La Lombardia entra in zona bianca. Il ritorno alla normalità si avvicina

Abolito il coprifuoco e via libere a fiere, convegni, congressi, centri termali e parchi tematici di divertimento. Ancora in stand by invece le discoteche e le sale da ballo

Anche la Lombardia entra in zona bianca: da oggi, lunedì 14 giugno, la nostra regione (insieme a Lazio, Piemonte, Emilia Romagna, Puglia e provincia autonoma di Trento) cambia di colore ed entra nella fascia più bassa di rischio covid, con regole meno rigide e niente coprifuoco. Rimane comunque l’obbligo della mascherina sia all’aperto sia al chiuso e il divieto di assembramento. Regole meno vincolanti per i ristoranti: nessun limite alle presenze al tavolo all’aperto, 6 commensali al tavolo se il locale è al chiuso. I locali pubblici potranno osservare orari liberi.

Per chi si trova in fascia bianca il coprifuoco viene abolito immediatamente. Ciò vuol dire che non è più necessario rientrare a casa entro una certa ora: ci si può insomma spostare senza limiti di orario. In questa zona i bar, i ristoranti e le altre attività di ristorazione sono aperti ed è possibile consumare cibi e bevande al loro interno, senza limiti orari.
Sono consentite senza restrizioni anche la vendita con asporto di cibi e bevande e la consegna a domicilio, che deve comunque avvenire nel rispetto delle norme sul confezionamento e sulla consegna dei prodotti. Le nuove regole prevedono che in zona bianca all’aperto non ci siano limiti di persone ai tavoli (tra i quali deve esserci comunque il distanziamento di un metro), mentre nei bar e nei ristoranti al chiuso potranno sedere allo stesso tavolo massimo sei persone salvo che siano tutti conviventi. Resta invece il divieto di assembramento e l’obbligo di mascherina, sia all’aperto sia al chiuso.

In zona bianca sono consentite, anche al chiuso, le feste e i ricevimenti successivi a cerimonie civili o religiose, rispetto alle quali permane l’obbligo per i partecipanti di possedere una delle certificazioni verdi Covid-19, come chiarito dal Ministero della salute e della Conferenza delle Regioni e delle Province autonome.
Sono, inoltre, consentite le attività di sale giochi, sale scommesse, sale bingo e casinò, anche se svolte all’interno dei locali adibiti ad attività differenti e lo svolgimento in presenza di fiere e congressi. Restano sospese le attività che abbiano luogo in sale da ballo, discoteche e locali assimilati, all’aperto o al chiuso.

 


Bar e ristoranti, da oggi si torna a mangiare al chiuso. Ma attenzione al limite delle 4 persone al tavolo

Coinvolte 4350 attività in Bergamasca. Oscar Fusini, direttore di Ascom Confcommercio Bergamo: “Le restrizioni cambieranno con l’entrata della Lombardia in zona bianca prevista per il 14 giugno”

Eccola, la sospirata ripartenza a tutto tondo del mondo della ristorazione: da oggi primo giugno, infatti, è possibile di nuovo prendere il caffè al bancone e riaprono anche le 160mila attività che non avendo degli spazi all’aperto non hanno potuto approfittare della “finestra” aperta il 26 aprile scorso. Parliamo di una bella fetta delle imprese della ristorazione, il 46% circa, che hanno visto il loro lockdown prolungato di un mese e mezzo. Ovviamente non saranno tutte rose e fiori: i problemi che queste imprese devono affrontare sono ancora molteplici e tra questi la mancanza di personale. Anche a Bergamo la riapertura del servizio di somministrazione al chiuso è una boccata d’ossigeno per tutto il comparto. Le attività coinvolte, infatti, sono circa 4350 (compresi gli alberghi con ristorante).

La riapertura in tutto il Paese dei ristoranti al chiuso a pranzo e cena comporta l’obbligo di mascherina ogni volta che ci si alza dal tavolo. Resta anche il limite di massimo di 4 persone al tavolo come afferma Oscar Fusini, direttore Ascom Confcommercio Bergamo: “Le nuove linee guida approvate dal Ministero della Salute con l’ultima revisione del 20 maggio non introducono delle sostanziali novità nell’impianto delle disposizione che regolano il distanziamento e che sono state adottate per rallentare l’epidemia: per esempio resta l’obbligo delle 4 persone al tavolo e il distanziamento da 1 a 2 metri a seconda dell’evolversi dell’epidemia. Le restrizioni cambieranno o con l’entrata della Lombardia in zona bianca, prevista per il 14 giugno, quando decadono tutte le limitazioni; oppure con l’entrata in vigore, il 15 giugno, dell’articolo 9 comma del 2 del DL del 18 maggio che prevede la possibilità di fare feste dopo le cerimonie, nel rispetto delle linee guida. Da domani, comunque, la possibilità di lavorare sarà svincolata dalle condizioni meteorologiche e dello spazio esterno. Per molti, inoltre, aumenteranno gli spazi a disposizione dei consumatori così da arrivare ad un livello di consumi sostenibile”.

Le linee guida della Conferenza delle Regioni

I tecnici delle Regioni con il Comitato tecnico scientifico ribadiscono una serie di restrizioni e indicazioni di carattere generale e il 28 maggio sono state pubblicate le “O.M. 29.5.2021 e Linee guida per la ripresa delle attività economiche e sociali” della Conferenza delle Regioni e delle Province Autonome che tengono conto delle disposizioni del decreto-legge n. 52 del 22 aprile 2021, del decreto-legge n. 65 del 18 maggio 2021 e sono adottate ai sensi dell’articolo 1, comma 14, del decreto-legge n. 33 del 16 maggio 2020. Le linee guida riguardano diversi settori: ristorazione e cerimonie, attività turistiche e ricettive, cinema e spettacoli dal vivo, piscine termali e centri benessere, servizi alla persona, commercio, musei, archivi, biblioteche e luoghi della cultura, parchi tematici e di divertimento, circoli culturali e ricreativi, congressi e grandi eventi fieristici, sale giochi, sale scommesse, sale bingo e casinò, sagre e fiere locali, corsi di formazione.

Differenze tra zona bianca e gialla: le risposte della Fipe

Zona bianca, esiste il limite di 4 persone al tavolo?

La disciplina si rinviene nell’art. 7, comma 1 del DPCM del 2 marzo u.s., ove viene stabilito che, ferma restando l’applicabilità dei Protocolli e delle Linee guida concernenti il settore di riferimento, nelle c.d. “zone bianche”, cessano di applicarsi le misure di cui al Capo III relative alla sospensione o al divieto di esercizio delle attività ivi stabilite. Dunque, è ragionevole ritenere che vengano meno le limitazioni previste per le attività dei servizi di ristorazione di cui all’art. 27, ivi incluso il limite di 4 persone al tavolo.

Il mio locale si trova in zona gialla, dal 1° giugno i clienti possono consumare al bancone?

Ai sensi dell’art. 2 del D.L. “Riaperture-bis”, a partire dal 1° giugno 2021, in zona gialla, le attività dei servizi di ristorazione, svolte da qualsiasi esercizio, sono consentite anche al chiuso, nel rispetto dei limiti orari agli spostamenti. Rispetto alla disciplina previgente – dettata dall’art. 4, comma 2, del D.L. “Riaperture”, di fatto abrogata – la norma non fa più riferimento al necessario consumo al tavolo, ragion per cui si ritiene che dal 1° giugno sarà consentito anche il consumo al banco all’interno dei locali. Tale ricostruzione è stata anche confermata dal Ministero dell’Interno, con circolare dello scorso 19 maggio.

Esiste ancora l’obbligo di esporre il cartello con l’indicazione massima di capienza? Ed è riferito solo agli spazi interni o anche a quelli esterni?

Sì, permane in vigore la disciplina dell’art. 11, comma 2 del DPCM dello scorso 2 marzo, secondo cui, fino al prossimo 31 luglio, in zona gialla, è obbligatorio per tutti gli esercizi commerciali e tutti i locali pubblici e aperti al pubblico, esporre all’ingresso degli stessi un cartello che riporti il numero massimo di persone ammesse contemporaneamente nel locale medesimo, sulla base dei Protocolli e delle Linee guida vigenti. Stando al tenore letterale della disposizione, sembra ragionevole ritenere che nel cartello vada inserito il riferimento della capienza massima relativa agli spazi interni e non anche a quella dell’esterno. Inoltre, è possibile mantenere il cartello anche nelle zone c.d. “bianche” in quanto in grado di agevolare gli eventuali controlli, considerato altresì che le Linee guida della Conferenza delle Regioni e delle Province autonome, approvate con Ordinanza del Ministero della Salute dello scorso 29 maggio, hanno previsto che il numero massimo di presenze contemporanee debba essere calcolato in relazione ai volumi di spazio e ai ricambi d’aria e alla possibilità di creare aggregazioni in tutto il percorso di entrata, presenza e uscita.

Ho un ristorante che si trova in zona gialla, che distanza devo mantenere tra i tavoli?

La nuova versione delle Linee guida della Conferenza delle Regioni e delle Province autonome, approvate con Ordinanza del Ministero della Salute dello scorso 29 maggio, confermano la previgente disposizione secondo cui i tavoli devono essere disposti in modo da assicurare il mantenimento di almeno 1 metro di separazione tra i clienti di tavoli diversi negli ambienti al chiuso (estendibile ad almeno 2 metri in base allo scenario epidemiologico di rischio) e di almeno 1 metro di separazione negli ambienti all’aperto (giardini, terrazze, plateatici, dehors), con eccezione delle persone che in base alle disposizioni vigenti non siano soggette al distanziamento interpersonale (tale aspetto afferisce alla responsabilità individuale dei clienti). Tali distanze possono essere ridotte solo con barriere fisiche di separazione, per saperne di più scarica la check list Fipe.

Ho un bar, quali sono i limiti di orario che dovrò applicare a partire dal 1° giugno?

In zona bianca,ai sensi dell’art. 1, comma 5 del D.L. “Riaperture –bis” e delle “indicazioni della Conferenza delle Regioni e delle Province autonome sulle zone bianche” dello scorso 26 maggio, espressamente recepite dal Ministero della Salute con Ordinanza del 28 maggio viene meno ogni limitazione oraria alla circolazione e alle attività. Pertanto, anche i bar, e in generale tutte le attività dei servizi di ristorazione, possono esser svolte senza alcuna restrizione oraria.
Invece, in zona gialla, ai sensi dell’art. 2 del D.L. “Riaperture-bis”, le attività dei servizi di ristorazione, svolte da qualsiasi esercizio, sono consentite anche al chiuso, nel rispetto dei limiti orari agli spostamenti. In sintesi: dal 1° al 6 giugno il servizio sarà possibile dalle 5.00 alle 23.00; dal 7 al 20 giugno dalle 5.00 alle 24.00; dal 21 giugno non vi saranno limitazioni orarie.


Dal 26 aprile tornano le zone gialle: via libera ai dehors anche a cena. Ecco la roadmap delle riaperture

Pranzo e cena solo nei locali che hanno tavoli all’aperto e dal primo giugno anche al chiuso ma solo a pranzo. Piscine aperte dal 15 maggio, palestre dal 1 giugno. E dal 15 giugno ripartono le fiere

Tornano le zone gialle dal 26 aprile, dove i dati lo consentono, ma a riaprire saranno solo le attività all’aperto. Gli esercizi di ristorazione, quindi, potranno lavorare sia a pranzo che a cena, a patto di avere uno spazio esterno. Il Consiglio dei ministri ha varato mercoledì 21 aprile il nuovo decreto anti coronavirus le cui bozza era stata licenziata venerdì scorso. Nessuna novità di rilievo, a parte l’astensione politicamente pesante della Lega, che contesta la conferma del coprifuoco alle 22.

Il calendario delle riaperture (Scarica il Decreto Riaperture).

Da lunedì 26, dunque, si comincia a riaprire e tra i primi ci saranno i ristoratori: in zona gialla, fino a tutto il mese di maggio, sarà possibile pranzare o cenare solo nei locali che hanno tavoli all’aperto, mentre dal primo giugno si potrà mangiare anche al chiuso, ma solo a pranzo. Sempre in area gialla riapriranno con specifici protocolli teatri, cinema, spettacoli e musei. Dal 15 maggio sarà consentita l’attività nelle piscine scoperte e dal primo giugno nelle palestre al chiuso, data in cui saranno aperti al pubblico anche manifestazioni ed eventi sportivi di interesse nazionale.
Il 15 giugno ripartono le fiere e dal primo luglio sarà la volta di congressi e parchi tematici. Per quanto riguarda gli spostamenti tra le Regioni resta necessaria l’autocertificazione, dove è già prevista, ma da subito si potrà girare più liberamente con in tasca il “certificato verde”, che attesti la vaccinazione, l’esecuzione di un tampone negativo o l’avvenuta guarigione dal Covid. Chi avrà il pass potrà anche accedere a determinati eventi, culturali e sportivi.

“Le aperture per le sole attività all’aperto rischiano di penalizzare almeno la metà delle imprese che non possono usufruire di questa possibilità. Per i pubblici esercizi della montagna, poi, è una doppia penalizzazione considerate le condizioni climatiche -a ricordato il presidente di Confcommercio, Carlo Sangalli, nel suo intervento alla giornata “Legalità, ci piace!”  Chiediamo due ulteriori accorgimenti: favorire una sensibilizzazione nei confronti delle amministrazioni locali nel permettere di utilizzare nuovi spazi pubblici, così da  maggiore vivibilità delle nostre città e territori; anticipare prima possibile le aperture anche all’interno, con distanziamento e protocolli di sicurezza”.

Zambonelli, presidente Ascom: “Così non va: ci sono ancora troppi nodi da sciogliere e regole da definire con più chiarezza”

Avere una data per poter ripartire sono segnali che vanno nella giusta direzione ma “ci aspettavamo maggiore coraggio e soprattutto maggiore chiarezza – sottolinea Giovanni Zambonelli, presidente di Ascom Confcommercio Bergamo, in merito al Decreto Riaperture approvato ieri sera dal Consiglio dei Ministri -. C’è infatti di fondo un errore di metodo. Il calendario delle riaperture è sulla bocca di tutti e sulle pagine dei giornali ma non basta presentare delle slide in pdf. Per chi lavora, in primis le associazioni di categoria, servono provvedimenti veri e non comunicati stampa. I nostri associati sono confusi e ci stanno contattando per capire come gestire i clienti e le prenotazioni in vista di eventi e cerimonie all’aperto, considerando anche l’incognita del maltempo. A oggi, infatti, non c’è nessun decreto messo nero su bianco che definisce regole precise e tutti questi bei proclami cadono nel vuoto se poi mancano protocolli di sicurezza e un metodo comune a tutti da seguire”.

Niente passi falsi, dunque, anche perché l’obiettivo comune al mondo del commercio e del turismo è quello di tornare a lavorare a pieno ritmo: “La data del 26 aprile da sola non basta – prosegue Zambonelli -. Dobbiamo dare una prospettiva a tutti gli imprenditori e bisogna lavorare da subito a un protocollo di sicurezza sanitaria stringente che consenta la riapertura anche dei locali al chiuso: finché la ristorazione non potrà ripartire in toto, infatti, anche tutta la filiera connessa continuerà a subire danni economici gravissimi”.

C’è poi il nodo delle date scelte: “Per alcuni settori non si tratta di una ripartenza vera e propria – conclude Zambonelli -. Penso in primis ad alberghi e ristoranti ma anche alle piscine, chiamate a riaprire troppo presto, così come è assurdo invece pensare di aspettare luglio per i parchi tematici. E poi ci sono i centri commerciali che sarebbero dovuti ripartire prima: la chiusura nel weekend, operativa da più di sei mesi, ha tagliato il giro d’affari del 40% rispetto al 2019 e il fatturato annuo di 56 miliardi di euro. Sono numeri che mettono a repentaglio la tenuta delle aziende, con il rischio di forti ricadute occupazionali”.

Fipe: “Un primo passo, ma serviva più coraggio”

Anche per la Fip-Confcommercio “si tratta solo di un primo punto di partenza, perché troppe imprese restano tagliate fuori dalla limitazione del servizio ai soli spazi esterni, subendo così una discriminazione. Per queste realtà il lockdown non finirà il 26 aprile. È fondamentale avere già nei prossimi giorni una road map molto precisa che indichi come e quando le riaperture potranno coinvolgere, nel pieno rispetto dei protocolli di sicurezza, anche tutti quei locali che hanno a disposizione solo spazi interni. Parallelamente sarà importante invitare i Comuni a fare tutto quanto in loro potere per favorire la concessione di suolo pubblico agli operatori sfavoriti da questa riapertura parziale”. Fipe sottolinea infine che “sarà essenziale che tutti quanti, imprenditori e avventori, dimostrino il massimo senso di responsabilità, rispettando pedissequamente le norme di sicurezza sanitaria stabilite dal Comitato tecnico scientifico. Non possiamo permetterci passi falsi. L’obiettivo comune deve essere quello di tornare a lavorare, e dunque a vivere, a pieno ritmo”.

Sono 116mila i locali senza spazio esterno

Fipe fai inoltre notare che riaprire solo le attività che hanno i tavolini all’esterno “significa prolungare il lockdown per oltre 116mila pubblici esercizi”. Il 46,6% dei bar e dei ristoranti italiani non ha infatti spazi all’aperto, una percentuale peraltro che nei centri storici, soggetti  a regole molto più stringenti, aumenta considerevolmente. “Se questo è il momento del coraggio dice Fipe – che lo sia davvero. I sindaci mettano a disposizione spazi extra per le attività economiche che devono poter apparecchiare in strada ed evitare così di subire, oltre al danno del lockdown, la beffa di vedere i clienti seduti nei locali vicini”. Per la federazione la data del 26 aprile da sola “non basta. Dobbiamo dare una prospettiva a tutti gli imprenditori. Bisogna lavorare da subito a un protocollo di sicurezza sanitaria stringente, che consenta la riapertura anche dei locali al chiuso e bisogna darci un cronoprogramma preciso, a partire dal 26 aprile. Non c’è più tempo da perdere. Nelle prossime ore chiederemo all’Associazione nazionale dei Comuni italiani di collaborare con noi per spingere i sindaci a concedere il maggior numero di spazi esterni extra, in via del tutto eccezionale e provvisoria, agli esercizi che in questo momento ne sono sprovvisti. Sarebbe un bel segnale di unità e di voglia di uscire dal pantano tutti insieme”.

 

Federalberghi: “Le terme sono già aperte e potranno offrire maggiori servizi”

Bene gli indirizzi formulati dalle Regioni, che “confermano gli alti standard di sicurezza garantiti dalle aziende termali”, ma non è chiaro “a quali ipotesi di termalismo si faccia riferimento quando si parla di riaperture al primo luglio. Ci auguriamo solo che eventuali profili di limitazioni alle attività termali presenti ad oggi nei testi normativi vengano aboliti al più presto”. Lo sottolinea Emanuele Boaretto, presidente di Federalberghi Terme, per il quale comunque “un ulteriore segnale positivo verrà dalle decisioni che il Governo si appresterebbe ad assumere e che consentirebbero di riprendere a breve i flussi turistici e sanitari idonei a far ripartire il settore dopo un anno di grosse difficoltà”. In ogni caso, conclude la Federazione, è bene ricordare che “gli stabilimenti termali italiani sono aperti già oggi per le prestazioni incluse nei livelli essenziali di assistenza (fangobalneoterapia e inalazioni, ad esempio) e per attività riabilitative e terapeutiche”.

 

Vacanze, gli stabilimenti balneari sono pronti ad accogliere i turisti stranieri dal 15 maggio

Gli stabilimenti balneari “sono pronti ad accogliere i turisti anche stranieri, in particolare i tedeschi, che con la Pentecoste dal 13 maggio hanno un periodo di vacanze di 15 giorni. La nostra richiesta è stata accolta, siamo soddisfatti: l’apertura a giugno ci avrebbe penalizzato rispetto ad altri mercati concorrenti come la Grecia e la Spagna. L’importante è che l’Italia c’è, è pronta”.  Così Antonio Capacchione, presidente del Sib Fipe- Confcommercio, soddisfatto per l’accoglimento della richiesta fatta nei giorni scorsi al ministro del Turismo, Massimo Garavaglia. I balneari hanno iniziato già da qualche settimana a fare lavori di manutenzione sulle spiagge perché “non è che alziamo una saracinesca e apriamo – spiega Capacchione – alle volte c’è bisogno di un mese, di due mesi, dipende dalle dimensioni degli stabilimenti e quindi confido che dal 15 maggio si possa iniziare davvero a lavorare”


Cinque ingredienti insoliti e difficili da trovare. Chi li conosce?

Avete mai provato il pandano? Sapete cos’è la lattuga sedano? E il fagiolo di Goa? Una guida su delle vere e proprie chicche da scovare

Il fagiolo di Clüsven

Il fagiolo di Clüsven fa parte del progetto di ricerca europeo Increase: prende il nome dalla località nel territorio di Gandino dove è stato coltivato, da oltre un secolo, dalla famiglia contadina Bonazzi. Roberto Colombi, già sindaco a Gandino, a inizio degli anni ’60, sposando una delle figlie Bonazzi, ha ricevuto dai suoceri i semi che ha piantato in località Rastei. Nel 2016 è stata avviata la coltivazione associata di mais spinato e fagiolo seriano. Si gusta nelle minestre di verdura, con la pasta e in umido con pomodori e spezie. 

 

Le foglie di pandano

Ce ne sono 600 varietà e in cucina la più utilizzata è la pandanus amaryllifolius: in Oriente si utilizza per dare un tocco di sapore a pietanze salate e per addolcire creme, dessert e bevande. Ottima fonte di aromi e profumi, le foglie di pandano sono ottime per aromatizzare il riso o per creare degli involucri all’interno dei quali cuocere le carne. Il sapore a metà tra vaniglia e mandorla rende il pandano ottimo anche per i dessert, (la pandan chiffon cake è molto soffice e profumata e colpisce per la sua insolita tonalità verde). È perfetto anche per la preparazione di smoothie. Dove si compra? Lo si trova solo nei market orientali, spesso in polvere.

 

La lattuga sedano

Celtuce, lattuga sedano, lattuga cinese, lattuga asparago: tanti nomi diversi per un ortaggio molto diffuso in Cina e che sta attirando la curiosità di chef di tutto il mondo grazie alle sue proprietà benefiche. La lattuga sedano è infatti un vero e proprio toccasana, ricco di sali minerali e vitamine. Della pianta si consuma lo stelo, wosun in Cina, ma anche le foglie crude sono commestibili e sono ottime per le insalate. In cucina, la lattuga sedano può essere poi bollita, grigliata e accompagnata da diversi tipi di condimenti o salse. Una volta pelato, il gambo si consuma sia crudo che cotto: ha un lieve sapore di sedano, molto croccante e succoso.

 

Il fagiolo di Goa

Per la sua forma bizzarra viene chiamato fagiolo alato ed è noto anche come pisello asparago per il gusto dei suoi baccelli. Originario della Nuova Guinea e diffuso in Indonesia e Thailandia, dove può raggiungere i 4 metri di altezza, il fagiolo di Goa è uno scrigno di usi culinari: le foglie si consumano come gli spinaci, lesse o saltate, i graziosi fiori rossi sono usati come colorante, le radici si consumano previa cottura i semi, una volta essiccati, sono usati per preparare una bevanda simile al caffè, mentre con la granella secca si prepara un alimento fermentato detto tempeh. Un must da provare sono i suoi baccelli saltati in padella con del burro e serviti caldi. La nota dolente? Trovarlo nei market è un’impresa. Coltivarlo è l’unica soluzione (i semi si possono ordinare su internet).

 

Il kiwano

Chiamato melone cornuto il kiwano piace per la delicatezza del sapore, la nota esotica del suo gusto e le sue proprietà idratanti. Benché in molti paesi africani venga cucinato intero (arrostito o bollito con altre verdure), il kiwano è ideale per un consumo fresco. La polpa può essere aggiunta ad insalate, creme, yogurt, smoothie, macedonie e può diventare anche l’ingrediente segreto di un cocktail: provate ad aggiungerlo, ad esempio, a un Margarita o a un Mojito. Oltre alla polpa, anche la buccia, ricca di vitamina C, può essere consumata (previa cottura).

 

 

La ricetta della Chiffon Pake al Pandano

Ingredienti

240 g di farina
300 g di zucchero
8 g di cremor tartaro
8 uova
2 pizzichi di sale
60 ml di latte di cocco
4 cucchiaini di estratto di pandano
125 ml di olio di semi di girasole
50 ml di acqua

Montate a neve ferma gli albumi e metteteli da parte. Montate i tuorli da soli fino a che non risulteranno chiari. Nel frattempo in una terrina setacciate la farina, lo zucchero, il sale e il cremor tartaro e mescolate. In una ciotola mettete il latte di cocco, l’estratto di pandano e l’acqua. Versate la crema verde ottenuta nei tuorli, aggiungete l’olio e montate per qualche minuto, unite gli ingredienti secchi e mescolate bene. Unite per ultimi gli albumi montati. Versate il composto in uno stampo apposito. Cuocete a 170° per circa 50-55 minuti.
Quando la torta sarà pronta, toglietelo dal forno e capovolgetela a testa in giù direttamente sul piatto dove desiderate servirla, lasciatela raffreddare e non appena sarà fredda si staccherà da sola. Spolverizzate con zucchero a velo e decorate con foglioline di menta.


Giornata internazionale dei diritti della donna: TheFork fa il punto sulla ristorazione al femminile

Dalle donne del food più influenti ai ristoranti in “rosa” più amati dagli utenti: ecco i risultati dell’indagine tra dati di settore e tante curiosità 

In occasione della Giornata Internazionale dei diritti della Donna, TheFork ha dato vita a un’indagine per condividere dati di settore e curiosità sulla ristorazione al femminile. Nonostante un’annata a dir poco imprevedibile, il 20% di tutti i ristoranti sulla piattaforma si è tinto di rosa e sempre più donne hanno scalato i vertici del mondo food in tutto il Belpaese.

Secondo 72% degli utenti dell’app numero uno a livello mondiale nella prenotazione online dei ristoranti, negli ultimi anni la quota di lavoratrici nel comparto food è aumentata, stima confermata per il 39% di operatori del settore che sostiene di aver aumentato il numero di dipendenti donne presso il proprio locale negli ultimi tre anni. Secondo la stessa ricerca, il 51% dei ristoratori dichiara di avere una chef donna, mentre il numero medio di donne impiegate in cucina è pari a 1,3. 2,2 è infine la media di lavoratrici attive in altre funzioni presso il ristorante stesso: dalla sala all’amministrazione.

Gli operatori del settore ritengono che a influire positivamente sull’occupazione femminili abbia contribuito la presenza di donne del food nei media. Secondo un’analisi semantica delle recensioni condotta da TheFork a febbraio 2021 sono oltre 4344 i ristoranti che nelle recensioni degli utenti contengono almeno una volta una di queste parole chiave: “ristoratrice”, “proprietaria”, “la titolare”, “imprenditrice” e “cuoca”, dato che farebbe presumere un 20% di ristoranti “al femminile” sulla piattaforma.

A fronte della domanda non guidata su quale fosse la donna del food più influente in Italia, gli utenti hanno risposto per la maggioranza Benedetta Rossi, Antonia Klugmann, Benedetta Parodi, mentre gli operatori del settore hanno menzionato soprattutto le Chef Nadia Santini, Cristina Bowerman e Antonia Klugmann.

Le donne del food più influenti

Secondo il 62% degli utenti negli ultimi 5 anni, la presenza di donne in ruoli apicali del mondo food è aumentata. TheFork ha chiesto ai suoi utenti anche quali fossero a loro parere le donne più influenti del settore food basandosi su diverse classifiche preesistenti.

Per la categoria Chef stellate della Guida Michelin: Antonia Klugmann, L’Argine di Vencò, Dolegna del Collio (19%); Cristina Bowerman, Glass Hostaria, Roma (9%); Rosanna Marziale, Le Colonne, Caserta (7%).

Per la categoria food influencer: Benedetta Rossi (32,8%); Benedetta Parodi (28,6%); Chiara Maci (11,7%).

Per la categoria wine influencer: Wine lovers Italy (15%); Wineteller (10%) Arianna Franciacorta by Arianna Vianelli (8,8%).

Per la categoria imprenditrici e manager del settore: Maria Franca Ferrero, Presidente Ferrero e Fondazione Ferrero, Ferrero Italia (31,8%); Marina Sylvia Caprotti, Presidente Esecutivo, Esselunga (17,6%); Francesca Lavazza, Imprenditrice e Board Member, Lavazza (14%).

Per la categoria pasticciere: Debora Massari (55,6%), Stella Ricci (13%); Marta Boccanegra (7%).

Per la categoria pizzaiole: Teresa Iorio, Rossopomodoro LAB, Napoli (19%); Maria Cacialli, La Figlia del Presidente, Napoli (15%); Isabella de Cham, 1947 Pizza Fritta, Napoli (11%).

I ristoranti al femminile più amati su TheFork

TheFork ha infine individuato la top 10 dei ristoranti al femminile più amati sulla piattaforma. I criteri utilizzati sono stati la maggior presenza delle suddette parole chiave e una votazione superiore all’8,5 da parte degli utenti di TheFork.

Glass Hostaria, Roma

Non servono presentazioni per il ristorante della nota e amata Chef stellata Cristina Bowerman. Nel cuore di uno dei quartieri più suggestivi di Roma, Trastevere, Bowerman è riuscita a creare un punto di riferimento per la cucina locale distinguendosi però da tutte le altre osterie trasteverine, proponendo una cucina leggera e innovativa ricca di suggestioni regionali ma anche internazionali.

L’Arte di Dory, Firenze

Questo ristorante di Firenze prende il nome dalla chef che ne firma i piatti, Chef Dory che propone ricette della regione Toscana come le pappardelle al cinghiale preparate proprio come vuole la tradizione.

Cousine, Roma

Nel quartiere Gianicolense di Roma, un bistrò nato dalla passione di Maria Pia Folino e di sua figlia Gaia Ascone, che hanno voluto ridare vita a questo piccolo gioiellino, portando avanti la conduzione familiare del locale. Qui potrete gustare deliziosi piatti di pesce e non, preparati con materia prima di ottima qualità.

Buca San Petronio, Bologna

Nel 2004 quattro amici tra cui la giovane Elena Esposito, decidono di lanciarsi nel progetto di riqualificazione di un ristorante storico di Bologna: il Buca San Petronio. Oggi questo locale è un punto di riferimento per chi vuole gustare i piatti tipici della cucina emiliana, ma anche di un’atmosfera di design tutta dedicata all’ “Italian Style”.

Lidia’s Bistro, Fano (PU)

Un nome decisamente descrittivo, perché questo è effettivamente il bistro di Lidia, proprietaria e chef che propone un menù davvero interessante con proposte della cucina siciliana, come gli arancini o la pasta alla norma, e di quella norvegese, come gli smørbrød (paragonabili a dei crostoni).

Lìntulì Làpperlà, Matelica (MC)

Lìntulì Làpperlà è il progetto di Eleonora Monteverde, che dopo il terremoto che ha colpito le Marche ha deciso di dedicare anima e corpo a questo ristorante il cui punto di forza è proprio il territorio. Qui potrete assaggiare una cucina creativa ma anche dei piatti della tradizione.

M’Amo, Milano

Manuela e Massimo, questi i due nomi che compongono la parola “M’amo”. Loro sono i proprietari di questo delizioso ristorante milanese che offre una cucina mediterranea. Tutto qui è scelto con amore e attenzione, dagli arredamenti, all’accoglienza fino ovviamente alle materie prime.

Sartoria Gastronomica, Bologna

Un ristorante in cui protagoniste assolute sono le materie prime, rigorosamente del territorio, che ogni giorno – proprio come in una sartoria – vengono lavorate su misura per creare piatti della tradizione mediterranea con rielaborazioni creative e mai banali.

La Ferramenta del Gusto Emiliano, Torino

La Ferramenta del Gusto Emiliano a Torino è un ristorante in cui si respira un’atmosfera casalinga e familiare ma soprattutto in cui si assaporano le ricette tipiche dell’Emilia Romagna. Gestito in sala da Eleonora Tonelli, con amore e passione, mentre in cucina troviamo Stefania Vallis e Andrea Airò.

Scacciapensieri Osteria Moderna, Cecina
Allo Scacciapensieri si viene per stare insieme, per gustare una cucina mediterranea di prima qualità – soprattutto se parliamo di piatti di pesce – e per farsi coccolare dal personale attento e professionale proprio come la proprietaria Catia.


Zona arancione? Cambiamo strategia. Riapriamo i ristoranti di sera per ridurre gli assembramenti

Stiamo per tingerci nuovamente di arancione e anche questa volta non sarà uno scherzo. Se la questione sembra non far più notizia l’incubo per il commercio ritorna. Per bar e ristoranti torna il dramma della chiusura mentre la ridotta mobilità colpirà tutto il commercio. Peraltro la pandemia si mangerà la seconda Pasqua dopo quella dell’anno scorso e, speriamo di no, tutto il mercato degli eventi religiosi in programma in primavera.

La nuova ondata della pandemia, la terza, ci sta riportando indietro alle settimane terribili di ottobre dove molte persone si sono ammalate e gli ospedali sono andati in affanno. Non nascondiamo la gravità della situazione e anzi ne siamo preoccupati. La pandemia purtroppo non si è mai fermata da oltre un anno e il virus ha continuato a circolare mentre le misure restrittive sono state pesanti. Dall’inizio di questa brutta vicenda e nemmeno dopo oltre un anno siamo riusciti ad elaborare una strategia che consenta di evitare queste continue chiusure con un sistema che possa assicurare il contrasto alla pandemia con la possibilità del lavoro delle imprese e degli addetti.

Non si può accettare il concetto che queste attività, per loro natura, producono occasioni di uscita e assembramenti e quindi devono essere chiuse, perché parte dal concetto che uno Stato di diritto, non potendo far rispettare una legge, ne crea un’altra più pesante che è certo di far rispettare. È come se per evitare che la gente passi con il semaforo rosso si impedisse di utilizzare l’automobile!

Nella realtà qualcosa di diverso e di nuovo esiste in questa questione. Ed è stata l’occasione per Fipe, la Federazione Italiana dei Pubblici Esercizi, di incontrare il nuovo Ministro dello Sviluppo Economico, Giancarlo Giorgetti, per sottoporre la questione della revisione delle norme relative alle zone gialle e arancioni. La posizione è stata sintetizzata in un documento ufficiale del 23 febbraio scorso, quando ancora c’erano speranze di poter rivedere l’impianto del Dpcm per alleggerire le chiusure serali.

In queste settimane la chiusura serale dei pubblici esercizi e dei ristoranti ha portato ad un fenomeno in tutta Italia di “mala movida” che ha creato assembramenti di persone che consumavano per strada e in gruppo. Sebbene la cosa fosse vietata, i capannelli erano talmente tanti e numerosi che non è possibile controllarli ed evitarli. Questa novità ha messo in luce la necessità di un cambiamento. Non si può impedire un servizio controllato e sicuro, come da linee guida, nei bar e ristoranti per favorirne uno caotico e pericoloso per strada. L’arrivo della bella stagione enfatizzerà questo problema.

Occorre quindi che il Comitato Tecnico Scientifico del Governo prenda in considerazione un cambio radicale della strategia. Consentire il consumo al tavolo in bar e ristoranti vietando ogni tipo di asporto di bevande potrebbe favorire un consumo ordinato riducendo gli assembramenti esterni che potrebbero e dovrebbero essere puniti.
Questa è la nostra proposta che speriamo diventi propria di molti altri soggetti coinvolti, Sindaci e Prefetti. Questa sarebbe il reale cambiamento per far convivere salute e lavoro e per offrire una possibilità di sopravvivenza a migliaia di imprese sull’orlo del baratro.

 


Fondo Ristorazione, come mai ci sono ritardi nell’erogazione dei contributi

Il bonus è fermo al palo. La Fipe: “Entro la fine di gennaio doveva arrivare il pagamento dell’anticipo del 90% sugli acquisti dei prodotti agroalimentari”. Anche la Regione sollecita l’erogazione. 

Quando sarà effettuato il pagamento del Fondo ristorazione? È la domanda che migliaia di ristoratori si stanno ponendo da giorni e su cui è intervenuta anche la Fipe lanciando l’allarme per il settore: gli oltre 46mila imprenditori della ristorazione che hanno chiesto il contributo a fondo perduto per l’acquisto dei prodotti agroalimentari italiani, non hanno ancora ricevuto quanto promesso dal governo, nonostante siano passati due mesi dall’ultima data utile per la presentazione delle domande (il 15 dicembre). Al momento Ascom ha curato circa 100 pratiche, per le quali si attende ancora una risposta.
“Ci era stato garantito – sottolinea Fipe Confcommercio – che entro la fine di gennaio sarebbe stato effettuato il pagamento dell’anticipo del 90% sugli acquisti dei prodotti agroalimentari. Siamo a metà febbraio e ancora i ristoratori non hanno visto un euro. Chiediamo un intervento immediato da parte del neo ministro dell’Agricoltura, Stefano Patuanelli: in ballo ci sono oltre 345 milioni di euro, fondamentali per un settore messo in ginocchio dalle misure di contenimento del Covid-19. Non dimentichiamoci, inoltre, che il plafond complessivo raggiungeva i 600 milioni di euro. Queste risorse non possono essere perse, ma vanno immediatamente riallocate a sostegno della filiera agroalimentare”.

Il chiarimento del Ministero
Come riporta il Portale della ristorazione del ministero della Politiche agricole, a proposito del Fondo ristorazione, “la prima fase dell’iniziativa prevede la raccolta e la verifica di tutte le domande presentate dai potenziali beneficiari, in quanto solo al termine di tali attività sarà possibile determinare il valore del contributo erogabile a ciascun effettivo beneficiario. Di conseguenza la distribuzione dei fondi potrà essere pianificata soltanto nel corso dei primi mesi del 2021”.
Sempre sul portale si specifica che non c’è stato nessun click day e che “l’ordine di presentazione non dà diritto ad alcuna precedenza sulla erogazione del contributo”.

Rischio di errori nella presentazione della domanda
C’è poi lo “spettro” di eventuali errori nella procedura di invio della domanda: chi non ha scelto la procedura online e ha presentato la richiesta tramite gli Uffici delle Poste può aver sbagliato e, dunque, è rimasto escluso dal Fondo come riporta lo stesso Portale della ristorazione del ministero della Politiche agricole: “Le domande eventualmente presentate con modalità diverse da quella prevista sono irricevibili e non saranno prese in considerazione”.

Il sollecito della Regione Lombardia
Sulla questione sono intervenuti anche gli assessori di Regione Lombardia, Guido Guidesi, Sviluppo economico, e Fabio Rolfi, Agricoltura, che la scorso 11 febbraio hanno scritto al presidente del Consiglio uscente, Giuseppe Conte, e al ministero delle Politiche agricole per chiedere lo “sblocco immediato dei pagamenti del Fondo Ristorazione di 600 milioni di euro ad oggi ancora non disponibile. Ogni giorno di ritardo sono pensieri e preoccupazioni aggiuntive per i lavoratori della filiera agroalimentare, già particolarmente in difficoltà a causa della persistente emergenza sanitaria”. “La misura – continua la lettera – rivolta a ristoranti, pizzerie, mense, servizi di catering, agriturismi e alberghi con somministrazione di cibo permette di richiedere contributi a fondo perduto da un minimo di mille euro fino a un massimo di diecimila euro per l’acquisto di prodotti 100% Made in Italy. Ad oggi è noto esclusivamente l’importo dei bonus richiesti in via telematica: si tratta di oltre 221 milioni di euro, per una media di 7.139 euro a domanda”. “Non c’è più tempo da perdere – concludono i due assessori – per questo confidiamo in una risoluzione immediata”.


Solidarietà tra chef: La Mantia “ospite” del bergamasco Morelli

A Milano lo chef di stanza al “Bulk” dell’hotel “Viu” ha aperto le porte della sua cucina al collega, rimasto orfano del suo locale chiuso causa Covid

Un atto di generosità può salvare una vita. Ma la speranza è che sia condiviso anche da altri. Protagonisti di una storia di solidarietà, a Milano, sono lo chef bergamasco Giancarlo Morelli di stanza al “Bulk”, ristorante dell’hotel “Viu”, e il collega palermitano Filippo La Mantia. Morelli ha deciso di ospitare l’amico, rimasto orfano del suo locale in centro, “Oste e cuoco”, chiuso causa Covid. L’affitto era, infatti, troppo alto (31 mila euro) e gli introiti scarsi a causa dell’emergenza sanitaria. Il vantaggio della co-cucina, simile al co-working, è che si dividono le spese e si consente al cuoco meno fortunato di continuare a svolgere il proprio mestiere.

Chef Morelli, come ha maturato la sua idea?

“Do grande importanza all’amicizia, non deve mai essere fine a un interesse. Sono cresciuto con il detto “chi trova un amico, trova un tesoro”. Per me Filippo è questo, anche se siamo agli opposti, lui siciliano doc e io bergamasco vero. Il nostro rapporto si contraddistingue per il rispetto. Ci siamo conosciuti una quindicina d’anni fa, credo a un evento di beneficenza e da allora ci siamo sempre frequentati. Ho vissuto con lui la scelta difficile, per un ristoratore è come chiudere la casa di famiglia, dove ci sono il tuo profumo e i tuoi ricordi”.

Quando ha capito che doveva aiutarlo?

“Mi è accaduto di passare da Filippo il 13 dicembre, giorno di Santa Lucia, per me una ricorrenza speciale, che da 25 anni festeggiavo cucinando alla Rsa di Stezzano, paese d’origine di mia nonna e mia mamma (quest’anno, l’emergenza sanitaria l’ha impedito e mi è spiaciuto). Ho visto che stava preparando un dolce siciliano buonissimo, tipico di Santa Lucia. E mi ha colpito, non pensavo che la tradizione fosse anche giù. In quei giorni il ristorante cominciava a perdere le sue forme, c’erano i traslocatori e a ogni pacco che chiudevano vedevo la faccia di Filippo sempre più provata. Allora ho iniziato a ragionare”.

La chiusura è arrivata il 31 dicembre?

“Sì, ma è rimasto nel suo ristorante fino al 18 gennaio, quando è stato smontato tutto. La settimana dopo è passato da me a pranzare e lì abbiamo preso la decisione. Abbiamo tardato qualche giorno per le pratiche e poi lui è entrato in cucina con i suoi ragazzi, tre in cucina e una pasticcera (gli altri 16 sono in cassa integrazione), ed è stato più facile del previsto. Come in un ufficio, ognuno svolge la propria attività. È una prova importante, un conto è condividere una cucina per una cena a quattro mani, un altro è farlo ogni giorno. Una scoperta positiva”.

Come sta andando?

“Bene. Lui fa il tifo per noi a mezzogiorno che arrivino clienti (anche se essendoci l’albergo lavoriamo anche la sera), noi per lui che ci siano delivery e asporto”.

La Mantia ha detto che gli ha salvato la vita…

“Chiudere un ristorante o solo il pensiero di farlo mi fa venire i brividi”.

 

Dunque, questa è la sua ricetta per sopravvivere?

“Ho sempre pensato che le cucine dovessero essere fruibili da più persone, che il gioco di squadra fa la forza. Ma avere due o tre cucine o chef diversi è un’utopia, perché i cuochi sono molto solisti, vogliono essere Zapata, l’attaccante che segna di più. Io penso che il cliente avrà bisogno di certezze anche nel piatto, di sicurezza nell’affrontare un pranzo o cena. Vincerà la cucina legata alle grandi tradizioni con la riscoperta del piccolo produttore e il rispetto della terra da cui provengono gli ingredienti. Un tema da portare avanti e lo puoi fare meglio se condividi la tua esperienza con un altro quotidianamente”.

Il suo collega ha promesso di riaprire entro l’anno e di restituirle gli spazi.

“Filippo ha un’anima così scatenata che troverà la sua casa, ma questo non mi vieta di sognare, di credere di poter trovare una continuità, una squadra che può viaggiare in due modi, un ristorante condiviso e uno con la tua impronta. Io sono pronto, sarebbe una lezione quotidiana di felicità. Noi cuochi impariamo dai piccoli gesti, da come un altro si muove”.

E poi fa bene allo spirito.

“È divertente vedere la cucina animata con le cassette di verdure che vanno e vengono, non quei pezzettini piccoli che eravamo abituati a lavorare poiché non ci sono clienti, quasi fossero miniature, e noi orologiai. Ora è come essere al mercato con quei colori che ti riempiono gli occhi”.

State mischiando le rispettive arti?

“Per il momento no. Lui fa tanti piatti che a me piacciono, la sua è una cucina piena di storia e intrecci culturali. Io vengo da una cultura genuina, anche se meno colorata. Ma sono maniaco del mio territorio. E non scambierei mai la polenta con il cous cous”.

Rosanna Scardi


La ristorazione servizio essenziale Fipe: “Riaprire anche la sera”

La Federazione italiana dei Pubblici esercizi accende i riflettori su un problema che rischia di compromettere questa fase di ripartenza: le aperture frammentate

“La politica delle deroghe e delle aperture a macchia di leopardo determina squilibri pericolosi per la nostra categoria. È giunto il momento di adottare un approccio di filiera: se le città tornano alla vita, con gli uffici che riaprono in presenza anche in zona arancione, è giusto che vengano ripristinati anche i servizi essenziali, come i ristoranti per chi lavora. Altrimenti si rischia una confusione che non fa bene a nessuno”.  Con la ripresa delle attività ordinarie e a 5 giorni dal via libera agli spostamenti tra Regioni, Fipe-Confcommercio, la Federazione italiana dei Pubblici esercizi, accende i riflettori su un altro problema che rischia di compromettere questa fase di ripartenza graduale, quello delle aperture frammentate.

Una posizione, quella di Fipe-Confcommercio resa ancora più forte dal fatto che le stesse Regioni, nello scrivere le linee guida per la riapertura delle attività sciistiche, approvate dal governo, definiscono rifugi e ristoranti “presidio” essenziale per zone nelle quali il flusso di persone è molto elevato. Una fattispecie che si ritrova nelle città con grandi concentrazioni di uffici e attività produttive o cantieri. Da qui la richiesta di un approccio coordinato e coerente in tutte le zone del Paese che si traduce, di fatto, nella riapertura delle attività di ristorazione anche la sera.

A preoccupare, in particolare, è l’approccio che prevede aperture a singhiozzo per le attività di ristorazione, reso evidente non solo dalle nuove linee guida ma anche dalla possibilità di aprire i ristoranti in zona arancione, purché siano appannaggio esclusivo dei lavoratori.

 


Ascom e Confesercenti lanciano il manifesto condiviso per sostenere la ristorazione

Ascom Confcommercio Bergamo e Confesercenti Bergamo presentano il “Manifesto delle richieste dei ristoranti e dei pubblici esercizi bergamaschi”, documento nel quale vengono messe in evidenza tutte le richieste del settore da sottoporre al Governo, compatibilmente con la crisi in atto. Il Manifesto, presentato in una conferenza stampa online a cui hanno partecipato anche alcuni parlamentari bergamaschi, è stato lanciato in concomitanza con la manifestazione “Io Apro”, dalla quale le due Associazioni prendono le distanze, e vuole essere il contributo per la ripresa delle attività, anche in un periodo di pandemia.

Manifesto delle richieste dei ristoranti e dei pubblici esercizi bergamaschi

Cosa chiedono i pubblici esercizi alla politica:
A BREVISSIMO: Io non apro e lo Stato mi sostiene
A BREVE: io posso riaprire nel rispetto delle regole come in tutti gli altri settori

Come premessa doverosa noi crediamo che il Governo debba capire, in primo luogo, che il settore della ristorazione fa parte della cultura di questo Paese: la ristorazione è fondamentale per la capacità di accoglienza nelle nostre città, per la vivacità delle nostre vie, per l’importanza economica che ha nella filiera agroalimentare, essendone il principale sbocco.
Le nostre Associazioni conoscono bene la rabbia e lo scoramento degli imprenditori che quotidianamente ci chiamano per sfogarsi e avere in cambio spesso solo qualche parola di conforto; il nostro impegno è cercare di tenere canalizzata questa rabbia e indirizzarla verso un obiettivo positivo e comune.

Il mondo della ristorazione e tutta la filiera hanno bisogno di programmazione, certezze e investimenti continui. Le aziende del settore non possono strutturalmente accendersi a singhiozzo e, se non possono lavorare, hanno bisogno di essere aiutate a stare in vita.
Noi riteniamo che questo non sia il momento della disobbedienza e del tutti contro tutti, né quello della facile strumentalizzazione politica. Inoltre, le nostre Associazioni si dissociano per statuto da ogni forma di protesta che preveda come modus operandi l’infrangere le leggi. Quindi vogliamo tenacemente rimanere fedeli a noi stessi e continuare a credere nel duro lavoro del dialogo costante, e speriamo produttivo, con le Istituzioni.
Vogliamo svolgere il nostro ruolo di rappresentanza fino in fondo e coinvolgere tutti gli imprenditori responsabili in un percorso democratico di ricerca delle migliori soluzioni a favore di tutti.

Per scendere quindi nel concreto crediamo che i provvedimenti suggeriti di seguito possano davvero segnare una svolta per la categoria e segnare un piccolo grande passo nella giusta direzione in attesa che le condizioni esogene possano migliorare:

  • 1) stanziare, nell’immediato, un ristoro significativo perché i piccoli imprenditori e i loro familiari fanno parte del gruppo, ormai grande, dei nuovi poveri; i fondi servono per salvaguardare posti di lavoro altrimenti persi definitivamente;
  • 2) spostare a fine anno la scadenza della moratoria sui mutui precedenti alla pandemia. La scadenza attuale è il 30 Giugno 2021 ma, considerato che la situazione non è migliorata, riteniamo sensato sospendere i mutui fino a fine anno;
  • 3) raddoppiare il periodo dei mutui concessi con la garanzia dello Stato, in modo da dimezzare la rata e dare più respiro finanziario alle imprese, colte da questa tragedia pandemica nel loro miglior momento di investimento;
  • 4) ammettere ai ristori (come già accaduto a Novembre) anche le imprese con fatturato superiore ai 5 milioni, paradossalmente trascurate dal primo decreto bilancio;
  • 5) entro breve riapertura delle imprese con regole certe e programmazione a lungo termine. Troppo semplice e insostenibile la chiusura delle attività. Servono regole che superino il concetto di coprifuoco, che è sbagliato, anche perché, nel rispetto delle regole, il virus non si trasmette di notte anziché di giorno. È necessario individuare una modalità di servizio che risolva il problema di discriminazione del settore, rispetto a quello degli altri settori produttivi. Serve ripristinare condizioni che aiutino ad un recupero fisico e psicologico dei cittadini e degli imprenditori, rispetto a quanto stanno subendo da mesi. È necessario il superamento della politica di on/off che da un anno non ha risolto il problema della pandemia e ha impoverito il Paese; non è pensabile che questo metodo possa continuare a lungo;
  • 6) sgravi sul costo del lavoro per chi, quando si riprenderà la normalità, avrà mantenuto il 60% della forza lavoro rispetto al dicembre 2019;
  • 7) mantenere i crediti d’imposta per gli affitti, per le spese di adeguamento di sanificazione dei locali e di trasformazione digitale dell’impresa che consentono, tra l’altro, di investire nel delivery;
  • 8) allungare il periodo della cassa integrazione o consentire i licenziamenti prevedendo indennizzi di disoccupazione.

Il primo e il quarto punto sono le risorse necessarie per la sopravvivenza delle imprese, soprattutto delle più significative del settore che trascinano con sé gran parte del settore agroalimentare. Il secondo e il terzo invece non comportano spese finanziarie da parte dello Stato, ma aiuterebbero le imprese che hanno investito, dando occupazione e che hanno pagato le tasse. I restanti punti sono per la tenuta del settore di un settore allo stremo fino alla sua ripartenza.
Come potete constatare dalla sostanza di questo sintetico documento, in perfetto “stile orobico”, non stiamo solo chiedendo contributi e ristori a fondo perduto, ma anzi cerchiamo di costruire un futuro sostenibile per una categoria che in questi anni, grazie anche ai numeri del turismo, è cresciuta in professionalità, ha investito moltissimo e di questa crescita, siamo sicuri, ne ha beneficato tutto il Paese.
I locali pubblici non sono solo luoghi dove si mangia ma esperienze comunitarie e culturali. Sono la vita di un Paese, il nostro in particolare.

Roberto Amaddeo – Presidente Fiepet Confesercenti Bergamo
Giorgio Beltrami –  Presidente Pubblici Esercizi Ascom Confcommercio Bergamo
Petronilla Frosio – Presidente Ristoratori Ascom Confcommercio Bergamo