Il dettaglio alimentare resiste, «ma il fisco frena»

Il dettaglio alimentare resiste, «ma il fisco frena»

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Fida-Confcommercio ha presentato a Roma l’osservatorio sulle imprese del dettaglio alimentare che riporta i dati sull’andamento del secondo semestre 2015 e le previsioni per il primo semestre 2016. L’osservatorio, realizzato dalla Federazione Italiana Dettaglianti dell’Alimentazione in collaborazione con Format Research, registra un incremento nel clima di fiducia delle imprese del dettaglio alimentare ma appare chiaro come la via della ripresa, per quanto imboccata, sia ancora lunga e complessa.

«Manca ancora un miglioramento della redditività delle imprese – spiega Pierluigi Ascani, presidente Format Research – e persiste la stagnazione dei prezzi. Migliora la situazione relativa all’occupazione, aspetto che più degli altri concorre a configurare il 2015 come il primo anno di vera ripresa. Cresce, leggermente, la capacità delle imprese del dettaglio alimentare di far fronte ai propri impegni finanziari ma la metà di esse è riuscita solo con molta difficoltà a reggere il peso della pressione fiscale».

Nel dettaglio, l’indagine ha evidenziato che il 9,6% delle imprese del dettaglio alimentare ha già utilizzato il Jobs Act per assumere personale a tempo indeterminato. Di queste sette su dieci hanno approfittato delle nuove forme contrattuali per assumere personale ex-novo. Il 9,7% del campione, invece, afferma che è intenzionato a fare ricorso al Jobs Act per assunzioni nel prossimo semestre. Tuttavia il 22,7% di chi avrebbe voluto approfittare del bonus occupazionale dichiara di avervi rinunciato per il fatto che nel 2016 è previsto in forma ridotta.

Il 6,7% delle imprese del dettaglio alimentare ha registrato un incremento dello scontrino medio nel secondo semestre 2015 rispetto al secondo semestre 2014 e il 10% una crescita del numero di accessi al punto vendita, con indici più positivi per le pescherie rispetto ai negozi di alimentari e di ortofrutta. La quota di prodotti venduti in offerta risulta in calo. L’indicatore congiunturale (imprese che hanno dichiarato che i prodotti in offerta sono aumentati più la metà di quelle che hanno dichiarato che sono rimasti invariati) è pari a 52,2, in diminuzione rispetto al 54,1 registrato sei mesi fa.

Sul fronte della pressione fiscale, l’81,6% la considera aumentata, solo per lo 0,8% è diminuita. Nel periodo 2014-15 il 92% delle imprese è riuscita a far fronte al peso della pressione fiscale, ma di queste il 48,3% ci è riuscito con molta difficoltà. Si tratta in prevalenza di imprese fino a 5 addetti, imprese del Mezzogiorno e del Centro Italia e imprese della frutta e verdura. Esiste però un 8% di imprese che non è riuscito affatto a reggere il peso della pressione fiscale.

«Il settore del dettaglio alimentare, da molti erroneamente considerato ormai superato, conferma la propria capacità di resistere alle burrasche del mercato meglio di altri settori» commenta Donatella Prampolini Manzini, presidente nazionale Fida e vicepresidente nazionale Confcommercio: «Ciò non significa che la strada per l’uscita dalla crisi sia ormai spianata, ma che puntare sulla qualità del servizio e sulla specializzazione di funzione sono caratteristiche che meglio di altre mettono le imprese in condizioni di agganciare la ripresa dei consumi. Sul lato delle politiche occorre affrontare il tema della pressione fiscale che rimane un fattore di ostacolo alla crescita delle imprese». «Il taglio all’irap – ha detto Prampolini- è stato positivo soprattutto per le imprese di grandi e medie dimensioni ma non è stato avvertito dalle piccole imprese. Per questo motivo chiediamo l’adozione dell’Iri (imposta sul reddito imprenditoriale ndr.) per le piccole imprese e le ditte individuali». «Un altro aspetto che va affrontato, è quello degli studi di settore che devono cambiare logica: devono essere percepiti come uno strumento di “compliance” tra imprese e amministrazione».