In 52 gelaterie si gusta il “Mielgòt”

foto Marco Presti 2012

 

Torna la campagna Gelateria di Fiducia del Comitato gelatieri dell’Ascom di Bergamo, l’iniziativa nata 25 anni fa per valorizzare e promuovere il consumo di gelato artigianale, puntando sulla tradizione e sui prodotti della terra bergamasca. Sono 52 le gelaterie bergamasche che aderiscono. Il tema di questa edizione è “È ora di Mielgòt. Il gusto di Bergamo per Expo 2015”.

Dice Massimo Bosio, presidente del Comitato Gelatieri: «È un’iniziativa che ormai proponiamo da tempo e si pone come scopo quello di promuovere il gelato artigianale, riconosciuto a tutti gli effetti come un alimento nella dieta di tutte le età.  In quanto tale, necessita di adeguate e nuove iniziative di informazione rivolte ai consumatori. Noi ci impegneremo a far conoscere non solo gli ingredienti impiegati ma anche i contenuti nutrizionali, l’apporto di calorie, vitamine, proteine, minerali. È infatti molto importante sviluppare ulteriori potenzialità di crescita di questo prodotto e far sì che il gelato entri a far parte dell’alimentazione di tutti i giorni».

La campagna punta sul coinvolgimento di altre realtà del territorio bergamasco. «Il gelato simbolo della campagna 2015 è il Mielgòt- spiega Bosio -, il  gusto ideato lo scorso anno dai nostri gelatieri grazie alla sinergia tra quattro importanti realtà del settore agroalimentare in grado di raccontare e rappresentare il territorio orobico: Comitato Gelatieri, Consorzio Artigiani Pasticcieri bergamaschi, Associazione produttori Apistici della Provincia di Bergamo e Comunità del Mais Spinato di Gandino».

Già il nome, tipicamente bergamasco, evoca gli ingredienti che lo caratterizzano: miele e Mais Spinato di Gandino. «Ma richiama anche alla memoria – evidenzia – la storia e la tradizione della vita contadina del territorio, legata indissolubilmente a quanto la terra produce e che in questi ultimi anni si sta tornando a valorizzare, grazie alle sollecitazioni nate dal tema dell’Esposizione Universale. Un gusto nuovo, dal sapore antico, che ha visto impegnate realtà diverse: gli apicoltori nel fornire il miele ideale, i pasticceri nel creare un biscotto usando come ingrediente principale il Mais Spinato, la Comunità del Mais Spinato di Gandino nel mettere a disposizione il prodotto e la competenza in materia e i gelatieri nell’amalgamare sapientemente le materie prime e proporre una novità in grado di raccontare un territorio attraverso un senso: quello del gusto».

Gli ingredienti del gelato sono: gelato latte e miele con biscotti di mais spinato, secondo una ricetta elaborata dal Consorzio Artigiani Pasticcieri bergamaschi. Il gusto Mielgot è presente nel bancone delle gelaterie aderenti alla Campagna ed è il gusto protagonista dell’iniziativa “La merenda non si paga”, nata 10 anni fa nell’ambito della Campagna Gelaterie di Fiducia e rivolta ai più piccoli. Da lunedì 18 a venerdì 22 maggio nelle 52 gelaterie aderenti verrà offerto un cono di gelato gratis ai bambini che presenteranno uno degli oltre 20mila buoni distribuiti in questi giorni dagli stessi gelatieri nelle scuole primarie dei 42 comuni in cui sono presenti: Bergamo, Albano S. Alessandro; Almenno San Bartolomeo, Almenno San Salvatore, Antegante, Arcene, Azzano San Paolo, Capriate San Gervasio, Casirate d’Adda, Chiuduno, Clusone, Cologno al Serio, Costa di Mezzate, Credaro, Curno, Fara Gera d’Adda, Gorlago, Grumello del Monte, Lovere, Lurano, Madone, Olmo al Brembo, Oltre il Colle, Osio Sotto, Ponte Nossa, Ponteranica, Roncola San Bernardo, San Paolo d’ Argon, San Pellegrino Terme, Selvino, Seriate, Sovere, Stezzano, Torre Boldone, Trescore Balneario, Treviglio, Treviolo, Vertova, Villongo, Zanica e Zogno. E fuori provincia: Darfo Boario Terme.

Oltre a “La merenda non si paga” all’interno della Campagna, il comitato propone il 2 ottobre un secondo evento dedicato ai nonni, in cui ogni singolo gelatiere coinvolge una struttura di accoglienza per anziani fornendo gratuitamente una quantità di gelato da distribuire agli ospiti.

Le gelaterie aderenti

In città

Gelateria Cherubino (via Colleoni 40/b); Gelateria Golosia (via Broseta 57/b); Pasticceria San Francesco (via IV Novembre 2); Gelateria Safarà Soft (via Gombito 34/c); Gelaterie Lekka Lekka (via San Bernardino 67).

In provincia di Bergamo

Gelateria Il Dolce Freddo (Albano S. Alessandro); Gelateria Fiordipanna (Almenno S. Bartolomeo); Gelateria Petite Fleur (Almenno S. Salvatore); Gelateria Il Vero Gusto (Antegnate); Gelateria Rosa (Arcene); Gelateria Bogni (Arcene); Gelateria Artigel (Azzano San Paolo); Gelateria La Gabbia (Capriate San Gervasio); Gelateria Bar Alpino (Casirate d’Adda); Gelateria Il Gelato da Gio’ (Chiuduno); Caffé del Cioccolato Il Gelato di Ubaldo dal 1934 (Chiuduno); Gelateria Selz Café (Clusone); Gelateria da Claudio (Clusone); Gelateria Brina (Cologno al Serio); Gelateria Pezzotta (Costa di Mezzate); Gelateria Biffi (Credaro); Gelateria Blitz (Curno); Gelateria Oasi (Fara Gera d’Adda); Gelateria Valcalepio (Gorlago); Gelateria N-Ice (Grumello del Monte); Gelateria Bar Centrale (Lovere); Gelateria Pirata (Lurano); Pasticceria Melograno (Madone); Gelateria Arizzi (Olmo al Brembo); Gelateria La Fonte (Oltre il Colle); Gelateria Bar Commercio (Osio Sotto); Gelateria Bonazzi (Ponte Nossa); Gelateria Taverna del Caio (Ponteranica); Gelateria Mento (Roncola); Gelateria Arlecchina (San Paolo d’Argon); Pasticceria Giuliano (San Pellegrino Terme); La Gelateria (San Pellegrino Terme); Gelateria Mary’s (Selvino); Gelateria Sweet Cream (Seriate); Gelateria Bar Roma (Sovere); Centopercento Gusto (Stezzano); Gelateria Rubis (Torre Boldone); Gelateria Bollicine (Trescore Balneario); Gelateria Essenza (Trescore Balneario); Centopercentogusto (Treviglio); Gelateria Gelatiamo (Treviolo); Gelateria La Cream (Vertova); Gelateria L’Oasi (Villongo); Gelateria Il Gioppino (Zanica); Gelateria La Voglia Matta (Zanica); Gelateria Fiori d’Arancio (Zogno).

Fuori provincia

Gelateria Gelatissimo (Darfo Boario Terme-Bs)


Astino, al via il 21 maggio la mostra su Veronelli

Si apre giovedì 21 maggio la mostra Luigi Veronelli – camminare la terra, prodotta dalla Triennale di Milano e dal Comitato decennale Luigi Veronelli, uno degli appuntamenti in chiave Expo legati al recupero della Valle d’Astino e del complesso dell’ex monastero (la cui inaugurazione ufficiale è fissata per sabato 16 maggio).

Dopo il debutto alla Triennale, la mostra approda in terra bergamasca e rimarrà allestita fino al 31 ottobre nelle sale del refettorio e del vestibolo.

La figura del grande giornalista enogastronomico, tra i primi a portare avanti battaglie per la qualità e la trasparenza del cibo e per la buona agricoltura, ben si presta alla riflessione sui temi dell’Expo. «Camminare la terra – spiega Gian Arturo Rota, presidente del Comitato per il Decennale e tra i curatori della mostra – è pensata per essere fruibile da un pubblico eterogeneo, non necessariamente di appassionati ed esperti. Presenta un Veronelli inedito, non solo esperto di cibi e vini, ma un intellettuale a tutto tondo, editore, filosofo, scrittore, che si è occupato anche di forme nel campo del vino, di società e di sport. Proprio questa varietà di interessi è ciò che ha colpito maggiormente i visitatori della tappa milanese della mostra». Veronelli viene raccontato da libri, articoli, documenti, dai video con estratti delle sue trasmissioni tv, “A tavola alle 7” e “Viaggio sentimentale nell’Italia dei vini”, e dall’esatta riproduzione della sua cantina di via Sudorno, organizzata con moduli cubici di cemento grezzo. Cantina che potrebbe essere collocata definitivamente ad Astino.

La mostra, ad ingresso libero, è aperta dal martedì alla domenica dalle 10 alle 20 (chiuso il lunedì) e sarà accompagnata da eventi collaterali come incontri conviviali, corsi, degustazioni, presso il ristorante Le Cantine di Astino, il chiostro e le cantine medievali.

Info


Formaggio Silter, in arrivo la Dop definitiva

Il Formaggio Silter camuno sta tagliando il traguardo della Dop, riconosciuta definitivamente anche dall’Unione Europea. A Natale 2013 si erano svolte le audizioni pubbliche dalle quali era emerso con chiarezza il percorso: il Ministero per le politiche agricole aveva dato il parere positivo, quindi era stata la volta dell’Unione Europea che dalla primavera 2014 aveva dato l’autorizzazione provvisoria alla Dop comunitaria ed ora a giorni è attesa quella definitiva, dopo di che anche il Silter entrerà nel novero dei formaggi tutelati.

Il formaggio Silter è prodotto durante tutto l’arco dell’anno con latte crudo di vacche di razza Bruna, allevate nei territori della Valle Camonica e del Sebino Bresciano. La tracciabilità è perfetta anche grazie al simbolo che il Consorzio del Silter imprime sullo scalzo delle forme.


Brebemi e l’intruglio mediatico targato Raspelli

Raspelli sulla BrebemiDopo l’inno di Elio e le storie tese alla Brebemi “bellissima perché vuota”, la direttissima Brescia-Bergamo-Milano si è meritata l’attenzione del giornalista enogastronomico Edoardo Raspelli che, annunciando l’apertura delle due aree di sosta Adda nord e Adda sud all’altezza di Caravaggio, ha comunicato la sua volontà di mettersi in prima persona ai fornelli di quella che sarà l’area ristoro (al momento ci sono solo piazzole di posteggio con servizi igienici e distributori automatici in strutture prefabbricate inaugurate lo scorso 10 aprile).

Il “cronista della gastronomia” si è diffuso in particolari succulenti, tali da invogliare ad imboccare l’autostrada anche solo per poter godere di una tale proposta. Raspelli dice infatti che sarà affiancato da «un cuoco del territorio: Graziano Bianchi, che con l’aiuto della famiglia manda avanti quel gioiellino affascinante di campagna che è Le Giare, a Monticelli d’Ongina, tra Piacenza e Cremona». «Il duo ricalcherà sulla Bre. Be. Mi. – dettaglia il giornalista – il menù del localuccio piacentino: piatti del territorio come pisarei e fasoi (gnocchetti con i fagioli) e cotechino, ma anche la cucina del mare, soprattutto quella del Sud. In autostrada si troveranno, quindi, grandi alzate di crostacei e conchigliacei crudi, tagliolini e spaghetti con filetti di sogliola, scampo, branzino e gambero, zuppe di pesce insaporite di aglio (non dimentichiamo che la zona tra Castelvetro Piacentino e Monticelli d’Ongina è una delle patrie italiane di aglio e scalogno!), fritti misti, spigola all’acqua pazza, catalana, orata al forno…».

Sorpreso da un tale annuncio, il ristoratore ha confessato di non sapere nulla dell’iniziativa ed ha ipotizzato un pesce d’aprile da parte dell’amico Raspelli. «Raspelli è un amico, questo sì – ci ha spiegato Bianchi -, ma non ci siamo mai confrontati in alcuna occasione su un’idea simile, anche perché siamo piacentini, un po’ fuori zona… . L’unica ipotesi è che si tratti di uno scherzo ed è questo ciò che abbiamo detto anche al presidente della Brebemi Francesco Bettoni che ci telefonato incuriosito per la notizia». Ad avvalorare la supposizione l’abbondanza di portate di pesce nel goloso comunicato e, naturalmente, la data di diffusione: lunedì 30 marzo con l’embargo della notizia fino al mercoledì, appunto il primo aprile, che non viene citato per non destare sospetti.

Il mistero non si svela del tutto nemmeno interpellando il diretto interessato. «Ho dato in esclusiva ed anteprima la notizia dell’apertura delle due Aree di Posteggio a Caravaggio (Adda Nord ed Adda Sud) – risponde Raspelli -: l’apertura del “mio” ristorante a base di… sogliole e … branzini… era ed è una mia aspirazione. In bocca alle balene».

Nel comunicato “incriminato”, il critico precisava anche perché, a suo parere, la direttissima A35 è particolarmente comoda e sicura, regalava un elenco ristoranti di preferiti ora per lui più facilmente raggiungibili grazie al nuovo collegamento (per la Bergamasca, San Martino di Treviglio, Caffè Rubini di Romano di Lombardia, Tre Lanterne di Martinengo, Saraceno e Giacomo di Cavernago) e annunciava – ci risiamo? – che nelle due aree di Caravaggio, Adda Nord ed Adda Sud, «sarà in parte ambientato il film che vedrà tra i protagonisti Edoardo Raspelli».

Insomma, più che un pesce d’aprile un intruglio mediatico.

 


Lombardia, un’app fa da guida sulle 12 Strade del Vino

applombardia2.037 chilometri di percorrenza segnalati da cartellonistica stradale, 821 associati, tra cui 200 viticoltori, 150 produttori, 42 vini lombardi Docg, Doc e Igt, 100 agriturismi, oltre a ristoranti, trattorie, ospitalità alberghiera ed extralberghiera, 124 isole di sosta dagli associati, con 300 biciclette a disposizione, 42 infopoint, 56 totem touch consultabili dal pubblico. Sono i numeri delle 12 Strade del Vino e dei Sapori di Lombardia, ciascuna delle quali può contare ora su una App dedicata (scaricabile da Apple App Store o Android Google Play Store, cercando Jeco Guides) e quindi su una guida interattiva a portata di smartphone.

Il viaggiatore che intraprende le Strade del Vino e dei Sapori di Lombardia potrà muoversi con facilità tra cantine, aziende agricole, agriturismo, enoteche, osterie e strutture ricettive che tengono alti i requisiti dei prodotti tipici regionali, lungo itinerari che uniscono al buon bere e al buon mangiare risorse paesaggistiche, siti d’arte, monumenti, palazzi, chiese e musei di cultura popolare.

Ogni app è composta da sezioni che riguardano la descrizione della Strada, i piatti e prodotti tipici, le ricette, gli itinerari e i vini, oltre ad alcune informazioni relative alla Federazione delle Strade dei Vini e dei Sapori e all’agricoltura lombarda. Ogni Strada è navigabile da mappa, con simboli intuitivi, e ogni app è in “realtà aumentata” per smartphone e tablet.

La Lombardia è stata una delle prime regioni italiane che ha sviluppato concretamente l’idea di Strade del Vino promuovendo la realizzazione del sistema Strade del Vino e dei Sapori di Lombardia.

Queste le strade che fanno parte della Federazione e che ora hanno l’app dedicata

  1. Strada del Vino e dei Sapori della Valtellina
  2. Strada dei Sapori delle Valli Varesine
  3. Strada del Vino e dei Sapori della Valcalepio
  4. Strada del Vino Franciacorta
  5. Strada del Vino Colli dei Longobardi
  6. Strada del Vini e dei Sapori del Garda
  7. Strada dei Vini e dei Sapori Mantovani
  8. Strada del Riso e dei Risotti Mantovani
  9. Strada del Tartufo Mantovano
  10. Strada del Gusto Cremonese nella Terra di Stradivari
  11. Strada del Vino San Colombano e dei Sapori Lodigiani
  12. Strada del Vino e dei Sapori dell’Oltrepò Pavese

In Valcalepio

La Strada del Vino e dei Sapori della Valcalepio si snoda su tre percorsi. Il primo, denominato I Conventi, parte dall’uscita autostradale di Capriate S. Gervasio e termina a Bergamo;  lungo il suo tragitto è possibile ammirare l’Abbazia di San Egidio a Sotto il Monte Giovanni XXIII, l’Abbazia di Pontida e la splendida chiesa di San Tomè ad Almenno San Salvatore. Il secondo percorso, Il Cuore della Valcalepio, inizia da Bergamo per terminare a Grumello del Monte. Al suo interno è possibile ammirare, oltre alla città di Bergamo, l’Abbazia di San Paolo D’Argon, la Cappella di Santa Barbara, affrescata da Lorenzo Lotto, all’interno di Villa Suardi a Trescore Balnario e gli innumerevoli Castelli appartenuti alla famiglia del condottiero Bartolomeo Colleoni. Il terzo percorso denominato Il Lago, si snoda dall’uscita autostradale di Grumello del Monte per ritornarvi dopo aver toccato il Lago d’Iseo a Sarnico e aver incontrato il quattrocentesco Castel Dei Conti a Castelli Calepio.


Espresso, gli errori più frequenti dei baristi

Bere un buon caffè, come segnalato da diversi lettori di Affari di Gola, ha ormai quasi il sapore dell’impresa. Dietro al servizio della tazzina italiana dal gusto e dall’aroma che non trova ancora eguali al mondo, c’è un lungo lavoro di filiera che parte dalle piantagioni e, passando dalla tostatura e torrefazione, arriva in chicchi selezionati sul mercato e poi nei locali. Ma qualcosa in uno di questi passaggi, dalla torrefazione al servizio nei pubblici esercizi, deve pur andare storto se l’espresso non è spesso all’altezza delle aspettative.

Luigi OdelloLuigi Odello, docente di Analisi Sensoriale presso università italiane e straniere, presidente dell’Istituto Internazionale Assaggiatori Caffè (oltre che  segretario generale dell’Istituto Nazionale Espresso Italiano e dell’International Academy of Sensory Analysis) ci aiuta a mettere in luce difetti ed errori nella filiera del caffè.

Professore, il problema della qualità del caffè sta alla radice, nelle piantagioni?

«L’Arabica vuole il freddo (anche se non troppo) e il cambiamento climatico vorrebbe che la coltivazione salisse di quota, ma questo non è possibile. Così, per evitare l’azione nefasta dei patogeni che distruggono le piantagioni si fa ricorso a ibridi resistenti. In effetti, in tempi non lunghi potremmo trovarci ad avere caffè molto diversi dagli attuali con cambio di personalità sensoriale delle miscele alle quali siamo abituati. Non solo, ma nuovi ibridi brasiliani, in questo caso di Robusta, potrebbero essere coltivati in Amazzonia. Il caffè troverebbe quindi nuovi territori di enorme estensione nel paese più progredito in fatto di meccanizzazione. Oltretutto il caffè cresce all’ombra di altre piante e questo consentirebbe di evitare disboscamenti. Se questo è ottimo per il pianeta lo potrebbe essere un po’ meno per la qualità dell’Espresso Italiano, la preparazione che più di ogni altra al mondo necessita di una materia prima eccellente».

Quanto incide la torrefazione sul gusto? Quanto la mano del barista?

«La qualità sensoriale è determinata dal valore di tutti gli step di filiera ed è sufficiente che uno di essi sia pari a zero perché il risultato finale sia nullo. La torrefazione ha indubbiamente il suo peso. Oggi ci troviamo di fronte a tendenze estreme che tendono, per motivi diversi, a tostare velocemente. È come cogliere un frutto acerbo: se non abbiamo la fornitura della giusta quantità di energia in un determinato tempo otteniamo miscele che originano espresso deformi in cui gli aromi non sono sviluppati e l’acidità è elevata. Caffè che possono avere un senso per filtro e altre preparazioni, ma non per la tazzina nazionale. Ovviamente il barista deve fare la sua parte: più una miscela è elegante, complessa ed evoluta e più difficile è il suo trattamento in macchina».

Come si riconosce un buon caffè?

«Non serve essere esperti per riconoscere odori di muffa, medicinale, bruciato, fumo, e simili…  La qualità inizia dall’assenza dei difetti. Quando vi servono una tazzina di caffè non lasciatevi ingannare dalla vista: avvicinate la tazzina al naso e abbandonatevi alle sensazioni che vi procura. Cogliete sentori di fiori, frutta fresca, frutta secca ed essiccata, cacao e vaniglia, pepe e qualche altra spezia, o almeno alcune di queste? Al gusto è equilibrato (non molto acido e non molto amaro), sciropposo e setoso, senza un briciolo di astringenza? Perfetto, ora affondate la vostra mente nel piacere e aprite pure gli occhi. La crema è color nocciola con riflessi fulvi di trama finissima? Ci avrei scommesso».

Quali sono le regole per prepararlo al meglio?

«Per l’Espresso Italiano il barista è guidato da una formula inderogabile: 25 millilitri in 25 secondi usando 7 grammi di caffè per tazza. Quando la soddisfa ha buone possibilità di dare al cliente il caffè che desidera, sempre che abbia operato con attrezzature pulite e abbia scelto una buona miscela. Questa regola sembra una sciocchezza, ma se metteste alla prova il vostro barista come facciamo alla competizione “Espresso Italiano Champion” con un macinadosatore starato (che quindi fa granellini troppo piccoli o troppo grandi) vi rendereste conto che non è poi così facile. L’Espresso Italiano necessita sempre di un professionista per la sua preparazione».

Quali sono gli errori più frequenti che fanno i baristi?

«Ne commettono una quindicina almeno: scarsa pulizia delle attrezzature, mancanza di controllo della temperatura della macchina e del tempo di estrazione, pressatura del caffè nel filtro insufficiente, particelle di caffè sul bordo del filtro, abbandono dell’espresso sulla macchina per fare altre cose, servizio maldestro….  Il peggiore errore negli ultimi tempi  riguarda la scelta della miscela. Spesso il barista non giudica il caffè in base alle sue caratteristiche sensoriali, ma per la facilità di ottenere un risultato che soddisfi la vista, dalla crema alla struttura. Ecco perché invitiamo tutti a non guardare la tazzina quando ci viene servita. E tantomeno a valutare il tempo che impiega lo zucchero ad affondare: una delle peggiori indicazioni che sia mai stata data per confondere il consumatore».

Qual è il futuro dell’espresso italiano?

«Nei giorni scorsi è stato rinnovato il consiglio dell’Istituto Nazionale Espresso Italiano che certamente rappresenta l’organismo più operoso, determinato e coeso nella promozione e nella tutela della tazzina made in Italy. Il progetto di quest’anno ha come claim “Nel mondo, a fianco del barista”. Questo significa che si continuerà con la consueta fermezza a valutare la qualità delle attrezzature e delle miscele e ad abilitare baristi, per i quali sono previsti due concorsi: l’Espresso Italiano Champion e il Best Coffee Taster (il migliore assaggiatore). Ma parallelamente verrà aperta una finestra sui paesi produttori alla ricerca di caffè di alta qualità, una porta verso l’internazionalizzazione trasferendo la nostra cultura e un bacino di innovazione che non riguarderà solo la tecnologia, ma anche nuovi strumenti di marketing».

Siamo arrivati al paradosso di dover imparare dall’estero a servire un caffè perfetto?

«Direi proprio di no. Almeno per quanto riguarda l’Espresso Italiano che, quando fatto bene, vince. Alcune statistiche affermano che il canale dei caffè speciali rappresenta l’11% del mercato: l’Espresso Italiano si colloca in questo segmento. Sta a noi mantenerlo nella sua veste tradizionale che racchiude il perfezionamento di oltre un secolo prodotto da costruttori di attrezzature (macchine e macinadosatori) e di torrefattori che hanno saputo creare miscele in grado di sopportare forti rapporti tra polvere a acqua (7 grammi su 25 millilitri, contro 5 grammi su 100 o su 200 millilitri) e forti pressioni (9 bar) a temperature contenute».

 


La Grecia che si… magna

Il panorama dei ristoranti etnici della Bergamasca si è arricchito recentemente di nuove presenze e nuovi sapori. Ai locali cinesi, giapponesi, indiani, thailandesi, brasiliani, messicani, solo per citare i più conosciuti presenti da tempo sul territorio, si infatti aggiunta una proposta greca, che oggi si può trovare in città al Cafe Egeo in via Masone e al fast food Odissea in via Previtali.

Per sperimentare una pausa pranzo diversa dal solito abbiamo fatto tappa in quest’ultimo. È aperto dalla fine di luglio e si definisce fast food, anche se l’ambiente e il servizio sono “da ristorante”, con due sobrie salette da 45/50 posti ciascuna, una delle quali, che nella bella stagione costituisce il dehors, è stata recentemente ristrutturata ed abbellita.

odissea fast food greco Kola ArbenL’iniziativa è di Kola Arben, 46 anni, di origini greche, in Italia da 23 anni e proveniente da un settore diverso rispetto alla ristorazione. «Sapevo che a Bergamo non c’era un ristorante greco – racconta il titolare del locale –, conoscevo un cuoco del mio paese e siamo partiti per questa avventura che per il momento ci sta dando delle buone soddisfazioni al punto che presto introdurremo altre novità, come la consegna a domicilio, la pasta greca, il riso greco e il pesce fritto».

Le materie prime sono strettamente di origine greca (esiste un centro di distribuzione a Bologna), mentre la clientela è molto variegata. Si va dai membri della comunità greca residenti a Bergamo alle persone che hanno trascorso vacanze in Grecia per arrivare agli studenti del vicino polo universitario e del Liceo Aeronautico. In effetti molti piatti si prestano anche al consumo tipo street food e quindi vanno bene per gli studenti, ma anche per chi non ha molto tempo e deve tenere d’occhio la spesa o semplicemente per chi vuole variare la pausa pranzo o trascorrere una serata diversa. La lista è molto ampia e ben illustrata con la fotografia e l’indicazione degli ingredienti per ciascun piatto, oltre naturalmente al prezzo, che nella media si può considerare contenuto.

Impossibile qui fare l’elenco di tutte le pietanze, che sono molte. Ci limitiamo quindi a ricordare quello che abbiamo assaggiato e alcuni dei riferimenti fondamentali. Si parte dalla pita che è il pane greco di forma circolare, tipo piadina, se vogliamo, ma leggermente più spessoo e morbido. Arrotolata a cono, la pita accoglie i gyros, una sorta di kebab ma fatti con un solo tipo di carne, a scelta tra il maiale e il pollo, ai quali si aggiungono pomodoro fresco, patatine, cipolla e salsa tzatziki che è a base di yogurt, cetrioli e aglio. Poi ci sono gli spiedini – souvlaki – che possono essere di maiale, pollo e agnello, e quindi una lunghissima serie di piccoli piatti, dal costo medio di 3 euro circa ciascuno, costituiti da crocchette, polpette, dolci e chi più ne ha più ne metta. Nella lista ci sono poi insalate (quella greca con pomodoro, cetrioli, peperoni, cipolle, olive e feta, ma anche di pollo o di tonno) e piatti vegetariani.

odissea fast food greco - internoTra tanta scelta, abbiamo tenuto fede al nostro ruolo di clienti del prezzo fisso di mezzogiorno e non abbiamo avuto difficoltà ad orientarci. Abbiamo scelto infatti il piatto unico con carne di pollo proposto a 10 euro a testa se l’ordine è per due persone e a 11.90 se per una. Ci siamo trovati di fronte a una abbondante portata con pita, spiedini souvlaky, gyros, crocchette, feta (l’unico ingrediente che forse non necessita di eccessive presentazioni), pomodori, insalata, olive kalamata (nere, greche) e patatine fritte con formaggio. Tutto in dose non certo parsimoniosa ed in grado senz’altro di saziarci. La spesa è stata di 13 euro, dei quali 1,10 per l’acqua minerale.

E il gusto della cucina greca? Beh, questa è una bella domanda e dovrebbero essere gli autentici esperti a dare una risposta. Innanzitutto abbiamo assaggiato solo una piccolissima parte del vasto repertorio e non possiamo dare perciò un giudizio globale. Di certo ci ha soddisfatti, questo è vero, e se vogliamo tentare degli accostamenti pensiamo ad una cucina mediterranea estesa, con qualche sapore e aroma in più rispetto al nostro meridione ma senza trovarci di fronte a degli eccessivi sbalzi di gusto. Si può provare tranquillamente senza restare delusi.

«L’idea sta funzionando – ha concluso Kola Arben –, ci stiamo facendo conoscere sia col take away che con il servizio al ristorante. Vogliamo mantenere la nostra caratteristica e per questo abbiamo, oltre ad una buona selezione di vini italiani, sei vini greci e la birra greca Mythos. Siamo pronti ad ampliare anche l’offerta di piatti vista la buona accoglienza di questo tipo di proposta».

Odissea fast food greco
via Previtali, 43
Bergamo
tel. 035 400374
sempre aperto
www.odissea-fastfood.com


*Pastiche, ecco la cultura materiale alla Veronelli

mostra veronelli 2 Martedì 28 aprile, alle 18, alla Sala Traini del Credito Bergamasco, il Seminario Permanente Luigi Veronelli – con la collaborazione de Il Cavaliere Giallo e di Slow Food Valli Orobiche – presenta “*Pastiche – Cultura materiale alla Veronelli”, il volume che riunisce ricordi e progetti, citazioni e traduzioni, immagini e passioni del padre della critica gastronomica italiana e fondatore del Seminario. Una serata tutta dedicata alla scoperta del pensiero veronelliano, attraverso dialoghi e riflessioni capaci di restituire la complessità, il fascino e l’attualità di un grande intellettuale del Novecento, a dieci anni dalla sua scomparsa. *Pastiche, raccolta elegante e irriverente di linguaggi, pensieri e percorsi dedicati al vino e all’olio, al cibo e alla terra, racconta la cultura gastronomica italiana in modo critico e innovativo, grazie alla penna e alla sensibilità di sedici autori, quali: Gianni Mura, Burton Anderson, Gianfranco Marrone, Ilaria Bussoni, Gigi Brozzoni, Gian Emilio Simonetti, Marco Noferi, Ciro Tarantino, Luigi Moio, La Terra Trema, J. A. Gonzalez Sainz, Marco Magnoli, Angelo Gaja, Josko Gravner, Gianni Capovilla, Joško Sirk.PASTICHE

“*Pastiche racchiude pagine fertili e antimonumetali, dedicate al più grande assaggiatore del Novecento. Un percorso di conoscenza che si snoda tra passato, presente e futuro grazie a sedici punti di vista, sedici sguardi capaci di connettere all’attualità il pensiero espresso dal grande assaggiatore in mezzo secolo di attività giornalistica. Senza cedere a commemorazioni retoriche, la ricorrenza del decennale diventa un’occasione per ricoprire i fondamenti dell’approccio veronelliano: la gastronomia come cultura e la contadinità come progetto sociale” – ha anticipato Andrea Bonini, direttore del Seminario Permanente Luigi Veronelli, che interverrà nel corso della serata con Simonetta Lorigliola, Gigi Brozzoni e Gianni Emilio Simonetti. L’appuntamento si concluderà con un piccolo aperitivo offerto dal Seminario Veronelli e con la cena (a pagamento e su prenotazione) presso il ristorante M.1lle di Viale Papa Giovanni XXIII 18 a Bergamo.


I grandi chef da bambini? Ecco cosa mangiavano

immagini 194Non tutti gli chef che portano in alto la nostra ristorazione sono stati delle buone forchette, nonostante i buoni esempi a casa. Di contro ci sono grandi chef cresciuti con cucine non troppo stimolanti che hanno sviluppato sin da bimbi un palato eccezionale: «Da piccolo ero curioso, mangiavo tantissimo ed il momento clou era la domenica, con arrosti, pasticci, antipasti toscani, fritti e tanti dolci – racconta lo chef Enrico Bartolini, due stelle Michelin al Devero di Cavenago -. In settimana era un po’ una sofferenza perché mia mamma, che è una grande mamma, cucinava un così e così. La domenica però ci pensava la zia Emilia. E a volte anche il venerdì, quando faceva la polenta e ogni tanto il baccalà». I suoi, ancora piccoli, mangiano già di tutto: «Giovanni, 2 anni, vivrebbe di patanegra e acciughe, senza contare nei dolci il gelato. Tommaso, 8 anni, mangia di tutto, ma ama soprattutto la pasta ed i risotti».

Daniel Facen A'AnteprimaDaniel Facen, nato in Svizzera ma trentino nell’anima e ormai bergamasco d’adozione, è cresciuto in una casa con pentole e padelle sempre sul fuoco: «Mia mamma Roberta lavorava a servizio di un’importante famiglia milanese prima e poi svizzera, dove sono nato. È sempre stata, anche per lavoro, una grande cuoca: grandi secondi di carne, piatti tradizionali lombardi come la cassoela, gli ossibuchi con risotto e la cotoletta alla milanese, erano solo alcune delle sue specialità, assieme a piatti svizzeri come la raclette». Cresciuto coi manicaretti di mamma, lo chef dell’A’ Anteprima di Chiuduno, una stella Michelin, è sempre stato una buona forchetta: «Un piatto odiato e uno amato? Ho sempre mangiato di tutto, ma ricordo con affetto la semplicità di uova con dente di leone, un piatto che segnava l’arrivo della primavera e della bella stagione. Invece, francamente, la faraona con polenta è un piatto che ho odiato e non amo nemmeno oggi: le carni risultano sempre asciutte. Non sono mai andato al ristorante da bambino e per me l’unica cucina è sempre stata quella di mia madre». Suo figlio non ha mai fatto un capriccio a tavola ed è un grande appassionato di cucina: «Luca, che ora ha 21 anni, cucina davvero bene – dice Facen -, tanto che è quasi sempre lui a mettersi ai fornelli a casa. È sempre aggiornato su tendenze e grandi chef, sperimenta nuove ricette. Anche da piccolo ha sempre voluto assaggiare tutto, con grande curiosità».

Chicco CereaEnrico, detto Chicco, primogenito dei cinque fratelli Cerea ed executive chef del tristellato Da Vittorio a Brusaporto è cresciuto tra pentole fumanti e i profumi di una cucina eccellente come quella di papà Vittorio. «Il palato va istruito, allenato, e tenuto sempre aggiornato – afferma -. È qualcosa che in parte si ha nel dna, ma poi contano ambiente ed esperienze, curiosità e desiderio di sperimentare nuovi gusti. Non sempre sono amori a prima vista e gusto: a otto anni, ad esempio, ricordo che sputai un’ostrica. Oggi ne vado letteralmente pazzo». Ma che bimbo è stato Chicco Cerea? «Sono stato goloso sin da piccolo – ammette -. Ho sempre mangiato di tutto: ricordo ancora quel piacere di affondare il dito in una salsa di pomodoro appena preparata in casa. Ricordo con affetto le merende con mio padre del mercoledì, giorno ancora oggi di chiusura del ristorante. Papà ci veniva a prendere a scuola e andavamo tutti insieme a piedi fino in Città Alta per gustare pane, burro e acciuga o pane, salame e cetriolini alla Trattoria Colombina». Anche i “piccoli” di casa Cerea sono dei gourmet come papà: «I miei tre figli – Beatrice, 20 anni, Maria Vittoria, 17 anni e Vittorio, 15 anni – hanno sempre assaggiato ogni piatto sin da piccoli. Ad ogni ricorrenza abbiamo il nostro rituale: regalarci una cena in un ristorante importante. Ci divertiamo un mondo a scegliere la meta gastronomica, sbirciare i menù, iniziando su internet il nostro viaggio tra i sapori. Devo dire che i miei figli sono stati sempre molto aperti all’assaggio e anche il vino l’ho fatto provare a tutti. Io stesso sono il primo ad accettare ogni loro suggerimento: ad esempio Beatrice che ha vissuto tre mesi ad Hong Kong mi ha consigliato su alcune spezie e mi ha portato nuove ricette dall’Oriente».

Roberto Proto e Maria MorbiRoberto Proto, chef de Il Saraceno di Cavernago, fresco di stella Michelin, è approdato alla cucina dopo aver fatto per un paio di anni il parrucchiere e aver capito che non era la sua strada. Ha respirato sin da bambino l’atmosfera del ristorante nella trattoria di famiglia aperta nel 1976 da papà Salvatore e da mamma Trofimena, che da Amalfi avevano inseguito un lavoro e i loro sogni prima in Svizzera, dove erano stati a servizio come governanti presso un’importante famiglia, e poi a Bergamo, dove avevano aperto il loro ristorante “Da Salvatore”. Nonostante i manicaretti di mamma Mena, Roberto Proto non è stato un bimbo gourmet né ha mai avuto una grande predisposizione all’assaggio: «Il mio universo gastronomico è stato per anni quello della pizza margherita, delle bistecchine e delle penne al pomodoro, senza nemmeno l’ombra di un filo di cipolla». Nemmeno un pesce a guizzare in questo menù ristretto e un po’ ottuso, un fatto quanto meno curioso per uno chef destinato in futuro ad esaltare ogni specialità di mare. «Mia mamma non ha mai smesso di propormi piatti di pesce, che ho scoperto però solo a dodici anni. Prima non c’è stato verso di farmeli provare». Ma è stata solo una questione di tempo. «Oggi mangio davvero tutto, ma se posso evito i peperoni. Il piatto a cui non potrei rinunciare è invece la pasta e fagioli di mia madre, un piatto storico della mia famiglia, tramandato di generazione in generazione». Le bimbe dello chef devono ancora ampliare il loro menù, ma mamma Maria Morbi, con tanto di laurea di psicologia in tasca, è pronta a dar loro tutto il tempo necessario, anche perché – come sottolinea – forzare i bimbi a mangiare è uno dei più grandi errori da fare, per non parlare di punizioni e ricompense. «Le mie bambine, Martina di 9 anni e Giulia di 6 anni, purtroppo non mangiano proprio tutto, a partire dal pesce – allarga le braccia Roberto Proto -. Nonostante le paste e le torte fatte in casa dalle nonne Mena e Lisetta, la cura che mette mia moglie Maria nel proporre loro verdure, riducendole in crema o presentandole al meglio, le nostre bimbe non sono delle grandi forchette. La più piccola oggi, ad esempio, non voleva andare in mensa perché in menù c’era il pesce fritto».

 


Ecco il robot-chef. Esegue alla perfezione oltre 2mila ricette

Robot-chefVersa, mescola, taglia, spadella e impiatta, con la fluidità e la maestria di un cuoco pluristellato: è il robot-chef che governa la prima cucina al mondo interamente automatizzata. Realizzato con 20 motori, 24 giunzioni e 129 sensori, riproduce esattamente i movimenti di due braccia umane riuscendo a eseguire alla perfezione oltre 2mila ricette. Il prototipo è stato svelato alla fiera di Hannover dagli ingegneri britannici della Moley Robotics, che per il 2017 puntano a mettere sul mercato un modello di cucina automatizzata ancora più avanzato in cui il robot-chef sarà in grado di usare anche frigorifero e lavastoviglie. Le braccia robotiche, sviluppate dalla Shadow Robot Company, funzionano come un vero e proprio apprendista cuoco: imparano gesti e procedimenti registrando le azioni umane in 3D, per poi convertirle in movimenti precisi ed eleganti. Per metterle alla prova, basta scegliere il menù desiderato toccando il display touch-screen della cucina oppure, da remoto, usando la app scaricata sullo smartphone. A quel punto la cucina prende vita, le porte di vetro di sicurezza la blindano e le braccia robotiche (normalmente nascoste alla vista) escono allo scoperto, iniziando a preparare i manicaretti ordinati. Una dimostrazione pratica è stata data anche alla fiera di Hannover, dove il robot-chef si è cimentato nella preparazione di una zuppa di granchio secondo gli insegnamenti impartiti dal cuoco statunitense Tim Anderson, vincitore dell’edizione britannica del programma televisivo Master Chef.