Germogli di bambù, a Treviglio parte la coltivazione

cinzia e marianna ziliati rid

“Rapite” dal mondo della ristorazione, le sorelle Cinzia e Marianna Ziliati di Castel Rozzone hanno deciso di cominciare per tempo a mettere le basi di quello che sperano in futuro sarà il loro locale. La prima ha 26 anni, è laureata in lingue e sta ora seguendo il corso di Sommellerie di Alma a Colorno, del rettore Gualtiero Marchesi. Marianna, 23 anni, si è invece già diplomata alla stessa prestigiosa scuola ed è capopartita del tristellato Massimiliano Alajmo a Rubano (Pd). Entrambe sanno che dovranno accumulare ancora un bel po’ di esperienze prima di cimentarsi in una gestione in proprio, ma hanno già un’idea chiara di ciò che vorranno proporre. «L’ipotesi è di un ristorante che utilizzi prodotti biologici cresciuti in un orto curato da noi – spiega Cinzia – ed abbiamo deciso di partire dai germogli di bambù. È un ingrediente che ho conosciuto e apprezzato durante il mio soggiorno per studio in Cina e al ritorno in Italia mi sono resa conto che è richiesto anche qui. Non solo nei ristoranti orientali, ma anche in quelli che puntano con decisione su piatti a base di vegetali. Abbiamo pensato che poteva essere un’opportunità offrire a questo mercato un prodotto fresco, biologico e a chilometro zero».

Forti anche dell’aiuto di nonno Abramo, che da ex vivaista le ha supportate sugli aspetti agronomici, hanno trovato gli spazi – in una zona alla quale i trevigliesi sono molto legati, il “Roccolo” – e scelto la varietà di bambù più adatta alle condizioni di terreno e clima e più vocata alla produzione per uso alimentare. Rimandata per le eccessive piogge dello scorso autunno, la messa a dimora delle piantine dovrebbe essere effettuata proprio in questi giorni. «Il primo raccolto è previsto dopo due anni, ma se la stagione procede bene potrebbe essere anche un po’ prima», dice Marianna, che nel frattempo ha già esplorato le potenzialità gastronomiche dei germogli di bambù. «Sono un’alternativa interessante per variare piatti vegetariani e vegani sempre più richiesti – rileva –. Dal sapore non troppo ingombrante e di buona consistenza, si prestano a diverse cotture: alla griglia, fritti in tempura in chips, in purea. Qui alle Calandre sono proposti in un piatto vegetale con rapa rossa e topinambur e in crema con cubi di triglia scottati a vapore, conditi con semi croccanti. Non contengono glutine, ma hanno vitamine e sali minerali che li rendono degni di attenzione anche per le qualità nutrizionali». Il bambuseto si presta, tra l’altro, ad una impostazione multifunzionale. Le due sorelle vogliono farlo diventare anche un luogo di visita per le scolaresche e di educazione ambientale e quando i fusti saranno maturi potranno essere un’ulteriore risorsa, vista la molteplicità degli usi (costruzioni, arredamento, tessile solo per citarne alcuni). Quanto ai germogli, «l’obiettivo sono forniture su misura per chi ricerca prodotti bio e di qualità», rimarcano.


La lettera / Io, precario, mi chiedo se esiste ancora il diritto al lavoro

disoccupato“Ogni individuo ha diritto al lavoro, alla libera scelta dell’impiego, a giuste e soddisfacenti condizioni di lavoro e alla protezione contro la disoccupazione”; “Ogni individuo, senza discriminazione, ha diritto ad eguale retribuzione per eguale lavoro”; ”Ogni lavoratore ha diritto ad una remunerazione equa e soddisfacente, che assicuri a lui stesso e alla sua famiglia un’esistenza conforme alla dignità umana”.

Era il 1978 e in procinto di cominciare il mio primo giorno di lavoro, mio padre mi lesse questi tre passi contenuti nella Dichiarazione dei Diritti Umani, approvata nel lontano 1948 dall’Assemblea delle Nazioni Unite, pregandomi di tenerli sempre a mente.

Sono passati trent’anni e ieri ho fatto la stessa cosa con mio figlio: gli ho letto gli stessi passi, chiedendogli di non dimenticare mai le parole appena ascoltate; alla fine mi ha detto “non preoccuparti”.

Sarà che sono invecchiato, ma è tutta sera che penso a quel “non preoccuparti”, che non ha il sapore del “non preoccuparti, me le ricorderò”, ma piuttosto del “non preoccuparti, adesso ci sono io a prendermi cura di te”.

Io ho 55 anni e sono da tempo un dipendente precario: l’ultima impresa per la quale ho lavorato, mi ha pagato l’ultimo stipendio “intero” due anni fa, poi ha cominciato a centellinarlo, un mese si, due mesi no, poi una piccola parte, una sorta di contentino quando facevo il mio malumore. E io intanto non ho mai smesso di presentarmi in ufficio con puntualità e non c’è stato giorno in cui abbia lavorato con meno impegno o con minore responsabilità, fidandomi delle parole del titolare “mi devono entrare dei soldi, poi vi pago” o “è questione di qualche giorno, massimo di un mese e saldo i miei debiti con voi”.

Poi un giorno è cominciata la trafila della cassa integrazione: prima ordinaria, poi straordinaria, un periodo tremendo pieno di confusione, di false speranze e di tante arrabbiature. Ho chiesto aiuto ai sindacati, per essere aiutato a difendere i miei interessi e per capire come muovermi senza fare passi falsi; ho pagato la “tessera” e almeno all’inizio sono stato preso in considerazione e la mia realtà fatta di diritti violati sembrava interessare a qualcuno; anzi mi sono state fatte anche delle promesse, che mi hanno galvanizzato, ma poi tutto è lentamente scemato e chi mi diceva “non preoccuparti, che risolviamo”, ha cominciato a dire “c’è poco da fare” perché nel frattempo la mia azienda ha dichiarato fallimento.

Oggi il tutto è in mano ad un legale e ancora una volta rimango in attesa: dietro a questo fallimento ci sono un mare di debiti non pagati e molti lavoratori (dipendenti, fornitori…) che insieme alle proprie famiglie sperano di riavere quello che spetta loro. Io cerco di essere positivo, ma francamente non so se riuscirò più a ricevere i ventimila euro di stipendi arretrati e il TFR di una vita di lavoro, di sacrifici e di impegno costante. Intanto il mio ex titolare ha aperto un’altra azienda, questa volta intestata a sua suocera e ha ripreso a lavorare come se niente fosse. Io continuo a credere che ogni individuo abbia diritto al lavoro, a delle condizioni soddisfacenti per potersi esprimersi nel migliore dei modi e ad una vita dignitosa, caratterizzata dal rispetto. Ma al tempo stesso ho il sospetto che siano concetti destinati a diventare pura teoria, perché concretamente non viene fatto nulla per migliorare lo stato delle cose e per fermare chi conduce una vita a scapito degli altri, cavalcando la filosofia del “mors tua vita mea”. Non sono pentito di aver letto a mio figlio qualche passo della Dichiarazione dei Diritti Umani, perché è con certi valori che desidero affronti la vita e perché esistono dei diritti a cui ogni essere umano deve potersi appellare per la sola ragione di essere al mondo. Alcune volte mi viene da pensare che documenti come la Dichiarazione dei Diritti Umani siano solo una pantomima, una sorta di grande rappresentazione scenica per rallegrare i cuori scontenti e portare conforto alle persone tristi, ma spero di sbagliarmi. Però a mio figlio non lo dico, mi spiacerebbe vivesse con questo sospetto.

Roberto, Bergamo


Rosa Camuna, la Lega candida Massari

iginio massariIginio Massari candidato al premio Rosa Camuna 2015. La domanda per assegnare il riconoscimento regionale al pasticciere bresciano considerato l’esponente più illustre del settore in Italia e nel mondo è stata presentata oggi dal vice capogruppo della Lega Nord al Pirellone, Fabio Rolfi. «Ritengo sia una candidatura di indiscusso spessore – spiega Rolfi – per un lombardo che già ha ricevuto attestati di prestigio a livello mondiale e, con il suo talento di maestro pasticciere, ha certamente portato lustro e notorietà alla nostra Regione, oltre che alla provincia di Brescia. A ciò va sommato che siamo nell’anno di Expo, e quindi della buona alimentazione, per tanto con questo riconoscimento non si premia soltanto la persona in sé, ma anche a ciò che rappresenta, ovvero l’artigianato di altissimo livello nel settore dolciario».

Il premio Rosa Camuna è stato istituito nel 1996 e assegnato per la prima volta nel marzo 1997 come riconoscimento del ruolo e dell’operosità delle donne nei settori dell’educazione, del lavoro, della cultura, dell’impegno civile e sociale, della creatività, e a favore della condizione femminile e delle pari opportunità. Dal 2014 ha esteso il proprio raggio e viene assegnato a tutti coloro che si distinguono nel contribuire allo sviluppo economico, sociale, culturale e sportivo della Lombardia e che sono riconosciuti pubblicamente per l’impegno, l’operosità, la creatività.

Nato a Brescia il 29 agosto 1942, Iginio Massari è un maestro riconosciuto, vincitore, dal 1964 ad oggi, di oltre 300 concorsi e premi nazionali e internazionali. Docente, autore di libri e noto al grande pubblico anche per la partecipazione a trasmissioni tv , è titolare della prima realtà italiana entrata a far parte dell’esclusiva catena Relais Desserts International: la Pasticceria Veneto di Brescia, aperta nel 1971. È stato allenatore e presidente della squadra italiana che ha vinto la Coppa del Mondo di Pasticceria a Lione nel 1997 e ha allenato Davide Comaschi, primo italiano a vincere il World Chocolate Masters a Parigi nel 2013. Fondatore dell’Accademia Maestri Pasticceri Italiani e co-fondatore di Cast Alimenti di Brescia è stato proclamato pasticcere dell’anno “1999-2000”.


Gritti: «Troppi chef in tv. E intanto le massaie scompaiono»

Ezio Gritti, cuoco e sommelier bergamasco, che ha costruito il suo successo in Città Alta all’“Osteria di via Solata”, da quasi 2 anni si è trasferito nella paradisiaca Bali, dove ha aperto il “Solata Restaurant”, a Seminyak. Con lui se n’è andata anche la stella Michelin che brillava in Città Alta da quasi dieci anni, dal 2005. Ora si divide tra il suo ristorante a Bali e la capitale indonesiana Giacarta, dove è impegnato nella consulenza di ristoranti importanti nei grandi mall, piccole città del commercio incastonate in grattacieli vertiginosi, dal “Le mieux” nel Pacific Place al “Prime Cut” nel Wisma Mulla. Ha inoltre rappresentato la cucina tricolore per due eventi dell’Ambasciata Italiana a Giacarta, uno al Kempinsky Hotel presso il ristorante “Casa d’Oro” e a Bali al “Gyanyar”.

Dall’Oriente dinamico e ruspante di Giava al paradiso per turisti di Bali, Ezio Gritti guarda con nostalgia alla sua Bergamo e non manca di lanciare uno sguardo appassionato ma al tempo stesso critico alla ristorazione di casa nostra, facendo il punto sulla cucina bergamasca e italiana perennemente sotto i riflettori dei media.

Come va a Bali?

“Benone. Mi mancano però sempre tanto Bergamo, le montagne, le valli, ma soprattutto le persone che amo e gli amici. E’ quasi un anno e mezzo che non abbraccio mio figlio e da più di un anno che non vedo mia madre. Li vedo sempre su Skype ma il poterli abbracciare fisicamente è cosa ben diversa. Mi mancano davvero molto, come tutti gli amici”.

Bali è un paradiso o c’è qualcosa che non sopporta o a cui fa fatica ad abituarsi?

“Il traffico è micidiale e la corruzione non manca, anzi è istituzionalizzata. Quanto alla ristorazione, fatico ad abituarmi a vedere gente mangiare a tutte le ore del giorno: ad esempio ora che non sono ancora le 17 al tavolo a fianco hanno ordinato costolette d’agnello con funghi… Qui mangiano dalle 10 del mattino alle 22 e credo sia impossibile educarli ad una suddivisione più razionale dei pasti. Le cucine non si fermano mai”

Quali materie prime trova più interessanti?

“Qui si trovano materie prime straordinarie come la carne di wagyu, un manzo dal manto nero che arriva dall’Australia. Segue lo stesso trattamento del più famoso bovino Kobe giapponese, nutrito a birra e grano e massaggiato costantemente. Il taglio risulta marmorizzata da un reticolo di venature di grasso che si sciolgono in cottura, regalando una morbidezza straordinaria alla carne. La frutta tropicale eccezionale ha dei sapori unici, oltre ad avere costi irrisori. C’è solo l’imbarazzo della scelta tra otto tipi diversi di mango, papaya gigantesche, lime. Un frutto veramente incredibile è il durian dal gusto molto dolce con consistenza ed intensità paragonabili al burroso foie gras. E’ perfetto per i soufflè e i gelati, bisogna solo avere il coraggio di provarlo dimenticando l’odore forte, acre e pungente che emana, che ricorda il formaggio iper maturo. Il gusto è straordinario come la consistenza della polpa, un mix perfetto di morbidezza e grassezza. Anche il jackfruit è eccezionale per un soufflè glacé alla vaniglia che a queste latitudini, nel regno delle spezie, è tutta un’altra cosa”.

Ezio Gritti - Baramundi rolled with potato  puree, fresh exotic fruits, liquorice and frangipani flower    Ezio Gritti - VIP sala climatizzata

Meglio il pesce indonesiano o quello del Mare nostrum?

“Il nostro ha sapori unici, non c’è gara. Ma qui si pescano ugualmente tra le 13 mila isole e atolli indonesiani pesci eccezionali: il barramundi ricorda il nostro branzino, poi c’è il red snapper che somiglia al nostro pagello, il coral trout che si avvicina alla triglia. Lo squalo ha carni pregiate e anche il fish butter, che ricorda davvero il burro. Si trovano gamberi di ogni sorta, granchi e granciporri, aragoste, ma mancano gli scampi e gli astici”.

Come vede la ristorazione bergamasca dall’altra parte del mondo?

“Mi spiace vedere guerre per accaparrarsi i clienti a suon di campagne e iniziative pubblicitarie. Allo stesso modo percepisco un certo fermento, oltre a grandi aspettative, legati ad Expo. Mi auguro che questo grande evento possa dare una marcia in più al settore agroalimentare e della ristorazione. A patto che la città migliori: si parla da anni del collegamento ferroviario tra Bergamo e l’aeroporto di Orio ma non se ne è fatto nulla. I servizi pubblici sono insufficienti e nelle festività è impossibile raggiungere Città Alta. Del resto i parcheggi scarseggiano e i taxi hanno costi proibitivi…”

Con lei se ne è andata anche l’ultima stella Michelin cittadina….

“E’ stato un colpo al cuore vedere la mia città senza stelle Michelin: anche se non è stata una sorpresa, come del resto stabilisce chiaro il regolamento della guida, è stata comunque una brutta notizia”.

Quale augurio per il 2015 per la ristorazione italiana?

“Spero che non restino sulla carta i buoni propositi di abbassare i prezzi e di cambiare la concezione di cucina. La vera rivoluzione è, come ripeto da anni, “il ritorno al passato”, ad una cucina di qualità, alla concretezza, alla corretta esecuzione e interpretazione. La creatività e fantasia oltre certi limiti diventa stravaganza e da troppi anni l’estro non ha un freno né un limite”.

Da quali valori ripartire?

“Dalla conoscenza e dal rispetto della materia prima, dal giusto rapporto qualità/prezzo e dalla sintonia tra cucina e sala. Si possono fare piatti incredibili ma se in sala vengono serviti con sufficienza tornano indietro come frisbee. Purtroppo tutti i ristoratori pensano sempre alla brigata di cucina ma non ad un ottimo sommelier o a un maitre. Basti la prova: tutti sanno nomi e ruoli della brigata in cucina, solo in pochi conoscono quelli della sala, che vengono definiti “camerieri” e basta…..mentre invece ci vorrebbero molti piu’ “maggiordomi” con l’eleganza e padronanza del conoscere”.

Tutti vogliono fare lo chef. Colpa della tv?

“Non ho mai amato il termine chef, gli ho sempre preferito e mi sono sempre definito un cuoco. I cuochi hanno le padelle in mano, trasformano le materie prime e le mettono nel piatto. Questo è il mondo della cucina vera, che non è certo quello delle tv. In cucina si lavora fianco a fianco, si crea un legame di familiarità unico. Tutti vogliono cavalcare tendenze, ma la gente è stanca dei fiorellini e ghirigori nei piatti. Bisogna tornare a valutare i piatti in base al gusto: nella ristorazione a tutti i livelli mi sembra che ci sia molto fumo e poco arrosto”.

I media danno un’immagine distorta della cucina?

“Per mia scelta ho lasciato la tv dopo diverse trasmissioni. Troppo urlata e fanfarona. Per andare in televisione e non mancare al ristorante ho sempre scelto di andarci nel giorno di chiusura, rinunciando al mio giorno libero. L’ho fatto con serietà, ma quando mi è stato chiesto di fare dello show che oltre a non appartenere alla mia indole si scontra con il mio ideale di professionalità, ho lasciato lo studio sbattendo quasi la porta”.

Passiamo più ore a guardare cucinare in tv che a farlo davvero. Un vero paradosso?

“Le massaie sono una specie in estinzione. Eppure la cucina è diventata grande e soprattutto anche grazie a loro, a donne, madri, nonne che hanno nutrito generazioni con manicaretti più o meno elaborati. Quante giovani donne preparano ancora il ragù o anche solo un minestrone di verdura come Dio comanda?”

Ezio_Gritti

L’Indonesia ha cambiato la sua cucina?

“L’ha contaminata. Sono nati così piatti come gli spaghetti ghiacciati conditi con olio extra vergine, mango fresco, menta e polvere di caffè, una ricetta di confine che unisce come in un ponte Indonesia e Europa. Uso latte di cocco, cocco dry, platano e banana, ma non rinuncio a piatti che mi ricordano la mia Bergamo. La ricetta dei casoncelli è immutata, dal ripieno alla pasta fresca, non c’è alcuna differenza tra la mia Osteria di via Solata in Città Alta e il Solata Restaurant a Seminyak. Pasta fresca e paste ripiene non mancano mai anche se certo, per i ravioli ai funghi, uso champignon e porcini secchi. Non ho rinunciato alla polenta all’inizio, ma con una temperatura media che oscilla sempre tra i 28 e i 32 gradi ho finito con l’arrendermi, anche perché forse io stesso avrei difficoltà a mangiarla. Tra i piatti classici, in carta non mancano la guancia di manzo brasata, il risotto allo zafferano con l’ossobuco e la cotoletta alla milanese. E faccio il pesto rigorosamente a mano col mortaio”.

Quali piatti vanno per la maggiore?

“Adorano gli spaghetti al pomodoro e basilico, del resto uno dei piatti che io stesso preferisco per la loro semplice e perfetta eleganza al gusto. Vanno alla grande anche i piatti a base di funghi e anche la mia versione del pollo Ayam (bellissimo esemplare nero dalla testa alle zampe, ndr) farcito con ciliegie, formaggio cheddar e salsa di foie-gras. Il risotto poi conquista l’Indonesia: il nostro vialone nano veronese viene apprezzato moltissimo qui dove si usa esclusivamente basmati, quasi sempre stracotto”.

I prodotti italiani conquistano anche l’Oriente?

“Assolutamente sì, tanto che se non si sta attenti alle etichette si rischia di acquistare dei veri tarocchi. Perfino a me che ho l’occhio allenato è capitato di acquistare dei biscotti secchi che avevano la stessa grafica di uno dei nostri marchi più famosi, con cui però non avevano nulla a che fare. Ci sono invece casi eclatanti come il “parmiggiano”o “parmegiano”, la “mozzarilla” che arriva dal Canada ed altri orrori”.

Quali sono i prossimi obiettivi? Far brillare la stella anche a Bali?

“Qui, nella parte bassa dell’Asia, la guida Michelin non si è ancora spinta. Se Giappone ed Hong Kong rappresentano delle eccezioni, Filippine, Malesia, Indonesia e Singapore sono ancora escluse dalla più prestigiosa guida gastronomica. Sono orgoglioso pero’ di ricordare di essere l’unico chef italiano stellato ad essersi trasferito in Indonesia. Speriamo che prima o poi la Michelin arrivi anche qui”.