Musica e dolci da sogno, il doppio talento di Marion

Marion Pessina con Francesco Gabbani ed Andrea Vittori 2
Marion Pessina festeggia il disco d’oro con Francesco Gabbani e Andrea Vittori

Torte e biscotti scolpiti come opere d’arte modellate con la glassa, perfette per celebrare ogni ricorrenza o festa e rendere magici i momenti speciali della vita.

altra torta marion - scegli tuL’esperta del cake design è Marion Pessina, 42 anni, originaria di Sarnico, un nome noto nella discografia nazionale e non solo, dal momento che gestisce insieme al socio e marito Andrea Vittori la Ma9 promotion, ufficio stampa per Francesco Gabbani, Tiromancino, Giorgio Conte, Chris Rea, Morrissey, Fergie dei Black Eyed Peas e Sananda Maitreya, conosciuto in passato come Terence Trent d’Arby. Ma la lista è lunga, proprio come quella delle sue dolcissime creazioni in vetrina sul suo blog “Le torte di Marion”: per Halloween le si possono commissionare camposanti, mani mozzate, teschi, scheletri, fantasmini e bulbi oculari, a Natale panettoni a forma di igloo con tanto di pinguini, paesaggi polari e pupazzi di neve, per San Valentino romantici biscottini a forma di bocca e cuoricini.

Il suo estro non ha, però, limiti quando si tratta di mettere in forno i cookies: teiere, culle e biberon, nuvolette e perfino spicchi di pizza in formato mignon. «Fin da piccola avevo due passioni, stare in cucina e la musica – conferma Marion -. Non mi piaceva tanto la pasticceria classica francese e italiana, preferivo quella anglosassone, dove puoi inventare, realizzare desideri, forgiare qualcosa di unico con le decorazioni, divertendoti».

Il primo dei due sogni l’ha realizzato nel 2004 fondando il suo ufficio stampa, dopo essersi laureata in Scienze della comunicazione, aver seguito un master in discografia e l’esperienza di uno stage in un’etichetta. «Siamo partiti dal nulla, seguendo i gruppi indipendenti come i Baustelle e poi gli Afterhours, io mi occupo della promozione attraverso stampa, web e tv, mentre Andrea delle radio, il passaparola ci ha premiati», racconta.

Tre anni dopo è partita alla volta dell’Inghilterra per seguire un corso dedicato allo zucchero nel Surrey, a 50 chilometri da Londra. «Compravo tutto ciò che mi serviva e da noi non esisteva, ancora quando non c’era il boom del cake design mi informavo sui siti anglosassoni e, se non trovavo, creavo io con le mani, senza aiutanti, né aver mai frequentato una scuola d’arte – precisa -. Ho scoperto che lavorare tortine e fiori di zucchero mi rilassava».

biscotti occidentali's karmaSuccede, a volte, che le due passioni si intreccino, come quando Marion ha realizzato la torta di compleanno per Gabbani e i biscottini con le lettere componendo la scritta “Occidentali’s Karma” per celebrarne la vittoria a Sanremo o ha realizzato una torta per Jacob Whitesides, l’idolo delle teeenager riproposto in pasta di zucchero per la gioia delle fan urlanti che l’hanno poi gustata con lui.

«Ci vuole solo tempo e pazienza, è come modellare il pongo, niente è impossibile», è l’opinione dell’esperta dalle mani d’oro, che spesso tiene dimostrazioni nelle pasticcerie. Ma qual è la prossima idea? «Preparo degli irresistibili biscottini vegani, vorrei deliziare Morrissey». Il cantante degli Smiths, autore dell’album e della canzone-inno “Meat is murder”, non potrà che apprezzare.

 


Caffè e arte, sulle bustine di zucchero le opere del trevigliese Mombrini

bustine zucchero mombrini

Da oggi una tela di Battista Mombrini può addolcire non solo lo spirito, ma anche il caffé.

In tutti i bar d’Italia stanno entrando le bustine di zucchero – ben 12 milioni di pezzi – con raffigurati i quadri del pittore trevigliese, che Sgarbi ha definito “Giotto contemporaneo”, dipinti nella sua bottega in via Sangalli, aperta dal 1963.

I soggetti sono figure femminili, eteree, dai volti impalpabili, espressione di un surrealismo romantico neorinascimentale dai colori nebbiosi e pastellati oppure caldi e accesi.

A promuovere l’idea è la ditta Colombo group, con sede a Grezzago, nel Milanese, che da oltre mezzo secolo si occupa del confezionamento dello zucchero in bustine. «Avevano progettato di usare le opere di Van Gogh, ma poi hanno avuto problemi con il diritto d’immagine – spiega Mombrini -. A me è bastato firmare una liberatoria, ne sono onorato ed entusiasta».

Complici i social, si sono già allertati i collezionisti che fanno a gara per accaparrarsi ogni bustina. Il retro riporta l’indirizzo dell’artista che in questo modo sarà conosciuto su tutto il territorio nazionale. E presto ci saranno anche le confezioni regalo.


Bake Off Italia, derby bergamasco nella sfida al miglior pasticciere

Carlo o Rosalind? Gli appassionati bergamaschi di Bake Off Italia – il talent show televisivo che mette in sfida pasticcieri dilettanti condotto da Benedetta Parodi su Real Time – nella nuova edizione potrebbero essere combattuti nella scelta del beniamino locale.

Tra i 16 concorrenti che nella puntata di selezione andata in onda ieri sera si sono aggiudicati l’accesso al programma ben due provengono, infatti, dalla nostra provincia.

Sono Carlo Beltrami, 36 anni, serramentista di Casnigo, e Rosalind Pratt, 44 anni, inglese di origine, vive ad Adrara San Martino e fa l’insegnate madrelingua.

Hanno avuto la meglio tra i 50 cultori del mondo dolce riuniti nel prato di Villa Annoni di Cuggiono (Mi) per contendersi una postazione nel mitico “tendone” dove si svolgono le prove del contest, sotto gli occhi attenti (per non dire dei palati) dei giudici Ernst Knam, maestro di cioccolateria, Clelia D’Onofrio, direttrice della rivista Il Cucchiaio d’Argento, e Damiano Carrara, pasticciere lucchese che spopola negli Stati Uniti con la sua catena di pasticcerie e in tv, nuovo volto di questa quinta edizione.

Carlo e Rosalind hanno convinto con la prova “cavallo di battaglia” e quella tecnica. Qualche brivido lo ha corso Carlo quando ha visto crollare sotto il peso dei fiori di frutta il cestino di frolla realizzato per la prova “wow” che chiedeva di stupire con una flower cake. È stato però salvato dalla competenza e dalla precisione dimostrata nel corso dell’intera selezione.

La gara ora entra nel vivo. Le puntate, in onda di venerdì alle 21.10 (il canale è il 31), saranno tutte a tema e scandite da tre sfide: la prova creativa, quella tecnica e la spettacolare prova “wow”.

Intanto i due concorrenti si presentano così

Rosalind

Rosalind - bake offInglese d’origine, vive in Italia da 15 anni, ma ancora conserva un forte accento britannico. È mamma di quatto figli e moglie innamoratissima. Dopo aver girato moltissimo per studio e lavoro in gioventù, ora fa l’insegnante d’inglese madrelingua. Vive con la famiglia in una fattoria in mezzo alle montagne e quando non deve tenere lezioni si occupa dell’orto e degli animali. Sorridente ed emotiva, rappresenta alla perfezione lo spirito British, sempre molto pacato e diplomatico, ma in gara potrebbe tirare fuori le unghie…

Cavallo di battaglia: Drip Cake

Carlo

Carlo - bake offMarito e padre di famiglia, Carlo è il classico esempio di come un hobby possa trasformarsi in una grande passione. Posatore serramentista, Carlo è un uomo semplice, che pone la famiglia prima di tutto. Ha tre figli, Marco, Silvia e Giada, che sono il suo orgoglio e fonte d’ispirazione per le sue ricette. Buono d’animo cerca sempre di aiutare chi è in difficoltà. Appassionato di corsa in montagna, è molto tenace e determinato. Vuole vincere Bake Off per cambiare la sua vita e fare di questa sua passione il suo lavoro.

Cavallo di battaglia: Guscio frolla al mais integrale, confettura di pere, frangipane noci e mais e ganache di cioccolato fondente


Chef stellate: brillano in cucina, meno sui media

donna chef

Se grandi cuochi come Paul Bocuse, Roger Vergè e George Blanc non hanno mai nascosto di dover tutto alle donne, a partire da La Mere Brazier, è duro a tramontare il pregiudizio che quella dello chef sia una carriera prettamente maschile. Un lavoro di sacrificio per un uomo, figuriamoci per una donna, chiamata da sempre a tessere e tenere le fila di equilibri familiari spesso in bilico. E invece, dati alla mano, la cucina italiana si declina al femminile e non solo per tradizione nelle cucine casalinghe dove ancora si spadella (ahimè sempre meno), ma nei ristoranti più blasonati.

Con 45 chef stellate Michelin, l’Italia detiene un vero e proprio record mondiale della “cucina d’autrice”. Sono infatti solo 134 le donne premiate dalla Guida rossa in tutto il mondo. In moltissimi casi sono davvero “Wonder”, da São Paulo in Brasile alla Slovenia. Da Helena Rizzo, architetto ed ex super modella brasiliana, migliore chef al mondo nel 2014, ad Ana Ros, miglior cuoca al mondo in carica World’s 50 Best, nonché ex sciatrice della nazionale jugoslava, laureata in relazioni internazionali, che a Caporetto ha optato per la cucina con relativa disfatta della sua carriera diplomatica.

La maggior parte delle chef di casa nostra è autodidatta in cucina e ha fatto studi, quasi sempre universitari, in tutt’altro campo. A molte è toccato lavorare gomito a gomito con la suocera come executive-chef e chissà se non sia stato proprio questo doppio stress a farle brillare in cucina fino a catturare una o più stelle Michelin. Hanno risollevato e portato in alto ristoranti di famiglia in località nella maggior parte dei casi sperdute, hanno trasformato in indirizzi esclusivi agriturismi come Caterina Ceraudo o addirittura pub come Maria Cicorella. Molte non hanno rinunciato al metter su famiglia, anche numerose: è il caso di Nadia Vincenzi, 4 figli e 9 nipoti e di Katia Maccari, mamma di tre bambini, per citarne solo alcune. Eppure i riflettori sono quasi sempre puntati sui colleghi maschi, salvo qualche rara eccezione, in particolare le tristellate, tutte orgogliosamente autodidatte, Nadia Cavaliere Santini e Annie Feolde, che hanno portato la cucina italiana ai massimi livelli. Dalla prossima stagione Antonia Klugmann – chef de “L’Argine di Vencò” di Dolegna del Collio che ha detto addio a un futuro da avvocato – prenderà il posto di Carlo Cracco nella giuria di Masterchef, talent che tutti gli addetti ai lavori rinnegano come diseducativo, ma che di fatto a suon di record di ascolti riuscirà – si spera – a far brillare la cucina in rosa. Nel frattempo, abbiamo chiesto a due chef stellate, Loredana Vescovi e Nadia Vincenzi, e alla presidente dei ristoratori bergamaschi Ascom, Petronilla Frosio, di ripercorrere la loro storia professionale e di svelare i segreti di una cucina orgogliosamente femminile.

Loredana Vescovi

Antica Osteria dei Camelì – Ambivere

Loredana VescoviLoredana Vescovi questo lavoro si può dire l’abbia sposato qualche mese prima del matrimonio ufficiale con Camillo Rota. A dicembre 1985 si è presa una pausa dal lavoro di addetta paghe e contributi in uno studio per lavorare a fianco della futura suocera Fernanda Paredi, classe 1930, ancora oggi in cucina all’Antica Osteria dei Camelì di Ambivere. «Ma non è stata una prova di fuoco prima del nostro matrimonio a giugno del 1986 – precisa con un sorriso Loredana Vescovi -. Con mia suocera siamo andate subito d’accordo e io le ho rubato giorno dopo giorno il mestiere con gli occhi. Dopo tre mesi ho chiamato lo studio per dire che non sarei più tornata e dal 1° gennaio del 1986 sono sempre in questa cucina, dalle 7.30 alle 16 e dalle 18.30 a mezzanotte se va bene, ma anche all’una e alle due di notte. Unica eccezione, in 30 anni, uno stage da Angelo Paracucchi ad Ameglia nel 1993».

La passione per la cucina è stata subito grande e l’ha spinta ad alzare presto l’asticella, fino a farsi strada, lasciando che fossero i piatti a parlare per lei. Fino ad ottenere nel 2006 per lo storico locale, una cascina del Cinquecento, dal 1856 gestita dalla famiglia Rota, la stella Michelin.

Quella del Camelì è sempre stata ed è tuttora una cucina totalmente al femminile, custode della tradizione per scelta ma creativa per natura: «Siamo tutte donne in cucina e in pasticceria. Lavoriamo da talmente tanto tempo assieme, che ormai ci basta uno sguardo per intenderci. Credo che le donne abbiano una naturale propensione per la cucina, per nutrire, ricevere, accogliere. Ce l’abbiamo nel dna». Quella femminile, secondo Loredana Vescovi, è una cucina diversa, con più cura e più cuore: «C’è una cura tutta femminile nell’amore per i dettagli, nella pulizia e nell’ordine, che credo che comunque emerga. Io, ad esempio, amo svuotare e ripulire tutti i cassetti in cucina con una certa frequenza, passo molto tempo a preparare i fiori che abbelliscono la tavola. Non so quanti miei colleghi facciano altrettanto».

Camelì - piattoLavorare in famiglia, con il marito Camillo in sala, è naturale per la chef del Camelì, che sembra smorzare sul nascere qualsiasi tensione e litigata casalinga: «La nostra forza è la famiglia. Ci si sopporta e capisce al volo e di fatto non si è mai litigato davvero in tanti anni di lavoro assieme. È anche forse l’unico modo per vedersi, con un lavoro che di tempo libero ne lascia davvero poco». I sacrifici del mestiere sono tanti e per una donna diventano doppi: «Io non ho figli, ho la fortuna di lavorare con mio marito e per andare a casa devo solo salire le scale. È faticoso a volte conciliare tutto per me, non oso immaginare come faccia chi ha bambini da crescere», ammette Loredana Vescovi, che tra una lievitazione e l’altra, sta pensando al cambio armadi che continua a rinviare.

È un mestiere che comunque consiglia, purché lo si faccia per convinzione: «Alle aspiranti chef consiglio di mettere la passione al primo posto e di usare gli ingredienti migliori, perché specialmente in questi anni difficili la qualità alla fine ripaga sempre e avere un rapporto diretto con i produttori porta a rispettare al massimo la materia prima e a far sì che essa si esprima al meglio. Per farsi strada ci vuole carattere, ma non serve sgomitare: è meglio rubare il lavoro con gli occhi e farsi valere perché quello che fai vale davvero». Anche perché i pregiudizi esistono ancora: «Tante volte mi capita di rispondere al telefono e di sentirmi chiedere dall’altra parte della cornetta di parlare con lo chef».

Nadia Vincenzi

Ristorante “Da Nadia” – Castrezzato

Nadia VincenziNadia Vincenzi, chef del Ristorante “Da Nadia” di Castrezzato, dove brilla dal 2011 la stella Michelin, che già aveva conquistato nel 2000 “Al Desco”, a Sarnico, questo lavoro lo vive e respira tutti i giorni sin da ragazzina. Gli anni spensierati delle Superiori, a ragioneria, quando viene eletta anche Miss Molise, lasciano presto il passo a grandi responsabilità. Un brutto incidente in auto costringe ad una lunga convalescenza i suoi genitori Valter e Liliana, così a Nadia e suo fratello Bobo, da anni ristoratore affermato del Ribo di Guglionesi, tocca mandare avanti il ristorante di famiglia.

«Ci muovevamo all’alba con una 600 sgangherata, senza ancora la patente, per acquistare il pesce al mercato di Termoli, dove a trattare sul prezzo e ad aiutare mio fratello a caricare casse ero l’unica ragazzina», racconta Nadia Vincenzi. Sulla conoscenza del pesce e sull’amore per la cucina ha costruito poi il suo successo, dopo essersi dedicata al mestiere di mamma, anche in questo campo in grande, dato che ha messo al mondo ben quattro figli. Ai fornelli si è dedicata in pianta stabile dal 1990, iniziando a fare apprezzare la sua cucina di pesce a San Giuseppe di Rovato, in provincia di Brescia, dove è approdata – come ama ricordare – con l’alta marea, per amore. Nel 1993 riparte da zero, aprendo “Al Desco” a Sarnico, che da sola, divisa tra gestione e cucina, riesce a fare apprezzare come uno dei templi lombardi del pesce, premiato dalla Michelin con la stella all’inizio del nuovo millennio. Nel 2003 è costretta a chiudere il ristorante per un intervento alle gambe che le impone di rinunciare ai fornelli per un bel po’. Fino al 2004, quando sfida le nebbie padane e decide con coraggio di portare i sapori dell’Adriatico in piena campagna a Castrezzato, dove il rombo dei motori del vicino autodromo si mischia ai muggiti delle stalle.

Da_Nadia_zuppa pesce«Solo una donna poteva riuscire a trasformare una vecchia trattoria dismessa in mezzo alla campagna e lontana da tutto in un ristorante ricercato – ammette con orgoglio -. Riuscire qui è stata una soddisfazione doppia». “Da Nadia” è un locale elegante, che come la chef-patronne rifugge ogni etichetta, dove si gusta, con tanto di bavaglia, una zuppa di pesce pantagruelica cotta e servita nel coccio, da leccarsi le dita. «Non la toglierò mai dal menù, assieme ad altri piatti semplici della tradizione. Ci vuole più tempo a pulire bene i canolicchi dalla sabbia che a fare tante schiume e salsine come va tanto di moda», spiega la “pasionaria del pesce”, per cui ogni notte i camion provenienti da Chioggia e diretti al mercato del pesce di Milano fanno una deviazione al casello di Palazzolo sull’Oglio, per consegnare i migliori prodotti ittici, come le schie di laguna, da provare abbinate alla polentina bianca.

Nadia Vincenzi non nasconde i sacrifici del mestiere: «È un lavoro che dà tanto, ma tanto toglie. Da un lato la famiglia inevitabilmente risente di questi ritmi di lavoro, dall’altro è un piacere ritrovare ai tavoli con i loro bimbi ragazzi che ho visto crescere, che conosco da quando erano in fasce e ora han messo su famiglia. Dà significato e un’idea di continuità ai 27 anni che non festeggio Natale, Capodanno e Pasqua». Quanto alla cucina, non ha dubbio che sia regno femminile: «Anche se i riflettori sono sempre e solo per i colleghi, le donne sono nate in cucina e l’amore che ci mettono, anche da chef, è diverso. Perché siamo più generose, perché ci mettiamo l’anima. Non a caso mi affianca in cucina una donna, Julia che, partita come lavapiatti, si è fatta presto strada con talento e carattere. La mia è una cucina semplice, che esalta la tradizione, che difficilmente impiega più di tre ingredienti, che seleziono personalmente. Se ogni notte attendo il carico del pesce, le mie vacanze le passo in giro per l’Italia a scovare prodotti interessanti pronti ad esaltare la mia cucina di mare, dai pomodori Marinda a Pachino ai legumi molisani».

E ora la chef dalle mille vite e pronta a ripartire di nuovo da capo, quest’estate (l’idea è aprire a luglio) con il nuovo ristorante “Da Nadia in Franciacorta” a Erbusco, in un’antica cascina di proprietà della famiglia Moretti (Bellavista, L’Albereta): «La mia clientela potrà contare su uno spazio esterno curatissimo e su sale con camino dal fascino d’altri tempi. Quanto a me, avrò finalmente casa sopra al ristorante, una comodità irrinunciabile».

Petronilla Frosio

Ristorante Posta – Sant’Omobono Terme

1702 petronilla frosio - presidente ristoratori AscomPetronilla Frosio, del “Ristorante Posta” di Sant’Omobono Terme, erede di una tradizione di famiglia nella ristorazione che dura dal 1910 e presidente del Gruppo Ristoratori Ascom, aveva le idee chiare da ragazzina, con tre punti fermi: «Ho sempre detto che non sarei mai andata a lavorare in cucina, che non avrei mai sposato il figlio di un ristoratore e che avrei avuto una famiglia grande, con cinque figli. E ho fatto poi l’esatto contrario perché nella vita poi i programmi cambiano». O forse, come saggezza popolare insegna,“mai dire mai”. Il suo intento era quello di darsi a conti e numeri così, dopo la maturità scientifica, si era iscritta a Economia e Commercio.

Poi a 23 anni, a furia di trovarsi a dare una mano in famiglia nella gestione dell’attività, ha finito con l’appassionarsi a tal punto da esserne irreparabilmente e senza scampo imbrigliata. «Ovviamente in cucina ci ero entrata ben prima, poco più che bambina – racconta -. Con mia sorella ci giocavamo sempre, con tanto di sorteggio, le incombenze di sala o di cucina: nessuna di noi voleva andare a servire ai tavoli perché la timidezza di quell’età aveva sempre il sopravvento e stare davanti ai fornelli metteva al riparo da ogni imbarazzo. Ed io ero ben contenta di starmene dietro le quinte. Ancora oggi mia sorella, che lavora in sala, ci scherza sopra e dice che alla fine ci ho perso io a starmene rinchiusa in cucina».

La forza dei Frosio è sempre stata la famiglia, ma Petronilla non nasconde come a volte lavorare insieme non sia facile: «Ci sono tanti equilibri da gestire. La tensione è altissima e le nostre famiglie sono sempre sull’orlo di una crisi di nervi, che fortunatamente non scoppia mai o quasi mai», sottolinea ridendo. Nella sua cucina non ci sono altre donne, ma solo per il fatto che non sono molte le chef a proporsi.

«Sono tutti uomini, però li comando tutti io – precisa, stretta nella giacca cifrata a doppiopetto -. Per le donne, ma vale anche per chi lavora in sala, è una professione totalizzante che lascia poco spazio ad altro. Gli uomini si dedicano più alla carriera, alle donne toccano doppie fatiche, quella professionale e privata».

La numero uno dei ristoratori Ascom è convinta che la cucina nasca femmina: «Nelle cucine sparpagliate in tutta Italia ci sono sempre state solo che donne e la tradizione l’hanno custodita e tramandata senz’altro loro. E la cura che ci mettono è indiscutibile, è materna, senza esibizioni o azzardi. Io credo che il tocco femminile si percepisca». Nella veste di presidente dei ristoratori non manca di invitare le colleghe ad una maggiore partecipazione alla vita associativa: «So quanto sia duro ritagliarsi del tempo per riunioni e confronti, però non è solo stando rinchiuse in cucina che riusciremo a valorizzare il nostro lavoro».


The green Wire, tre bergamaschi in bici per rilanciare il mondo bio

green wirePercorreranno mille chilometri, 120 al giorno, in bicicletta, il mezzo sostenibile per eccellenza. L’obiettivo di tre ragazzi bergamaschi è testimoniare la varietà del mondo bio in Italia girando il documentario autoprodotto che dà il nome al loro progetto, “The green wire”.

I protagonisti dell’avventura su due ruote sono Alfredo Amadori e Sergio d’Adda, entrambi di 27 anni, il primo, commesso in un negozio di prodotti biologici e organizzatore dell’iniziativa, l’amico dipendente in un’azienda di spedizioni, e Alessandro Pagnocelli, 26, perito informatico. Simbolo del viaggio è una ruota dalla forma di un gomitolo di filo verde, opera del fumettista Marco Locati, lo slogan è “Si gira in bio” e promotore del viaggio è Spazio Gate della Malpensata, a Bergamo.

La partenza è fissata per il 18 giugno. A girare le riprese del film sarà Simone Marchi che seguirà la spedizione a bordo di un’auto gpl. «Vogliamo mostrare ai nostri coetanei come il rispetto della terra possa essere la chiave per risolvere molti problemi – spiega Alfredo -. Se consumiamo cibo sano garantiamo la nostra salute e se il prezzo è equo si rispetta anche il lavoro di chi opera nella filiera, oltre ad adottare un comportamento etico che salvaguarda la biodiversità del pianeta».

Al centro del documentario ci sono l’amore per l’ambiente, la qualità dei prodotti, la spesa consapevole, l’istruzione, la formazione e il trattamento dei lavoratori. Le aziende che saranno visitate lungo il percorso sono tutte certificate, nessuna offrirà denaro ai tre giovani per avere visibilità. L’unica richiesta dei ragazzi? Vitto e alloggio. La prima tappa sarà all’apicoltura Casa Pietra di Salsomaggiore Terme, in provincia di Parma, dove si tratterà l’importanza delle api per l’ecosistema. Poi si andrà all’azienda agricola Podere Roccolo a Rimini, specializzata in ortaggi, legumi, erbe aromatiche e conserve, alla Girolomoni di Montebello, leader nell’export del bio, fondata da Gino, cresciuto tra i valori contadini e che è riuscito a fermare la fuga dalla campagna. Alla Delicious Nature di Ascoli Piceno si approfondirà la coltivazione dello zafferano, alla Sant’Angelo di Termoli la biodinamica. Prima di visitare il frantoio Galantino di Bisceglie, i tre giovani documenteranno lo sfruttamento dei braccianti nel ghetto di Rignano Garganico, nel Foggiano, dove il caporalato arruola i migranti, che vivono ammassati in baracche, pagandoli due euro a cassone di pomodori.

Le mete saranno documentate sui social con un doppio appuntamento live quotidiano e articoli pubblicati sulla pagina Facebook The green wire. «Creeremo e sfrutteremo una piattaforma di comunicazione anche attraverso un canale YouTube e una vera redazione che diffonderà articoli divulgativi, in modo da poter avere, prima e durante il viaggio, un contatto diretto con chi ci seguirà. Lo chef vegano bergamasco Stefano Broccoli preparerà un piatto con i prodotti di ogni azienda e, una volta tornati a casa, organizzeremo dei The green wire workshop – anticipa Amadori -. Mostreremo tutto il materiale raccolto durante il progetto per continuare a tendere il filo verde».


Val del Fich, i formaggi da premio della “Giamburrasca” dei caprini

Nessuna emozione quando le telecamere di Linea Verde l’hanno ripresa tra le stalle e i prati dell’azienda, durante la mungitura e la preparazione delle sue “creature” a chilometro zero, ricotte e formaggelle, con tanto di consegna a domicilio nei paesi limitrofi, mentre da quest’anno ha avviato anche una fattoria didattica per i bambini.

Ma è sui formaggi che si concentra la critica, dopo il riconoscimento prestigioso già incassato da Federica nel concorso milanese Onaf 2016 “All’Ombra della Madonnina» per la doppietta stracchinello-tronchetto. Da quel momento la sua vita non è stata più la stessa e nel giro di un paio d’anni è diventata una delle allevatrici più “mediatiche” del Bel Paese, dimostrando di cavarsela assai bene non solo nella caseificazione e nell’allevamento, ma anche davanti a microfoni e telecamere. Lei però è fatta così, spontanea come il suo sorriso, e ama ricordare come tutto nacque poco più di tre anni fa, nell’anno in cui a Milano frequentava la facoltà di Veterinaria all’Università, con indirizzo “Allevamento e Benessere Animale”.

Federica racconta di aver deciso di fare il tirocinio in un allevamento di capre «poiché è l’animale da reddito che mi ha sempre affascinato sin da bambina». Così iniziò a frequentare l’Azienda agricola Gamba, dove Battista Leidi, il vero guru italiano dei caprini, insegnandole l’arte della caseificazione, non le risparmiò ruvidezze e rilievi. «I primi giorni – ricorda – furono difficili soprattutto perché Battista era molto rigido nei suoi insegnamenti, ma col passare dei giorni mi sono sempre più legata a lui e il tirocinio è durato più del dovuto. Cercavo di unire la teoria e gli studi universitari con la tecnica e la tradizione che mi trasmetteva Battista: lì ho capito che quello era il lavoro che avrei voluto fare e con l’appoggio dei miei genitori ho deciso di buttarmi in questa avventura, coronando il mio sogno: lavorare con gli animali».

Federica Cornolti

L’attività parte con 15 capi in lattazione stabulati in una piccola struttura provvisoria: Federica inizia a lavorare il primo latte in un piccolo laboratorio mentre aspetta i premessi per la struttura finale. «Ad oggi possiedo 40 capi in lattazione e lavoro un buon quantitativo di latte che viene completamente trasformato per la produzione di formaggi freschi, formaggelle, ricotte e yogurt». La soddisfazione più grande sono i complimenti dei clienti e della critica, specie in occasione del concorso milanese all’Ombra della Madonnina.

caprini - azienda agricola Val del Fich (2)«La Giuria mi ha assegnato l’eccellenza per il tronchetto crosta fiorita: è stata una sorpresa perché non avrei mai pensato, visto la mia poca esperienza, di raggiungere un premio del genere». L’entusiasmo è la sua arma in più, quella che le fa reggere la giornata anche a ritmi infernali: «Mungo le capre due volte al giorno, do da mangiare agli altri animali e poi parto con la caseificazione. Adesso mi sto attrezzando per organizzare i campi estivi con i ragazzi. È un lavoro sette giorni su sette. Anche se cerco di godermi al massimo i momenti di relax. A Pasquetta sono andata in montagna, ma prima di partire e una volta tornata, mi aspettavano le capre da mungere: non mi pesa, è la mia vita».

Con i clienti ha un rapporto speciale, in tanti le danno del tu, c’è empatia quasi immediata: «Mi piace il rapporto diretto con la gente: ascolto tutti, mi vanno bene i complimenti, ma ascolto anche i consigli e faccio tesoro anche delle critiche quando arrivano. Il consumatore cerca disperatamente la genuinità: preferisce venire al mio spaccio anziché andare al supermercato, ma in questo modo mi sento anche investita di tante responsabilità, perché devo dar loro i messaggi giusti, per una corretta alimentazione o uno stile di vita sano». E tanto per non farsi mancare niente, Federica ha varato anche una linea di confetture: «Le produco insieme a mia mamma e mia nonna. Diciamo che è un’idea intergenerazionale: è bello fare qualcosa insieme alla propria famiglia, e sono pure buone!».

Federica Cornolti - azienda agricola val del fich (2)Ma tornando alla sua antica vocazione, nonostante sia stata molto tempo, recentemente, davanti a taccuini e telecamere con disinvoltura disarmante, Federica confessa che la sua più grande emozione resta quella che le capita abbastanza spesso, ormai, in stalla: «È quando vedo nascere un capretto: a quel punto tutta la fatica scivola via e resta soltanto una grande gioia».

Azienda Agricola “Val del Fich”

via Cornella
Ponteranica
346 1045697


Il cibo nella tradizione bergamasca, scuole in concorso con Food Film Fest

verdure bambini divertentiFood Film Fest mette in gara anche le scuole di Bergamo e provincia. Il festival cinematografico internazionale dedicato al mondo del cibo – la cui quarta edizione si terrà in piazza Dante e al Quadriportico del Sentierone dal 13 al 18 giugno prossimi – ha indetto un nuovo concorso, organizzato in collaborazione con il Provveditorato degli Studi di Bergamo, per le classi terze, quarte e quinte della Scuola Primaria di tutti gli Istituti scolastici di Bergamo e provincia.

Alle classi si propone di realizzare un filmato di qualsiasi genere e in qualsiasi formato, della durata tra i 5 e i 10 minuti, legato al tema: “Cibo sano e cibo buono nella tradizione bergamasca”: un cortometraggio per raccontare i prodotti e le coltivazioni tipiche del territorio, la loro storia e il loro valore, il piatto preferito o la ricetta della nonna.

Il filmato, comprensivo di scheda di partecipazione, scaricabile con l’intero regolamento sul sito www.foodfilmfestbergamo.com, deve essere inviato entro e non oltre il 10 maggio 2017, a comunicazione@montagnaitalia.com. Una giuria di esperti visionerà tutti i filmati e decreterà entro il 31 maggio i tre finalisti che verranno proiettati e premiati a Food Film Fest 2017, giovedì 15 giugno alle ore 20.45, al Quadriportico del Sentierone a Bergamo.

Le tre classi finaliste saranno premiate con buoni spesa (del valore di 1.000 euro per il primo posto e di 500 per il secondo e il terzo) per l’acquisto di materiale scolastico offerti da Coldiretti Bergamo, Yoobe e Trony Rigamonti Bergamo.


Carlo, il Maestro del commercio da 71 anni dietro al bancone

carlo rossetti caravaggio - i suoi salumi«Mi dicono di non fermarmi e io accetto il consiglio». A 84 anni Carlo Rossetti continua a fare il mestiere di famiglia, imparato da ragazzo e portato avanti con passione per tutta la vita, quello del salumiere, nella duplice accezione di produttore di salumi e di negoziante, nella piccola bottega in largo Cavenaghi 19 a Caravaggio, all’estremo opposto del viale rispetto al Santuario, dopo l’arco di Porta Nuova, che segna uno degli accessi al centro storico.

Carlo è lì da sempre (i suoi genitori, Giuseppe e Giaele, hanno aperto l’attività nel 1927 a pochi metri dal negozio attuale, che è invece del ’38) e lo scorso 5 marzo per la sua longevità lavorativa ha ricevuto nella sede dell’Ascom di Bergamo l’Aquila di Diamante, il distintivo con il simbolo della Confcommercio destinato a chi raggiunge i cinquant’anni di carriera, nell’ambito della premiazione dei Maestri del Commercio di 50&Più, che in Bergamasca ha assegnato complessivamente 14 riconoscimenti.

«Sono diventato titolare della salumeria nel ’65 – ricorda Rossetti, che si è già appuntato al petto le Aquile d’argento e d’oro ed ha ottenuto nel 2002 il titolo di Cavaliere -, ma già a 7-8 anni, dopo la scuola, davo una mano a pulire le ossa con un coltellino e dai 13 ho cominciato a lavorare stabilmente al fianco dei miei genitori e dei miei fratelli, Giulio e Arturo. Sono perciò 71 anni che faccio questo mestiere». «Negli anni – aggiunge ripercorrendo le tappe della storia di famiglia – abbiamo aperto anche una macelleria qui di fianco e una Masano e una salumeria a Fornovo San Giovanni. Oggi è rimasta solo la mia attività, che è potuta crescere grazie alla fondamentale presenza di mia moglie Maria e prosegue con mio figlio Pietro e mia nipote Giulia, che ha 26 anni. Vedere che quanto abbiamo costruito partendo da mio papà sta andando avanti è ciò che mi rende più orgoglioso. Io, dal canto mio, continuo a fare tutto con piacere, la lavorazione delle carni, la preparazione dei salumi, il servizio al banco. Amo il rapporto con i clienti, che in certi casi va avanti da generazioni, ma anche curare le nostre produzioni. Sto bene, sono ancora impegnato dalle sei dal mattino alle otto di sera e non mi pesa». Anche la moglie Maria, classe 1934 non ha comunque mollato del tutto – ci svelano – e quando occorre dà il suo aiuto “dietro le quinte”.

Che sia un negozio storico lo si capisce senza bisogno di targhe o vetrofanie (anche se c’è l’intenzione di chiedere il riconoscimento ufficiale alla Regione Lombardia). Una sola vetrina/ingresso, l’insegna “salumeria” a caratteri rossi su fondo bianco, una trentina di metri quadri di superficie in totale, bancone ben fornito, salumi appesi, scaffali e frigo dove trovare quasi tutto: è la classica bottega “di una volta”, non di quelle artificialmente retrò che usano ora, ma il distillato di anni al servizio delle necessità alimentari del paese, che, con garbo e attenzione, va avanti senza effetti speciali.

Il punto di forza sono i salumi e gli insaccati freschi. Settantun anni di esperienza si sentono nel perfetto equilibrio della salsiccia al formaggio, la specialità più amata della salumeria. Nella Bassa è in uso aggiungere del Grana grattugiato all’impasto e il risultato in casa Rossetti è un prodotto che sin dal profumo mentre sfrigola in padella si annuncia nella sua golosità. Mobida, avvolgente, saporita al punto giusto, la si può gustare semplicemente arrostita, oppure sgranata nel risotto, come ragù per condire pasta o gnocchi o anche in umido: nella zona in autunno la si prepara in una sorta di spezzatino con i funghi chiodini. E poi ci sono i cotechini, il salame, i cacciatori, lo zampone quando è stagione. «Abbiamo smesso di produrre i salumi che rischiedono una stagionatura più lunga, come coppe e pancette – dicono Carlo e il figlio Pietro -. Continuiamo invece a fare la mortadella di fegato, un insaccato della tradizione che oltre alla carne impiega anche il fegato del maiale, spezie e vin brulé. Ai giovani è difficile che piaccia, ma chi l’ha sempre apprezzata ce la chiede. È stagionata circa un mese, la si fa bollire per un’oretta e si accompagna con purè o lenticchie. È un salume saporito, del genere della salama ferrarese. Qualcuno la mangia anche cruda».

In tempi prodotti omologati, l’artigianalità dei Rossetti è una preziosa eccezione e non stupisce che chi è andato ad abitare lontano da Caravaggio richieda ai parenti qualche loro salame o salamella come souvenir. «Il segreto? È la freschezza – afferma Carlo –. Prepariamo gli insaccati ogni martedì e se serve anche il venerdì. La salsicca al formaggio, per esempio, va mangiata subito, altrimenti prende acidità. Poi, ovviamente, contano la selezione della carne e dei tagli, che non siano nervosi, l’uso di spezie e aromi di buona qualità, la cura nella lavorazione», tutti elementi sapientemente affinati in tanti anni di lavoro.

Esperti del maiale quali sono, i Rossetti offrono anche prodotti di macelleria, solo suina, quindi lonza, filetto, braciole, costine, spiedini, involtini, fegato. L’ingresso di Pietro, coadiutore del padre dall’89 e appassionato di cucina, ha portato in negozio alcuni piatti di gastronomia rigorosamente prodotti in casa, classici come l’insalata russa fatta con le verdure fresche, il vitello tonnato, il roast beef, le torte salate, il cotechino con lenticchie o spinaci. Nel pieno rispetto della tradizione il venerdì c’è il merluzzo fritto e, dopo il successo riscontrato durante la festa di Caravaggio, il sabato è giorno di trippa. Sul banco anche altri salumi, tra cui un crudo di Langhirano e una porchetta di Ariccia, tra i formaggi un Parmigiano di montagna e a rotazione anche qualche francese e di capra.

«Lo spazio è poco – evidenzia Pietro –, ciò che cerchiamo di fare è proporre ogni giorno qualcosa di diverso tra i prodotti freschi. Grandi strategie non ce ne sono, è importante capire quali sono le esigenze e dove vanno i gusti, ci aiuta la conoscenza che abbiamo della clientela». «I momenti difficili ci sono stati e ci saranno, ma pian piano abbiamo sempre cercato di andare un passo avanti», gli fa eco il padre, che con la sua lunga carriera conferma la validità di questa semplice filosofia.


Vini e bevande, per Quattroerre 35 anni da protagonista

Gennaio 1982 – gennaio 2017. Per la 4R di Torre de’ Roveri 35 anni da protagonista nella distribuzione di vino, birra e bevande.

Hanno cominciato giovanissimi, i quattro fratelli Rota – Maurizio, Giampietro, Enrico e Luca -, saldamente uniti in un progetto che ha trovato la propria ispirazione nell’esempio e nel lavoro del padre. Un prezioso modello di riferimento che ha fatto il paio con la visione che le nuove generazioni portano con sé e che li ha spinti a trasformare la fiaschetteria dei genitori in un’azienda organizzata, dedita a più servizi per la ristorazione.

Le tappe importanti che hanno costellato il cammino della 4R sono molte. La prima, forse tra le più lungimiranti, fu quella di iniziare a mettere il vino sfuso in contenitori d’acciaio. L’ultima, forse quella più audace, diventare protagonisti nella produzione della birra artigianale tramite il Birrificio Otus di Seriate.

Su tutto una serie di valori non negoziabili: professionalità, rispetto per il cliente e massimo sostegno all’educazione enogastronomica. Senza dimenticare un concetto che i fratelli Rota ribadiscono ad ogni occasione utile: credere nel proprio lavoro e, soprattutto, credere nella cultura del lavoro.

Quattroerre

via Marconi, 1
Torre de’ Roveri
tel. 035 580701
www.quattroerre.com

La storia in dieci immagini


Sigep, Val Seriana sul podio con pane e pasticceria

Valle Seriana terra di campioni… del gusto. La 38esima edizione del Sigep, il Salone internazionale della gelateria, pasticceria, panificazione artigianali e del caffè, di scena nei giorni scorsi a Rimini, ha consegnato due importanti allori ai professionisti di casa nostra.

panificio zucca - vicitore concorso il pane di alex e sylvia - Giacomo ZuccaGiacomo Zucca, titolare dello storico panificio nella piazza Casnigo, ha vinto il primo concorso nazionale “Il pane di Alex e Sylvia”, ispirato al cartoon che ha caratterizzato il padiglione dell’Unione europea a Expo 2015, dedicato al pane. Dopo la selezione di cinque finalisti, la competizione riminese ha premiato la migliore realizzazione del pane raccontato dall’animazione, simbolo della volontà di coniugare i valori dell’Europa intorno ad un prodotto diffuso in tutte le sue regioni e dalla storia millenaria, un segno di unità nella diversità delle sue componenti, semplice e buono.

I panettieri dovevano partire dalla ricetta base del pane di Alex e Sylvia (con miele o zucchero scuro, burro o olio extravergine di oliva, farina di frumento, fiocchi d’avena e farina integrale come ingredienti principali) e bilanciando materie prime, forma e lavorazione realizzarne la versione più buona e accattivante possibile.

La finale era inserita in un incontro al quale hanno partecipato Fernanda Guerrieri, vicedirettore generale della Fao, e Roberto Capello, presidente dell’Aspan di Bergamo nonché della Federazione Italiana Panificatori, tra i promotori del concorso. Zucca non è nuovo ai successi. Con la Garibalda, pagnotta ormai conosciuta su tutto il territorio provinciale e prodotta anche da altri panifici, ha vinto il concorso “Un pane per Bergamo”, organizzato nel 2009 dalla Camera di Commercio e dall’Aspan.

Ha sfiorato invece di un soffio il titolo mondiale juniores di pasticceria Mattia Cortinovis, che affianca papà Giancarlo (anch’egli plurimedagliato nei concorsi nazionali e internazionali) nella pasticceria di Ranica. In coppia con il bresciano Andrea Marzo è stato staccato di soli sei punti (3.918 a 3.912) dai giapponesi Yokouchi e Yuki Matsuda, che si sono confermati Campioni del Mondo. Terza la Francia (3.733 punti), nove le nazioni in gara (Francia, Giappone, India, Filippine, Singapore, Messico, Polonia, Russia e Italia).

Le creazioni si sono ispirate al tema Planet Fantasy, il potere della fantasia, e sono state valutate in base alla qualità, alla ricerca nell’utilizzo delle materie prime e al perfezionamento del livello tecnico. Il mondiale juniores si è svolto in diretta streaming in tutto il mondo, con repliche notturne per favorire le nazionali con differente fuso orario. «Possiamo racchiudere questo mondiale in una parola: esperienza – hanno commentato i due ragazzi -. Un anno di allenamenti, poi questa sfida così incerta. Siamo soddisfatti, abbiamo dato il meglio di noi e in gara abbiamo fatto meglio di quanto non ci riuscisse nelle settimane scorse». Mattia Cortinovis, 22 anni il prossimo aprile, aveva vinto due anni fa, sempre al Sigep, il campionato italiano di pasticceria juniores.