Giorgio Gori stavolta è stato troppo impaziente. Se solo avesse aspettato di leggere gli atti che stavano uscendo da Lodi con ogni probabilità, da uomo accorto e attento a misurare le parole qual è, si sarebbe risparmiato quella che, fatti salvi gli aspetti personali, è parsa una difesa aprioristica del collega sindaco dem Simone Uggetti, arrestato per turbativa d’asta. Quel “personalmente lo conosco come persona per bene”, purtroppo per il nostro primo cittadino, stona di fronte a chi cerca di formattare il computer per nascondere le prove del trucco, si dà del cogl… da solo per non averlo fatto con la maestria dei lestofanti di professione e chiede appuntamento al comandante della Guardia di Finanza per cercare di conoscere se esiste una inchiesta su di lui. Fatta salva, come si dice sempre in questi casi, la presunzione d’innocenza, e sottolineato che non viene contestato un reato gravissimo (ma pur sempre un reato inaccettabile per un pubblico amministratore), la definizione di “persona per bene” non c’azzecca proprio con Uggetti.
Ma le battute a vuoto come quelle di Gori, seconda solo alla difesa d’ufficio del deputato pd Emanuele Fiano che a caldo ha tuonato “in tema di moralità non prendiamo lezioni da nessuno…” salvo smorzare i toni poche ore più tardi di fronte ai primi lanci di agenzia, succedono quando si mette il tema dei rapporti tra politica e magistratura su un piano di guerriglia. Come sta facendo da qualche settimana il lider maximo dei democratici. Quasi del tutto incurante degli scandali che ogni tre per due riempiono le cronache dei media, Renzi ha preso a sparacchiare parole un po’ a casaccio, fino a descrivere l’ultimo ventennio come caratterizzato da una sorta di “barbarie giustizialista”. Un marziano sceso per caso a fare un giretto tra Napoli e Roma non avrebbe saputo spararla più grossa. O forse a Firenze gli echi degli arresti avvenuti in ogni dove dello Stivale non sono mai arrivati, forse per non turbare la sensibilità artistica di chi vive in riva all’Arno.
Si capisce che, anche per talune uscite sopra le righe (più nei toni che nei contenuti) del nuovo presidente dell’Associazione nazionale magistrati Piercamillo Davigo, siamo di nuovo alle prese con una delle tante riprese del lunghissimo match tra politica e toghe iniziato negli anni Novanta. Ma, senza per forza essere tacciati di giustizialismo, a noi piacerebbe che chi ha responsabilità pubbliche, si tratti di un premier o di un sindaco, cominciasse a condannare senza se e senza ma chi abusa del proprio ruolo prima di imbarcarsi in polemiche con la magistratura. Piaccia o non piaccia, fino a che i politici (di tutti i colori, intendiamoci, perché qui in Lombardia mica ce li siamo dimenticati i Mario Mantovani e i Fabio Rizzi) continuano a farsi beccare con le dita sporche di materia organica, non c’è speranza di riportare il confronto ad un clima sereno.
I cittadini ne hanno piene le tasche, reclamano pulizia e rigore. E se anche talvolta si coglie un eccesso nelle iniziative giudiziarie, ciò viene tollerato sull’altare della buona causa. L’unico modo per invertire questa tendenza, che è drammatica sia chiaro, è quella di una vera e netta assunzione di responsabilità da parte della classe politica. Che deve arrivare prima e più duramente della magistratura, che non può non sapere chi mette a tavola, che non può ritenersi impunita. Che non può definire “per bene” chi gioca con le gare d’appalto. Solo quando sarà stato fatto questo lavacro sarà possibile richiamare ciascuno ai propri ruoli. Prima di allora un bel silenzio, operoso se possibile, sarebbe la cosa migliore.