Settimana per l’Energia,
parola d’ordine: recupero

Nuove collaborazioni, un ricco calendario di convegni, visite guidate a impianti d’eccellenza per la produzione energetica, eventi ludici e culturali, attività per le scuole e l’apertura di spazi urbani che si animeranno con iniziative rivolte a tutta la cittadinanza. Tutto è pronto per la quinta edizione della Settimana per l’Energia, che debutterà domenica 20 ottobre al teatro Donizetti e proseguirà fino a domenica 27.
L’ormai tradizionale manifestazione promossa dall’Associazione Artigiani, in collaborazione con Confindustria Bergamo, mira a promuovere la cultura della sostenibilità, approfondire le tematiche della green economy e creare occasioni di aggregazione e riqualificazione professionale per le imprese. L’edizione 2013, intitolata “Trasformiamo il passato in futuro: recuperiamo e diamo nuova vita alle risorse”, sarà presentata ufficialmente martedì 15 ottobre e ruoterà attorno al tema del recupero e del riciclo come spunti per una discussione sulla ripresa della competitività del nostro sistema Paese e della sostenibilità del nostro modello di vita.
«Una delle caratteristiche di questa edizione – spiega il presidente dell’Associazione Artigiani Angelo Carrara – è il potenziamento delle partnership, a cominciare da BergamoScienza che per la prima volta è entrata a far parte del comitato organizzatore, unendosi alle nostre due Organizzazioni imprenditoriali, agli Ordini degli architetti e degli ingegneri, all’Università di Bergamo, all’Ufficio scolastico per la Lombardia e a Bergamo Sviluppo. Con BergamoScienza organizzeremo il convegno di apertura, dedicato al rapporto tra cibo ed energia e alle questioni legate alla produzione di biocarburanti. Le nostre due manifestazioni hanno ciascuna una propria specificità e finalità, ma con coraggio abbiamo deciso di collaborare e condividere gli stessi spazi per lanciare un comune messaggio di sostenibilità. Un messaggio forte che rivolgiamo non solo agli imprenditori ma ad ogni singolo cittadino in quanto primo responsabile dell’adozione di uno stile di vita nuovo, più consapevole e virtuoso».
Significativo, in questo contesto, è quindi l’utilizzo degli spazi urbani, fulcro della vita sociale cittadina, che diverranno il cuore pulsante della Settimana. A cominciare da piazza della Libertà, animata da una serie di eventi che vedranno gli studenti tra i protagonisti. «Durante tutta la kermesse – sottolinea il vicepresidente Giacinto Giambellini, coordinatore del gruppo di lavoro Innovazione ed Energia di via Torretta – la piazza cittadina si trasformerà in un grande laboratorio sensoriale, dove i ragazzi delle scuole avranno la possibilità di fare sperimentazione sulle fonti rinnovabili e sul recupero dell’energia termica, dell’acqua e dei rifiuti. E qui si inserisce un’altra nuova prestigiosa partnership, quella con A2A Calore & Servizi, società leader del teleriscaldamento in Italia che, all’interno della nostra manifestazione, aprirà l’impianto di termovalorizzazione in via Goltara a Bergamo».
Questa non sarà però l’unica struttura d’eccellenza aperta per la Settimana per l’Energia. Tra gli impianti bergamaschi che potranno essere visitati, ci sarà infatti quello della Montello, specializzato nel recupero dei rifiuti, e l’impianto di “solar heating and cooling” della Hidrogest di Sotto il Monte che si occupa di raffrescamento degli ambienti mediante energia solare.


E-commerce,
in Ascom
il desk
con gli specialisti
di Poste Italiane

Continua, con una nuova iniziativa, la collaborazione di Poste Italiane con Ascom per lo sviluppo del canale e-commerce nella provincia di Bergamo. Nella sede cittadina dell’Associazione sarà infatti presente un desk di Poste Italiane dove i soci Ascom potranno ottenere le informazioni sull’offerta di Poste e-Commerce, disponibile sia nella versione Smart che Master. Ascom è la prima associazione ad aver siglato con Poste Italiane un accordo che prevede di accedere al nuovo servizio di e-commerce a condizioni molto vantaggiose, avviando, gestendo e controllando tutti i processi della catena del commercio elettronico, dallo shop virtuale alla consegna del prodotto. Poste e-Commerce rappresenta la soluzione “chiavi in mano” per le piccole e medie imprese che vogliono aprirsi al commercio on-line. Gli specialisti dell’azienda cureranno l’attività necessaria per l’avvio delle vendite on line: dalla realizzazione del sito web al web hosting, dalla realizzazione del catalogo prodotti all’integrazione degli strumenti di incasso e pagamento (circuiti Poste Italiane Postepay e Conto Bancoposta, Visa, Visa Electron, Mastercard e PayPal), fino alla logistica di magazzino e ai servizi di spedizione e assistenza dedicata. Grazie all’accordo che rientra nel pacchetto Ascom Vantaggi, gli associati potranno usufruire di condizioni dedicate e particolarmente vantaggiose: uno sconto di 100 euro sull’offerta Smart  e di 500 euro su quella Master. Il personale specializzato di Poste Italiane sarà disponibile per fornire tutte le informazioni riguardanti l’offerta e le modalità di sottoscrizione presso la sede dell’Ascom, in via Borgo Palazzo 137, il 4 novembre e il  2 dicembre, dalle 9.30 alle 12.30. 


Galizzi agli imprenditori:
«Riprendiamoci il futuro»

La nuova consuetudine di svolgere l’assemblea nei territori della produzione segna simbolicamente la scelta di Confindustria Bergamo di andare verso le imprese, di “stare nelle imprese”, come ha sottolineato il presidente di Confindustria Bergamo Ercole Galizzi all’incontro annuale, svoltosi quest’anno al PalaFacchetti di  Treviglio, nel cuore di un territorio che conta quasi 25mila imprese e 100mila posti di lavoro, dove l’industria vale all’incirca il 50% dell’economia e dove l’integrazione fra i settori, agricoltura compresa, è più avanzata.
Un’area dove i nuovi assetti infrastrutturali dovrebbero favorire gli investimenti.
Positiva anche la visione degli asset del territorio: l’aeroporto motore di sviluppo, l’Università dalla dimensione internazionale, il Kilometro Rosso acceleratore di innovazione, Bergamo Sviluppo, attraverso una stretta alleanza fra la Camera di Commercio e tutte le Associazioni imprenditoriali, che accompagna le imprese nei percorsi di internazionalizzazione e sostiene i processi di innovazione, la stessa Bergamo Scienza.
Fra i progetti evidenziati anche quello della Fondazione Italcementi che ha lanciato il progetto “Bergamo 2.(035): un’idea di città in un mondo che cambia”, il documento  della Camera di Commercio “Per un nuovo sviluppo” e il finanziamento per l’aggiornamento della Territorial Review dell’Ocse. La progettualità d’insieme sta dietro anche alla candidatura di Bergamo a Capitale Europea della Cultura 2019 di cui Confindustria Bergamo è uno dei soggetti promotori.
Forte di questa nuova propensione alla progettualità Confindustria propone uno sforzo nuovo anche sul fronte del lavoro. “Il tasso di disoccupazione a Bergamo – ha sottolineato Galizzi – in cinque anni è triplicato, anche se resta. tra i più bassi d’Italia, largamente al di sotto della media europea. La percentuale di giovani non occupati (uno su quattro) è nella media europea e 15 punti sotto quella nazionale”.
E’ innegabile che dopo più di cinquant’anni Bergamo ha ritrovato, insieme alla crisi, una questione lavoro. “Abbiamo perso 25mila posti di lavoro. Le casse integrazioni macinano record negativi con il concorso di tutti i settori. Quest’anno rischiamo di raggiungere un monte ore autorizzate non lontano dai 40 milioni, con un aumento del 15% sul picco dell’anno scorso, anche se l’integrazione straordinaria e quella in deroga cedono leggermente”.
L’ottimismo di maniera è bandito: “I pochi decimali previsti di crescita, la divaricazione fra quel gruppo di aziende export oriented che hanno buoni risultati produttivi e le imprese depresse dalla caduta della domanda interna non consentiranno di recuperare produzione e, conseguentemente, tanti posti di lavoro”.
L’invito è però a non essere fatalisti e “adottare nelle imprese e nei territori tutti quegli strumenti che consentano la tenuta del sistema produttivo, anche intervenendo sul mercato del lavoro”, attraverso un confronto che deve “fondarsi sulla concretezza, senza pregiudizi, senza riferirsi a passati modelli di un rapporto di lavoro che non c’è più. Il nostro accordo territoriale sull’apprendistato si muove proprio in questa direzione come le sperimentazioni sulla flessibilità d’attacco”.
Fra gli esempi positivi il bonus lavoro della Camera di Commercio che dovrebbe  essere riproposto. Indicazioni utili vengono anche dall’Accordo tra Expo 2015 e i Sindacati, “un’intesa che consente la programmazione di soluzioni flessibili a favore sia delle imprese interessate alla implementazione del sito espositivo, sia dei lavoratori coinvolti nei conseguenti incrementi occupazionali, di durata temporanea ma con prospettiva di stabilizzazione”.
“Mi piacerebbe – ha aggiunto il presidente – riuscire a condividere con le Organizzazioni sindacali un progetto concreto in tema di nuova occupazione, che evidenzi la capacità del nostro territorio di trovare soluzioni pragmatiche ai problemi dell’impresa e del lavoro. Immagino una intesa territoriale che agevoli, con formule contrattuali flessibili, i nuovi inserimenti, favorendo così, nell’immediato, l’incremento degli organici.
Essere concreti significa infatti non limitarsi ad aspettare gli interventi legislativi in tema di mercato del lavoro, spesso tardivi o inadeguati. Essere pragmatici significa non limitarsi ad auspicare nuove agevolazioni contributive e fiscali che abbassino il costo del lavoro, difficilmente prospettabili in ragione della precarietà finanziaria del nostro Paese”.
Di qui la proposta alle Organizzazioni sindacali di “affrontare insieme la sfida di un confronto territoriale aperto e costruttivo, che superi approcci ideologici o politici per definire soluzioni emergenziali, subito praticabili, finalizzate a favorire, con modalità sostenibili, gli inserimenti al lavoro utili alle imprese”.
“La vera ripresa – ha avvertito il presidente degli Industriali – se saremo bravi e fortunati ci sarà in contemporanea e anche per merito di Expo 2015, che sarà un “momento di spartiacque fra il recupero e la dichiarazione di declino se l’Italia non si saprà presentare nelle sue vesti migliori”.
Grande imputata, ancora una volta, la politica, sempre lontana, caratterizzata da una burocrazia imperante e sorda ai cambiamenti.
“La Lombardia – ha sottolineato – è obbligata a dare il buon esempio, la nuova legge urbanistica è un’occasione imperdibile”. E ancora, secondo il presidente Galizzi “il sistema dei voucher costa più di quel che rende”. Mentre un incentivo semplice ai nuovi insediamenti sarebbe l’esenzione Irap considerata assolutamente strategica e in prospettiva da estendere alle imprese che crescono.
Gli obiettivi dell’imprenditore, ha ricordato il presidente, sono sempre gli stessi: rendere migliori le loro imprese, cioè innovare, metterle in condizione di andare ovunque, cioè internazionalizzarsi, migliorare il loro cluster, attraverso la collaborazione con altre imprese. Obiettivi su cui l’associazione è chiamata a lavorare “battendosi contro la disperazione e la resa, riprendendo in mano il futuro”.
“Non possiamo esimerci dal giocare la nostra parte – ha concluso – il mondo ?Ñ‚Äî molto diverso da quello di soli dieci anni fa ed ha bisogno di nuovi interpreti che meglio sappiano leggere il futuro. Non facciamoci intimorire dal rischio di perdere quanto conquistato dalla precedente generazione, ma assumiamo quel ruolo che la nostra gente si attende”.


Vendite
dirette
a domicilio,
continua
il trend positivo

Nel primo semestre dell’anno, il giro d’affari cresciuto dell’8,7%. Riflessi positivi anche sull’occupazione. Sinatra (Univendita): «Siamo premiati dal passaparola»  

Segna un + 8,7% il fatturato delle aziende associate Univendita (l’Unione italiana vendita diretta aderente a Confcommercio) nel primo semestre 2013, per un valore di 606 milioni e 430mila euro. Il risultato consolida la crescita già sostenuta (+ 6,5%) con cui si erano chiusi i primi tre mesi dell’anno.
Nel dettaglio, i comparti più dinamici sono stati beni durevoli casa (+10,7%) e cosmesi e cura del corpo (+5,8%) seguiti dagli alimentari e beni di consumo casa (+3,3%). In netta crescita il comparto altri beni e servizi (+26,7%), trainato dal risultato positivo del settore viaggi e turismo (+30,6%).
«I fatturati delle aziende associate Univendita sono in crescita da quando l’associazione è nata nel 2010 – ricorda il presidente Ciro Sinatra -. È un risultato notevole, se pensiamo che in questi anni i principali indicatori economici sono stati costantemente in ribasso e che i canali del commercio al dettaglio tradizionale soffrono». E a dimostrazione che le performance delle aziende associate Univendita siano ancora una volta in controtendenza basta il dato Istat sulle vendite del commercio al dettaglio, in calo del 3% nel primo semestre 2013: le vendite nella grande distribuzione sono diminuite dell’1%, quelle dei piccoli esercizi commerciali del 4,1%. Indicatore principe della criticità della congiuntura, il Pil vede una flessione dello 0,3% nel secondo trimestre del 2013 rispetto al primo e del 2,1% rispetto allo stesso periodo del 2012. A concorrere al dato la debolezza della domanda interna con un calo della spese nel secondo trimestre del 3,3% rispetto a un anno prima, dovuto a una diminuzione del 7,1% negli acquisti dei beni durevoli, del 3,3% dei beni di consumo e dell’1,8% di servizi.
Saldo positivo per le aziende associate Univendita anche sul fronte occupazionale: gli addetti alla vendita al 30 giugno erano oltre 67mila, in crescita del 3,6% rispetto allo stesso periodo del 2012. Si conferma la preponderanza della componente femminile, pari all’88,3%.
«L’andamento in controtendenza della vendita diretta merita qualche riflessione – conclude Sinatra -. Sono diversi i fattori che concorrono a determinare questo successo; accanto alla qualità dei prodotti e alla professionalità degli addetti alla vendita, il passaparola rappresenta un mezzo fondamentale per pubblicizzare un prodotto o un servizio. Questa convinzione, è suffragata anche da una recente indagine globale realizzata da Nielsen, secondo la quale quasi quattro italiani su cinque, il 78%, hanno dichiarato di fidarsi, nel momento dell’acquisto, dell’opinione di conoscenti». Tra le ragioni che contribuiscono a spiegare questo trend – si legge nell’indagine – vi è l’esigenza di avere maggiori dettagli su prodotti e servizi, prima di effettuare la scelta. Il passaparola risulta essere il canale più affidabile per il consumatore quando si tratta di effettuare una scelta, sia a livello europeo sia mondiale.


Confcooperative, riflettori
puntati sull’Oriente

La ricerca di nuovi mercati e opportunità di business come soluzione alla crisi per le proprie associate: giovedì 10 ottobre, nell’auditorium della sede di via Serassi, Confcooperative Bergamo organizza il workshop-incontro con la Camera di Commercio bilaterale Italia-Hong Kong dal titolo “Great Opportunity”, iniziativa che bissa quella organizzata con successo lo scorso anno e che rafforza il rapporto tra la Camera di Commercio italiana ad Hong Kong-Macao, riconosciuta dal ministero dello Sviluppo cinese ormai da più di dieci anni, e la centrale cooperativa bergamasca che insieme al Consorzio Prometeo ha avviato una collaborazione con l’ente camerale di Hong Kong per evidenziare i vantaggi legati agli investimenti nel Sud Est asiatico. A fare luce sull’importanza del Made in Italy, ormai diventato un brand sempre più ricercato in Cina e che continua ad avere un grande appeal sui consumatori locali, è stato chiamato Manuele Bosetti, general manager della Camera di Commercio italiana ad Hong Kong e Macao, che, oltre a presentare i servizi dell’ente, è a disposizione dei presenti al termine del workshop per incontri one-to-one di approfondimento.
L’apertura dei lavori, alle 16.30, è affidata a Sergio Bonetti, consigliere della Camera di Commercio di Bergamo, cui seguono la relazione introduttiva di Pieralberto Cangelli, direttore di Confcooperative Bergamo, e quella di Marco Daniele Ferri, presidente Prometeo, consorzio specializzato in servizi import ed export il cui obiettivo è proprio quello di ridurre il gap tra le imprese bergamasche e il mercato estero cercando di costruire un ponte di collegamento tra le cooperative locali e i paesi dove si amplificano le opportunità di business tramite l’apertura di canali export e affiancando le aziende nella ricerca di soluzioni per l’internazionalizzazione. Una strategia, quella di Confcooperative e Prometeo, che si sviluppa dopo un anno di viaggi e missioni all’estero che hanno toccato diversi paesi strategici. «I mercati con cui abbiamo consolidato delle relazioni commerciali importanti sono concentrati nel Sud della Cina e a Hong Kong ma anche negli Emirati Arabi e in Russia: tutti paesi dove il Made in Italy è richiesto e apprezzato, soprattutto in ambito agroalimentare – sottolinea Cangelli -. Anche se focalizzato sulle opportunità legate al mercato cinese, il workshop è quindi un’occasione importante per le nostre imprese di conoscere le reali opportunità legate all’internazionalizzazione potendo contare sul supporto a 360 gradi di Confcooperative e di Prometeo».
Un impegno che rispecchia la linea di azione nazionale di Confcooperative e dell’Ufficio per le politiche di internazionalizzazione del Dipartimento “Politiche per lo sviluppo”. Il consolidamento dell’attività delle cooperative passa infatti attraverso l’export delle imprese – che vanta un giro di affari di quasi 5 miliardi di euro – e a oggi i servizi di internazionalizzazione sono ormai “di casa” per 16 Unioni regionali e 44 provinciali. Di queste ben 22 affrontano direttamente il tema mentre 26 si affidano a strutture convenzionate. Solo 12 unioni non offrono nessun servizio ma ritengono che un sostegno per la ricerca di nuovi mercati sia fondamentale. Tra i servizi più richiesti spiccano la progettualità e il supporto per l’avviamento e lo sviluppo della gestione delle esportazioni, l’accompagnamento all’estero e la formazione. I mercati che rivestono maggiore interesse sono quelli europei e russi, seguiti da Nord America, Est Europa, Medio Oriente e Sud Est asiatico. E proprio l’Oriente sarà la tappa della prossima mission di Confcooperative Bergamo che tra ottobre e novembre tornerà in Cina per partecipare a diverse fiere dell’agroalimentare.


Bonacina: «Investiamo
sul talento per dare a Bergamo
un avvenire meno incerto»

Se fino ad ieri era difficile prevedere cosa ci avrebbe riservato il futuro, l’attuale incalzare vorticoso degli eventi, i radicali mutamenti di scenario, le crisi mondiale – ed epocale – che si sta abbattendo da ormai un quinquennio, senza allentare la morsa, rendono impossibile (e forse poco utile) quello che, di fatto, si rivelerebbe comunque un mero esercizio astratto, senza reali possibilità di trasformarsi in accadimenti di cui beneficiare.
La concretezza che ci caratterizza preferisce quindi spostare l’accento non tanto sulla astratte previsione, ma sulla progettazione, o, per essere più chiari, ci fa privilegiare la “fase attiva” capace di incidere sul cambiamento futuro, piuttosto che quella meramente “speculativa”, che si limita a ipotizzarlo.
Del resto siamo convinti che il domani non “piove dal cielo”, ma prende forma dalla germinazione e intelligente coltivazione dei molteplici fattori già oggi in incubazione.
E in questo processo noi tutti non siamo semplici spettatori, ma attori concreti, chiamati moralmente e civicamente a fare la nostra parte.
Ecco quindi che quando immaginiamo cosa sarà Bergamo e la Bergamasca fra un decennio, non possiamo permetterci il lusso sterile di un mero esercizio speculativo, ma siamo coinvolti in prima persona, ciascuno per il proprio ambito e ruolo, sia privato cittadino o istituzione, anche pubblica.
È un preciso dovere quindi orientare le nostre scelte quotidiane, il nostro lavoro, i nostri investimenti, le nostre speranze e passioni, già oggi verso un territorio che sappia fare tesoro del presente, del dato di fatto – bello o brutto che sia – per considerarlo come materiale di costruzione della “casa futura” ove noi e i nostri figli andremo ad insediarci nel prossimo decennio.
Una casa che deve tener conto di fattori di estrema rilevanza, come l’attuale grande trasformazione infrastrutturale in atto (Bre.Bemi., TEM, Pedemontana, TAV, Aeroporto Il Caravaggio); di appuntamenti e accadimenti di risonanza mondiale, come l’EXPO 2015, o Bergamo capitale Europea della Cultura 2019; di probabili trasformazioni sul piano istituzionale, col mutare di ruolo che dovranno avere le Province; della sempre più marginale funzione delle pubbliche istituzioni nel welfare, con un corrispondente spazio lasciato, in questo settore, dall’intervento del privato e, dunque, con la maturazione di una sensibilità solidale; della funzione “eurocentrica” – storicamente e geograficamente inconfutabile – di un territorio della pianura vocato a baricentro e cerniera sulle direttive nord-sud per il corridoio Berlino-Palermo, est-ovest per il corridoio Lisbona-Kiev, e parimenti centrale fra quattro aeroporti di spicco, come appunto Orio al Serio, Montichiari, Verona e Linate, oltre che strategicamente importante sul piano ferroviario.
Fra poco tempo il “cittadino europeo” sarà in grado di spostarsi in qualsiasi parte del continente per motivi di lavoro, di studio, di svago (e parimenti le merci o quant’altro) con una celerità fino ad oggi impensata e, per farlo, passerà sicuramente dalla pianura bergamasca, come peraltro già fecero a suo tempo (certo con modalità e ritmi temporali assai diversi) i grandi flussi di transito registrati dalla storia, a cominciare, allora, dagli eserciti.
Se questo è il “palcoscenico” – carico sostanzialmente di valenze positive, proprio perché, di fatto, crogiolo in cui si fonderanno, come già si fusero in passato, valori culturali, economici, spinte sociali, preziosi nella loro eterogeneità identitaria – su cui ci stiamo muovendo e sul quale dovremo dare concretezza al nostro domani.
Non possiamo però ostinarci ad ignorare, o negare, gli aspetti negativi – alcuni pesantemente negativi e forieri di drammatiche conseguenze – come il progressivo e inesorabile dilagare dell’illegalità e della criminalità organizzata in questo territorio, fenomeni che costituiscono il cancro della civile convivenza e che, se trascurati, portano alla disgregazione dell’humus sociale su cui si regge ogni società armoniosa, prospera e responsabile.
Una particolare riflessione merita poi l’intelligente messa a frutto del patrimonio culturale – artistico, storico, di costumi e tradizioni – che anche in terra bergamasca, come peraltro in tutto il Paese, costituisce una preziosissima risorsa, capace di costituire quel plus qualitativo sul quale investire nella costruzione appunto del nostro futuro.
Un futuro che dovrà naturalmente passare dal rilancio del nostro sistema produttivo, finalizzato a creare nuova occupazione, recuperando il pesante gap accumulato nei cinque anni di crisi.
Dovremo attivarci per recuperare i numerosi posti di lavoro e le molte imprese persi e, per fare ciò sarà prioritario puntare sull’ export.
Certo siamo ben consapevoli che i nostri progetti debbono confrontarsi con condizioni  in merito alle quali il nostro margine d’azione è davvero assi risicato, se non inesistente, poiché riguarda scelte generali come la riduzione del debito dello Stato, la limitazione della pressione fiscale su lavoro e redditi di impresa, l’aumento del potere di acquisto delle famiglie, la semplificazione del fisco e della normativa sul lavoro, l’investimento dell’intero Paese sull’istruzione e sulla ricerca. Merita un cenno a sé, nel costruire il nostro futuro, un freno al consumo di suolo e la spinta alla riqualificazione delle aree dismesse e dei fabbricati esistenti. Non dimentichiamo infatti che la Bergamasca è la zona della Lombardia che ha registrato la maggior crescita percentuale media annua di superfici antropizzate nel periodo 1955. Non meno strategico sarà il tema del potenziamento del polo universitario bergamasco e della sua capacità di creare sinergie internazionali. Ma, francamente, non è facile essere ottimisti, in proposito, visto le recenti decisioni di liquidare il decennale positivo esperimento dell'Università di Bergamo a Treviglio. Se il futuro di Bergamo e della Bergamasca nel prossimo decennio avrà respiro, esso dovrà senz’altro essere disegnato intorno alla conoscenza. Bergamo e la Bergamasca, che storicamente hanno saputo trasformare il lavoro in cultura, hanno  tutte le credenziali per divenire polo europeo del sapere, integrato nel più ampio sistema universitario lombardo.
Investire sul talento oggi vuol dire rinnovarsi nei campi della cultura scientifica e umanistica, puntando sulla ricerca e sulla più alta specializzazione, e abbracciando tanto gli ambiti della competenza industriale quanto le specializzazioni legate ai servizi e le humanities, per le quali l’Italia è riconosciuta a livello internazionale.
Non dimentichiamo infatti che il domani della nostra manifattura e dei nostri servizi è strettamente correlato con la “dose di conoscenza” che sapremo mettere nei nostri prodotti.
Ma non meno necessaria e determinante sarà, costruendo il futuro dei prossimi dieci anni bergamaschi, un’adeguata dose di coraggio e passione, perché siamo fortemente convinti che senza l’anima non ci sarà rinascita.

GianFranco Bonacina
*Presidente della Cassa Rurale di Treviglio


Tra crisi
e sinergie
decollano
gli uffici
condivisi 

Cresce anche a Bergamo il ricorso allo studio associato. E capita sempre più di frequente di trovare negli stessi spazi professionalità diverse, come architetti, ingegneri, avvocati o agenti immobiliari. Si dividono le spese, ma scattano anche le occasioni per passarsi i clienti. Patelli (Fimaa): «Le soluzioni più appetibili sono quelle all’interno di uffici o studi di rappresentanza»

Dall’ufficio di rappresentanza alla scrivania: avvocati, ingegneri, architetti, geometri e gli stessi agenti immobiliari ormai optano per la condivisione degli spazi. La formula dello studio associato viene adottata anche da professionalità diverse tra loro, pronte a scommettere su nuove e fino a qualche anno fa inedite sinergie. C’è l’avvocato che divide lo studio con il geometra e con l’amministratore di condominio, c’è l’architetto che ha la stanza a fianco di quella dell’ingegnere, che lavora ad un passo dall’agente immobiliare, ci sono poi i tecnici specializzati in campi diversi, dal legale a quello fiscale, pronti a sbrogliare ogni nodo burocratico.
Imu o affitti, Tia-Tares, sale riunioni e costo di segreteria e reception sono suddivisi, con un bel risparmio in costi fissi, e dalla condivisione con altri professionisti c’è solo che da guadagnarne, perché spesso i lavori passano dalla propria scrivania a quella del vicino e viceversa. La formula funziona e tra crisi, ritardi o mancati pagamenti, si cercano nuove strade per reggere una tassazione opprimente ed insopportabile e proporsi al meglio in un mercato sempre più competitivo. “Se gli studi associati sono da sempre la regola per avvocati, medici, commercialisti ed altre categorie professionali, negli ultimi anni l’aggregazione tra specializzazioni diverse è in costante crescita – spiega Antonello Pagani, direttore di Appe Confedilizia -. Specialmente dal 2005, anche a Bergamo tanti professionisti condividono ufficio e spese, conservando la propria piena autonomia. Sono sempre più anche i professionisti che affittano stanze dei loro studi con un contratto di cessione di spazio e servizi a colleghi o ad altri profili professionali. Molto frequente, con la nuova Riforma del Condominio, in vigore dal 18 giugno, è la condivisione d’ufficio da parte di amministratori di condominio e avvocati. La riforma obbliga infatti gli amministratori ad adire alle vie legali entro sei mesi dalla messa in mora per mancati pagamenti delle spese, fenomeno purtroppo sempre più frequente. È sempre più usuale anche dividere l’ufficio con tecnici per opere straordinarie. Il settore più colpito dalla crisi dell’edilizia è quello della progettazione ed è sempre più frequente la ricerca di condivisione degli spazi da parte dei progettisti”.
Le richieste di “scrivanie” sono comunque in aumento: “Nell’ottica di razionalizzare i costi tanti professionisti che possono gestire tranquillamente la propria attività, dividendosi tra computer, mail e telefono, optano per un piccolo spazio, che ormai si addice alla gestione della maggior parte delle piccole imprese – sottolinea Luciano Patelli, presidente provinciale Fimaa, la Federazione dei mediatori e agenti d’affari aderente a Confcommercio -. Gli spazi più appetibili sono quelli all’interno di uffici o studi di rappresentanza, che possono contare su una zona di accoglienza clienti con segreteria ed una sala riunioni. La condivisione delle spese, soprattutto del personale di segreteria, rappresenta un’alternativa interessante per diversi profili professionali, che possono, unendo le forze, avere una sede di maggior prestigio. Se un tempo sotto lo stesso tetto convivevano attività affini, questa non è più una regola rigida: assistiamo sempre più a “convivenze” tra business diversi e non necessariamente complementari, fattore quest’ultimo che continua a rappresentare un indiscutibile vantaggio, oltre che un’occasione di incrementare il proprio giro e volume d’affari”.
Oltre alla tentazione di incrementare il proprio business contando sul vicino di scrivania, la divisione degli spazi resta prima di tutto una necessità: “Le parcelle si assottigliano e i giovani professionisti fanno rete per restare a galla o rendere più sostenibili i costi che ogni avvio di attività comporta, alleggerendo almeno le spese per la sede della propria attività – spiega Enzo Pizzigalli, consigliere del Gruppo Mediatori immobiliari Ascom -. Mi è capitato anche di affittare un bilocale a quattro psicologhe che lo utilizzano come sala colloqui, suddividendosi i giorni settimanali. In genere anche gli studi associati hanno dimensioni più ridotte rispetto ad un tempo, in una vera e propria ottica di ridimensionamento dei costi di gestione”. Lo stesso Pizzigalli ha voluto per la sua impresa questa formula di gestione: “Da oltre vent’anni la mia sede, in via San Francesco d’Assisi, è suddivisa tra un geometra ed altri mediatori in quattro studi. Condividiamo la sala riunioni e conteniamo il costo d’affitto ed ognuno gestisce la propria attività con la massima autonomia e spesso ci capita di collaborare insieme, con la massima soddisfazione del cliente e con un lavoro in più che non sarebbe altrimenti arrivato”. Gli stessi mediatori sono tra le categorie professionali in cerca di una scrivania: “È ormai abbastanza comune per un mediatore dividere l’ufficio con il commercialista o con il geometra o con l’architetto o, ancora, con l’interior designer – spiega Mafalda Fiumana nel consiglio del Gruppo Mediatori immobiliari Ascom -. È un’idea che sta sempre più prendendo piede. La richiesta della “scrivania” è sempre più frequente da parte soprattutto di professionisti, ma anche chi ha spazi in ufficio sta valutando questa opportunità per abbassare i costi fissi”.
Il dato – A Bergamo, in base ad una recente elaborazione della Camera di Commercio di Milano, la formula del temporary office sta prendendo piede.  Una tendenza in linea con il dato nazionale: sono 2.427 in Italia, +2,4% rispetto allo scorso anno. Milano è prima con oltre 300 attività che gestiscono uffici “a tempo”, di cui ben 270 a Milano città. Seguono poi Roma con 134 e Bergamo, terza, che con 115 scavalca Torino (114). Tra le prime 10 anche Brescia e Monza entrambe con 62. La Lombardia è una regione leader in Italia sia per numero di uffici temporanei (738, +2,1% rispetto al 2012), sia per imprese che, più in generale, offrono servizi a supporto delle attività di uffici e di temporary shop, quasi mille, un quarto del totale nazionale, con una crescita del 4,1% in un anno, contro il +2,6% italiano.


Abbigliamento, «oggi più che mai
è l’ora dell’imprenditore»

La chiacchierata a cuore aperto con cui Luca Sacerdote ha raccontato, sullo scorso numero della Rassegna, della sofferta decisione di chiudere lo storico negozio di famiglia sul Sentierone ha dato il via ad alcune riflessioni da parte dei commercianti sui problemi e le prospettive del settore moda. Ecco gli interventi.

Facciamo emergere la nostra
creatività, solo così ci possiamo salvare

Egregio direttore,
ho letto con molto interesse l’intervista a Luca Sacerdote sull’ultimo numero della Rassegna. La notizia della cessata attività mi ha colpito profondamente, anche perché è una sconfitta commerciale che reputo ingiusta. Non doveva accadere, anche solo per la considerazione e la stima che questa famiglia ha ottenuto nel tempo in un comparto che mi vede attore ormai da anni, grazie all’attività commerciale nel settore Abbigliamento e calzature griffati che conduco a Torre Boldone.
L’annuncio è purtroppo l’ennesimo segnale di un quadro economico fortemente deteriorato, dove la forza dell’immagine meritocratica, fino a pochi anni fa baluardo di ogni solidità commerciale, non ha più valore. Le condizioni del mercato, anche per il nostro comparto, sono critiche e se la situazione rimarrà così, molti saranno costretti a cambiare il proprio modo di gestire l’attività. Saranno chiamati a dover mettersi in discussione e – nel mio caso – a ricredersi nei confronti di una tradizione ormai rara contraddistinta nel rifiutare ogni tipo di vendita promozionale o saldo della merce. Per dare un’idea delle condizioni in cui ci tocca operare, basti dire che in tanti siamo costretti a dover mettere mano al patrimonio personale per ripianare le perdite gestionali. Questo non può proseguire a lungo.
Ha ragione Sacerdote a puntare il dito contro i saldi? In effetti, a forza di anticipare sconti e svendite si abituano gli acquirenti a pazientare per le compere stagionali e a rimanere in attesa dei ribassi. Ma per noi i mancati guadagni si fanno sempre più consistenti.
Una chiara dimostrazione inoppugnabile di tutto questo la si ha guardando gli incassi del mese di settembre, molto al di sotto di quelli di alcuni anni fa. Una condizione generale che fa il paio con un nuovo “analfabetismo emotivo” che spinge il consumatore sempre più verso l’azione senza riflessione. Diversamente le persone non frequenterebbero prevalentemente i centri commerciali per gli acquisti importanti del proprio guardaroba. Insomma, come imprenditori siamo chiamati fortemente in causa. Come sottolinea Sacerdote nell’intervista, alla fine siamo noi a poter e a dover fare la differenza. Cerchiamo di sviluppare e affinare ancor di più il talento imprenditoriale, integrando l’azione col pieno coinvolgimento delle persone che ci circondano, componente essenziale di noi stessi.
Dobbiamo curare ancor di più ogni dettaglio, far emerge la nostra creatività, unica componente che possa oggi farci sopravvivere in un momento di profonda crisi. Il pericolo di fallire è alto, lo sappiamo, ma questo non ci deve far indietreggiare, al contrario ci deve spingere a mutare il nostro dna commerciale con continue e innovative ricerche negli stili e nei marchi commerciali. Cosa non facile, ma maledettamente indispensabile. Altrimenti sarà la nostra fine e la fine di un settore storico come quello dei negozi di vicinato, che lascerà spazio non si sa bene a chi!

Diego Pedrali
titolare del negozio “L’Uomo Più”
Torre Boldone

Non si può dare la colpa alle bancarelle,
ma il centro potrebbe essere valorizzato meglio

Spettabile Rassegna,
ci è dispiaciuto tantissimo sapere della prossima chiusura di Sacerdote. Notizie come queste rattristano soprattutto chi, come noi, ha un’attività familiare e vede scomparire, uno ad uno, negozi che hanno fatto la storia del commercio in centro. Purtroppo, la situazione che ha illustrato Luca Sacerdote nella vostra intervista è verissima. È cambiato del tutto il modo di considerare l’abbigliamento. Per le cerimonie – non parlo dei matrimoni, dove c’è ormai quasi un settore specializzato, ma di comunioni, cresime, battesimi – non si pensa più a comperare un bell’abito, non c’è più nemmeno il culto del capotto nuovo da sfoggiare ad inizio stagione ed anche il professionista che prima vestiva con capi di un certo prestigio, spesso, per il lavoro, sceglie ora soluzioni meno impegnative.
È cambiato l’atteggiamento, ma, lasciatecelo dire, si è persa soprattutto la capacità di riconoscere e dare valore alla qualità e questo è un peccato. Le signore della mia età sanno ancora distinguere il pregio di una stoffa, l’accuratezza delle rifiniture e dei dettagli, mentre le generazioni più giovani non ci fanno caso e così si rischia di non comprendere più la differenza tra un prodotto e un altro, con la conseguenza di un abbassamento generale del livello dell’offerta. Mio padre, che ha 87 anni ed ha aperto l’attività nel ‘61, è ancora fiducioso sul futuro. Resistiamo, sperando che la crisi si sblocchi, e continuiamo ad offrire quel servizio personalizzato che ci ha sempre contraddistinto. Quando arrivano gli scatoloni, i capi sono solo merce, quando escono dal negozio ognuno ha già una sua storia perché è legato alla persona che lo ha acquistato e che abbiamo ascoltato e seguito mettendoci tutta la nostra attenzione. Potrà sembrare un aspetto di poco conto, ma per noi questo è un valore e non possiamo fare a meno di lavorare così.
Anche sui saldi non possiamo che dar ragione a Sacerdote. Vanno bene se servono a smaltire le rimanenze di fine stagione, ma non si può pensare di impostare un’attività con sconti tutto l’anno, come si sta facendo oggi, al punto che la Regione sta di nuovo pensando di non vietare le promozioni nel mese prima dei saldi. Per reggere, l’attività deve essere impostata su ricarichi equi, non si può lavorare sottocosto.
Un’ultima notazione sulle bancarelle. D’accordo, non possono essere prese come scusa, ma alcuni problemi li creano, basta chiederlo ai negozi di alimentari. E non si può nemmeno dire che aiutino il commercio né che migliorino l’immagine del centro. Personalmente mi piace vedere la città piena di gente, partecipo a tutte le iniziative in cui si chiede di tenere i negozi aperti, comprese le “movide”, perché credo che sia giusto esserci, ma non danno grandi risultati in termini commerciali, ammettiamolo. Il salotto della città merita di più. E a volte basterebbe poco per valorizzarlo. È un bel biglietto da visita la massa di motorini parcheggiati proprio all’inizio di via XX settembre?
Grazie per l’attenzione

Maria Grazia Volpi
Carom Abbigliamento – Bergamo

La moda è un’eccellenza,
troviamo idee per il rilancio

Egregio direttore,
mi ha molto colpito l’intervista a Luca Sacerdote pubblicata sulla Rassegna di giovedì 3 ottobre, da un lato per l’umanità che traspare, il forte attaccamento all’attività che chi fa questo mestiere conosce bene (in effetti, i negozi sono come delle nostre creature!), dall’altro perché fa riflettere tutto il settore. Se chiude infatti un’insegna così prestigiosa, viene spontaneo chiedersi cosa ne sarà di tutte le altre. I dubbi sul nostro futuro crescono leggendo – e non potendo fare a meno di confermare – le difficoltà che Sacerdote elenca, cambio della mentalità della clientela, concorrenza e questa corsa esasperata ai saldi che noi commercianti per primi dovremmo cercare di rallentare, non svendendo prima del necessario i nostri prodotti.
Non me la sento però di vedere tutto nero e ci terrei a lanciare un messaggio di speranza e, soprattutto, un invito a trovare insieme – nella categoria, nel territorio e nell’associazione – idee e strumenti per affrontare il cambiamento.
Sono convinta che i negozi familiari abbiano ancora un senso. Il desiderio del cliente di sentirsi coccolato c’è, dobbiamo trovare una maniera per farlo riscoprire e per farci conoscere meglio. Ad esempio, tutti parlano dell’Expo come di una grande opportunità e sono certa che per l’evento un po’ di visitatori arriveranno anche in Bergamasca. Sarebbe importante poter presentare in maniera accattivante le nostre attività, portare i turisti nei nostri negozi. Il made in Italy, il gusto italiano nel vestire sono un’eccellenza apprezzata e ricercata in tutto il mondo, che vanno valorizzati in vista di un appuntamento internazionale così vasto. Per capire le potenzialità dell’abbigliamento pensiamo anche al riscontro che hanno le settimane della moda a Milano. Certo la realtà bergamasca non si può paragonare a quella di una capitale del fashion, ma l’esempio milanese fa capire come la moda può diventare protagonista. Un’idea che personalmente mi frulla in testa – ma servirebbe l’appoggio delle associazioni – è quella di allestire presentazioni di abiti nei luoghi più visitati dai turisti, come i musei. Non semplici manichini ma ambientazioni che facciano vivere l’emozione che dà un bel vestito e magari far riscoprire anche ai bergamaschi, e non solo ai visitatori, il piacere di un bel capo, che ormai si è perso. Sarebbe un bel biglietto da visita per le nostre attività, che hanno la prerogativa di tenere viva l’attenzione alla qualità e allo stile, che sanno consigliare e trovare l’abito e l’accessorio su misura. Che sanno ancora regalare sogni.
Sono ipotesi naturalmente. So che la crisi sta purtroppo togliendo voglia fare a molti colleghi. Ma nelle difficoltà si possono trovare anche nuovi stimoli e forza per reagire. Nel nostro negozio ci siamo buttati a capofitto nella formazione, che ci tiene occupati quasi come un corso scolastico, mentre ci siamo affidati alla nuova generazione per affacciarci sul mondo del web e dei social network. Basterà? Intanto ci proviamo… .
Grazie per l’ospitalità

Marisa Gamba
Pigal – Almé

Ciò che si può fare oggi è essere pronti  al cambiamento

Egregio direttore,
ho apprezzato la schiettezza con cui Luca Sacerdote, sul numero scorso della Rassegna, ha raccontato la scelta di chiudere lo storico negozio di famiglia. Senza dimenticare l’autocritica –  merce piuttosto rara, non solo nel mondo del commercio -, ha analizzato dal suo punto di vista i mutamenti nei comportamenti di acquisto e nelle modalità di vendita, arrivando a dare un giudizio piuttosto drastico sulle prospettive del settore abbigliamento, in particolare dei negozi familiari o cosiddetti “indipendenti”. Le sue parole non sembrano dare molte speranze ai negozi, almeno a quelli “tradizionali”, ma forse, allora, sarebbe il caso di chiedersi perché. Non penso che sia tanto una questione di dimensioni, patrimonio immobiliare, storia, gestione familiare o meno. Ad essere stato completamente scardinato è un modello, un’impostazione della vendita ancorata a schemi che i tempi hanno irrimediabilmente superato. Di questo occorre rendersi conto se si vuole continuare a guardare al commercio come ad un settore ancora vitale e capace di dare il proprio apporto al sistema economico, anziché arrendersi e prendere semplicemente nota, una dopo l’altra, delle serrande abbassate.
La mia esperienza professionale e imprenditoriale nasce nella distribuzione organizzata (i marchi Intimissimi, Calzedonia e Tezenis) e posso dire che, solo negli ultimi dieci anni, la realtà ha subito tali e tante trasformazioni da perderne il conto. Ciò che un negozio può e deve fare è essere pronto al cambiamento, cogliere tutti i segnali in tempo reale e adeguarsi a questi, non stare in attesa. Non siamo i soli sul mercato, il consumatore è bombardato da stimoli da ogni parte – centri commerciali, offerte on line, outlet -, dobbiamo dargli un motivo per sceglierci e riuscire a fidelizzarlo, che sia per i prodotti, per la cortesia del personale, per la vetrina, la pulizia dei camerini e tanti altri dettagli che possono fare la differenza. L’orario continuato noi lo facciamo dal ’99 ed ora siamo anche aperti la domenica, non perché pensiamo che sia bello dare la possibilità di fare acquisti la domenica (il mio giudizio sul fenomeno, dal punto di vista sociologico, è negativo), ma se è questo che la gente fa oggi non si può fare a meno di rimanere aperti. Al momento va così, domani potrebbe essere diverso e dovremo cercare di capire per tempo come si orienteranno le scelte e le abitudini. 
Non che nella distribuzione organizzata sia tutto oro quello che luccica, intendiamoci, ma è indubbio che alcuni aspetti su cui si basa, come la capacità di rilevare e analizzare i comportamenti dei clienti, sono fondamentali. Grazie anche allo sviluppo delle tecnologie, oggi abbiamo sensori che ci dicono quanta gente entra in negozio e in quali orari, attraverso dei software sappiamo quanti di questi comprano, cosa comprano e possiamo di conseguenza organizzare gli orari, il personale, gli ordini, modificare la vetrina appena allestita se vediamo che non funziona e non aspettare una settimana. Siamo anche abituati a guardare fuori dal negozio, a controllare cosa espongono i concorrenti, di che cosa si parla, qual è il colore di tendenza per poi magari utilizzarlo per la divisa delle commesse, facciamo volantini, distribuiamo cataloghi dal parrucchiere… Con la consapevolezza che non tutte le scelte saranno azzeccate, soprattutto in un momento di crisi come questo, in cui i segnali che dovrebbero orientare le strategie sono sempre più deboli. Eppure qualche riscontro c’è e, visti i tempi, va bene così.

Claudia Marrone
Imprenditrice nel settore abbigliamento


I mille volti
dell’Incubatore d’impresa

Da sinistra: Dario Maffioli, Francesca Valenti e Valeria Brunelli, Adriano Bacchetta

All’interno dell’Incubatore d’Impresa di Bergamo Sviluppo in questi 12 anni di attività hanno preso forma tante imprese, per lo più di servizi, che si possono a ragione definire “innovative”, vuoi perché hanno sfruttato nicchie di mercato ancora libere, vuoi perché hanno utilizzato tecnologie, risorse, servizi o anche materiali in modo nuovo o che sono stati proposti in modo diverso.
L’evoluzione delle idee d’impresa accolte nel tempo dalla struttura ha portato a creare 2 sezioni tematiche accanto a quella generica, ossia la sezione turismo, nata nel 2007, e quella tecnologica/innovativa, avviata invece nel 2010. «Il costante aumento di presenze di aziende attive in ambito informatico-grafico-web e della green economy – sottolinea Cristiano Arrigoni, direttore di Bergamo Sviluppo – ci ha convinto a dare vita anche alla sezione tecnologica quando ancora non si parlava di start up innovative. Infatti questo termine è stato introdotto con la Legge 221/2012, che ha convertito il DL Crescita 2.0». «La start up innovativa – ricorda Giovanni Fucili, responsabile del progetto Incubatore per Bergamo Sviluppo – è una società di capitali, costituita anche in forma cooperativa, avente sede fiscale in Italia, che ha come fine principale lo sviluppo, la produzione e la commercializzazione di prodotti o servizi innovativi ad alto valore tecnologico. Chi crea una start up, e per esserlo deve avere una serie di caratteristiche, ha diritto a una serie di vantaggi, come l’esenzione dal pagamento dell'imposta di bollo e dei diritti di segreteria per l'iscrizione nel Registro Imprese, possibilità di assumere personale con contratti a tempo determinato con un regime fiscale e contributivo vantaggioso, incentivi fiscali per investimenti da aziende e privati per gli anni 2013-15, accesso semplificato, gratuito e diretto, al Fondo Centrale di Garanzia, e supporto ad hoc nel processo di internazionalizzazione da parte dell'Agenzia ICE».
«A Bergamo – prosegue Giorgio Ambrosioni, delegato alla creazione e sviluppo d’impresa di Bergamo Sviluppo – sono 16 le nuove imprese iscritte nella sezione speciale del Registro Imprese e 2 di queste sono nate nel nostro Incubatore, una operante nel settore dell’ICT e l’altra nel settore dei servizi avanzati nell’ambito della produzione di energia». E sul tema start up innovative proprio nell’ambito del progetto sono stati realizzati, per le imprese partecipanti, momenti di approfondimento che hanno coinvolto, oltre alla Camera di Commercio, il Consiglio Notarile Distrettuale, l’Ordine dei Dottori Commercialisti e degli Esperti Contabili e l’Ordine dei Consulenti del Lavoro.


Commesse, più facile
a dirsi che a farsi 

Le 500 donne in fila nei giorni scorsi a Genova per tre posti da commessa in una catena di negozi di abbigliamento per bambini sono un’altra delle istantanee del bisogno di lavoro in tempo di crisi. Sono però anche l’occasione per scoprire cosa sta dietro questa professione, spesso inquadrata in vecchi o scontati cliché, come quello che per farlo bastino una certa presenza e stare sull’attenti in negozio. Tanto che è soprattutto considerato un “lavoretto” per cominciare ad essere indipendenti da chi ancora studia o il ripiego di chi aveva altre ambizioni («è finita a fare la commessa!»), in ogni caso un’attività che non richiede particolari doti o preparazione, dove, in fin dei conti, basta avere la forza di stare in piedi per tante ore.
Naturalmente non è così. Ciascuno può infatti testimoniare quanto sia più gratificante lo shopping se si è affiancati da una brava assistente alla vendita e non può sfuggire come in questo periodo storico – tra consumatori sempre più attenti a come si spende e la crescente competizione tra insegne e forme di distribuzione – il ruolo diventi ancor più strategico per il successo di un’attività.
Per capire cosa significa fare le commessa oggi abbiamo chiesto a tre figure d’esperienza di raccontarci il proprio lavoro.
Mariastella Suardi, responsabile della profumeria Douglas nel centro commerciale alle Valli di Seriate, ha scelto questa strada 16 anni fa, dopo una precedente occupazione come impiegata in area commerciale. «Doveva essere un lavoro temporaneo – racconta -, in attesa di valutare nuove opportunità in linea con la mia esperienza e il mio profilo, invece, pur davanti ad altre offerte, è scattata la decisione di restare, di rimettermi in gioco». A conquistare Mariastella, stanca di ufficio e computer, «è stata la possibilità di stare con la gente». «Fare la commessa non significa solo contatto con il pubblico – precisa -, ci sono le pulizie, gli scatoloni da aprire, i prodotti da disporre e, man mano crescono le responsabilità, gli ordini, gli appuntamenti con i rappresentanti, le direttive dell’azienda da valutare. Avere a che fare con i clienti resta però l’aspetto più importante e al tempo stesso più gratificante di questa professione». «I prodotti li hanno tutti – annota -, la differenza la fa chi li propone. In profumeria, più che in altri settori, è indispensabile una precisa conoscenza tecnica delle referenze, ma soprattutto la capacità di capire il bisogno di chi si ha di fronte, saperlo ascoltare. Vendere un profumo, ad esempio, è vendere emozioni, occorre comprendere cosa il cliente si aspetta da una fragranza».
Un compito che si è fatto più arduo con la crisi, ma anche con la generale crescita della consapevolezza tra i consumatori. «Molti arrivano già con le idee chiare – spiega la responsabile del negozio -, ma magari esistono prodotti che possono rispondere meglio alle loro esigenze. La soddisfazione maggiore è, a mio avviso, quando si riesce a far cambiare idea: è la chiara dimostrazione che abbiamo conquistato la fiducia del cliente ed è quasi la certezza che tornerà». Guai però a puntare tutto sull’individualità, «saper lavorare in team è fondamentale – rimarca -, perché tutti contribuiscono a definire l’immagine del punto vendita e del servizio». L’ulteriore suggerimento è imparare una seconda lingua «sempre più richiesta per via dell’incremento dei turisti, ad esempio per lavorare ad Orio, ma utile anche per migliorare le possibilità di carriera, visto che le catene hanno ormai negozi in tutta Europa».
Anche per Tecla Legrenzi, responsabile di Sisley nel centro commerciale di Seriate, ciò che continua a rendere bello il lavoro anche dopo anni è «stare a contatto con la gente». «E pensare che ero piuttosto timida – ricorda -. Avevo 19 anni ed è stata una scelta di necessità. Certo la timidezza dipendeva anche dall’età, ma credo che questo lavoro mi abbia aiutato ad aprirmi ed anche oggi ciò che più mi appaga non è l’aver allestito una bella vetrina, ma il grazie di un cliente soddisfatto». Pazienza, solarità e disponibilità sono, per Tecla, le caratteristiche indispensabili per una commessa, ma non nasconde che la crisi ha reso più delicati i rapporti. «Oggi basta anche solo salutare, che è pura cortesia – rileva -, che ci si sente rispondere “do solo un’occhiata”, come se la persona temesse di essere costretta a provare e comprare per forza. C’è quasi timore a scambiare qualche parola, oltre ad una maggiore attenzione a quanto e come si spende». Volendo descrivere le tipologie di chi entra in un negozio di abbigliamento, agli estremi ci sono «chi vuole fare tutto da solo, anche perché crede, erroneamente, che se fa perdere tempo alla commessa debba alla fine acquistare qualcosa – afferma -, e gli indecisi perenni che senza un consiglio non comprerebbero nulla». Cosa è più difficile vendere? «Le proposte più originali e alla moda, si preferisce sempre di più andare sul sicuro sia nelle forme sia nei colori, così da poter sfruttare il capo per più stagioni. La capacità della commessa è ascoltare e rispettare il cliente, con l’esperienza si riesce ad inquadrare quasi subito il tipo e si impara a trattare anche con la persona più scorbutica».
Valentina Pavoni, del negozio Intimissimi di via Tiraboschi a Bergamo, ha cominciato a fare la commessa a 22 anni mentre era iscritta all’università (Design industriale alla facoltà di Architettura, «32 esami sostenuti, manca la tesi, che vorrei dare», sottolinea). Oggi ne ha 36, ha trovato la sua dimensione professionale e pensa a metter su famiglia. «Volevo rendermi più indipendente dal punto di vista economico – racconta – e non arrivare a 26/27 anni senza avere nessuna esperienza nel mondo del lavoro. Vedere che man mano crescevo, che aumentavano le responsabilità mi ha convinto a rimanere». «A differenza di quanto può sembrare, non si sta mai fermi, è un lavoro impegnativo e non per tutti – evidenzia -. Si può imparare, ma credo che se di base non c’è la predisposizione all’empatia non si regge a lungo». «Lavorare in un centro storico significa avere una clientela più fidelizzata rispetto ai centri commerciali – spiega –, ma anche qui il profilo è sempre più esigente e attento. E anche se le collezioni sono ogni stagione più belle («una decina di anni fa con queste proposte il marchio avrebbe fatto incassi da record», dice tra le righe), ora per spendere anche piccole cifre ci si pensa». Sono nel frattempo anche cambiati gli orari, con il moltiplicarsi delle aperture festive e serali. «Chi vuol fare questo mestiere – ricorda – deve mettere in conto di dover lavorare tutti i sabati, fare i turni serali e le domeniche, anche se può essere pesante. La parola “sacrificio” deve per forza far parte del suo vocabolario». «La retribuzione? Premesso che oggi già avere un lavoro è una fortuna, credo che sia nella media. Forse non sono ben valorizzate dal contratto le figure di maggiore responsabilità, il cui stipendio non è molto diverso da quello di chi inizia».