Degli esami di Stato e della suprema vergogna. Non voglio parlare di Resistenza: di immarcescibile, iperinvasiva, asfissiante mitologia di questa benedetta Resistenza: lo so che nella scuola cercano di farne sopravvivere il culto idolatra, con tutti i trucchetti possibili ed immaginabili, dai finti temi su Calvino agli interventi obbligatori di bassaridi (che immagino ormai decrepite) della gloriosa epopea. Non voglio parlarne: sono stufo di vivere in un Paese che non si libera dai propri odi, in una città in cui ancora si concede la ribalta a pagliacci travestiti da studiosi, che sbraitano e ragliano contro tutto e contro tutti, perché non possono prendersela con il trascorrere del tempo, che, inesorabile, li condanna. Che gli esami di Stato siano, in realtà, gli esami di uno Stato, inflitti ai giovanissimi cittadini di uno Stato diverso, è di pubblico dominio da decenni: ma non di questo voglio dire. Non è questa la vergogna finale: si tratta di una vergogna perfino più miseranda, fatta di pressapochismo, di ignoranza, dell’arroganza di chi crede di potersi permettere di trascurare perfino la nozione più basica, in virtù della propria immagine di boiardo ministeriale.
Oggi, i boiardi hanno varcato il segno e superato il punto di non ritorno: di questa congerie di incapaci io voglio i nomi, voglio sapere chi ringraziare. E dovreste volerlo anche voi, padri, madri, fratelli degli esaminandi: voi che, con le vostre tasse, pagate le prebende di ogni disutile che affligga la nostra pubblica istruzione. Domenica sera, al telegiornale ho dovuto assistere all’autocelebrazione di un esperto del MIUR incravattato a festa, che faceva la ruota come un pavone: centinaia di addetti – si vantava – decine di superesperti, sei mesi di lavoro, una selezione finale accuratissima per i titoli dei temi. E il risultato è questa imbarazzante porcheria? Ma chi sono questi esperti: dove li hanno pescati, quanto li hanno pagati? Per raccogliere delle prove come quelle proposte quest’anno ai candidati bastavano quattro maestrine di terza elementare: l’adolescenza, la Resistenza, i ponti anziché i muri, i social network che fanno bene, male e anche così e così.
Ma per mettere insieme degli strafalcioni come quelli radunati nelle sei paginette delle consegne d’esame, non sarebbe bastato un asinificio al completo: non sarebbe stato sufficiente prendere dei ripetenti di terza media e far scrivere loro i temi. Ci volevano dozzine di superincapaci per estrudere perle di tale grandezza.
“La lettrice in bianco e giallo” di Matisse che diventa “La lettrice in viola”, con buona pace dei daltonici: il 1919 che diventa il 1898, con buona pace degli storici dell’arte. E la minaccia dell’integralismo che diventa una minaccia all’integralismo: immagino i poveri studenti, preoccupatissimi per i loro amici integralisti, così rudemente minacciati! Chissà che salti mortali retorici avranno dovuto affrontare, per abbracciare la delirante teoria di un integralismo minacciato da noi, anziché viceversa: non avranno osato immaginare che tutte le loro difficoltà potessero discendere da un cretino che ha sbagliato una preposizione. Da un superesperto talmente sicuro di sé da evitare perfino la più banale delle operazioni: la rilettura di quello che ha scritto. E, infine, perla assoluta, il Colbricon, notissimo sito della prima guerra mondiale, vicino a Passo Rolle, diventato, nelle menti bacate dei boiardi, che, evidentemente, la storia l’hanno studiata su Topolino, il “Col Briccon”. La collina dei bricconcelli! Immagino che lo zio Agostino, che sul Colbricon si beccò una medaglia d’argento, lasciandoci le penne, abbia gradito il lavoro di questa formidabile équipe di analfabeti professionali: questa è l’Italia per cui si è fatto accoppare. Tanto valeva restare a casa a giocare a pepatencia! Insomma, questi esperti presuntuosi, designati non si sa da chi, ma pagati, per certo, con i nostri soldi, sono riusciti ad infilare una serie di topiche da fare impallidire Pierino, Richetto e Franti messi assieme. E, poi, pretenderemmo precisione, attenzione, serietà, dagli studenti, quando al vertice di questo cumulo di macerie che ci ostiniamo a chiamare scuola (e qualcuno, anzi, “buonascuola”) ci sono personaggi del genere? Exempla trahunt, scrivevano i nostri antenati, ed è verissimo. Solo che gli esperti ministeriali, probabilmente, pensano che sia una frase in inglese e che voglia dire “divieto di transito”.