Val del Fich, i formaggi da premio della “Giamburrasca” dei caprini

Federico Cornolti
Federica Cornolti

Nessuna emozione quando le telecamere di Linea Verde l’hanno ripresa tra le stalle e i prati dell’azienda, durante la mungitura e la preparazione delle sue “creature” a chilometro zero, ricotte e formaggelle, con tanto di consegna a domicilio nei paesi limitrofi, mentre da quest’anno ha avviato anche una fattoria didattica per i bambini.

Ma è sui formaggi che si concentra la critica, dopo il riconoscimento prestigioso già incassato da Federica nel concorso milanese Onaf 2016 “All’Ombra della Madonnina» per la doppietta stracchinello-tronchetto. Da quel momento la sua vita non è stata più la stessa e nel giro di un paio d’anni è diventata una delle allevatrici più “mediatiche” del Bel Paese, dimostrando di cavarsela assai bene non solo nella caseificazione e nell’allevamento, ma anche davanti a microfoni e telecamere. Lei però è fatta così, spontanea come il suo sorriso, e ama ricordare come tutto nacque poco più di tre anni fa, nell’anno in cui a Milano frequentava la facoltà di Veterinaria all’Università, con indirizzo “Allevamento e Benessere Animale”.

Federica racconta di aver deciso di fare il tirocinio in un allevamento di capre «poiché è l’animale da reddito che mi ha sempre affascinato sin da bambina». Così iniziò a frequentare l’Azienda agricola Gamba, dove Battista Leidi, il vero guru italiano dei caprini, insegnandole l’arte della caseificazione, non le risparmiò ruvidezze e rilievi. «I primi giorni – ricorda – furono difficili soprattutto perché Battista era molto rigido nei suoi insegnamenti, ma col passare dei giorni mi sono sempre più legata a lui e il tirocinio è durato più del dovuto. Cercavo di unire la teoria e gli studi universitari con la tecnica e la tradizione che mi trasmetteva Battista: lì ho capito che quello era il lavoro che avrei voluto fare e con l’appoggio dei miei genitori ho deciso di buttarmi in questa avventura, coronando il mio sogno: lavorare con gli animali».

Federica Cornolti

L’attività parte con 15 capi in lattazione stabulati in una piccola struttura provvisoria: Federica inizia a lavorare il primo latte in un piccolo laboratorio mentre aspetta i premessi per la struttura finale. «Ad oggi possiedo 40 capi in lattazione e lavoro un buon quantitativo di latte che viene completamente trasformato per la produzione di formaggi freschi, formaggelle, ricotte e yogurt». La soddisfazione più grande sono i complimenti dei clienti e della critica, specie in occasione del concorso milanese all’Ombra della Madonnina.

caprini - azienda agricola Val del Fich (2)«La Giuria mi ha assegnato l’eccellenza per il tronchetto crosta fiorita: è stata una sorpresa perché non avrei mai pensato, visto la mia poca esperienza, di raggiungere un premio del genere». L’entusiasmo è la sua arma in più, quella che le fa reggere la giornata anche a ritmi infernali: «Mungo le capre due volte al giorno, do da mangiare agli altri animali e poi parto con la caseificazione. Adesso mi sto attrezzando per organizzare i campi estivi con i ragazzi. È un lavoro sette giorni su sette. Anche se cerco di godermi al massimo i momenti di relax. A Pasquetta sono andata in montagna, ma prima di partire e una volta tornata, mi aspettavano le capre da mungere: non mi pesa, è la mia vita».

Con i clienti ha un rapporto speciale, in tanti le danno del tu, c’è empatia quasi immediata: «Mi piace il rapporto diretto con la gente: ascolto tutti, mi vanno bene i complimenti, ma ascolto anche i consigli e faccio tesoro anche delle critiche quando arrivano. Il consumatore cerca disperatamente la genuinità: preferisce venire al mio spaccio anziché andare al supermercato, ma in questo modo mi sento anche investita di tante responsabilità, perché devo dar loro i messaggi giusti, per una corretta alimentazione o uno stile di vita sano». E tanto per non farsi mancare niente, Federica ha varato anche una linea di confetture: «Le produco insieme a mia mamma e mia nonna. Diciamo che è un’idea intergenerazionale: è bello fare qualcosa insieme alla propria famiglia, e sono pure buone!».

Federica Cornolti - azienda agricola val del fich (2)Ma tornando alla sua antica vocazione, nonostante sia stata molto tempo, recentemente, davanti a taccuini e telecamere con disinvoltura disarmante, Federica confessa che la sua più grande emozione resta quella che le capita abbastanza spesso, ormai, in stalla: «È quando vedo nascere un capretto: a quel punto tutta la fatica scivola via e resta soltanto una grande gioia».

Azienda Agricola “Val del Fich”

via Cornella
Ponteranica
346 1045697


«Bergamo ha un ricco patrimonio caseario, ma non siamo capaci di valorizzarlo»

È stato uno degli ambasciatori più preziosi dell’agroalimentare italiano nel mondo Gianluigi Zenti, bergamasco doc (nativo di Zù di Riva di Solto) noto soprattutto per aver sviluppato il mercato americano per il gruppo Barilla (ha anche gestito per Barilla l’«Academia» di Parma, biglietto da visita della cultura gastronomica italiana nel mondo). Ora è tornato in Bergamasca per sviluppare un progetto ad ampio raggio che, partendo dai prodotti della Cooperativa di Vigolo (il formaggio Monte Bronzone in primis), potrebbe in futuro essere in grado di ampliare la sua azione verso altre realtà importanti del food and beverage, col successivo coinvolgimento di attività turistiche e di accoglienza. Sfida affascinante e coraggiosa per il nostro manager caseario, che potrebbe smuovere le acque di un comparto che negli ultimi anni, anche grazie a Expo, ha fatto passi da gigante, ma che poche volte in passato ha avuto una strategia comune ed è stato in grado di fare rete.

Dottor Zenti, lei torna in Bergamasca con obiettivi ambiziosi…

«Ora mi occupo di sviluppo, promozione e difesa dell’identità della cultura enogastronomica italiana attraverso progetti di formazione e internazionalizzazione di imprese italiane all’estero. Nello specifico in Bergamasca mi sto occupando del rilancio del caseificio di montagna della cooperativa agricola Monti e Laghi e di promozione dell’incoming turistico sul lago d’Iseo. Nella stagione estiva 2016 abbiamo portato oltre 600 turisti stranieri provenienti da Regno Unito, Germania, Olanda, Stati Uniti, Danimarca, Francia, Australia, Giappone, Israele, Russia».

L’agroalimentare è una risorsa che potrebbe avere potenzialità superiori nella nostra provincia?

«L’agroalimentare è un asset importantissimo nella Bergamasca, ma fino ad ora poco valorizzato. I settori su cui si è messa maggiore enfasi sono sempre stati industria, costruzioni e servizi mentre su agroalimentare e turismo non sono mai stati fatti investimenti importanti. Il nostro territorio possiede una forte identità caratterizzata dalla sua storia, dalla sua cultura e dalla sua conformazione geografica che lo distingue in modo particolare. Olio, riso, farine, prodotti ittici, salumi, vini e formaggi sono un fiore all’occhiello frutto della nostra tradizione gastronomica ma poco conosciuti e valorizzati sia a livello locale che nazionale e internazionale».

La necessità di fare rete tra produttori, ma anche fra territori è basilare: cosa manca a Bergamo su questo fronte?

«La rete tra produttori e territori è uno strumento tattico ma non strategico. I bergamaschi sanno bene che prima di costruire la casa serve un progetto ben fatto. Per seguire una direzione condivisa è necessario avere una vision, una mission e una strategia chiara con obiettivi misurabili e ruoli/responsabilità chiaramente attribuiti».

Bergamo è la capitale dei formaggi Dop con 9 prodotti, facciamo abbastanza per promuoverli?

«Continuiamo a raccontarci che l’Italia è il paese più bello del mondo, ricco di cultura, cibo, moda, design, mobili, auto di lusso etc. ma siamo arrivati nel 2017 senza essere stati in grado di valorizzare in maniera efficace queste ricchezze mentre la concorrenza di altri paesi sta rubando l’identità dei prodotti italiani. Ad esempio oggi il Grana Padano è la prima Dop Italiana al mondo ma è anche la più contraffatta: oltre il 70% del Grana venduto in America con il nome “parmesan” non è un prodotto italiano ma un prodotto americano commercializzato da una multinazionale. Questo dimostra che anche se il prodotto si rende disponibile su un determinato mercato, senza un’adeguata formazione il consumatore non è in grado di distinguerne la qualità e l’origine. In queste situazioni ha campo fertile la contraffazione e quindi la difesa legale diventa indispensabile per tutelare l’identità dei nostri prodotti».

Stracchino BronzoneQuindi esiste un problema d’identità e ancor prima di comunicazione?

«Esatto. Non basta esistere ma bisogna saper comunicare di esistere. Questo vale in particolar modo per i nostri formaggi. Di 9 Dop solo 4 sono conosciuti a livello nazionale e poco a livello internazionale. Anche il Grana Padano ha una notorietà pari a circa la metà del Parmigiano Reggiano nonostante abbia un fatturato di oltre il doppio».

Monte Bronzone, ma anche Agrì o altre chicche casearie, come il blu di bufala o alcune formaggelle: in che modo sviluppare il business di questi formaggi? Non ci si muove troppo in ordine sparso?

«“Chi fa da se fa per tre” è un detto molto sentito nella Bergamasca ma in un mondo sempre più globalizzato non si può più pensare di andare in ordine sparso. Serve un coordinamento ed è necessario individuare in quali mercati/canali si vuole agire da soli ed in quali creare delle sinergie tra pubblico e privato. Ingredienti essenziali per poter raggiungere risultati positivi rimangono comunque competenze e investimenti. Come già menzionato c’è scarsa conoscenza dei nostri prodotti e del loro utilizzo ed è quindi sempre da qui che bisogna partire. Con i prodotti del Monte Bronzone abbiamo cominciato a sviluppare ricette per aiutare le persone a trovare nuovi modi di utilizzo oltre alle modalità di consumo tradizionali».

Il progetto Erg 2017, che vede Bergamo capofila, potrebbe davvero portare giovamenti al nostro food? Quali gli errori da non commettere?

«Non conosco il progetto Erg nel suo dettaglio, ma da quanto ho letto mi sembra il giusto approccio per creare sinergie tra agroalimentare e turismo enogastronomico. All’aggregazione delle informazioni devono seguire azioni concrete e accordi per stimolare ulteriormente i flussi turistici e il consumo di prodotti enogastronomici. Per poter studiare e portare a termine con successo attività di questo tipo occorrono esperienza e competenze specifici. Il rischio è che non vi siano risultati sostanziali in tempi brevi».


Formaggi bergamaschi, chi è in… forma e chi un po’ meno

Tempo di bilanci per il mondo caseario, massima espressione economica a livello provinciale. Sulla soglia, infatti, di un anno decisivo (si spera) per il salto di qualità dell’agroalimentare bergamasco, con il Progetto Erg 2017 che renderà il nostro territorio (insieme ad altri tre della Lombardia Orientale: Brescia, Cremona e Mantova) il baricentro europeo della gastronomia, è bene capire lo stato di forma di alcuni dei nostri “campioni”, anche tenendo presente che uno dei biglietti da visita più autorevoli che presenteremo al Vecchio Continente sarà proprio l’invidiabile primato nazionale delle Dop casearie (ben nove). Forniamo quindi qualche valutazione dei prodotti, ma anche dei personaggi, locali e iniziative che più si sono messe in mostra nel 2016 appena concluso.

Taleggio

taleggioLa corazzata avanza, anche se dal punto di vista dei numeri (qualcosa in meno sul fronte vendite rispetto al passato) e promozionale c’è stata qualche battuta a vuoto unita all’inspiegabile congedo dello storico direttore Vittorio Emanuele Pisani, protagonista, insieme ad altri, del trend positivo degli ultimi anni e soprattutto della crescita d’immagine verso i giovani, anche attraverso efficaci campagne sui social network, come quella dei “Taleggiatori” che ha avuto protagonisti Elio e le storie tese.

Strachitunt

strachituntL’anno di “castigo” è finito: in estate dall’Europa è arrivato il via libera per tornare a marchiare Dop il “nonno” del gorgonzola, dopo la brutta avventura legata alle misure non corrette riscontrate in alcune forme. Peraltro durante l’anno di “limbo”, il formaggio, che continuava ad essere venduto come “Stracchino di montagna a due paste” non ha perso i suoi estimatori, anche se il danno d’immagine fatalmente c’è stato: ora si riparte.

Bitto storico

biitto-storicoDestino amaro per un Cru venduto nel mondo a prezzi stellari (anche 250 euro al chilo), rimasto fedele alla sua storia, eppure costretto a cambiare denominazione per non incorrere in multe europee: siamo curiosi di capire come il mercato accoglierà la nuova parabola dello “Storico ribelle”, nato per distinguersi dal Bitto Dop, e figlio di una delle più annose dispute casearie, peraltro numerose a questi latitudine (vedi anche Strachiunt e soprattutto Branzi). Le premesse per rialzarsi ci sono.

Branzi

branzi-ftb-180-gg-branzi-ftb-frescoResta un formaggio meraviglioso se fatto invecchiare al punto giusto (fresco invece è piuttosto anonimo), ma anche un grande incompiuto sul fronte della mancata Dop, dopo che in passato la nascita e soprattutto la contrapposizione di due Consorzi di tutela aveva portato a un unico risultato: neutralizzare gli sforzi di entrambi. Nonostante ciò, continua ad essere “il formaggio dei bergamaschi”, dalla grande popolarità e dal grande utilizzo in cucina come ingrediente principe di tante ricette.

Agrì

agri-3È un momento di grande crescita per il “bon bon” di Valtorta, che piace a grandi e piccini e che comincia a sfondare anche sui mercati esteri, pur con i limiti legati ai numeri (sempre esigui) della produzione e ai problemi di conservazione per un formaggio che dà il suo meglio quando viene mangiato freschissimo. Il 2017 può diventare l’anno della definitiva consacrazione, anche grazie al supporto sempre crescente del presidio Slowfood.

Formai de Mut

formai-de-mutBuona produzione e alcuni giovani leve compensano la “mezza scivolata” degli organizzatori della Fiera di San Matteo, che avevano imposto la vendita del solo Dop brembano durante l’evento, lasciando al box altri caci blasonati come lo stesso Branzi, per giunta in casa sua. Ma noi crediamo che il Formai sia più forte anche degli incidenti di percorso.

Zola Spalmabile

Quella degli spalmabili è un “amore di ritorno”, nel senso che fin dagli anni Settanta erano noti formaggi più freschi anche a livello industriale (vedi Dover) messi sul mercato solo per essere spalmati sul pane. Oggi in tanti, da Arrigoni di Pagazzano a CasArrigoni hanno riscoperto questo filone, proponendo zola dolci al cucchiaio di grande qualità che stanno incontrando un gradimento crescente.

L’iniziativa finanziaria

Formaggio nero della NonaIl crowdfunding anche per un formaggio? Perché no? Uno dei più antichi della Val di Scalve, il formaggio Nero de la Nona (datato 1753) ha puntato forte su questa forma di raccolta fondi finanziaria dal basso, solitamente dedicata alle start up più innovative, per rilanciare immagine e produzione: primo step 15mila euro con la caccia ai sostenitori aperta fin da settembre ricercando adesioni su Eppela, la principale piattaforma italiana di crowdfunding. Le “azioni”? In forme o anche solo in spicchi del cacio prodotto con latte intero di mucche di Bruna Alpina.

Il manager caseario

Gialuigi Zenti è un manager bergamasco (nativo di Zù di Riva di Solto) noto soprattutto per avere prima sviluppato il mercato americano per il gruppo Barilla (ha anche gestito per Barilla l’Academia di Parma). Ora sta cercando di sviluppare un progetto ad ampio raggio per Bergamo, partendo dai prodotti della Cooperativa di Vigolo (Monte Bronzone in primis), per poi ampliare il suo raggio d’azione verso altre realtà importanti dell’agroalimentare e il successivo coinvolgimento di attività turistiche e di accoglienza. Idea affascinante e coraggiosa che merita attenzione.

Il superpremio

arrigoni_gorgonzola-dolce-dopMeno male che qualcuno diceva che Bergamo per il Gorgonzola era ai confini dell’impero. Il terzo posto assoluto a livello mondiale del “dolce” Dop di Arrigoni di Pagazzano, alla finalissima della 29esima edizione dei World Cheese Awards di San Sebastian, dimostra al Consorzio di Tutela novarese che anche in terra d’Orobie, il principe degli erborinati viene fatto a regola d’arte. Lo certifica uno dei pochi premi internazionali “seri”, quest’anno tenutosi in terra basca, a cui hanno partecipato 3.000 caci in rappresentanza di 30 Paesi.

L’exploit in casa dei rivali francesi: Taddei & Gritti

Lasciare a bocca aperta i francesi con un serie di chicche made in Italy non è da tutti. Invece recentemente Massimo e Camilla Taddei di Fornovo e i fratelli Alfio e Bruno Gritti del caseificio Quattro Portoni di Cologno al Serio, hanno riscosso grande successo al Mercato internazionale di Rungis (Parigi), la più grande e importante vetrina agroalimentare di prodotti freschi del mondo, praticamente la Disneyland degli appassionati del fromage, guadagnando ordini anche tra i grossisti d’Oltralpe.

Il Locale: il cheese bar BBù - cheese bar Bergamo (3)ù

Finale non per un prodotto ma per un locale. Che il creato da Francesco Maroni e soci in un solo di anno di vita sia già diventato un punto di riferimento nazionale dei locali legati alla proposta casearia, con tanto di riconoscimento del “guru” Marcomini, non è cosa da poco…


È bergamasco il terzo miglior formaggio al mondo

arrigoni_gorgonzola-dolce-dop

Il terzo miglior formaggio al mondo è bergamasco. È il Gorgonzola Dolce Dop del caseificio Arrigoni Battista di Pagazzano, unico rappresentante italiano selezionato per la finalissima alla 29esima edizione dei World Cheese Awards, il più importante concorso internazionale dedicato ai formaggi, quest’anno organizzato a San Sebastian, in Spagna.

L’erborinato di casa nostra ha prima ottenuto la Super Gold Medal, assegnata ai 66 formaggi che rappresentano le eccellenze a livello mondiale (tra cui sei prodotti italiani in tutto). È poi stato valutato da una seconda giuria specializzata, che ha scelto i 16 migliori formaggi in assoluto dal concorso, tra i quali è stato eletto il miglior formaggio del mondo: il norvegese Kraftkar del produttore Tingvollost, seguito dal Conish Kern di Lynher Dairies dal Regno Unito e, appunto, dal campione bergamasco.

Il concorso ha visto in gara oltre 3.000 formaggi da 30 Paesi. Con questo risultato il caseificio Arrigoni ha ulteriormente impreziosito il suo palmarès, che già comprende due Super Gold Medal, ottenute nel 2014 e nel 2015. In questa edizione dei World Cheese Awards ha anche ricevuto per il secondo anno consecutivo la medaglia d’argento con il Taleggio Dop mentre il Gorgonzola piccante Dop e l’Italico, un formaggio a pasta molle a crosta lavata, si sono aggiudicati il bronzo.

Ma anche altri produttori bergamaschi escono medagliati dalla competizione. Arrigoni Sergio di Olda di Taleggio ha ottenuto due ori con Branzi e con “Leonardo”, un argento con il Gorgonzola Dop e un bronzo con lo “Strachì del Belo Ecc”. Medaglie di bronzo anche per il “Pan di Cacio” del caseificio Taddei di Fornovo San Giovanni, “Surfin’ Blue”, formaggio erborinato prodotto con latte di bufala e affinato in una birra artigianale, dei Quattro Portoni di Cologno al Serio e le chicche di latte caprino de La Via Lattea di Brignano Gera d’Adda “Morla” e “Nocino”.


Formaggi, l’arte di affinare raccontata dagli esperti

formaggi-affinamentoA Romano di Lombardia arriva un fine settimana per gli specialisti del formaggio. Sabato 22 ottobre a partire dalle 10 nella Rocca Viscontea è in programma il convegno-tavola rotonda dal titolo “Arte di affinare”.

Noti affinatori del panorama nazionale racconteranno come si trasforma un formaggio accuratamente selezionato sui luoghi di produzione in qualcosa di unico e sorprendente, introducendo variabili nella stagionatura, nei tempi e nelle tecniche, utilizzando ingredienti naturali che danno diverse aromaticità. Si parlerà dell’importanza dell’estetica, del gusto e del marketing dei formaggi da meditazione, oltre che della qualità del latte.

Obiettivo cercare di definire la categoria professionale degli affinatori, grazie anche alle esperienze dei professionisti del settore. Interverranno: Vittorio Beltrami, Gastronomia Beltrami Cartoceto (Pu); Renato Brancaleoni, Fossa Dell’Abbondanza Roncofreddo (Fc); Antonio e Alessandro Carpenedo, la Casearia Camalò di Povegliano (Tv); Roberto Facchetti, Lavialattea di Gera d’Adda (Bg); Andrea Magi, Azienda De’ Magi L’alchimia de’ formaggi Castiglion Fiorentino (Ar); Carlo Piccoli, Latteria Perenzin San Pietro di Feletto (Tv), insieme a Gianfranco Drigo, direttore della Coldiretti di Bergamo e Daniele Bassi, componente Commissione Tecnica Scientifica Onaf (Organizzazione nazionale assaggiatori di formaggio). A moderare i lavori sarà Grazia Mercalli, delegato Onaf Bergamo.

Domenica 23, sempre alla Rocca viscontea, dalle ore 10, si terrà invece il primo concorso caseario “Stupore ed emozione”, dedicato esclusivamente ai formaggi affinati: a pasta molle, semidura e dura, di latte vaccino, caprino, ovino, bufalino e misto. La giuria composta da Maestri Assaggiatori ed Assaggiatori Onaf valuterà la “metamorfosi di un buon formaggio” sottoposto ad affinamento in “qualcosa di bello da vedersi e piacevole da mangiare”, esprimendo un punteggio ed un commento tecnico. L’iscrizione dei formaggi a concorso è gratuita.

Per informazioni bergamo@onaf.it


Mostra del Bitto, a Morbegno pronta l’edizione 109

bitto-dopIl 15 e il 16 ottobre, a Morbegno, si terrà la 109esima edizione della Mostra del Bitto, evento che valorizza la tradizione ma riesce a stare al passo coi tempi, rinnovandosi anno dopo anno da oltre un secolo.

La Mostra coinvolgerà tutta Morbegno, da Piazza Sant’Antonio fino alle attività collaterali in stile “country” presso il Polo Fieristico sulle rive del fiume Adda. In centro città in evidenza i classici “calecc” – le antiche costruzioni in pietra dislocate sui pascoli che garantivano un riparo alla “culdera” di rame dentro cui si lavorava il Bitto -, le casette dello street food valtellinese (sciatt e pizzoccheri da passeggio), i mercatini dei produttori, l’area eventi per spettacoli e attività d’intrattenimento, in spazi semi-open che si affacciano su Piazza Sant’Antonio.

Cuore della Mostra quest’anno sarà “Casa Mainardi”, dove lo chef “atomico” si esibirà in showcooking a sua immagine e somiglianza per valorizzare il formaggio di fondovalle per eccellenza, il Valtellina Casera Dop. Nel Chiostro di Sant’Antonio si terrà invece la tradizionale Casèra che ospiterà l’esposizione delle forme di Bitto Dop, Valtellina Casera Dop e Scimudin partecipanti allo storico concorso. Nelle salette adiacenti troveranno posto le aule didattiche e i corsi per degustatori di formaggio.

Per tutti gli amanti del vino è stato pensato anche un suggestivo enotour nelle cantine del centro storico con “Morbegno in Cantina” che quest’anno abbinerà i vini Doc e Docg di Valtellina con i formaggi Dop, per un “cheese&wine” da non perdere. Tra gusto e cultura, nella cornice dello splendido Palazzo Malacrida sarà la volta di “taste&sound”, degustazioni in musica alla scoperta delle note aromatiche dei formaggi valtellinesi nelle diverse forme e stagionature.

La regina dei salumi, la Bresaola della Valtellina Igp, sposerà sua maestà il Bitto Dop in abbinamenti insoliti quali, ad esempio, il “sandwich Valtellina”da portarsi in un giro in bici lungo l’Adda o sul sentiero Valtellina, alla scoperta dei tanti angoli e panorami nei dintorni di Morbegno.

Tra le novità di quest’anno anche gli assaggi inediti a bordo di un vero “London bus” a due piani e un’area “country” presso il Polo Fieristico sulle rive del fiume Adda, riservata alle fattorie didattiche, alla mostra dei trattori, alle dimostrazioni di mungitura, agli spettacoli equestri.


I formaggi che nascono in città

Moleri fa il formaggio in città. Contraddizione? Non per lui. E neppure per i suoi clienti che continuano a crescere. Fare il formaggio a Bergamo è una bella impresa, eppure c’è ancora chi ci riesce, mantenendo alti i criteri di qualità e conciliando i tempi della mungitura con quelli del pascolo, ai bordi del centro urbano, con le sue mucche sparse nei pochi prati ancora abbordabili nel quartiere Grumellina.

«Può sembrare un paradosso, ma anche un formaggio fatto all’ombra della città ha un suo perché», spiega lui, il Pierino, 66 primavere e non sentirle. Significa che l’agricoltura non si è ancora arresa all’asfalto e allo smog. In quest’angolo periferico di città sembra di stare nella Bassa bergamasca, con la sveglia che suona immancabile alle 5 e la vita scandita dai ritmi del lavoro con il bestiame e nei campi. Era stato suo padre Faustino a portare la famiglia a Bergamo e a trasmettergli il mestiere, lui unico di cinque fratelli a continuare l’attività, «perché quella per il latte e i formaggi è da sempre la mia grande passione», insieme a quella per la musica (suona in due bande il suo basso-tuba). Così si è andato a scegliersi una per una le 30 vacche in Alto Adige, «e sono tutte certificate: una dozzina da mungitura tra brune, pezzate rosse, Jersey».

Nasce a Fara Olivana Pierino Moleri, ma poi si trasferisce a Grumello, dove da piccolissimo è protagonista in piazza di interminabili partite alla “sgaréla”, sorta di baseball ante litteram, poi sua madre, a forza di insistere, gli insegna a fare il formaggio. Così ha cominciato e va avanti da oltre 40 anni, con a fianco un’altra donna, la moglie Luciana, che lo aiuta in tutte le fasi, dalla pulizia degli animali fino alla vendita allo spaccio di via Santa Croce dove tra caciotte e stracchini, formaggelle e paste filate è una processione continua di clienti, molto affezionati anche alla casetta dove è possibile acquistare il latte crudo.

«La mia giornata? Interminabile, però a me piace così – risponde senza esitazioni Pierino -: appena sveglio, poco dopo le 5, comincio a mungere, poi riempio di latte fresco la Casetta e poi comincio a fare il formaggio. Quale? Dipende dall’ispirazione: un giorno faccio stracchini, quello seguente paste filate. In tutto lavoro 300 litri di latte al giorno, non mi fermo mai. Premi? Guardi, non ho proprio il tempo di partecipare ai concorsi, mi basta la gratificazione dei clienti, che continuano a crescere e a distanza di anni continuano a venire ad acquistare allo spaccio: ogni tanto vengono a dare un’occhiata a come lavoro, sanno che non baro mai, che cerco sempre di rifarmi ai sapori di una volta. E poi, in un quartiere in cui scarseggiano i negozi di alimentari il nostro resta un punto di riferimento».

Un aspetto, quello dell’agricoltura che sopravvive in città, che ha ben presente Confagricoltura Bergamo, a cui Moleri aderisce. «Per noi – spiega il direttore di Confagricoltura Bergamo Aldo Marcassoli – è importante vedere un’agricoltura professionale anche in città, che non è, per intenderci, quella degli orti urbani, ma quella di aziende ben strutturate che alla periferia di Bergamo producono carni bovine, formaggi, salumi oppure vino, frutta e ortaggi nella parte collinare, spesso dedite alle attività multifunzionali come l’agriturismo, la didattica in fattoria, la vendita diretta in azienda o a gruppi di acquisto cittadini».

Formaggi - pierino moleriIn un panorama non certo florido per l’agricoltura tradizionale «nel caso di Moleri, come di altri – afferma Marcassoli – siamo invece di fronte a realtà che hanno saputo trovare una loro precisa collocazione sul mercato e un non sempre facile equilibrio tra le proprie esigenze produttive e il fatto di operare nelle vicinanze di un contesto urbano fortemente urbanizzato o, all’opposto, caratterizzato dall’esistenza di forti vincoli ambientali come accade nelle aree protette e a parco. Sono imprese che rifuggono dall’immagine folcloristica e pittoresca che il cittadino a volte vorrebbe trovare in esse e che si propongono invece, con molta dignità e professionalità, per l’importante ruolo che svolgono in tema di conservazione dell’ambiente e del paesaggio, di contributo a una sana alimentazione e a una migliore qualità della vita».

«Oggi chi acquista prodotti agricoli deve avere il diritto di essere informato sull’origine della filiera – aggiunge Moleri -, so che il nostro ministro bergamasco Martina si sta adoperando in questo senso, perché è fondamentale che il consumatore venga tutelato al massimo. Noi facciamo tanti sacrifici per dare un prodotto garantito, con latte italiano, anzi bergamasco, da cui deriva un formaggio buono e sano, come si faceva una volta. Oggi purtroppo, però, tante volte si trova sul mercato un formaggio prodotto qui, ma con latte fatto in chissà quale Paese estero: tutto deve essere alla luce del sole».


Peghera, il Taleggio interpretato dallo chef Mainardi

Peghera, in Val Taleggio, patria del famoso formaggio e luogo d’eccellenza per la stagionatura, organizza una sagra che permette di conoscere i segreti della produzione e le virtù gastronomiche.

L’appuntamento con l’ottava edizione è per domenica 24 luglio ed avrà come ospite Andrea Mainardi, lo chef bergamasco conosciuto con l’appellativo di “atomico”, per la creatività e l’energia del carattere. Noto in tv per la partecipazione alla Prova del Cuoco di Raiuno e la conduzione dei programmi Ci pensa Mainardi e Tra due Fuochi su FoxLife, sarà il protagonista di uno showcooking alle 10.45.

La giornata, dalle 9.30 alle 18, propone bancarelle con prodotti artigianali ed un programma che unisce sapori, cultura e intrattenimento. Alle 9.45 si terrà una dimostrazione di caseificazione, mentre, dopo lo showcooking dello chef, si potrà pranzare con un menù tipico nei ristoranti convenzionati al costo di 18 euro. Alle 14 sono previste due visite, alle cantine di stagionatura del Taleggio Dop o alla Pala di San Giacomo del pittore Palma il Vecchio nella chiesa Parrocchiale. Ci saranno anche uno spettacolo di burattini (alle 15) ed un emozionante esibizione di freestyle in bici, oltre ai gonfiabili, a una mostra e al servizio ristoro.


Caseificio Taddei, doppietta di premi e nuovi prodotti

Vincere un concorso caseario nazionale è già difficile, figuriamoci la doppietta nel giro di una settimana: eppure per il caseificio Taddei di Fornovo nulla sembra impossibile, grazie alla tenacia e al rigore con cui i titolari Massimo e Camilla curano la qualità dei loro formaggi, che li ha portati a esportare in mezzo mondo, ottenendo recentemente anche preziosi ordini proprio nella tana del nemico, quei francesi che sono stati “sfidati” durante il Salon du Fromage di Parigi, riscuotendo consensi unanimi, non solo per il taleggio Dop, per il quale già Edoardo Raspelli aveva “incoronato” la coppia regina bergamasca, ma per tante altre delizie del palato che hanno saputo portare alla conoscenza del mercato transalpino.

Tornando alla doppia vittoria italiana, la medaglia d’oro con il Blutunt all’Alma Caseus in occasione di Cibus e quella d’argento per la Toma bergamasca al CaseoArt di Pandino, la soddisfazione è grande, anche se Camilla Taddei, che da sempre cura il marketing e la parte commerciale, sa bene che queste soddisfazioni fanno parte di un percorso che arriva da lontano: «Sia io che mio marito Massimo conosciamo la nostra azienda e il cammino compiuto negli anni, ma questi riconoscimenti ufficiali, che arrivano da esperti del settore, garantiscono per noi che il lavoro fatto non è solo di parole ma di costanza e serietà, proiettando sempre di più l’azienda in un mercato di qualità».

Per il Blutunt, erborinato bergamasco molto gettonato negli ultimi anni dagli appassionati, è stato addirittura un percorso in crescendo a Cibus: dopo due argenti, ecco arrivare l’oro: «È un riconoscimento – aggiunge Camilla Taddei – alla qualità e alla crescita costante che negli anni ha avuto questo formaggio, pur collocandosi sempre in una fascia di nicchia del mercato. Premia il lavoro e il rispetto delle regole: viene infatti prodotto seguendo un disciplinare imposto dalla Camera di commercio di Bergamo e per questo può fregiarsi del marchio “Mille Sapori di Bergamo” ed è certificato dalla CSQA».

E se il Blutunt, come il Taleggio e il Salva Cremasco, possono dirsi veterani di Casa Taddei, ha destato impressione la Toma Bergamasca, per la prima volta proposta in un concorso e subito premiata a Pandino: «La nostra toma – spiega Camilla – rappresenta un’altra produzione sulla quale abbiamo investito tempo e lavoro fino ad arrivare al risultato che ci eravamo prefissati e cioè un formaggio che si colloca nella nostra tradizione, con una pasta morbida ed elastica, sapore delicato con retrogusto di fieno e una stagionatura importante. L’argento ricevuto a Pandino è stato una bellissima quanto inaspettata sorpresa, anche se sinceramente ci speravamo perché da buoni produttori e stagionatori conosciamo le potenzialità di questo formaggio».

Sperimentare e proporre, accanto ai caci della tradizione, sempre nuove golosità è una prerogativa dei Taddei, che hanno già pronta un’altra novità: «La passione per questo lavoro ci solletica sempre a creare cose nuove – spiega ancora Camilla – e quando Massimo sparisce dall’ufficio per chiudersi in caseificio a “confabulare” con i casari e il responsabile di stagionatura, vuol dire che qualcosa bolle in pentola. Questo nuovo prodotto che sta già riscuotendo un notevole gradimento da parte dei nostri clienti è “Il Quartino del Casaro”, formaggio a crosta lavata con una stagionatura di 60/70 giorni e un gusto deciso. Buon appetito!».


La Confraternita di San Lucio apre le porte al “Re del Taleggio”

Confraternita San Lucio -Intronizzazione ritSan Lucio, protettore dei casari di tutto l’arco alpino e dei “formaggiai” di molte città del Nord Italia, dona anche il nome alla Confraternita fondata a Piacenza da poco più di un anno e che riunisce “per chiamata” (come nei club di servizio, Rotary, Lions, etc) tutte quelle figure (allevatori, produttori, affinatori, critici, giornalisti, distributori) che si sono distinte in campo caseario a livello nazionale.

Il club non è altro che una “costola” dell’associazione fondata in Francia nel 1969 dal mitico Pierre Androuet, conosciuto anche come il “Papa del formaggio”, che ne è stato anche il presidente fino al 1992, quando il suo posto è stato preso dal collega e connazionale Roland Barthelemy.

Della “casa madre” facevano già parte due bergamaschi: Giulio Signorelli “Ol Formager” e Bruno Gritti, l’inventore del Blu di Bufala.

La denominazione originaria è la “Guilde des fromagers – Confrerie de Saint Uguzon” (Sant’Uguccione è il nome francese di San Lucio) che tiene i suoi capitoli periodicamente un po’ in tutte le regioni della pianura padana. Tra i “confratelli” più recenti è entrato a far parte del capitolo italiano, nell’ultima conviviale tenutasi in provincia di Reggio Emilia, il bergamasco Massimo Taddei, titolare con la moglie Camilla dell’omonima azienda di Fornovo San Giovanni e presentato nell’occasione come il Re del Taleggio (Raspelli docet), fresco di doppia affermazione all’Alma Caseus durante il Cibus, a Parma, e al CaseoArt a Pandino con due dei suoi “campioni”.

confraternita san lucio - gonfaloneLa Gilda Internazionale è presente in 33 Paesi, tra cui una dozzina di nazioni europee, ma c’è anche in Russia, Stati Uniti d’America, Canada, Australia e Giappone, oltre ad alcuni Paesi Latino Americani. «In questa logica di crescita, non poteva mancare l’Italia – dichiara Hervé Davoine, presidente della Confraternita italiana di San Lucio – e gli italiani che credono nella Confraternita come strumento di valorizzazione culturale di tutta la filiera del latte potranno, una volta “intronizzati”, dare il loro contributo alla causa».

Davoine, che alla vicepresidenza, oltre a Anna Maria Sepertino, ha voluto anche uno dei massimi esperti italiani come Vincenzo Bozzetti, cremonese, molto noto anche in Bergamasca, spiega che «l’associazione è in rapida crescita: anche in quest’ultimo incontro sono entrati a farne parte una decina di nuovi soci, che individuiamo in tutta la filiera, dagli operatori professionali ai casari, ai tecnici della filiera latte, agli stagionatori, agli addetti alla vendita».

Il presidente Davoine ha un obiettivo: «Ci piacerebbe che l’immagine del comparto caseario crescesse in Italia come meritano i numeri della sua economia. In Francia l’uomo dei formaggi è riconosciuto come artigiano di alto profilo: ci sono corsi, scuole, diplomi, concorsi. È un mestiere nobile, che attira molti giovani: lavoriamo per far crescere anche in Italia la reputazione come merita».

In tanti si sono stretti attorno a Taddei nella riuscita serata reggiana dell’“intronizzazione” a Castelnuovo di Sotto: tra i primi Vittorio Emanuele Pisani, storico direttore del consorzio Taleggio prima e attualmente del Provolone Valpadana, anch’egli in Confraternita da qualche mese. Tra i nuovi confratelli anche Libero Stradiotti, presidente del Consorzio Provolone Valpadana Dop. «Questo mio ingresso nella Confraternita – ha spiegato il titolare dell’azienda di Fornovo -, oltre ad essere un grande privilegio, è il miglior riconoscimento al lavoro fin qui svolto, sia nel mio caseificio dove cerco di salvaguardare e riproporre i formaggi della tradizione bergamasca, spesso dimenticati, sia in ambito istituzionale dove in passato mi sono reso parte attiva alla fondazione di due Dop, Quartirolo Lombardo e Salva Cremasco. Ma in particolare un pensiero lo rivolgo al mondo del Taleggio Dop di cui sono stato per quasi 20 anni vicepresidente, presidente fino al 2014 ed attualmente ancora consigliere».

L’azienda ha superato da tempo il secolo di vita: è stata fondata dal bisnonno di Massimo, Giandomenico, nel 1885, ed è stata tra le festeggiate da Tuttofood il mese scorso con una serata di gala speciale in onore di tutte le sue aderenti “centenarie” a Villa Reale a Monza.

Anche Taddei ha le idee chiare per cercare di incoraggiare la cultura casearia in Italia: «Penso sia fondamentale tornare a spiegare alla gente come si fa e che cosa è il formaggio: l’ho notato anche in alcuni incontri onlus (come quello con l’università della terza età) dove sono stato invitato per parlare delle origini e delle principali differenze delle produzioni casearie. Quando si apre la discussione ci si accorge di come oggi siamo bombardati tutti i giorni da “teorie” alimentari che spesso non hanno nessuna “pratica”, ma creano solo confusione e falsi allarmismi. Fare invece della comunicazione corretta, spiegando le qualità dei nostri campioni caseari è la chiave per fidelizzare i consumatori».

C’è poi un aspetto, che vede Massimo con la moglie Camilla da sempre in prima linea: valorizzare il primato caseario di Bergamo in Italia, prima di tutto sul fronte Dop, ma non solo. Qualcosa si è fatto durante l’Expo con il progetto “Forme”, da tre anni la Casa degli Alti Formaggi di Treviglio consolida una divulgazione esemplare, ma le potenzialità per spingersi ancora oltre ci sarebbero. «A patto che – sottolinea Taddei – si trovi finalmente il giusto equilibrio “geografico”, eliminando quella ormai obsoleta diatriba tra i produttori di montagna e pianura. Solo allora si potranno organizzare manifestazioni magari legate alla bellezza monumentale della nostra città, chiedendo anche l’impegno dell’amministrazione pubblica ad investire nel comparto, dove, oltre alle Dop, ci sono produzioni casearie di grande tradizione. Questo porterebbe alla valorizzazione del territorio esaltando anche le risorse umane della filiera, dagli allevatori ai casari, dai produttori agli affinatori, che in provincia sono di assoluta eccellenza».