Fusioni bancarie, quando l’aritmetica diventa un’opinione

Fusioni bancarie, quando l’aritmetica diventa un’opinione

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banca popolare milanoLe chiamano fusioni e nell’ingenuità dell’etimologia si pensa che portino ad un aumento del volume. Invece nelle banche, ma anche in altri settori, l’aritmetica è proprio un’opinione e la somma di uno e uno spesso non dà due, ma qualcosa di meno. A volte uno e mezzo è già un buon risultato perché le fusioni sono quasi sempre sinonimo di razionalizzazione. Non sono più i tempi della massa necessaria per crescere. Adesso le dimensioni sono soprattutto un costo. Da ridurre. Perché in questo modo si riesce a recuperare la redditività che va persa su altri fronti, non necessariamente per incapacità. Del resto i tassi negativi rendono difficile fare banca tradizionale e qualcosa si deve pur fare, anche solo per sopravvivere, in attesa e nella speranza che i tassi sotto zero non siano la nuova normalità. L’unione tra Banco Popolare e Banca Popolare di Milano, quella che forse sarà solo la prima delle fusioni che vedono e vedranno al centro le popolari, ex o in procinto di esserlo, non fa eccezione nel fatto che uno più uno non fa due. Secondo il piano industriale appena presentato, la prospettiva è che uno più uno faccia uno per quanto riguarda gli sportelli e circa uno virgola otto per quanto riguarda l’occupazione.

Il ministro dell’Economia  Padoan sostiene che di banche ce ne siano troppe, dall’Associazione bancaria italiana ribattono che troppi semmai sono gli sportelli. Di fatto per il Banco da una fusione (Italiana) all’altra (Bpm), anche se non necessariamente per la razionalizzazione e per l’eliminazione di sovrapposizioni, è andata persa quasi una banca, nell’aspetto esteriore di filiali e personale. Nel 2006, dalla fusione tra l’allora Banca Popolare Verona e Novara e la Banca Popolare Italiana, l’ex Lodi, nasceva un gruppo, il Banco Popolare, con 21.433 dipendenti e 2.223 sportelli. Nel 2019, secondo il piano industriale, il futuro gruppo Banco-Bpm, dal nome non ancora definito, avrà 2082 sportelli: in pratica, nonostante l’apporto delle 655 filiali della Popolare di Milano, la rete avrà meno agenzie di quelle che aveva il solo Banco alla sua nascita. E questo senza contare che il gruppo ha messo in prospettiva l’obiettivo di scendere ulteriormente a 1700-1800.

Passando invece al personale, la somma di Banco (16.792 dipendenti a fine anno) e Bpm (7.743 dipendenti) porta inizialmente a un organico di circa 24.500 dipendenti, un numero destinato però con il piano a retrocedere nel 2019 ai livelli che dieci anni fa aveva il solo Banco. Sono infatti state annunciate sovrapposizioni e duplicazioni di ruoli per 2.600 persone, delle quali solo circa 800 possono essere recuperate (per non dire “riciclate”) in nuovi ruoli, come i team dedicati al private, gli specialisti corporate, la task force sviluppo, le filiali digitali e la unit “non performing loans”. Va precisato che le fusioni sono un’occasione per procedere al ridimensionamento e fanno da catalizzatore a un processo in atto per conto suo. La stessa Abi ha rilevato come in conseguenza dell’aumento dei clienti dell’home banking (i servizi che gli istituti offrono on line), aumentati in un anno del 12,4% (25,2 milioni di dicembre 2015 contro i 22,4 milioni di fine 2014) gli sportelli tradizionali sono calati del 2,1%, scendendo da 30.740 a fine 2014 a 30.091 a fine 2015. E lo sfoltimento della rete non accenna a diminuire, perché nessun istituto può più permettersi il lusso di una filiale che non rende.

Questo crea un problema nell’occupazione, perché mentre nelle fusioni di non molti anni fa gli esuberi da duplicazione nella sede potevano avere uno sfogo nello sviluppo della presenza commerciale, adesso altro personale in eccedenza arriva proprio dal calo degli sportelli. Contrariamente a quanto avviene nell’industria, però l’uscita del personale nelle banche non è mai stata finora un problema. In genere anzi ci sono più dipendenti che vogliono uscire di quelli che la banca è disposta a fare andare via. Anche al Banco-Bpm le uscite saranno su base volontaria, con prepensionamenti, grazie al ricorso al fondo ad hoc alimentato dal settore.  Il problema che si pone però è: quanto è capiente questo fondo? E come potrà andare avanti se il personale continua a uscire e le banche che lo alimentano continuano a calare? Sarà un problema del futuro: intanto “avanti, con il ridimensionamento”.

 

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