Si tratta di un momento storico l’elezione di un sindaco musulmano in una grande e multiculturale metropoli europea. Da venerdì Sadiq Khan è alla guida di Londra. In un momento in cui si innalza un fervore anti immigrazione e slogan populisti cavalcano la paura destata dagli attentati di Parigi e Bruxelles, si tratta di una bella notizia. Figlio di un autista di autobus pakistano e di una sarta, cresciuto in una casa popolare nel sud di Londra con altri sette fratelli, non poteva essere un candidato più diverso da Zac Goldsmith, telegenico e con un sorriso da copertina, figlio di un multimiliardario ed ecologista, studente prima a Eton e poi a Cambridge. Il nuovo sindaco di Londra, una città dove circa un residente su otto è musulmano, avrà un bel da fare davanti a sé. Quello che però tutti non sanno, è il fatto che i suoi poteri non sono vasti quanto sembrano. Londra ha un sindaco eletto dal residente solo dal 2000. Contrariamente alle città italiane, o a quelle americane, i suoi poteri riguardano il sistema dei trasporti, le forze dell’ordine e l’edilizia, ma non nella loro totalità. E’ come se avesse nelle sue mani solo cinque bottoni dell’intera stanza. Di certo, come molti londinesi, è un perfetto rappresentante di tante identità che non sarebbero facilmente coniugabili in altri luoghi nel mondo. Parlando di sé, si definisce: londinese, europeo, di fede islamica, di origine pakistana, un padre, un marito. E’ riuscito ad attrarre l’odio e le minacce delle frange più tradizionaliste della comunità islamica quando, nel ruolo di parlamentare, ha votato a favore delle nozze gay, e attrarre il voto dell’ elettorato conservatore, che non si sentiva rappresentato dalle visioni anti Europa di Goldsmith.
Non è il solo sindaco musulmano d’Europa. Ad accompagnarlo c’è, a Rotterdam, il sindaco di origine marocchina Ahmed Aboutaleb, è divenuto uno dei politici più amati nel suo Paese, ed è stato indicato da alcuni come un papabile primo ministro dell’Olanda in un futuro vicino. L’Olanda, non dimentichiamoci, che ha manifestato negli ultimi anni accesi sentimenti anti islam. Ma se da un lato Londra affida le chiavi della città a un politico che rappresenta il successo dell’integrazione, il resto del Paese sembra andare nella direzione opposta e si interroga su come potrebbe apparire lo scenario dell’immigrazione in caso si votasse per la Brexit. Uno scenario che non piace alla City e alle grandi aziende, ma che ha numeri e statistiche interessanti. Se l’Inghilterra lasciasse l’Europa, chi già vi risiede non verrebbe cacciato via. Ma per i nuovi arrivati la faccenda si complicherebbe. E sa da un lato abbiamo chi cerca lavoro, dall’altra abbiamo le aziende che negli ultimi decenni si sono abituate a impiegare manodopera, o competenze più qualificate, provenienti dall’Europa. Due milioni e 200 mila lavoratori europei si trovano, impiegati a tempo pieno nello UK. Di questi, quasi un milione sono concentrati nella capitale, mentre oltre 2 milioni di immigrati vengono dal resto del mondo, Europa esclusa. Il dieci percento di questi sono impiagati nell’industria manifatturiera, quasi 500 mila sono nel settore turistico tra hotel, ristoranti e un numero simile è nella finanza, rappresentando circa il 7 percento dell’intero settore. Nessuno davvero sa che cosa accadrebbe in caso di uscita dall’Europa, perché nessun paese prima d’ora l’ha fatto. Di certo l’Inghilterra continuerà ad avere bisogno di immigrati, altrimenti chi servirà i clienti nei bar della capitale, e lavorerà negli hotel? O dove si troveranno degli ingegneri qualificati?