La domanda a cui gli elettori britannici si troveranno a rispondere è semplice: rimarremo in Europa o la lasceremo? Prima che il Paese vada alle urne il 23 giugno, ci saranno una miriade di discussioni, dibattiti, manifestazioni, con il solito spiegamento di forze politiche, ex politici, leader economici, a cui seguiranno facce conosciute e in cerca di popolarità.
La risposta a questa domanda non è semplice, il dibattito è più che acceso e nei prossimi mesi farò del mio meglio per aggiornare i lettori de La Rassegna in merito alle ultime news sul Brexit. Iniziamo dal nome. Il mondo anglosassone ama le parole brevi e le abbreviazioni. Hanno già pensato a una parola facile da ricordare e usare sugli slogan. Ieri l’annuncio, da molti vissuto come una pugnalata alle spalle, del sindaco di Londra Boris Johnson che si schiererà per lasciare l’Europa. Strano per il sindaco della città più internazionale d’Europa, con un padre dal passato da europarlamentare e un educazione da classicista. La reazione dei mercati non si è fatta attendere, con la sterlina crollata a picco sul dollaro e che tocca il valore più basso degli ultimi sette anni. Gli analisti delle grandi banche hanno espresso le loro posizioni, e preferenze: se per Deutsche Bank e Moody’s (l’agenzia di rating) è meglio restare, i loro colleghi di UBS, Citi ed HSBC non si sono sbilanciati, limitandosi a parlare dei rischi legati ad un’uscita.
I leader delle grandi aziende quotate in borsa sostengono la posizione del primo ministro David Cameron, e sono ormai oltre cento gli amministratori delegati che ci hanno messo la faccia, e un terzo di loro ha anche firmato una lettera ufficiale, che verrà pubblicata martedì dall’autorevole quotidiano finanziario Financial Times. Tra loro ci sono Vodafone, EasyJet, Shell, GSK, Brtish Telecommunication, WPP, la più grande agenzia al mondo di pubblicità. E ne vedremo molti altri nelle prossime settimane. I due schieramenti corteggiano infatti i grandi brand, che hanno più impatto dei partiti politici sugli elettori. Ci si aspetta inoltre che i Leavers – ovvero quelli che vogliono la Brexit – faranno di tutto per creare divisione tra le grandi aziende e quelle piccole. Come nel caso del referendum in Scozia, dove i secessionisti rivendicavano il ruolo di portavoce dei piccoli negozianti e commercianti, dei piccoli imprenditori, in opposizione alle multinazionali governate dalle élite.
Cameron ha presentato l’accordo stabilito a Bruxelles la scorsa settimana, chiedendo il sostegno del parlamento per rimanere in Europa, evidenziando il fatto che, in caso di dipartita dall’Europa, l’economia ne soffrirebbe, la disoccupazione aumenterebbe e il paese sarebbe meno sicuro davanti alle minacce del terrorismo e della Russia. Vedremo cosa accadrà nelle prossime settimane, se il sindaco Boris Johnson riuscirà a creare un seguito popolare, o se sarà’ la City a decidere il destino di questo voto.