Tra i discorsi da bar, qualunquisti per definizione, si sente, generalmente espresso in dialetto, anche questa sorta di aforisma: “Prima ci hanno portato via il Credito, adesso l’Italcementi, la prossima che se ne andrà sarà la Popolare”. Nel senso, ovviamente di Ubi che, diventata Spa, sarebbe adesso esposta agli appetiti della speculazione e di non meglio precisate mani forti straniere.
In queste prime settimane da società per azioni in realtà non è successo nulla di particolare in Ubi. L’operatività e la gestione, come scontato, è proseguita secondo lo spirito primigenio da cooperativa. L’unico movimento è stata la crescita della quota del fondo americano Blackrock, sempre più primo azionista, per avere superato la soglia del 5%. Ma dato che era già accreditato del 4,95%, il fatto che sia arrivato al 5,022%, questo acquisto sembra essere più legato alla convinzione di un prossimo rialzo del titolo più che l’inizio di una scalata. Anche il rimbalzo del titolo sopra i 7 euro avviando la chiusura del divario dai 7,288 euro previsti dal diritto di recesso (che anche per questo, soprattutto se la tendenza proseguirà entro la scadenza del 27 ottobre, sarà esercitato soprattutto per questioni di principio) non sembra legato alla questione della Spa, quanto al miglioramento del clima bancario e a una rinnovata attenzione al processo di concentrazione bancaria.
Al momento anche su quest’ultimo piano però ci sono solo parole e voci. Un recente rapporto di Fitch sul settore delle (ex) Popolari ritiene che tutto sarà rimandato all’anno prossimo. Poco conta che nello stesso rapporto l’agenzia abbia già sbagliato la previsione che quella di Ubi sarebbe stata l’unica trasformazione in Spa del 2015, dato che poi Veneto Banca ha convocato la sua assemblea a dicembre. Il fondamento del motivo per cui Fitch ritiene che si deve aspettare per le aggregazioni è la necessità di avere un quadro più chiaro. E per questo è necessario avere almeno i risultati dei test europei sugli indici patrimoniali. Questo non toglie che nell’attesa i colloqui continuino, nel famoso “tutti parlano con tutti”, che, sulla base dei “rumors”, tra veri, verosimili e lanciati ad arte, più che a un “risiko bancario” sembra piuttosto a un “kamasutra creditizio”, considerate le combinazioni, spesso contraddittorie che vengono proposte.
Ubi non ha dato comunicazione di incarichi ad advisor per le trattative, al contrario ad esempio del Banco Popolare, che viene dato da più analisti come il suo partner ideale, trascurando magari un po’ le implicazioni delle sovrapposizioni sull’area dell’ex Creberg. Il gruppo veneto infatti già a luglio ha dato mandato a Mediobanca e Bank of America Merrill Lynch di fare consulenza “per la definizione delle più opportune strategie in relazione a possibili sviluppi nel processo di consolidamento”. Questo non sembra essere un disinteresse di Ubi sulla questione, quanto una constatazione del fatto che non ha un bisogno spasmodico di aggregazione, anche perché il gruppo si trova in una posizione di forza che le permette, come polo aggregante riconosciuto, di poter scegliere. Anche se non può comunque perdere troppo tempo nella decisione, dato che con ogni probabilità, una volta avviato il risiko, ci sarà un effetto a catena. Ma sui tempi della partenza c’è assoluta incertezza, nonostante le indiscrezioni che danno ora come in pole position l’unione Bpm-Carige. Ma per tornare alla questione di inizio: è vero che “la Popolare andrà persa”? La questione ricorda molto la discussione su chi è attualmente il “padrone” di Ubi. Sono passati più di otto anni da quando nell’aprile 2007 è nato il gruppo e ancora i bergamaschi sostengono che lo sono diventati i bresciani e i bresciani dicono lo stesso dei bergamaschi. Probabilmente queste accuse reciproche sono la miglior conferma che effettivamente la fusione è avvenuta su basi paritarie. Con la Spa gli equilibri sono sottoposti a una nuova prova, insieme alle diverse modalità di voto. Contrariamente a quanto sta avvenendo in altri istituti, il discorso di un consolidamento dell’azionariato, anche attraverso patti di sindacato, se c’è, sta viaggiando molto sottotraccia. Da qui alla prossima assemblea, dove contrariamente a quanto si profila nelle altre popolari gli attuali vertici si giocheranno le cariche con il rischio delle nuove regole, mancano ancora diversi mesi, ma il tema dovrebbe essere affrontato quanto prima, probabilmente non più su una logica provinciale, ma quanto meno regionale, per assicurare la continuità.