Più ascolti Matteo Renzi e più ti ritorna in mente Bettino Craxi. Più vedi come si muove, da chi si circonda, i bersagli che colpisce e più il senso di un dejà vu si fa palpabile e opprimente. Chissà se l’epilogo sarà egualmente drammatico, c’è da augurarsi di no, per il bene suo e dello stesso buon nome del Paese. È arduo, però, sfuggire ad un parallelismo che vede due uomini politici così diversi per storia personale, cultura, età anagrafica, valori di riferimento accomunati da un modus operandi molto simile se non addirittura sovrapponibile.
Partiamo dallo stile, anzitutto. L’esuberanza che sulle prime caratterizzava positivamente Renzi e ne faceva l’uomo nuovo capace di scardinare i vecchi schemi e mandare in quiescenza le cariatidi del Parlamento si è presto tradotto in arroganza, in un modo di atteggiarsi e di parlare che pretende di far passare la sfrontatezza come capacità di parlar chiaro. Anche Craxi amava essere rude, talvolta sprezzante. Memorabili i litigi con Berlinguer e De Mita, ma anche talune sfuriate contro intellettuali e giornalisti, rei magari soltanto di non essere adusi a baciare la pantofola in anni in cui, tra nani e ballerine, l’indipendenza di giudizio non era classificata tra le virtù. Oggi sono cambiati in parte i mezzi di comunicazione. E i social, per la possibilità che consentono di trasmettere senza filtri il proprio pensiero, possono accentuare e rendere ancora più urticante la spregiudicatezza verbale. Renzi ne è consapevole, sa il rischio che corre, ma è convinto che l’unico modo per svettare rispetto a tutto il resto del panorama politico sia “andare sopra le righe”, parlare il linguaggio della pancia, polemizzare con il tono che si usa al bar sport.
La cultura di Craxi era ben altra, intendiamoci, non i modi. E quei modi, alla fine, gli costarono l’insofferenza e la rabbia degli italiani. Renzi sta calpestando le orme del leader socialista anche per i contenuti. Entrambi convinti della necessità di innovare il polveroso assetto istituzionale, entrambi pericolosamente portati ad intravedere nel ridimensionamento delle Camere come dei corpi intermedi la soluzione. Entrambi, soprattutto, pencolanti, più o meno consapevolmente, verso un modello tranchant che affida ad una figura forte la salvezza della Patria. In altre parole, Renzi come Craxi teorici dell’uomo solo al comando. Di per sé nulla di drammatico, il mondo è pieno di sistemi democratici caratterizzati da un premierato forte. Ma ad accomunare il leader di ieri con quello di oggi c’è l’insofferenza ai controlli, ai contrappesi, al render conto ai giornali. E questo è molto italiano.
E che dire della battaglia contro i magistrati? Le ultime uscite del premier, la sua insofferenza per indagini che bloccherebbero le opere (come se il rispetto della legalità fosse una variabile indipendente), assomigliano terribilmente alle sfuriate craxiane contro le toghe che osavano mettere il naso nei traffici di taluni manutengoli del suo partito. Sappiamo tutti come è finita in quel caso e fossimo in Renzi useremmo maggiore cautela nel mettere la mano sul fuoco, anche o soprattutto sugli amici e le amiche del cosiddetto Giglio Magico.
Tratto autoritario, autoreferenzialità, spregiudicatezza: ecco le tre caratteristiche che stanno facendo del presidente del Consiglio un tardo emulo del leader socialista. Renzi, se vuole, è ancora in tempo per ravvedersi. Ma, come Craxi, vede nemici e complotti dappertutto. E alla fine rischia di farsi male da solo.