Gli italiani riscoprono il piacere di mangiare al ristorante

ristoranteIl ristorante torna a sedurre gli italiani, che stanno riassaporando il piacere di mangiare fuori casa. Lo dice l’ultimo Rapporto di Ristorazione a cura della Fipe, la Federazione italiana pubblici esercizi, presentato all’Unione del Commercio di Milano. Per il 2015, la previsione del Centro Studi Fipe è di un incremento dello 0,8% che porterà la spesa nominale a 76 miliardi di euro. Nel complesso la spesa delle famiglie italiane nel 2014 si è attestata su 74.664 milioni di euro in valore e 69.473 milioni in volume con un incremento reale sul 2013 dello 0,7%. “Si è finalmente interrotta la dinamica di contrazione che era iniziata nel 2008 – ha commentato Lino Enrico Stoppani, presidente di Fipe – Già i numeri di Pasqua e dell’estate inducevano a un cauto ottimismo: oggi abbiamo la conferma che il fuori casa è un universo economico e sociale sempre più importante scelto da oltre 39 milioni di italiani”.

Secondo il Rapporto del Centro Studi Fipe, il 77% degli italiani maggiorenni consuma, più o meno abitualmente, cibo al di fuori delle mura domestiche sia che si tratti di colazioni, pranzi, cene e aperitivi. Sono 39 milioni di persone divise tra heavy consumer (13 milioni di persone che consumano almeno 4-5 pasti fuori casa in una settimana); average consumer (9 milioni che consumano almeno 2-3 pasti fuori casa in una settimana); low consumer (17 milioni che consumano almeno 2-3 pasti in un mese). Gli heavy consumer sono in prevalenza uomini (51,3%) di età compresa tra i 35 e i 44 anni (24,8%) e residenti al Nord Ovest (29,8%) in centri abitati tra i 5.000 e i 40.000 abitanti (30,5%). Appartengono ad un nucleo famigliare composto da 3 componenti (32,3%). Gli average sono in prevalenza uomini (51,9%), residenti al Centro Italia (28,9%) in centri abitati tra i 5.000 e i 40.000 abitanti (35,9%). In prevalenza appartengono ad un nucleo famigliare composto da 4 componenti (26,1%). I low consumer sono in prevalenza donne (51,6%), di età superiore ai 64 anni, residenti nelle regioni del Nord Italia, in centri abitati tra i 5.000 e i 40.000 abitanti

Gli italiani che vanno al ristorante, secondo Fipe, in prevalenza appartengono a un nucleo famigliare composto da due componenti (35,2%). Per quanto riguarda i consumi infrasettimanali, 5 milioni di persone ogni giorno (il 61,5% della popolazione) fa colazione fuori casa con predilezione per caffè, cappuccino e brioche e una spesa media di 2,50 euro. Dodici milioni di italiani (il 66% della popolazione) pranzano fuori casa, prevalentemente al bar, per 3-4 volte durante la settimana: panino, pizza e primi piatti le proposte di maggiore preferenza. Spesa media 11 euro.

Tre milioni di italiani cenano al ristorante almeno tre volte alla settimana, scegliendo soprattutto pizzerie, con una spesa di 22,40 euro. Oltre 9 milioni (il 47,7% della popolazione) si recano al bar per una pausa almeno 3-4 volte alla settimana, scegliendo soprattutto snack e gelati per una spesa complessiva di 3,20 euro. Nel fine settimana invece, 6,6 milioni di italiani (il 63,6% della popolazione) pranzano fuori casa nel week end almeno 3 volte al mese, scegliendo soprattutto la pizza e spendendo indicativamente 18,60 euro. Sono 7,3 milioni (il 66,8%) gli italiani che cenano fuori casa nel week end almeno 3 volte al mese prediligendo ristoranti e trattorie, con una media di due portate a pasto e una spesa media di 19,10 euro. Per quanto riguarda il mercato della ristorazione, l’ Italia è al terzo posto in Europa. In Europa il settore vale 504 miliardi di euro, concentrato principalmente in tre Paesi, e l’Italia si pone in particolare al terzo posto dopo Regno Unito e Spagna. In rapporto alla popolazione e a parità di potere d’acquisto, la spesa pro-capite è in Italia del 22% superiore a quella media europea e del 33% alla spesa della Francia. Occupazione: i pubblici esercizi impiegano, in media d’anno, 680.693 lavoratori dipendenti, pari al 71% del totale nazionale del comparto del turismo.


Storie di paste ripiene e di abbagli

 

Cannelloni-ricotta-e-spinaci_7Se non già un’irrefutabile patente di genitura del casoncello, la tradizione gastronomica bresciana può perlomeno vantare un concorso di paternità nella procreazione di un altro prototipo delle paste ripiene. Corre infatti il 1855 quando il milanese Giuseppe Sorbiatti – cuciniere di fama nazionale dai saldi addentellati professionali alle falde del Cidneo – dà alle stampe la prima edizione de “La gastronomia moderna”. Tra le ricette dell’enciclopedica raccolta, tutte pomposamente declinate in francese secondo la moda del tempo, spicca quella dei “Cannellons à la bressane”. Si tratta di cannoncelli dalla sfoglia ottenuta con un procedimento affatto singolare: si inizia mettendo al fuoco un paiolo con un quinto della farina e poca acqua per ottenere una polentina soda. Questa va quindi impastata a freddo con il resto della semola, con l’aggiunta di qualche tuorlo, per ottenere una massa piuttosto consistente. Stesane una lamina sottile, la si farcisce con un composto di foglie di verza o cime di rapa sbollentate e triturate, quindi saltate con burro e cipolla e legate con cacio, pangrattato e uova. Arrotolati a forma di sigaro, gli involtini vanno infine lessati in acqua bollente, con la rifinitura di qualche cucchiaiata di burro nocciola e l’immancabile spolverata di formaggio lodigiano.

Questa è, a mia notizia, la più antica codificazione in letteratura gastronomica del cannellone a guisa di pasta ripiena. Ai buongustai dell’epoca, ormai tediati dal formalismo allogeno della cucina d’oltralpe, Sorbiatti si affretta a giurare che “questa minestra è del tutto campagnuola”. In realtà i panni posticci da trattore del contado non riescono a dissimulare il gastronomo borghese che cerca di mascherarvisi. Nel suo monumentale Grand dictionaire de cuisine, l’eclettico Alexandre Dumas ragguaglia invero che i cannellons sono una preparazione di pasticceria – di gran lunga la più elitaria tra le branche della cucina – consistente in un piccolo cilindro di pasta sfoglia imbottito di composta di frutta. Il cuoco meneghino è verosimilmente il primo ad essere illuminato dall’intuizione di trasfigurare lo zuccheroso cannolo in un involucro di lasagna. Il ripieno – quello invece sì – è senza dubbio di genuina marca rustica. Stando ai glossari vernacolari del Melchiori e del Tiraboschi, corrisponde infatti alla farcia dei casoncelli come la si preparava nell’ottocento: a base di erbette, cacio ed uova.

Per qualche decennio il nuovo formato di pasta resta nell’ombra, tant’è che alla fine del XIX secolo Pellegrino Artusi, nei suoi Stati Generali della gastronomia Italiana, non ne fornisce alcuna menzione. Ma a partire della belle époque il vento cambia con decisione, prova ne sia lo ieratico “Cannelloni! Cannelloni! Cannelloni!” che Gabriele d’Annunzio – per combinazione sempre dal suolo bresciano del Vittoriale – verga in un carteggio indirizzato alla propria cuoca personale, ilarmente soprannominata Suor Intingola. La susseguente apoteosi è storia assai recente.

Questa ricostruzione parrebbe nondimeno messa in discussione da un passaggio della ponderosa enciclopedia della pasta redatta da Oretta Zanini de Vita – edita in Italia da ERI-RAI e ripresa in inglese dall’University of California Press. L’autrice, passando in rassegna le minestre asciutte citate nel cinquecentesco trattato di scalcheria del ferrarese Giovan Battista Rossetti, tra i macaroni all’urbinata ed i gnocchetti di Genova ritiene di dover censire anche i canellini bergamaschi. E nell’Oxford companion to food il serioso storico della gastronomia Alan Davidson sembra darle eco sostenendo – non senza una certa dose di audacia – che i cannellini siano semplicemente dei cannelloni in miniatura. Vuoi mai che anche in quest’occorrenza, come presumibilmente avvenuto per il casoncello (AdG maggio 2015), i cucinieri bresciani si siano lasciati precorrere di qualche secolo dai loro colleghi bergamaschi?

Ad onor del vero, non va taciuto che nel vernacolo ottocentesco della Toscana la voce cannelloni designasse quelli che altrove erano chiamati maccheroni, e non si può certo escludere che anche il suo diminutivo, di cui non è comunque pervenuta alcuna attestazione, fosse in qualche modo entrato nell’uso corrente. Ciò non toglie che i ben più antichi canellini bergamaschi del Rossetti, serviti all’epilogo di un banchetto che Alfonso I d’Este offrì in onore della consorte Lucrezia de’ Medici e del padre di questa Cosimo I di Toscana, altro non fossero che i confetti alla cannella, noti anche come cinnamomi (AdG novembre 2014), per i quali la nostra città godeva di lustro planetario nel XVI secolo.

Pur con l’indulgenza dovuta in ragione dell’innegabile assonanza, desta non poca sorpresa che in popolari testi di gastronomia dei dolciumi possano essere scambiati per una fantomatica portata di pasta, per soprammercato recata in tavola al momento del dessert. La topica giunge comunque a conforto dei paladini della tradizione culinaria bresciana: per una volta un primato della Leonessa, ancorché conseguito per mano di un cuoco forestiero, non pare destinato ad essere riveduto a beneficio degli invisi cugini d’oltre Oglio.


Costa Volpino, sconti sulla Tari agli esercizi che rinunciano alle slot

piu giochi piu perdi

Anche il Comune di Costa Volpino scende in campo nella lotta alla ludopatia e introduce incentivi per le attività commerciali che dicono no al gioco d’azzardo. I pubblici esercizi del paese che rinunciano a installare apparecchi di videolottery, video poker, slot machine o altri con vincita di denaro e i bar, tabaccherie e locali affini che li avevano e sono disposti a eliminarli, possono chiedere il rimborso di una quota della tassa sui rifiuti TARI versata nel 2015. La decisione fa parte delle iniziative di contrasto alle ludopatie promosse dall’Amministrazione Comunale e prevede la riduzione fino al 50% sulla  parte variabile della tariffa del tributo. Le attività commerciali interessate possono presentare domanda sino al 16 novembre. Il modulo di richiesta è una dichiarazione di impegno al costrasto del Gioco d’Azzardo patologico e si può scaricare sul  sito internet del Comune: www.comune.costavolpino.bg.it. Per maggiori informazioni è possibile rivolgersi all’ufficio tributi del Comune negli orari di ricevimento al pubblico.

 

 


Val di Scalve, uno scrigno di sapori

La Val di Scalve non è solo montagna e stupende passeggiate, ma anche una meta per chi non disdegna qualche sosta golosa. Del resto, come non ricordare, a Vilminore di Scalve, la storica latteria dove vi si produce anche la famosa formaggella della Val di Scalve, oppure l’Alpe Campelli, dove è possibile assaggiare ed acquistare sia la squisita formaggella che il formaggio stagionato, entrambe prodotte con il latte estivo? Nel mese di agosto, in questa zona, è anche possibile raccogliere diverse tipologie di erbe spontanee, tra cui il famoso “paruch” con cui preparare gustosi risotti. Ecco, a seguire, una breve carrellata sulle chicche imperdibili della valle.

La spalla di Schilpario e il Formaggio nero de la Nona

Formaggio nero della NonaIn una piccola bottega storica di Schilpario si produce ormai da decenni un prodotto unico e ancora poco conosciuto, la “Spalla di Schilpario”. La materia prima di partenza è la spalla di maiale, spesso considerata un prodotto di seconda scelta. La macelleria Pizio da cinque generazioni (oggi tocca ad Alberto detenere la ricetta segreta di famiglia), nel corso degli anni ha affinato il modo di preparare questo prodotto, in due versioni: quella da cuocere e quella stagionata cruda da affettare. La spalla da cuocere viene preparata dalla macelleria con gli aromi e le spezie e non resta che farla bollire servendola poi con spinaci lessi e purè di patate. Mentre la spalla stagionata è ottima, ad esempio, per farcire i panini.

Spostandosi verso l’abitato di Vilminore di Scalve, alla Latteria Sociale locale, è possibile acquistare un formaggio molto particolare, una scoperta recente, ma con una storia antica: il Formaggio Nero de la Nona.

Tutto parte da Attilio Perego, milanese di origine e maestro d’arte di professione, che per amore s’è spostato 30 anni fa in Val di Scalve. “Nel 1998 – spiega Perego, proprietario della ricetta segreta del 1753 – stavamo ristrutturando una vecchia baita di famiglia in frazione Nona quando abbiamo trovato una scatoletta di latta che mio suocero custodiva tra le sue cose, senza darle troppe attenzioni. Nel 2012 la scatoletta di latta arriva a casa mia e, una volta aperta, tra vari oggetti di comune utilizzo, vi era un’agenda con all’interno il foglio su cui era scritta la ricetta in scalvino antico”. La ricetta era rigorosamente firmata, anche se tale firma non è stata tradotta, al contrario di tutto il resto che invece è stato  trascritto in italiano. “Sicuramente – spiega ancora Perego – è stata scritta da un dotto. Tutto il processo di produzione viene spiegato nei dettagli, comprese le quantità degli ingredienti. L’unica cosa non indicata era la dimensione della forma”. Ecco che Attilio Perego se ne interessa e, casualmente, incontra un allevatore e casaro interessato ad aiutarlo nelle prove di caseificazione. Intraprendono quindi un percorso fatto di prove, assaggi e sperimentazioni, tutt’ora in corso. Il formaggio è attualmente prodotto dalla vicina e locale Latteria con latte crudo intero di Bruna Alpina proveniente da allevamenti in cui non vengono utilizzati insilati. E’ un formaggio a pasta cotta con all’interno grani di pepe. Viene affinato e stagionato almeno per 4 mesi spennellando l’esterno con un mix di spezie. Un formaggio dal sapore equilibrato e dall’aroma intenso di spezie, sottobosco e balsamico. Uno di quei formaggi che si fanno mangiare volentieri! Questo formaggio è utilizzato da diversi ristoranti locali come La Baita al passo della Presolana, il ristorante albergo San Marco e il Rifugio dell’Aquila. Quest’ultimo propone anche un piatto a base di formaggio nero, spalla di Schilpario affettata e polenta.

La Latteria Sociale della Val di Scalve

latteria sociale di Scalve ridLa latteria è situata a Vilminore di Scalve ed è affiancata dal frequentatissimo spaccio aziendale. Sono molti i turisti e non solo che la frequentano per aggiudicarsi del buon formaggio da mettere sulla propria tavola. “Fino a quasi 50 anni fa esistevano solo le latterie turnarie – racconta Luciano Bettoni, ex presidente della latteria – poi alcuni allevatori hanno fondato la latteria come società cooperativa”. Insieme hanno quindi iniziato a produrre quei formaggi che sono diventati il simbolo della produzione casearia di questa zona. “Attualmente i soci della cooperativa sono 16 – spiega ancora Bettoni – e conferiscono circa 50mila litri di latte al giorno. Noi lo lavoriamo soprattutto a latte crudo, anche se in caso di necessità lo pastorizziamo”. Il lavoro nel caseificio è condotto dal casaro Lorenzo che, dopo gli studi in veterinaria, dal milanese si è trasferito in valle per intraprendere questa professione. La cooperativa è stata fondata nel 1968 e l’attuale sede è stata costruita nel 1978. Diversi i formaggi e le produzioni casearie proposte: dalla classica formaggella al “Quadrel” ideale per la raclette, lo “Scalvitondo”, un formaggio stagionato, il burro e gli yogurt.  Lo spaccio aziendale è aperto tutti i giorni dalle 8 alle 12 e dalle 15,30 alle 19. La latteria si occupa anche della produzione e stagionatura del Formaggio Nero de la Nona; anch’esso è possibile acquistarlo intero o frazionato nel medesimo spaccio.

Il Ristorante San Marco e i fiori di Mea

Mea Tagliaferri ridPoco distante dal centro abitato di Schilpario, in frazione Pradella, sorge il Ristorante Albergo San Marco, fortemente voluto dal padre di Mea ed Enzo, attuali gestori e proprietari. “Mio padre – spiega Mea, classe 1951 – era in miniera e, dopo 25 anni di lavoro, ha deciso di costruire un albergo. Dopo il turno in miniera lavorava qua. In realtà è partito da un bar a cui ha successivamente aggiunto le camere ed infine il ristorante”. Mea Tagliaferri, diplomata all’istituto alberghiero di San Pellegrino, attualmente si occupa della cucina. Tiene profondamente a questo posto, tanto che sono ormai più di 40 anni che lo gestisce con entusiasmo insieme al fratello Enzo, al marito Antonio e alla cognata Pierangela.

La sua cucina è semplice e genuina, curata nei minimi dettagli estetici e gustativi. Dei sapori e degli aromi netti, che raccontano del territorio e di Mea. Piatti colorati, vivaci, equilibrati. Nulla è fuori posto. “Circa 25 anni fa – racconta ancora Mea – ho partecipato ad un concorso in cui veniva richiesto di creare un menù con le erbe spontanee e quindi ho iniziato a studiarle. Mi aveva affascinato questo mondo”. All’esterno, vicino al ristorante c’è l’orto, in cui Mea coltiva oltre alle classiche specie orticole anche le erbe spontanee e i fiori che utilizza nella sua cucina e per guarnire i suoi piatti. “Al mattino vado nell’orto e raccolgo quello che mi serve”. Di fronte al ristorante parte il “sentiero dei fiori in cui la cuoca accompagna, previa prenotazione e secondo stagione, i suoi ospiti a raccogliere le erbe che poi cucineranno insieme subito dopo.

Ogni giorno la cucina propone piatti a tema ed è possibile assaggiare dal risotto con i fiori mantecato con il Formaggio Nero de la Nona, ai ravioli con la borragine e i suoi fiori. Ma anche delle squisite costolette di agnello panate con nocciole, erbe aromatiche e i suoi fiori, con un contorno di polenta fredda e fiori di zucchina.

 


Rapporto coi pazienti: medici, infermieri e psicologi a confronto

Parlare con gli ammalati: quando, come, con quali parole? E come cambia se il paziente è un bambino, o se sappiamo di non poterlo guarire? Medici, psicologi e infermieri se lo chiederanno – e questo è già un successo – nel convegno del 31 ottobre al Centro Congressi. Soprattutto però ne parleranno con i cittadini, con gli studenti, con chi in corsia veste il pigiama e non il camice. La Fondazione di ricerca Ospedale Maggiore (From), l’Ospedale Papa Giovanni XXIII con il sostegno della Fondazione Menarini, promuovono un meeting che vuole prendere atto di come sono cambiati i pazienti, che non delegano più le decisioni sulla propria salute ai tecnici, ma si informano, spesso su Internet; confrontano professionisti, centri e terapie; propongono soluzioni e priorità.

Gli operatori dal canto loro si trovano a vivere in un contesto profondamente cambiato, senza che la formazione universitaria ne tenga conto. Allora ben venga una giornata di riflessione e scambio, che sottolinei l’importanza di parlare (e ascoltare!) gli ammalati, anche cercando di capire se e come si possa imparare a farlo bene. Non si tratta di umanizzazione, brutto termine che sembra sottintendere che finora cura e assistenza fossero disumane. Prendere atto dei cambiamenti in corso, delle soluzioni messe in campo e di quello che resta da fare perché il colloquio – ma sarebbe meglio dire dialogo – tra medico e paziente non assomigli più a quello tra Renzo e l’Azzeccagarbugli. Sul tema interverranno, stimolati da Giuseppe Remuzzi, medici, infermieri, psicologi, anche l’ex ministro Fabio Mussi, in dialogo con il pubblico presente, cittadini, studenti, associazioni. Emilio Zanetti, vicepresidente From, ha sottolineato: “L’innovazione riguarda anche il modo di rapportarsi con i malati. La ricerca serve a fare le cose in modo nuovo, migliore e questo vale anche per gli aspetti di relazione. Una realtà come la nostra, che ha un forte legame con la città e il territorio, non può che appoggiare questa iniziativa”.

Giuseppe Remuzzi, direttore del Dipartimento di Medicina, ha raccontato della madre di un paziente, che, dopo aver approfondito in Internet le possibili terapie per il figlio affetto da malattia rara, scrisse una mail al medico curante: “Forse potremmo incontrarci e parlarne”. Quello che il New England Journal of Medicine chiama “the changing task of medicine”, la sfida della medicina che cambia, è tutto qua, in questo “potremmo trovarci e parlarne”. Una delle sfide più grandi è quella di parlare con gli ammalati e sapersi spiegare. All’Università a parlare agli ammalati non te lo insegna nessuno. E un bravo medico deve anche saper ascoltare per poi suggerire le soluzioni e i vantaggi e i rischi. E se una cosa non la sa fare lui, ti manda dalla persona giusta, senza connotazioni affettive o caritatevoli però, perché oggi è l’ammalato l’artefice vero del suo guarire. Un po’ come dal barbiere – irriverente se volete ma rende l’idea – quasi nessuno di quelli che ci vanno dice “faccia lei”. I più vogliono i capelli così, la messa in piega cosà, il barbiere consiglia, ma si decide insieme”.

Tiziano Barbui, direttore scientifico di From ha concluso: “La medicina è cambiata, sono cambiati i pazienti, è cambiato il modo di curare, che è sempre più multidisciplinare e sempre più dipendente dalla tecnologia. Per questo è necessario ripensare il rapporto con gli ammalati, perché al centro resti la persona di cui dobbiamo prenderci cura e la relazione con chi se ne deve occupare”. L’ingresso al convegno è libero, gratuito e aperto a tutti, previa prenotazione sul sito della Fondazione Menarini www.fondazione-menarini.it/Prossimi-Eventi compilando la scheda di iscrizione on line.

 

 


Vanessa e gli “sformaggi”, anche il mondo “veg” ha la sua casara

Casara Veg 2La Bergamasca è terra di formaggi, ma lo è anche di “sformaggi”, come il mondo veg ha cominciato a chiamare le creazioni di Vanessa Agosti, 36enne insegnante elementare di Predore, capace di realizzare un’intera gamma di forme e sapori utilizzando solo materie prime vegetali. Non solo tofu e ricottine, che bene o male si conoscono, ma mozzarelle, “taleggio”, cremosi da spalmare, caciotte e formagelle.

Chiamarli formaggi, ovviamente, non si può e quella “s” avversativa è ironica al punto giusto per segnare la distanza rispetto all’ortodossia casearia. Resta il fatto che ai gusti e alle consistenze dei formaggi si ispirano e che caci e latticini tradizionali sono il termine di paragone per descriverli.

Vanessa è una pioniera della produzione artigianale – per ora solo casalinga -, un punto di riferimento per chi, per motivi di salute o scelte alimentari, non mangia latte e derivati ma non vuole rinunciare a piatti filanti e saporiti. Per le sue ricette si è guadagnata l’appellativo di “casara veg”, che è pure il nome del suo blog, ed ha anche scelto di condividere la sua esperienza tenendo corsi di autoproduzione.

«Tutto è cominciato per un’esigenza personale – racconta -. Già da tempo seguivo una dieta vegetariana, poi, tre anni fa, sono diventata intollerante ai latticini. Ero disperata. Perché sono una buongustaia e perdevo degli ingredienti fondamentali per rendere ricca e appagante la mia tavola. Ho provato i prodotti industriali in commercio, ma mi sembrava che non avessero né gran sapore, né cremosità. Senza contare che non sempre erano salutari, vista la presenza di oli e grassi raffinati».

L’unica strada era il fai da te e Vanessa l’ha percorsa a suon di tentativi, tanti e spesso poco incoraggianti, anche perché le informazioni sull’argomento erano – e continuano ad essere – molto scarse. «In italiano c’è un solo libro ed è tutto di prodotti a base di soia – evidenzia -, mentre ciò che si trova sul web è spesso lontano dal nostro gusto. La mia necessità è invece di ricreare in qualche modo quella varietà di sapori e consistenze che fanno dell’Italia la patria dei formaggi, dei prodotti artigianali che raccontino chi li fa». A forza di varianti ed esperimenti c’è riuscita, ricevendo una bella conferma al Sana di Bologna nel 2013, quando la sua pasta ai quattro (s)formaggi, autentica sfida ad un piatto tra i più “formaggiosi”, ha vinto il concorso nazionale di cucina vegana al quale si era iscritta con l’incoraggiamento dei suoi “supporter”.

sformaggi veganiOggi Vanessa ha messo a punto una quindicina di prodotti, dalla mozzarella («non potevo immaginarmi una pizza senza») alle caciotte, dagli spalmabili al “taleggio”. «Le materie prime sono tutte vegetali – spiega -, possono essere bevande, come quelle a base di soia, mandorle, riso, oppure frutta secca, come anacardi, mandorle, noci di maccadamia, o ancora legumi, come i fagioli cannellini. Ci sono poi due tipi di lavorazione: la cagliata, utilizzando aceto di mele o succo di limone per far coagulare, ad esempio, il latte di soia e ricavare delle ricottine; oppure la fermentazione, con ceppi di fermenti coltivati su acqua anziché sul latte». Il resto lo fanno i tempi di riposo e l’aggiunta di spezie ed aromi a richiamare le note del formaggio. Le materie prime sono biologiche e la scelta degli ingredienti tiene conto anche delle loro proprietà benefiche, come la formagella con mandorle e curcuma.

Il risultato di cui Vanessa va più orgogliosa è quello che ha chiamato lo “stagionato”, fatto con latte di soia, anacardi e miso, la preparazione a base di fagioli di soia, riso e sale fermentati tipici della cucina giapponese. «Ne sono orgogliosa perché a me mancava proprio – evidenzia -, è un prodotto molto saporito, da utilizzare come un formaggio da grattugia, per arricchire i piatti o da mangiare fuso con la polenta. Tutte le mie creazioni, del resto, nascono dalla mia necessità di non rinunciare al piacere del formaggio!».

Per sé non prevede una svolta professionale. «Mi piace insegnare – dice – e penso che quello della casara veg rimarrà un hobby, ma ci sono persone che svilupperanno questa attività e presto realizzeremo un piccolo laboratorio, perché i prodotti stanno riscuotendo molto interesse». Lei intanto continuerà a inventare sformaggi e la nuova impresa è già sul piatto: «Vorrei realizzare un gorgonzola vegano. È dura ma ci sto lavorando».


A scuola di cittadinanza, coinvolti oltre mille bambini

Martedì 27 ottobre, alle 10, nell’aula consiliare del Comune di Bergamo si svolgerà la cerimonia di apertura del progetto “A Scuola di Cittadinanza edizione 2015-2016”, alla presenza del Sindaco di Bergamo Giorgio Gori, della presidente del Consiglio Comunale Marzia Marchesi, dell’assessore all’Istruzione Loredana Poli, del dirigente dell’Ufficio scolastico per la Lombardia, ambito territoriale di Bergamo Patrizia Graziani e della professoressa Fiorenza Varinelli, referente del progetto per gli istituti comprensivi. In aula ci saranno anche i rappresentanti delle classi 5e delle scuole primarie cittadine, accompagnati dai loro docenti.

“Il Comune – spiega la Presidente del Consiglio Comunale Marzia Marchesi – è l’istituzione pubblica più vicina ai cittadini e con essi interagisce nella pratica democratica della vita quotidiana. In un paese come l’Italia, fatto da tante città, la democrazia nelle città diviene democrazia del Paese: appare evidente come l’opportunità e la capacità di interagire con le istituzioni divengono elementi qualificanti della vita comune nelle città. E’ importante che i cittadini più giovani imparino a conoscere il luogo dove vengono prese decisioni che incidono nella loro vita, sperimentino il concetto di delega amministrativa ed apprendano ad esercitare la democrazia rispetto ai temi a loro più vicini. Questo è il senso più profondo di “A Scuola di Cittadinanza”.

Il progetto è inserito nelle linee programmatiche dell’Amministrazione e coinvolge la Presidenza del Consiglio, l’Assessorato all’Istruzione, l’Anagrafe, le Biblioteche e la Polizia locale, che insieme collaborano alla buona riuscita dell’iniziativa. Quest’anno son ben 42 classi quinte che aderiscono al progetto: nel periodo compreso tra il 6 novembre 2015 e il 16 marzo 2016 oltre un migliaio di bambini saranno in visita a Palazzo Frizzoni, al Servizio Anagrafe e alla biblioteca Tiraboschi.

“A scuola di Cittadinanza” vedrà inoltre coinvolte le classi 4e della scuola primaria, con un intervento di educazione stradale presso il parco Goisis e la visita al comando di Polizia Locale, e le classi 2e e 3e della scuola secondaria di primo grado, con un intervento di approfondimento sulla Costituzione italiana ed una proposta ludico-didattica in lingua inglese.

 


Dalla Regione 1,2 milioni per promuovere il turismo enogastronomico

regione_lombard.jpgSi chiama Wonderfood & Wine e segna la seconda tappa del piano di Regione Lombardia denominato “Dall’Expo al Giubileo”, il progetto nato alla fine dello scorso aprile con l’obiettivo di promuovere l’attrattività della regione e consolidare l’incoming turistico dopo l’Esposizione Universale. Su proposta dell’assessore regionale allo Sviluppo economico, Mauro Parolini, la Giunta ha infatti approvato la delibera che dispone lo stanziamento di 1.258.000 euro a sostegno di un bando ad hoc per finanziare progetti di promozione turistica legati all’enogastronomia lombarda. Dopo il turismo religioso è questo il secondo ambito d’intervento su cui punta l’Assessorato, all’interno di un’azione complessiva da 6,6 milioni di euro che interesserà anche altri tre settori tematici: turismo culturale collegato alle città d’arte, cicloturismo e turismo business. “Con questa seconda fase – ha spiegato Parolini – entra sempre più nel vivo l’attuazione del programma Dall’Expo al Giubileo. Si tratta di un’azione strategica che proietta da subito il nostro sistema turistico nel dopo Expo, valorizzando le ricadute positive che l’evento ha avuto sulla Lombardia, e legandolo ad un altro grande appuntamento di carattere internazionale come il Giubileo straordinario, che partirà l’8 dicembre 2015 e che può certamente costituire un’ulteriore opportunità di richiamo di flussi turistici”.

“La spinta di Expo di certo non finisce qui. – ha aggiunto Parolini – Il nostro obiettivo è sostenere la promozione di tutti quegli ambiti meno maturi e più promettenti della ricchissima offerta turistica lombarda e tenere alta l’attenzione sul turismo Made in Lombardia. Coerentemente con il tema dell’Esposizione universale abbiamo quindi deciso di concentrarci sulla valorizzazione del legame tra turismo ed enogastronomia, che rappresenta probabilmente la chiave d’accesso più autentica e diretta per entrare in contatto con l’essenza e la storia di un territorio”. “In Lombardia – ha concluso Parolini – la ristorazione e le produzioni agricole, alimentari e vitivinicole, continuano a creare eccellenza tra tradizione e modernità e questo patrimonio costituisce un formidabile elemento di attrattività per la nostra offerta esperienziale, sia per il mercato turistico interno che, soprattutto, per quello internazionale”.

 

I PUNTI PRINCIPALI DEL BANDO

 

Wonderfood & Wine, mette a disposizione 1.258.000 euro a sostegno di progetti di promozione turistica legati all’enogastronomia lombarda.

I progetti finanziabili

Aggregazione, collaborazione e integrazione sono requisiti fondamentali per accedere al finanziamento delle idee progettuali. Le risorse stanziate andranno a finanziare progetti di definizione e promozione di itinerari turistici che integrino l’offerta enogastronomica regionale con l’offerta storica, artistica, culturale, quella del turismo attivo e del cicloturismo. Particolare rilevanza sarà poi data a azioni innovative soprattutto in ambito di marketing relazionale e social; alla partecipazione a fiere; allo sviluppo di iniziative di formazione per gli operatori delle filiere coinvolte e all’ideazione di eventi speciali.

Soggetti beneficiari

Beneficiari del contributo regionale sono gli operatori economici (micro e PMI) della ‘filiera estesa’ (produzione, distribuzione, somministrazione, ristorazione, ricettività, promozione turistica e incoming) sia in forma singola che aggregata, ivi compresi gli enti fieristici.

Partenariati

I progetti devono interessare almeno due territori provinciali; il contributo finanzierà, attraverso il capofila, le spese sostenute all’interno di partenariati di progetto che devono aggregare almeno 20 operatori privati singoli o associati, comprendere tutti i soggetti della filiera e, auspicabilmente, coinvolgere anche operatori dei media e della comunicazione on line e off line.

Unioncamere

Le risorse saranno trasferite a Unioncamere Lombardia in qualità di soggetto gestore. Il contributo concedibile sarà a fondo perduto, nella misura massima del 50% del costo totale delle spese ritenute ammissibili, con limite massimo di 200.000 euro per singolo progetto.


Dal web marketing all’inglese, la Val Brembana fa studiare i suoi commercianti

In un mercato sempre più competitivo ed in continuo mutamento, dominato dalle nuove tecnologie, a volte ci si promuove poco e male. Ed è per questo motivo che le imprese oggi hanno la necessità di investire in formazione, un passaggio che consente di sviluppare il business nell’ottica di una soddisfacente risposta alle esigenze dei clienti e di continuare a generare crescita e sviluppo.

Nasce in questo scenario la proposta del Distretto delle Attrattività Territoriali “Valli in F@amiglia”, che organizzerà a breve percorsi di formazione riservati alle attività produttive locali che operano nei settori del commercio e del turismo, oltre che ai residenti dei comuni del Dat (Zogno, Valbrembilla, Sedrina, Valtaleggio, Ubiale Clanezzo, Vedeseta, Blello, Moggio, Cassina, Cremeno, Pasturo).

Si tratta di ben 80 ore di formazione completamente gratuita ed improntata su più temi: dal web marketing per la promozione del turismo all’accoglienza e alla comunicazione orientata al cliente, passando per le opportunità finanziarie e di accesso al credito fino all’inglese per il turismo.

«Ampliare la propria conoscenza del web per chi opera nel settore del turismo è oggi più che una necessità – spiegano i promotori -. Avere una maggiore consapevolezza delle potenzialità messe a disposizione dalla rete significa anche e soprattutto agire sul mercato: adattarsi alle caratteristiche delle nuove piattaforme e fare innovazione coltivando la propria unicità, innescando una relazione autentica con il pubblico con il quale si interagisce per vendere il proprio prodotto». «Dati alla mano – evidenziano – possiamo constatare come oggi solo nel Bel Paese contiamo la bellezza di 36,6 milioni di utenti attivi sulla rete (circa il 60% della popolazione italiana) e oltre 3 miliardi di persone nel mondo (circa il 43% della popolazione mondiale), con margini di crescita dell’8%, ossia, 225 milioni di nuovi utenti l’anno. Nessun settore economico ha conosciuto l’impatto di internet quanto quello del turismo: numero uno del web marketing in Italia e nel mondo. All’interno di questo circuito fatto di dati e statistiche convivono circoli virtuosi e potenziali margini di crescita per le nostre piccole e medie imprese, tutt’alto che irrilevanti. Si tratta di una realtà con il quale occorre scontrarsi e convivere per fare impresa. Solo restando al passo coi tempi, coniugando tradizione e innovazione si otterrà un giusto strumento per avere successo».

Questi i corsi in programma

  • Web Marketing per la promozione del turismo – 20 ore.
  • Accoglienza e Comunicazione orientata al cliente – 20 ore

Destinatari: esercenti e commercianti di qualunque settore; personale a contatto col pubblico
Obiettivi: conoscenza dei principi basilari dell’accoglienza e delle tecniche di vendita

  • Inglese per il turismo – 36 ore

Destinatari: esercenti e commercianti di qualunque settore; personale a contatto col pubblico con conoscenza basilare della lingua inglese
Obiettivi: padronanza ed autonomia nell’utilizzo della lingua inglese con linguaggio tecnico appropriato e fluidità linguistica adeguata

  • Incontro informativo sulle opportunità finanziarie e di accesso al credito – 2 ore

Destinatari: titolari di alberghi, ristoranti, bar ed esercizi commerciali di qualunque genere
Obiettivi: informazione circa i bandi aperti dedicati al settore turistico e del commercio, a sostegno degli investimenti

  • Incontro informativo sugli obblighi in materia di sicurezza – 2 ore

Destinatari: titolari di alberghi, ristoranti, bar ed esercizi commerciali di qualunque genere.
Obiettivi: conoscenza della normativa vigente in materia di sicurezza sul lavoro, documenti (DVR, Documento di valutazione dello Stress Lavoro Correlato, HACCP e Manuale di Autocontrollo…), e corsi formativi obbligatori (datore di lavoro e personale).

L’azienda incaricata della formazione è “Adecco Training, Business Line” del Gruppo Adecco, che al termine del corso rilascerà ai partecipanti un attestato di frequenza con le materie trattate. La sede dei corsi e la calendarizzazione saranno rese note attraverso il sito del Comune di Zogno e degli altri comuni partner del distretto. Le iscrizioni ai corsi sono già possibili e la scadenza è fissata per il prossimo 31 ottobre.

Per informazioni e adesioni: florinda.trombetta@adecco.it; tel. 02 83105413 (orario 9-13).


Ubi, le strategie per non perdere la Popolare di Bergamo

banca_popolare.jpgTra i discorsi da bar, qualunquisti per definizione, si sente, generalmente espresso in dialetto, anche questa sorta di aforisma: “Prima ci hanno portato via il Credito, adesso l’Italcementi, la prossima che se ne andrà sarà la Popolare”. Nel senso, ovviamente di Ubi che, diventata Spa, sarebbe adesso esposta agli appetiti della speculazione e di non meglio precisate mani forti straniere.

In queste prime settimane da società per azioni in realtà non è successo nulla di particolare in Ubi. L’operatività e la gestione, come scontato, è proseguita secondo lo spirito primigenio da cooperativa. L’unico movimento è stata la crescita della quota del fondo americano Blackrock, sempre più primo azionista, per avere superato la soglia del 5%. Ma dato che era già accreditato del 4,95%, il fatto che sia arrivato al 5,022%, questo acquisto sembra essere più legato alla convinzione di un prossimo rialzo del titolo più che l’inizio di una scalata. Anche il rimbalzo del titolo sopra i 7 euro avviando la chiusura del divario dai 7,288 euro previsti dal diritto di recesso (che anche per questo, soprattutto se la tendenza proseguirà entro la scadenza del 27 ottobre, sarà esercitato soprattutto per questioni di principio) non sembra legato alla questione della Spa, quanto al miglioramento del clima bancario e a una rinnovata attenzione al processo di concentrazione bancaria.

Al momento anche su quest’ultimo piano però ci sono solo parole e voci. Un recente rapporto di Fitch sul settore delle (ex) Popolari ritiene che tutto sarà rimandato all’anno prossimo. Poco conta che nello stesso rapporto l’agenzia abbia già sbagliato la previsione che quella di Ubi sarebbe stata l’unica trasformazione in Spa del 2015, dato che poi Veneto Banca ha convocato la sua assemblea a dicembre. Il fondamento del motivo per cui Fitch ritiene che si deve aspettare per le aggregazioni è la necessità di avere un quadro più chiaro. E per questo è necessario avere almeno i risultati dei test europei sugli indici patrimoniali. Questo non toglie che nell’attesa i colloqui continuino, nel famoso “tutti parlano con tutti”, che, sulla base dei “rumors”, tra veri, verosimili e lanciati ad arte, più che a un “risiko bancario” sembra piuttosto a un “kamasutra creditizio”, considerate le combinazioni, spesso contraddittorie che vengono proposte.

Ubi non ha dato comunicazione di incarichi ad advisor per le trattative, al contrario ad esempio del Banco Popolare, che viene dato da più analisti come il suo partner ideale, trascurando magari un po’ le implicazioni delle sovrapposizioni sull’area dell’ex Creberg. Il gruppo veneto infatti già a luglio ha dato mandato a Mediobanca e Bank of America Merrill Lynch di fare consulenza “per la definizione delle più opportune strategie in relazione a possibili sviluppi nel processo di consolidamento”. Questo non sembra essere un disinteresse di Ubi sulla questione, quanto una constatazione del fatto che non ha un bisogno spasmodico di aggregazione, anche perché il gruppo si trova in una posizione di forza che le permette, come polo aggregante riconosciuto, di poter scegliere. Anche se non può comunque perdere troppo tempo nella decisione, dato che con ogni probabilità, una volta avviato il risiko, ci sarà un effetto a catena. Ma sui tempi della partenza c’è assoluta incertezza, nonostante le indiscrezioni che danno ora come in pole position l’unione Bpm-Carige. Ma per tornare alla questione di inizio: è vero che “la Popolare andrà persa”? La questione ricorda molto la discussione su chi è attualmente il “padrone” di Ubi. Sono passati più di otto anni da quando nell’aprile 2007 è nato il gruppo e ancora i bergamaschi sostengono che lo sono diventati i bresciani e i bresciani dicono lo stesso dei bergamaschi. Probabilmente queste accuse reciproche sono la miglior conferma che effettivamente la fusione è avvenuta su basi paritarie. Con la Spa gli equilibri sono sottoposti a una nuova prova, insieme alle diverse modalità di voto. Contrariamente a quanto sta avvenendo in altri istituti, il discorso di un consolidamento dell’azionariato, anche attraverso patti di sindacato, se c’è, sta viaggiando molto sottotraccia. Da qui alla prossima assemblea, dove contrariamente a quanto si profila nelle altre popolari gli attuali vertici si giocheranno le cariche con il rischio delle nuove regole, mancano ancora diversi mesi, ma il tema dovrebbe essere affrontato quanto prima, probabilmente non più su una logica provinciale, ma quanto meno regionale, per assicurare la continuità.