Quello che stiamo registrando nel lavoro sono le prime avvisaglie delle nuvoloni neri che da tempo si addensavano all’orizzonte. Il presidente di Confcommercio Imprese per l’Italia, Carluccio Sangalli, ha definito l’effetto economico della pandemia come “la tempesta perfetta”. Il nostro osservatorio sulle imprese del terziario realizzato ad aprile con Format Research metta a rischio la sopravvivenza tra le 8.000 e le 15.000 imprese del terziario orobico.
Il lavoro che non c’è è il “palo misuratore” dello sprofondo dell’economia. L’acqua è già molto alta. La pubblicazione del “primo impatto del Covid-19 sul lavoro dipendente in provincia di Bergamo” evidenzia che nel mese di aprile, quello focale per il lockdown si è raggiunto il valore più basso mai registrato del saldo tra assunti e cessati. In due mesi, marzo e aprile, si sono persi nella nostra provincia oltre 6.500 posti di lavoro, quasi tutti riferibili al crollo di tirocini e apprendistati e al termine dei contratti a tempo determinato.
Sta quindi terminando drasticamente un ciclo virtuoso che, iniziato nella seconda metà del 2015, aveva portato il numero degli occupati della Bergamasca ai livelli pre-crisi del 2009, con punte di crescita molto sostenute nel 2017 e nel 2018.
Quanto sta avvenendo è infatti l’arrivo dello tsunami. Il Decreto Rilancio ha esteso il divieto dei licenziamenti collettivi e per giustificato motivo oggettivo per un totale di 5 mesi, prorogando quindi al 17 agosto la scadenza inizialmente prevista dal Dl “Cura Italia” al 17 maggio. Dopo l’estate o al più tardi quando termineranno i fondi per gli ammortizzatori sociali arriverà l’ora della verità. Le previsioni sono nere: il nostro Osservatorio stima la perdita di 49.000 posti di lavoro nel terziario.
Dobbiamo interrogarci se siamo pronti a gestire anche questa emergenza.
Partiamo dagli errori che abbiamo fatto. Eravamo impreparati al lockdown. L’urto della pandemia ha evidenziato a pieno le deficienze strutturali del sistema. Gli ammortizzatori sociali in campo in questi mesi Fis, Cid, Cio non hanno funzionato e la burocrazia ha prodotto costi per le aziende, un lavoro immane per i professionisti e ritardi odiosi nel pagamento dei lavoratori.
Siamo scivolati su quello che doveva essere un semplice atto amministrativo di liquidazione di un assegno ai dipendenti. Senza contare che gli ammortizzatori così come sono concepiti e che abbiamo ereditato dalla crisi partita nel 2009 sono più adatti a un fermo della produzione che a una gestione flessibile della ripartenza da lockdown. Non c’è flessibilità di utilizzo sul personale e questo mette in grave difficoltà, bar ristoranti e negozi. Chiediamo a gran voce una revisione della cassa integrazione, magari con un unico accordo nazionale e un unisco strumento che la renda più moderna. Se la cassa è un sostegno al reddito del lavoratore, allora deve essere (quasi) immediata e non quando il lavoratore è allo stremo; mentre se deve salvare posti di lavoro deve offrire risposte certe di flessibilità agli imprenditori. Infine, deve essere semplice da gestire evitando crisi di nervi tra i professionisti e le associazioni.
Ora la piena prosegue. La partita si sposterà tra qualche mese sulle politiche attive del lavoro che hanno già malfunzionato in periodi di bassa disoccupazione. Tra qualche mese gli enti pubblici e i centri privati si troveranno sott’acqua. Io non credo infatti che i successi occupazionali di questi anni siano il frutto dell’efficienza dei servizi per l’impiego, soprattutto di quelli erogati dai Centri per l’impiego.
Anche qui dobbiamo capire se gli strumenti vecchi saranno adeguati all’emergenza Covid. Non penso.
Per le imprese dovremo lavorare sulla crescita delle competenze, l’innovazione per generare nuovi business a sostegno dei rami d’azienda tradizionali delle Pmi. Questo sarà compito delle associazioni datoriali e del sistema delle Camere di Commercio. Interroghiamoci però già da ora, prima che l’onda arrivi e le tensioni sociali crescano, se il sistema sarà in grado di dare risposte soddisfacenti con formazione, riconversione e collocamento alle tante persone che saranno in seria difficoltà. Forse potremmo fare un po’ meglio.