Per l’Ufficio Studi, con la legge di Stabilità “l’aggravio
di imposizione nel prossimo triennio è stato triplicato a quota 4,6 miliardi”. Intanto negli ultimi 6 anni il reddito pro capite si
è ridotto del 13% e nel 2012 i consumi sono scesi del 4,2%
Dall’elaborazione e dalle analisi condotte su dati Banca d’Italia, Istat e Cer arriva la conferma dell’ eccezionalità della crisi che faticosamente cerchiamo di lasciarci alle spalle. A sottolinearlo
è l’Ufficio Studi di Confcommercio che preso in esame le principali grandezze economiche e che rimarca come, nel 2012, la ricchezza netta pro capite – composta sia di abitazioni sia di strumenti finanziari, al netto dei debiti – sia tornata ai livelli del 2002 perdendo, rispetto al massimo raggiunto nel 2006, oltre 18mila euro a testa. Il reddito disponibile pro capite, tra il 2007 e la fine del 2013, ha subito una riduzione cumulata di oltre il 13% facendo, anche in questo caso, un grande balzo all’indietro tornando, al netto dell’inflazione, ai livelli della seconda metà degli anni ’80.
Non è superfluo evidenziare – annota Confcommercio – come il drammatico calo dei consumi registrato negli ultimi anni (-2,4% nel biennio 2008-2009 e -4,2% nel 2012) e le sue incerte prospettive anche per il 2014, sia una evidente, e preoccupante, “cartina di tornasole” di queste dinamiche della ricchezza delle famiglie.
E, a questo proposito, vale la pena evidenziare come, al di là degli effetti della crisi, anche le modifiche intervenute nel lungo periodo sul versante della composizione delle strutture familiari incidano sui comportamenti di spesa. Rispetto a 35 anni fa la struttura della popolazione è fortemente cambiata: crescono i nuclei famigliari monocomponenti, soprattutto quelli con anziani soli che in percentuale sono quasi triplicati, passando dal 5% del 1977 al 15,1% del 2012. Le coppie con figli sono ormai meno del 40% (erano quasi il 53% nel 1977 e comunque oltre il 44% nel 2000).
Una popolazione sempre più anziana e composta da nuclei familiari sempre più piccoli sposta l’allocazione delle risorse verso le cure mediche, l’assistenza e i servizi alla persona.
Questi cambiamenti della domanda – avverte l’Ufficio Studi – richiedono una risposta anche da parte delle imprese del terziario di mercato. Perdita del potere di acquisto e calo dei consumi restituiscono, dunque, l’immagine di un paese gravemente malato in cui appaiono sempre più necessarie ed urgenti le riforme istituzionali ed economiche, in primis quella fiscale. L’attuale livello di pressione fiscale, infatti, è incompatibile con le esigenze della crescita e al momento non vi sono segnali di un cambio di rotta. E’, infatti, evidente la mancanza di qualsiasi percorso di progressiva, certa e sostenibile riduzione del carico fiscale e, al tempo stesso, l’intenzione di continuare ad utilizzare la leva fiscale attraverso ulteriori aumenti di imposta per far quadrare i conti pubblici.
La conferma viene da quanto accaduto con l’ultima Legge di Stabilità che, nel passaggio dal disegno di legge originario alla versione definitiva approvata dal Parlamento, prevede complessivamente, per il triennio 2014-2016, un aggravio di imposizione ereditato dal 2013 pari ad oltre 4,6 miliardi, rispetto agli inziali 1,6 miliardi.
In particolare, per il 2014 le maggiori entrate nette previste da questo provvedimento salgono dai 973 milioni di euro originari agli oltre 2,1 miliardi definitivamente fissati nella versione finale. Come dire che, nel breve volgere di un trimestre, le maggiori imposte richieste al sistema economico nel 2014 attraverso la manovra di finanza pubblica sono aumentate di quasi il 120%; per il 2015 si passa addirittura da una previsione di riduzione del carico impositivo (-496 milioni) a un aggravio di 639 milioni; per il 2016, infine, si richiede il versamento di imposte aggiuntive per 1,9 miliardi, a fronte di una previsione iniziale di 1,2 miliardi.
Misure che, peraltro, rischiano di vanificare del tutto gli impulsi macroeconomici derivanti dall’intervento di riduzione del cuneo fiscale, che pure dovrebbe costituire l’elemento più qualificante dell’azione di governo. I dati mostrano come a questa contraddizione abbiano contribuito i passaggi parlamentari, confermando la presenza di una forte tendenza a deviare da un principio, se non di riduzione, quantomeno di invarianza del peso del fisco sul sistema economico.
Un’altra conferma del peso crescente dell’imposizione, e dei suoi effetti sull’economia reale, viene dalla maggiore inflazione attribuibile agli aumenti di tassazione indiretta (Iva e accise). Infatti, l’andamento dell’inflazione fra il 2010 e il 2013, considerato sia al lordo, sia al netto degli incrementi di imposizione indiretta decisi nel periodo, mostra un picco massimo di differenza pari ad otto decimi di punto nel 2012, quando l’inflazione si sarebbe arrestata al 2,5% a fronte del 3,3% effettivamente misurato a seguito degli aumenti dell’Iva e delle accise introdotti nel pieno della crisi del debito pubblico.