immagini fornite da WelcHome Restaurant
Ormai da anni la sharing economy sta entrando nella quotidianità di sempre più persone. È una tendenza che coinvolge molti settori e in grado di offrire diverse tipologie di servizi. A volte è il prezzo del servizio stesso, altre volte invece è proprio l’originalità della proposta ad attirare chi si approccia a questo mondo da fruitore. La sharing economy si sta sempre più affermando come un “nuovo modo” di usare, di consumare, di operare. Un modo molto vicino ai recenti stili di vita, che utilizza gli strumenti delle nuove generazioni, diretto e facilmente comprensibile, immediatamente fruibile, per l’appunto… social!
Anche nel mondo del cibo qualcosa è cambiato. Il cibo e tutto quello che ruota attorno al mondo dei fornelli è sempre più social, sempre più ricercato e condiviso. È cambiato l’approccio nei confronti dello stesso, è cambiato il modo in cui si consuma. Il buon cibo è diventato interesse di molti e, probabilmente, prima di questi ultimi anni, tra le cose più fotografate e celebrate. Il bisogno di condividere, l’essere tornati a dare questo valore simbolico al cibo, probabilmente ha stimolato la diffusione e la ricerca di questo tipo di fruizione. Ecco che case private diventano Home Restaurant, luoghi in cui consumare informalmente del cibo preparato dai proprietari, in compagnia di persone sconosciute, oppure con gli stessi “homer”. La logica è quella di condividere le spese, consumando cibo preparato ad hoc, in compagnia e in totale condivisione e conoscenza reciproca. Il metodo è molto simile a quello di un’informale cena con amici, compresa la caratteristica di occasionalità dell’attività. Ma dal momento che l’home restaurant si rivolge a persone spesso non conosciute, non sono ben chiari e compresi quali possano essere i limiti di questa attività, per evitare di concorrere in maniera sleale a quelle attività di somministrazione, in primis i ristoranti, spesso schiacciati tra burocrazia, normative da rispettare e fisco. L’home restaurant manca completamente di regolamento anche per quel che riguarda la sicurezza alimentare, dal momento che non sono semplici cene tra amici, ma vi è la chiara possibilità di creare dei veri e propri micro business.
A Chiuduno l’iniziativa di tre amici: «Per noi è divertimento e condivisione»
Anche in Bergamasca si possono trovare diverse occasioni per una cena in casa. A Chiuduno, da un piccolo gruppo di amici è nato WelcHome Restaurant (welchomerestaurant.wordpress.com), che non manca di considerare i problemi che questo buco legislativo crea a tutti coloro che volessero intraprendere questa attività, ma anche a chi svolge la tradizionale attività ristorativa. «Io – dice Giancarlo, uno dei tre fondatori – ho tentato più volte di capire come praticare questa attività, ho cercato di informarmi, ma ovviamente le istituzioni non mi sanno dare delle risposte perché in effetti delle risposte non ci sono». L’home restaurant è una pratica che per la legislazione italiana non esiste, nonostante ormai da tempo si sia diffusa e stia diventando sempre più popolare. «Sono molti quelli che mi contattano chiedendo come si fa – racconta ancora Giancarlo – questo vuol dire che c’è interesse a riguardo».
Per i tre ragazzi di Chiuduno questa è una grande passione che non fa pensare ad alcuna intenzione di fare business eludendo la normativa. Infatti organizzano, quando riescono, al massimo una cena al mese e tutto è pubblicizzato sul loro sito web e sulla loro pagina Facebook. Giancarlo, Barbara e Daniele hanno altre occupazioni: commerciante il primo, educatrice all’asilo nido la seconda e operaio il terzo. «Ci conosciamo da alcuni anni – racconta Barbara – e abbiamo sempre fatto delle cene con gli amici, siamo un numeroso gruppo. Come in tutti i gruppi, noi tre eravamo quelli appassionati di cibo e cucina e…è andata a finire che cucinavamo sempre noi». Ma anche la location non è banale, «io abito qui e questo spazio l’ho sempre messo a disposizione dei miei amici – spiega ancora Giancarlo -. I cuochi c’erano, lo spazio anche, ecco che amici, amici di amici, hanno iniziato a chiederci di organizzare delle cene, proponendocele anche loro stessi: dal compleanno da festeggiare tra amici a quello con i parenti, alle cene a tema per passare una serata in compagnia, etc. e il gioco è fatto. Barbara aveva sentito parlare di questa nuova cosa, gli home restaurant e quindi perché non provarci? Noi organizziamo anche una festa in paese e ci piace, appunto, darci da fare: goliardicamente abbiamo iniziato a pensare ad alcune proposte e siamo entrati a far parte di alcune piattaforme di social eating».
Da qui la ricerca delle materie prime a km zero, quasi tutti gli ingredienti (nei limiti del possibile) utilizzati sono prodotti a Chiuduno e dintorni. «Il tutto è più uno sfizio nostro – racconta ancora Barbara –, gli amici ci facevano i complimenti e, attraverso la condivisione con estranei, ci siamo messi alla prova. Ovviamente i menù e le cene rispecchiano molto i nostri gusti: cuciniamo quello che ci piace, dal filetto di maiale in crosta di pancetta con i profumi, alle pere caramellate al miele, fino alle tagliatelle al cacao fatte in casa». «È una vera esperienza sociale – conclude Giancarlo –, per noi divertimento e condivisione. Non è un ristorante e non deve esserlo. A noi piacerebbe che questa pratica venisse considerata, riconosciuta e di conseguenza normata e tutelata». Dalla sua definizione e regolamentazione probabilmente inizia la tutela stessa anche di questa pratica che, non avendo definizione, potrebbe essere facilmente attaccata nonché snaturata per fini diversi da quelli per cui è nata.
La Fipe: «Attività fuori da ogni controllo, un’escalation da contrastare»
Chi non vede di buon occhio gli home restaurant sono i ristoratori e le associazioni di categoria che, per tutelare le attività, chiedono a gran voce che si legiferi in merito. La Fipe, Federazione Italiana Pubblici Esercizi, lo scorso 19 gennaio ha presentato in Parlamento un’audizione chiedendo così la regolamentazione degli home restaurant. L’associazione denuncia «l’enorme diffusione, anche attraverso canali on line e social network» di queste attività e il rischio di costruire un canale alternativo a quello della ristorazione, ma completamente fuori controllo. L’allarme è per la possibilità che l’abusivismo finisca col prevalere sull’attività occasionale e saltuaria, generando così dei meccanismi di concorrenza sleale. «Infatti, si è notato – riferisce l’associazione – che mentre nel passato esistevano pochi operatori che effettuavano tale attività nell’ambito della cerchia delle proprie conoscenze, ora l’abusivismo si è “ingegnerizzato” con la nascita di associazioni o enti similari che raggruppano tali operatori».
Non solo, l’attività di somministrazione delle bevande è soggetta a numerosi e complessi adempimenti, a tutela della salute pubblica, ma anche ad esempio per il controllo rispetto alla somministrazione di bevande alcoliche. Per questo motivo, ad ora, la Fipe chiede che le autorità contrastino gli home restaurant, dal momento che in molti casi sono diventate delle vere e proprie attività, completamente fuori controllo. In realtà, il Ministero dello Sviluppo Economico ha fornito una parziale risposta all’assenza di regolamenti, con la risoluzione n. 50481 del 2015, affermando che la disciplina commerciale applicabile agli home restaurant è quelle relativa alle attività di somministrazione di alimenti e bevande al pubblico sia per quanto riguarda il possesso dei requisiti necessari (morali e professionali) sia per l’obbligo di presentazione di una Scia per l’inizio dell’attività, ma nulla di più.
Senza dimenticare la tutela dei consumatori…
Per concludere, entrambe le parti ritengono fondamentale un regolamento. È necessario al fine di tutelare innanzitutto il consumatore per quanto riguarda la sicurezza alimentare, dal momento che le tossinfezioni alimentari sono di natura prevalentemente domestica. Inoltre risulta necessario al fine di tutelare le attività ristorative, sottoposte a rigidi controlli e norme severe, onere che ha un peso economico e non solo. Infine, una precisa regolamentazione risulta necessaria al fine di tutelare anche chi si dedica con passione e dedizione a questa attività occasionale, avendo come fine ultimo il creare una vera esperienza sociale e conviviale, in cerchie più o meno ristrette, con una vera condivisione di esperienze, tempo e spese, senza che diventi un business, rimanendo così un’attività profondamente diversa da quella ristorativa. Probabilmente qualsiasi divieto potrebbe stimolare la diffusione segreta degli home restaurant, completamente fuori controllo, con la minaccia di seri rischi in materia di sicurezza alimentare pubblica, nonché di concorrenza sleale a chi, giorno dopo giorno, si adopera per il rispetto delle normative in materia fiscale e di sicurezza alimentare.