È su tutte le nostre tavole, ma siamo in grado di stabilire se un olio d’oliva è buono o scadente? E, non meno importante, lo conserviamo nel modo giusto? Perché la dicitura “olio extravergine di oliva” da sola non garantisce che siamo di fronte a un olio di qualità.
Con l’aiuto di Marco Antonucci, da molti anni impegnato a livello internazionale nella diffusione della cultura dell’extravergine e dell’analisi sensoriale attraverso seminari, corsi, incontri, guide, articoli e pubblicazioni di carattere sia divulgativo che universitario, abbiamo realizzato un vademecum fatto di piccoli trucchi che vi aiuteranno a riconoscere un olio buono da uno che non lo è. E a conservarlo in modo corretto. Tanto per iniziare, sfatiamo subito una convinzione diffusa: il colore non è importante.
Leggere con attenzione l’etichetta
Il primo consiglio è leggere bene l’etichetta. Più informazioni sono riportate, più chiare sono, e più possiamo fidarci del prodotto. L’indicazione Igp o Dop, che garantisce che l’olio è di una determinata area, e il marchio di consorzi locali possono essere buoni indici di qualità, oltre a tutte le indicazioni di legge.
È importante verificare anche la provenienza delle olive: non c’è una regione di provenienza migliore dell’altra, ma esistono tecniche virtuose di gestione dell’oliveto, raccolta, trasformazione e conservazione che permettono di avere un olio di qualità. Se le olive sono lavorate in frantoio aziendale, ad esempio, è una garanzia in più (il frantoio aziendale consente la lavorazione delle olive dopo poche ore dalla raccolta, conferendo agli oli alti valori nutrizionali). Altre informazioni importanti sono i dati del confezionatore (se non è lo stesso produttore), il numero del lotto (che facilita la rintracciabilità), il contenuto in acido oleico, di polifenoli, di vitamina A, D ed E. La trasparenza informativa tra produttore e consumatore è un elemento decisivo nel mercato di oggi. Il consiglio di Coldiretti è di guardare anche la data di scadenza e preferire l’extravergine nuovo guardando l’annata di produzione che molti indicano volontariamente in etichetta.
«Da qualche anno c’è scritto se l’olio è comunitario o non comunitario – dice Antonucci -. L’indicazione da cercare è “prodotto e confezionato da”. È questa “e” a fare la differenza. Anche la scritta “olio italiano al 100%” va benissimo ed è garanzia di qualità. Al contrario, la scritta “olio proveniente da Comunità europea” deve far pensare che l’olio può essere spagnolo o greco. Se è riportato anche l’anno di raccolta è un altro segno di qualità. Se non c’è scritto, è facile che nella bottiglia siano presenti anche oli di altri anni». «Il colore, invece, non va considerato – aggiunge – non dà né gusto né profumo».
Il profumo deve ricordare l’oliva
Quello che leggiamo in etichetta non basta a garantire la qualità. È importante anche valutare la componente olfattiva. L’olio deve avere un profumo che ricorda l’oliva, perché alla fine non è altro che una spremuta di olive (in gergo si dice che l’olio deve avere un “fruttato maggiore di zero”). Sembra una banalità scriverlo, però è utile e da tenere sempre a mente. Se profuma di erba appena tagliata, di pomodoro, carciofo, mela o mandorla, siamo in presenza di un buon prodotto.
Deve avere un gusto amaro e piccante
«L’olio è come il vino, per capire se è buono va assaggiato – spiega Antonucci -. Se all’assaggio si nota una sensazione di amaro in bocca, leggermente tendente al piccante in gola, allora l’olio è buono». Amaro e piccante, insieme al fruttato, sono i tre pregi che un buon olio extravergine deve avere e garantiscono anche le proprietà salutistiche del prodotto: alcuni composti nobili dell’olio come l’oleuropeina e l’oleocantale (l’uno antinfiammatorio, l’altro antiossidante potentissimo) garantiscono la loro presenza nel prodotto proprio attraverso il gusto, il primo di amaro e il secondo di piccante. Per assaporare bene l’olio lo si tiene su palato e lingua almeno 20 secondi, quindi si deglutisce.
Non deve essere rancido né acido
Uno dei difetti più comuni dell’olio è il “rancido”, dovuto all’invecchiamento dell’olio che è causato dalla luce, dal calore o dall’ossidazione (come sapore e odore assomiglia al grasso del prosciutto crudo lasciato una giornata al caldo a contatto con l’aria). «Per bene che lo si conservi, a un certo punto muore, come il burro – spiega Antonucci -. Dipende da come è conservato, ma in generale la durata media di un olio è un paio di anni».
Un altro difetto è la fermentazione. «Le olive si raccolgono la mattina e si portano al frantoio il pomeriggio. Se si lascia passare più tempo e le olive vengono ammassate in ambienti poco aerati e umidi, fermentano. In questo caso l’olio assume un leggero odore di aceto». In generale, se si percepiscono odori che richiamano verdure o frutti passati o peggio ancora l’odore della salamoia o di rancido, è segno che il prodotto è scadente e forse non è nemmeno extravergine.
Non deve avere il fondo
«Un terzo difetto che può avere l’olio è di presentare il fondo. «Come per il vino, anche per l’olio, la bottiglia non deve avere il fondo. Se l’olio è novello va bene, ma va consumato subito. In generale però è sempre bene filtrare l’olio ed evitare di acquistare oli che presentano uno strato sul fondo della bottiglia», consiglia Antonucci.
Non può costare meno di 12 euro
«Il detto “costa poco, vale poco” nel caso dell’olio d’oliva va tenuto sempre a mente. Bisogna diffidare degli oli a prezzi bassi. Un buon olio extravergine di oliva, lavorato con metodi artigianali e di qualità, deve avere un costo minimo di 12 euro al litro. Se il prezzo è più basso, quasi di sicuro la sua qualità non è eccellente ed è composto da un mix di oli provenienti da Paesi europei ed extra-europei, non soltanto da olio extravergine di provenienza italiana. La cosa migliore è acquistare l’olio direttamente dal produttore, sia per risparmiare accorciando la filiera, sia per avere la possibilità di assaggiare il prodotto prima dell’acquisto e per verificare personalmente come avviene la produzione».
Va conservato come il vino
Una volta acquistato un buon olio extravergine, è importante conservarlo nel modo corretto. «L’olio è più delicato del vino. La prima accortezza è evitare di sottoporlo a temperature elevate e dividere la damigiana in tante bottiglie. Se lo acquisto in Puglia in damigiane e lo metto nel baule dell’auto a una temperatura di 40 gradi e poi, arrivato a casa, lo ripongo in cantina lo uccido». Anche la conservazione in casa richiede alcune attenzioni. «Molti conservano male l’olio – avverte Antonucci -. La bottiglia deve essere riposta lontano dai fornelli e al buio, a una temperatura tra gli 11 e i 16 gradi, altrimenti si guasta. Inoltre quando si apre una bottiglia bisogna richiuderla subito, cosa che non si fa di solito. A differenza del vino, infatti, l’olio non ha conservanti quindi se si lascia aperto si ossida. Infine, quando la bottiglia è finita la si deve buttare perché sulle pareti si forma dell’olio ossidato». «Se si conserva l’olio come il vino non si hanno problemi» garantisce l’esperto.