in un distretto all’epoca vocato alla coltura del cereale per via degli acquitrini che ancora residuavano dall’antico lago Gerundo. Neppure lo stizzoso Cracco avrà dunque titolo a disconoscere che il riso sia a buon diritto da annoverarsi tra i prodotti storici della cucina di Bergamo.


Gli intollerabili commenti su Fidel tra realtà e nostalgie giovanili

fidel-castroCome ho sempre sostenuto, noi non siamo pronti per la storia: troppo impegnati a fare il tifo, troppo disposti allo schieramento, per avere il senso dell’oggettività storica. Andiamo avanti da settant’anni con gli strascichi di una guerra civile che, in altri paesi, sarebbe stata digerita da almeno mezzo secolo: ancora oggi, in un mondo governato da ben altri meccanismi e con ben altri rischi totalitari, c’è gente che starnazza di fascismo e di antifascismo, accapigliandosi per proibire di qua, celebrare di là, mettere e levare cittadinanze, lapidi, corone di fiori. Siamo immaturi, storicamente parlando: ci manca quella capacità di affrontare sine ira et studio le capriole della storia e le insidie della memoria, tanto collettiva quanto individuale, che, in questo Paese, è una fonte tutt’altro che attendibile. Per questo, quando leggo i commenti di questo o di quel colore alla dipartita di Fidel Castro, una parte di me ridacchia divertita, mentre un’altra parte s’incazza come un bufalo. Il regime di Castro a Cuba, come tutte le dittature del Novecento, è stato un fenomeno complesso, da contestualizzare e da analizzare con pazienza e spirito scientifico: io dico che ci vorranno altri cinquant’anni, prima che lo si possa definire in una maniera storicamente accettabile. Ma che Castro sia stato un dittatore sanguinario e con un culto smodato della propria personalità, questo è sotto gli occhi di tutti: un assassino è un assassino e una viola mammola è una viola mammola, anche se l’assassino combatte contro il gigante Golia.

Invece, forse perché Castro, con la sua appendice, altrettanto sanguinaria ma assolutamente iconica, rappresentata da Ernesto “Che” Guevara, è stato il supereroe buono di tanti sogni adolescenziali di quelli che oggi fanno informazione in questo Paese, a leggere i giornali sembrerebbe che stessimo parlando di Batman e Robin. Facciamo a capirci, signori giornalisti: un conto è la nostalgia per i vostri formidabili vent’anni e altro è la realtà. Un conto è il vostro individuale e collettivo delirio dietro a bufale politiche come il Nicaragua, il Vietnam o Cuba ed altro è la sofferenza dei popoli, il massacro degli oppositori, la repressione della libertà. Io capisco che possa essere consolatorio illudersi di essere stati belli e puri, e di avere avuto ragione: ma avevate torto marcio, quando sostenevate alcune tra le più buie dittature del XX secolo, come avete torto marcio oggi a fare finta di essere tutti anime candide. Così, le rievocazioni dei barbudos che uno contro mille vincono, perché i buoni vincono sempre, viva la revoluciòn, hasta la victoria siempre, non raccontano che un pezzettino mignolo mignolo della Cuba di Castro: quello più presentabile, più accattivante.

Certo, il nano caraibico che sfida l’embargo del gigante americano fa simpatia: ma non si può trasformare questa istintiva simpatia in una formidabile fetta di salame sugli occhi. E dire che la sanità cubana è la migliore del mondo, tenendo conto dell’embargo e della condizione generale dell’isola, è una stupidaggine colossale: sarebbe come dire che il clima della Mauritania, tenendo conto della sfiga di avere un deserto proprio da quelle parti, è l’ideale per chi soffra di reumatismi. Insomma, esaminiamo pure la storia personale e politica di Fidel Castro con tutta la benevolenza possibile ed immaginabile, ma non trasformiamo il dato storico in una pochade: questo non può essere tollerato. Non lo si può fare per rispetto delle migliaia di persone che Castro ha fatto uccidere, scomparire, incarcerare: per gli oppositori, gli omosessuali, la gente qualunque che ha passato anni nelle carceri di cui, all’inizio, il responsabile era proprio il santo laico Guevara, e che non è mai uscita o ne è uscita per venire ammazzata. Esiste un pudore della storia, una dignità degli storici: oltre un certo limite non si può andare, perché sarebbe indecente farlo.

Giustificare i lager, i gulag, i laogai sarebbe indecente: giustificare Castro rientrerebbe nello stesso tipo di indecenza. Dunque, studiamola, questa rivoluzione cubana, facciamo confronti, collochiamola nel giusto contesto: ma celebrare un dittatore o, peggio, far finta di ignorare o dimenticare gli aspetti drammaticamente crudeli della sua dittatura, come hanno fatto tanti politici, scribacchini, mezzibusti e perfino il Papa, quello, lasciatemelo dire, è intollerabile. Dovrei pensare, allora, che tanta gente colta, preparata, importante, è talmente collusa con la sporcizia del potere da mentire per la gola: da assolvere un dittatore e condannarne un altro, in base al colore della dittatura? Non voglio crederlo: preferisco immaginare che, a caldo, prevalga la nostalgia per la propria stupidità giovanile, che ammettere di vivere in mezzo a tante carogne. E, infine, ho notato, sempre fra il divertito e l’incazzato, il necrologio di Castro pubblicato da “L’Eco di Bergamo” su mandato dell’associazione Italia-Cuba, come se fosse morto Bige Ramella, valente beccaccinista. Mi sono detto che, certamente, la pecunia, come dicevano i latini, non ha odore: ma, qui, di odori ne circolano altri, e tutti piuttosto intensi quanto a fragranza.