“Basta! Meglio metterli in busta paga”, sostengono ipermercati e supermercati. “Con queste commissioni non si può continuare”, rivendicano gli esercenti. “Questa carne è di scarsa qualità”, sussurrano gli avventori/colletti bianchi che sciamano in bar e trattorie nella mezz’ora di pausa pranzo. “Fortunati quelli che hanno la mensa aziendale”, confidano molti mal celando l’invidia nei confronti dell’amico che gli racconta cibi luculliani.
Benvenuti nella guerra dei buoni pasto prima silenziosa, ora deflagrata a colpi di comunicati, ricorsi al Tar, pagamenti a 120 giorni, società dai bilanci poco chiari. Subito chi è finito sul banco degli accusati: lo Stato-formica. Variante inattesa del gemello cicala, che dispensa consulenze, prebende, emolumenti.
Stavolta lo Stato vuole risparmiare e – per interposta Consip (la centrale acquisti della pubblica amministrazione) – potrebbe accettare uno sconto del 20% su un bando da un miliardo di euro scegliendo l’offerta economicamente più vantaggiosa (con il criterio dei servizi accessori) che suscita più di qualche mal di pancia. Calcolatrice alla mano: 200 milioni.
Il bando è la gara 7 (in corso) per la fornitura dei buoni pasto agli oltre 2 milioni di dipendenti di ministeri, ospedali, enti pubblici, locali. L’esito del bando (diviso in più lotti a copertura delle varie regioni) determinerà i nuovi rapporti di forza in un settore che vale 2,7 miliardi di euro, interessa 80mila aziende e 150mila esercizi convenzionati, impiega oltre 190mila persone.
D’altronde non c’è bisogno di un contabile per capire che chi si aggiudicherà l’appalto avrà per le mani quasi il 50% del mercato, un peso negoziale enorme nei confronti di bar e trattorie a valle della filiera. Proponendosi a Consip con uno sconto di quella entità – denuncia la Fipe, la federazione degli esercenti – il rischio è l’imposizione da parte della società aggiudicatrice (ed emittitrice dei buoni) di commissioni salatissime nei confronti degli esercizi che a loro volta potrebbero rivalersi sulla clientela offrendo un cibo di scarsa/scarsissima qualità per non chiudere.
Ecco perché i più lesti a fiutare il pericolo sono state le associazioni dei consumatori, preoccupati che a rimetterci sia proprio l’utente finale, mentre colpisce il silenzio dei sindacati su questa parte accessoria della retribuzione. Il valore facciale del buono cartaceo è 5,90 euro, soglia esentasse ferma da più di 15 anni nonostante la crescita dell’inflazione.
Il legislatore recentemente avrebbe anche fatto un passo in avanti consapevole che il servizio-mensa (sotto forma di voucher) è l’asse portante di qualunque welfare aziendale ed è capace anche di generare un importante gettito erariale. Nella legge di Stabilità ha alzato la soglia de-fiscalizzata a 7 euro a partire dal 1° luglio 2015 soltanto per i buoni pasto elettronici in grado di tracciare meglio i pagamenti.
Bene, potremmo dire. Se non che le card rappresentano finora una quota di mercato residuale, circa il 15%, anche se il dato crescerà velocemente in virtù dell’incentivo. A condizione che i principali operatori del mercato, da Edenred a Sodexo a Qui Group, trovino un accordo per realizzare un lettore di pagamento unico sotto il quale passare il codice a barre del ticket.
di Fabio Savelli
(Dal Corriere della Sera del primo marzo 2015)