“Bergamo segua Nizza per rilanciare il centro”

SentieroneNon c’è un appunto da fare all’intervista di Fontana, ha raccontato e spiegato senza indugi cosa è il centro città di oggi. Tra le righe ha definito, a mio avviso, “bigotta” le mentalità di Bergamo. Come dargli torto? Io viaggio meno di lui per il mondo ma mi basta pensare cosa è diventata la citta di Nizza, Francia, oggi. E’ diventata una città che si è trasformata, vestita, truccata e ringiovanita dopo un percorso di una decina d’anni a questa parte. Verde Verde e ancora Verde, a portata di famiglia, vivibile e bella. Hanno costruito una metropolitana leggera a raso strada senza un becco di un semaforo, quando passa suona la campana che ti avverte di toglierti dai binari, per noi fantascienza! Hanno raso al suolo metri cubi di cemento e fatto un parco metropolitano pazzesco, verde, giochi, fontane ecc…. Questa trasformazione è avvenuta, per chi volesse informarsi, in place Massena, place du paillon e place Garibaldi. Noi abbiamo un centro grigio, spoglio e confuso. Pensiamo se avessimo un Sentierone verde, un parco cittadino per le famiglie, invece di un parchetto spelacchiato dentro palazzo Frizzoni. Senza pensare a quanti bistrot o caffè o ristoranti potrebbero completare l’offerta dei posti a sedere fuori, anche d’inverno, a fare da aggregatori a genitori e nonni che vedrebbero dietro un spuntino i bambini giocare in tutta sicurezza. Magari un centro ben illuminato, non con una decina di sistemi di illuminazione diversa, che sembra di stare alla fiera del lampione. Sicuramente un centro a misura d’uomo gioverebbe al commercio, unirebbe via XX settembre a via Tasso, gioverebbe al turismo, e perché no, gioverebbe alle insegne commerciali che oggi sono veramente orientate verso il basso. Per sfizio personale mi permetto di fare due proposte extra: siccome via XX Settembre, via S.Alessandro e via S.Orsola sono strette e male esposte al sole, perché non installare degli specchi sui tetti che portino luce nelle suddette via soprattutto d’inverno? D’estate, siccome via XX settembre è torrida e ha spesso il sole basso che camminare controluce acceca chi cammina, non installare, diciamo, dei mega “ombrelloni” per creare un po’ di sollievo? Io non sono architetto o designer ma mi risulta che di tali figure in Italia ce ne siano, anche se spesso la loro firma la troviamo, come spesso capita, all’estero. Se Il Sindaco e i loro assessori dicono che Bergamo è una città europea, cosa che a me non risulta, osservo che per essere città europee bisogna fare cose europee, passando anche da queste osservazioni.

                                                                                                                                                                                                                                                                 Michele Garufi – Ottica Garufi (Bergamo)

 

 

 

Più servizi e apertura mentale per rilanciare la città

Complimenti a Tino Fontana, che con grande eleganza e tanta sincerità, è riuscito a raccontare con parole chiare, la vera realtà che in questo momento vive la nostra città di Bergamo. Sono una commerciante del centro città, precisamente di via S.Alessandro; per quanto mi riguarda, è da tempo che con Giuseppe Zilli (mio carissimo amico) lamento il degrado costante che ogni giorno, miei cari, si sente ma ancora di più si vede. Io ho avuto la fortuna di viaggiare e girare il mondo, vi posso assicurare che Bergamo ha tanto da lavorare. Cultura, apertura mentale, meno tasse e affitti più bassi, più servizi e voglia di amare la vita; solo con questi elementi si può migliorare una città meravigliosa che è Bergamo e secondo il mio punto di vista, è proprio da qui che si deve partire.

                                                                                                                                                                                                                                                                                           Loredana Odillà Andreani

 

 

 

 

Serve una migliore cultura dell’accoglienza

Tino Fontana, nell’intervista pubblicata su La Rassegna del 12 febbraio scorso dal titolo “Bergamo è ancora chiusa. Ma il centro si può rilanciare” , ha detto tutto quello che doveva dire circa un atteggiamento generalizzato (cittadini e istituzioni) che di fatto impediscono alla città di Bergamo, così come quelle località bergamasche che di turismo dovrebbero vivere, di sviluppare un potenziale che, però, è salito a bordo dell’aereo sbagliato, quello ancora fermo nell’hangar per il motivo sopra accennato.

La sensazione, per chi guarda con un certo interesse lo sviluppo turistico del territorio, è quella che le cose importanti, che il più delle volte sono anche quelle meno onerose, per dare fiato allo sviluppo, sono quelle che non vengono prese nella giusta considerazione.

Tino Fontana ne ha fatto un lungo elenco per poi concludere amaramente: “Bergamo non è mai stata una città aperta, ma credo che il centro si sia ulteriormente appiattito. Tutti i centri del mondo vivono laddove c’è una certa cultura dell’accoglienza e solo se si sa ricevere ed attrarre gente. Credo che a Bergamo la tanto ricercata “valorizzazione del centro” resti un bello slogan”.

                                                                                                                                                                                                                                                                                                                    Giuseppe Zilli

 

 

 

Affitti, i proprietari dei locali facciano la loro parte

Come tutti quelli che viaggiano e lavorano al’estero, il buon Fontana ha la visione ampia, tutt’altro che provinciale. Fa benissimo a mettere il dito nel problema dei problemi: la sostenibilità degli affitti. In effetti, si possono programmare le migliori politiche urbanistiche, mettere in calendario eventi su eventi, ma se c’è la crisi e i portafogli restano vuoti i consumi non cambieranno mai marcia. E pagare i canoni elevati resta impossibile. Per questo credo che anche i proprietari degli immobili debbano fare la loro parte, abbassare le pretese in attesa di tempi migliori.

                                                                                                                                                                                                                                                                                                         Un commerciante

 


Fontana: «Ecco di cosa ha bisogno la città»

Il suo nome era tornato con insistenza nel pieno della questione Balzer, quando si vociferava un suo ritorno nella gestione del locale che aveva rilanciato in grande stile negli anni Settanta. Ma Tino Fontana – l’imprenditore che ha creato dal nulla molti locali da Mosca a New York e ha riportato in auge tante insegne storiche cittadine, dal Caffè del Tasso al Colleoni – non se l’era sentita, a71 anni e in piena crisi, di sfidare di nuovo la piazza bergamasca. Ora, in semi-pensione, va e viene da Bergamo tra un volo intercontinentale e l’altro, impegnato ancora a dare consulenze in giro per il mondo, specialmente in Russia dove ha anche favorito l’export del mercato italiano che andava a gonfie vele fino all’embargo voluto da Putin, uno dei tanti leader a cui Fontana dà del “tu” (senza contare personalità del mondo della moda, dello spettacolo e della grande industria italiana). Nel tempo libero Tino Fontana ama girare Bergamo in bicicletta e, tra una pedalata e l’altra, gli abbiamo chiesto come trova la sua città e in particolar modo il centro cittadino.

Il dibattito sul centro non è mai stato così acceso. Come vede la nostra città e il nostro centro con il suo sguardo internazionale e da imprenditore che proprio qui ha costruito, locale dopo locale, il suo successo?

“Bergamo non è mai stata una città aperta, ma credo che il centro si sia ulteriormente appiattito negli ultimi tempi. La cultura di Bergamo e di chi ha amministrato la città non ha mai favorito né la vitalità, né il commercio del centro cittadino. Tutti i centri del mondo vivono laddove c’è una certa cultura dell’accoglienza e solo se si sa ricevere ed attrarre gente. Credo che a Bergamo la tanto ricercata “valorizzazione sul centro” resti un bello slogan. Non si fa nulla per creare condizioni che invitino la gente a passeggiare in centro. E le bancarelle non portano certo vita nel cuore della città, specialmente se le manifestazioni non sono di qualità”.

Qual è stata la sua esperienza della città da imprenditore?

“Quando avevo “Il Caffè del Colleoni” e il “ Balzer” non potevo creare un evento, invitare anche solo un pianista a suonare, senza vedermi piovere addosso problemi di ogni tipo, dalle autorizzazioni alle lamentele del residente intollerante di turno. C’è gente a cui credo dia fastidio anche il semplice tentennare di una tazzina”.

E’ difficile gestire locali in città?

“Piazza Vecchia negli anni Settanta era un luogo di spaccio. Con il “Ristorante La Fontana” e il “Caffè del Tasso” avevo vinto la scommessa di rilanciare l’area a colpi di vitalità e animazione. Eppure invece di sentirmi dire grazie dal Comune, ho sempre dovuto combattere delle vere e proprie battaglie. Sembrava impossibile mettere qualche tavolino in Piazza Vecchia, benché non esista piazza al mondo che non si possa godere seduti comodamente al tavolo di un locale…”.

Ora in città soffre il Quadriportico del Sentierone e nel centro piacentiniano sono diverse le insegne, molte storiche come Sacerdote, desolatamente vuote. E’ sfumata l’attrattività del centro degli anni d’oro?

“In realtà alla fine degli anni Settanta, quando decisi di rilevare “Balzer” il Quadriportico del Sentierone era davvero in declino. Il centro si stava spegnendo ed il clima era desolatamente peggiore di quanto non lo sia ora. Tanto che rilevai gran parte dei locali di proprietà dell’Immobiliare Fiera e li subaffittai quasi tutti, anche a Tiziana Fausti, che ha dato un contributo fondamentale al rilancio dell’area. Il centro allora era vuoto, ma “Balzer” era davvero l’attrattiva. Tutta la città passava dal locale storico per fare colazioni, aperitivi per il dopo teatro, per acquistare pasticcini, praline e torte. Avevo settanta dipendenti, il laboratorio non si fermava mai. Il locale era il punto di ritrovo per antonomasia del centro, eppure se chiedevo un allargamento della terrazza nessuno me lo dava, per non parlare dell’affitto che nel giro di due anni mi venne raddoppiato. A Bergamo non si premia l’innovazione e manca la valorizzazione delle imprese che funzionano: non si possono spremere di tasse e basta. Non possono esistere solo obblighi, qualcosa bisogna concedere, specialmente se contribuisce alla vitalità di un’area. All’estero i centri e le attività vengono aiutati a creare quell’atmosfera che, grazie anche a locali e vetrine, rappresenta l’anima di un luogo”.

Quale possibile ricetta per un rilancio del centro?

“Sono le attività commerciali e i pubblici esercizi a fare i centri, non i bar dove che si limitano a fare caffè e cappuccini, gestiti ormai sempre più dai cinesi. Bisogna favorire l’apertura di negozi di un certo tipo: vedo poche insegne in grado di richiamare da sole visitatori, turisti o anche solo curiosi. Viaggio spesso per lavoro, specialmente in Russia, dove trovo che vi siano i negozi e i ristoranti più belli del mondo. Mosca e San Pietroburgo sono città che vivono grazie alla presenza di vetrine luccicanti, ristoranti frequentati. Un Sentierone ben curato non può non essere un asse commerciale attrattivo”.

Da dove crede si debba partire?

“Credo che il centro abbia senz’altro bisogno di una consulenza per l’arredo urbano, ma penso che debba in primo luogo lavorare per sviluppare al meglio una cultura dell’accoglienza. Mi godo la città girando in bicicletta e non posso che riconoscere quanto sia piacevole e anche bella. Eppure manca quel “quid”, quel qualcosa che la renda attrattiva. Si avverte soprattutto la necessità di una maggiore qualità, specialmente nei pubblici esercizi. Non mancano però aree che grazie ai locali, ai dehor e ai tavolini all’aperto sono riuscite ad attrarre gente, come in Piazza Pontida. Eppure sono puntualmente iniziate le polemiche sullo stile dei tavolini, sulle verande… La nostra è una mentalità chiusa: non c’è cultura del turismo e, di fronte alle novità, prevale la logica del “toca negot”. Del resto le stesse amministrazioni hanno contribuito a rendere la città in una certa misura “cupa”.

Come vede l’ipotesi di una grande isola pedonale?

“La chiusura del cuore della città alle auto senza eventi di richiamo non credo possa portare a nulla di buono. Tanto che mi viene da pensare che in questi anni la politica abbia favorito il successo dei grandi centri commerciali che ormai assediano le porte di Bergamo”.

Molti esercenti lamentano affitti alle stelle. Urge una politica di locazioni calmierate?

“Gli affitti del centro sono proibitivi. Sono sempre stati alti, ma ora con la crisi sono diventati insostenibili. Fa male passeggiare e trovare locali vuoti e sfitti, ma è intollerabile vedere zone centrali nell’abbandono: muri scrostati , serramenti divelti… La sensazione è che i proprietari immobiliari preferiscano lasciare i locali vuoti piuttosto che ritoccare i canoni di locazione. Nello stesso Quadriportico le luci sono rimaste quelle d’epoca, non sono stati ridipinti i serramenti e anche le arcate avrebbero bisogno di un tocco di restyling. L’affitto si paga in base all’attrattività dell’area e non può arrivare a determinare addirittura la sopravvivenza di un’attività, perché di affitti e tasse muoiono tante imprese. Spesso però gli stessi negozi non sono al passo coi tempi e non è possibile che i locali abbiano orari così ridotti. La liberalizzazione delle licenze non ha portato certo qualità nei centri storici”.

Quindi è anche colpa dello Stato e delle ondate di liberalizzazioni?

“Non si possono vedere locali dello stesso tipo uno a fianco dell’altro. C’è un turnover altissimo di insegne, di locali e gestioni che certo non contribuiscono a dare identità ad un luogo. Sono spuntati come funghi phone center, kebab ed altre attività che hanno ridisegnato borghi e vie storiche. E’ tutto un grande “mischiotto” che disorienta il visitatore”.

In quali aspetti crede che le nostre attività “non siano al passo coi tempi” come sostiene ?

“Nel resto del mondo i ristoranti e i locali aprono con orario continuato. Quella degli orari credo che sia invece una liberalizzazione positiva. Qui invece si può pranzare solo dalle 12.30 alle 14 e dalle 20 alle 22.30 al massimo. Gli orari dei locali determinano la vitalità di un’area. Se tutto è chiuso e spento la gente ha paura di andare in giro, anche solo a fare due passi. E’ inutile fare aperitivi e colazioni e basta. Bisogna fare in modo che la gente trovi locali in cui darsi appuntamento, in cui ritrovarsi prima e dopo teatro…”.

Bergamo è una città che non fa le ore piccole. Crede sia una città intollerante?

“Ricordo l’esperienza di successo del “Tropico Latino”, della catena che aveva tra i soci Renato Pozzetto, che spopolava in Via Tasso. Ricordo che dovevo chiudere per disperazione alle dieci di sera perché puntualmente iniziavano le chiamate a vigili e polizia dei residenti. Una vera e propria guerra ai decibel che porta come unico risultato ad un centro morto. Mi sembra vada meglio nel borgo storico: Città Alta mi pare decisamente più dinamica di Bergamo Bassa”.

 


«È partita la sfida per riportare le imprese in città»

Bergamo vuole proporsi sul piano nazionale come un polo di attrazione per le aziende innovative e per farlo il Comune mette sul piatto semplificazione burocratica e una serie di sgravi. La volontà manifestata dal sindaco Giorgio Gori di portare le aziende ad investire in città ha preso forma nel piano “Bergamo città semplice e low tax per attrarre imprese innovative”, frutto di un confronto con il mondo imprenditoriale, del lavoro e l’Università, già deliberato dalla Giunta e il prossimo 23 febbraio al vaglio del Consiglio Comunale. «Il progetto viene varato in un momento in cui si intravedono i primi segnali di ripresa – spiega Gori – e l’auspicio è di intercettarli. Intende facilitare la vita alle aziende e punta sull’innovazione per una scelta ben precisa, legata al fatto che l’alta specializzazione tecnologica è indicata come leva di sviluppo senza uguali e che il capitale umano è fattore sempre più determinante per il destino economico delle città».

L’obiettivo è portare sul territorio start up e imprese provenienti da fuori («trasferire in città un’azienda dalla provincia darebbe somma zero»), a cominciare dall’area milanese. Bergamo ha già dalla sua numerosi punti di forza che il sindaco ha voluto ribadire, dalla collocazione geografica al sistema delle infrastrutture forte di un “campione” come l’aeroporto, passando per la solidità del tessuto produttivo, l’aumento della propensione all’innovazione, il sistema della formazione e della ricerca, i poli tecnologici e la qualità della vita. A questi fattori, il Comune ora aggiunge un’accelerazione dei processi di semplificazione e digitalizzazione, di cui beneficeranno tutte le realtà imprenditoriali, e agevolazioni per le imprese innovative, nello specifico: per chi realizza tecnologie prioritarie per l’industria, per terziario high tech, start up innovative, attività che abbiano vinto almeno un bando europeo sulla ricerca e l’innovazione negli ultimi cinque anni, nuovi uffici di rappresentanza di aziende industriali non bergamasche (a condizione che si tratti di nuovi insediamenti e che abbiano almeno il 40% di dipendenti laureati) e l’industria creativa (ovvero settori come architettura, moda, design, spettacolo, editoria, artigianato artistico).

Per queste categorie è prevista un’Imu allo 0,76% anziché all’1,06%. «Lo 0,76% è la quota dell’imposta che va allo Stato, sulla quale non potevamo intervenire – ricorda il sindaco -. In pratica il Comune rinuncia a tutto quanto è nella propria disponibilità, un atto fortemente simbolico perché va a toccare direttamente le “tasche” dell’Ente. Naturalmente l’agevolazione è tanto più significativa quanto più ampie sono le superfici (per 5.700 mq lo sconto è pari a 21mila euro ndr.), il provvedimento è pensato soprattutto per favorire insediamenti di grandi dimensioni, parte con durata triennale ed è potenzialmente rinnovabile». E poi ci sono gli sgravi sugli oneri di urbanizzazione e lo standard qualitativo. «Lo sconto va ad aggiungersi a quello, del 10 o 50%, già previsto dall’Amministrazione precedente con una delibera del 2013 – afferma l’assessore alla Pianificazione territoriale Stefano Zenoni -, in una logica di migliore definizione delle imprese destinatarie e premialità per il recupero di suolo già urbanizzato». La casistica è varia, ma si arriva ad una riduzione del 75% per le imprese innovative che si collocano in un’area urbanizzata con volumi pari all’esistente. Per una struttura di 5.500 mq di superficie significa passare da circa 513mila euro di oneri di urbanizzazione (in caso di nuova edificazione con la riduzione del 10% vigente per l’hi-tech) a 72mila se l’azienda è di tipo innovativo e promuove un intervento di rigenerazione edilizia con volumi uguali o inferiori alle previsioni vigenti. «Il piano rappresenta anche una svolta nella visione dello sviluppo del territorio – tiene ad evidenziare Zenoni -, l’avvio di una fase in cui le città possono tornare ad attirare il produttivo, di cui si è in passato incentivata l’uscita. Ora però parliamo del produttivo innovativo».

Quanto alla copertura degli sgravi, si tratta di un falso problema, rileva Gori: «Con l’amministrazione Bruni gli oneri di urbanizzazione erano attorno ai 13 milioni, oggi siamo a 2 milioni. Non mettiamo perciò a rischio un patrimonio ma diamo un segnale di incoraggiamento forte alle imprese: diciamo che rinunciamo volentieri alla dimensione unitaria dell’intervento a favore di un numero maggiore di iniziative». Le aree che potrebbero essere interessate sono in primis quelle individuate dalla puntuale mappatura realizzata dal dipartimento di Geografia dell’Università di Bergamo a cominciare da quelle che portano proprio il nome di industrie che operavano in città, come Reggiani, Filati Lastex e Ote.

Sul ritorno che un simile provvedimento potrà avere non ci sono stime. «La misura è inedita in Italia e non ha perciò termini di paragone – dice il sindaco -, ci risulta che qualche azione sul questo versante è allo studio a Imola e a Sesto, ma la nostra è la prima a prendere forma concreta. Il fatto che ci siano degli spiragli di ripresa ci fa essere molto più ottimisti di qualche tempo fa. A noi tocca in ogni caso provarci». Per “raccontare” il progetto a livello nazionale l’Amministrazione ha in programma di organizzare una conferenza stampa a Milano ed anche Confindustria Bergamo ha assicurato il proprio supporto per favorire i contatti con aziende interessate. «Si parte con la città – ha precisato Gori -, ma non vogliamo che sia un caso isolato. L’obiettivo è perciò coinvolgere la Grande Bergamo e realizzare un polo di attrattività».

 


IL RICORDO / Addio Tino, «la tazzina di caffè non avrà più lo stesso sapore»

«Ha intrapreso la via del Paradiso, dove aprirà un nuovo bar». Così i familiari di Tino Acquaroli, storico esercente in largo Rezzara a Bergamo, hanno annunciato la sua scomparsa, dopo una breve quanto implacabile malattia, all’età di 68 anni. Hanno immaginato per lui la possibilità di proseguire nel mestiere di tutta la sua vita, che lo ha reso una vera e propria “istituzione” del centro. Ha infatti cominciato a 12 anni, in un bar vicino alla chiesa di Santa Lucia, per poi affiancare il fratello al Bar Sant’Alessandro e rilevare nel 1983 il suo Bar Haiti.
Bustina in testa, sorriso e battuta sempre pronti, “il Tino” ha incarnato il gestore ideale, quello che insieme all’espresso serve quella piccola dose di spensieratezza che ricerca chi frequenta un pubblico esercizio e che – possono cambiare mode e gusti della clientela – resta il vero segreto del successo di un’attività commerciale. «Se ne va un punto di riferimento della piazza – è il commento più diffuso -. Tino dispensava allegria ed era sempre pronto a dare una mano». E il pensiero va al figlio Edoardo, morto 17 anni fa in un incidente stradale, «affiancava il papà nel locale ed è bello pensare che si rincontreranno».
Anche la famiglia dell’Ascom, di cui è associato da sempre, lo ricorda con affetto ed è vicina alla moglie Camilla e alla figlia Simona, impegnata al bar con lui.


Borgo Palazzo, le “Botteghe” rilanciano e puntano al distretto 

Ha obiettivi ambiziosi il nuovo Direttivo delle “Botteghe di Borgo Palazzo”, compreso quello di dare vita ad un distretto del commercio, ma ha anche cominciato a lavorare da subito sulle questioni di più stretta attualità e sulle iniziative di animazione. È un gruppo giovane, a cominciare dal presidente, Roberto Marchesi, dell’omonimo panificio al civico 106. Ha 34 anni, una laurea in Scienze politiche ed ha deciso di dedicarsi all’attività di famiglia (che oggi conta quattro punti vendita) solo da un paio d’anni, dopo essersi fatto le ossa nella gestione di fiere. È anche nel Consiglio direttivo del gruppo Giovani dell’Ascom.

Il vertice dell’Associazione è stato ampiamente rinnovato, una sorta di rifondazione? 
«Ci siamo fatti avanti perché non volevamo andasse disperso quanto di positivo è stato fatto sino ad ora. Negli ultimi tempi, occorre ammetterlo, le attività dell’Associazione avevano cominciato a trascinarsi un po’ per inerzia, come la festa di settembre, sottotono rispetto agli esordi. Aleggiava anche l’idea di una divisione tra la parte alta della via, da piazza Sant’Anna verso via Camozzi, e quella bassa, per differenza di caratteristiche. Abbiamo deciso di metterci in gioco per salvaguardare l’unità, primo requisito se si vuole essere ascoltati e cercare di portare avanti progetti di un certo respiro. Il Consiglio è ben assortito tra nuovi ingressi e conferme, forze giovani ed esperienza».

Vi siete insediati a novembre, su cosa avete cominciato a lavorare?
«Innanzitutto sulle luminarie di Natale. Siamo riusciti a coinvolgere tutto il tratto che va dal cavalcavia a via Camozzi. Non succedeva da quattro anni, può essere considerato un buon inizio… Abbiamo anche organizzato una festa di Carnevale, che un po’ di bambini li ha portati nonostante il maltempo, e recentemente abbiamo incontrato l’assessore alla Mobilità Gianfranco Ceci per sottoporgli il problema della sosta nella zona dal cavalcavia all’incrocio con viale Pirovano. Mentre più avanti è regolata dal disco orario, qui non solo è libera ma non ci sono nemmeno le strisce a delimitare gli spazi. La conseguenza sono auto che stazionano per tutto il giorno – e più -, in una disposizione caotica, anche sui marciapiedi. La soluzione non dovrebbe essere difficile, si tratta di introdurre una regolamentazione anche qui».

Viabilità e parcheggi sono una criticità costante per il commercio in città…
«Penso che l’accessibilità di Borgo Palazzo dovrebbe essere completamente rivista e con questo intendo viabilità, parcheggi e trasporto pubblico. Oggi la via sopporta un grande traffico, che crea disagio ai residenti ma non dà molto nemmeno alle attività commerciali. Se si è in colonna o non si trova parcheggio non si è di certo invogliati a fermarsi per fare acquisti. È un sistema da ripensare tenendo conto delle esigenze sia di chi abita sia di chi lavora nella via».

A quale bacino di clientela si rivolge prima di tutto via Borgo Palazzo, ai residenti o a chi viene da fuori?
«Per prima cosa occorre rinsaldare il legame con chi vive qui. Si tratta più che altro di far capire che il commercio ha un ruolo centrale nel determinare la qualità della vita e degli spazi urbani, che la presenza delle attività è importante anche per chi possiede casa. Una via senza negozi e servizi fa presto spazio al degrado e i valori degli immobili scendono. Rendersene conto potrebbe portare anche a fare scelte diverse per i propri acquisti, decidendo di privilegiare i negozi sotto casa anche per questo motivo».

Sembra una specie “beneficenza” ai negozi di vicinato…
«Affatto, significa capire che far vivere una zona è responsabilità di tutti. Comporta andare un po’ più in là con la visione, non fermarsi al prezzo dei prodotti. Naturalmente anche i commercianti devono dare il proprio meglio nella proposta».

Come è caratterizzata l’offerta commerciale della via?
«Ci sono circa 200 negozi. L’offerta dei beni alimentari e di prima necessità è completa e permette di trovare tutto senza dover prendere l’auto. Non mancano nemmeno produzioni di qualità, dal pastificio alla pasticceria. La seconda anima è quella dell’artigianato, delle decorazioni, dell’arte. È un mix interessante».

In questi giorni state ultimando il tesseramento. La particolarità è che con chiedete alcuna quota di iscrizione…    
«Chiediamo solamente di riconsegnarci un modulo con un indirizzo di posta elettronica, di essere connessi con la nostra pagina Facebook e di collaborare nella promozione di ogni evento. Il contributo viene richiesto sulla singola iniziativa alla quale si decide di aderire. Non vogliamo che il solo fatto di aver versato l’iscrizione induca in qualche modo a pretendere un pacchetto completo di idee e soluzioni. Con questo metodo, invece, crediamo che si possano rinnovare su ogni progetto la condivisione e la partecipazione. Che significa anche, semplicemente, adeguarsi nel seguire un tema per l’allestimento delle vetrine, così da rafforzare tutti assieme l’immagine della via».

In apertura ha raccontato dell’ipotesi che circolava di una diversa rappresentanza per le botteghe della parte più antica di Borgo Palazzo. In effetti, la via presenta volti differenti tra loro…
«Non è un buon motivo per rinunciare all’unità, che è la vera forza di un’associazione. Ciò che vogliamo fare è valorizzare ogni zona a seconda delle sue caratteristiche. Per la parte definita borgo storico, in particolare, stiamo valutando la possibilità di dare vita ad un distretto del commercio. Stiamo cercando di capire come realizzarlo, in base anche alle indicazioni della Regione. Potrebbe essere un’aggregazione con altri borghi storici della città».

Distretto, allora puntate in alto…
«Vogliamo percorrere tutte le strade che permettano di portare risorse sul territorio e il distretto può essere uno strumento, soprattutto per realizzare una politica integrata di comunicazione».

La sua tesi di laurea era dedicata al marketing urbano e prendeva via XX settembre come caso di studio. Oggi quei concetti sono ampiamente acquisiti, ma è arrivato anche qualche risultato?
«Piazza Pontida, per esempio, è sicuramente più bella di dieci anni fa. Noi ci abbiamo aperto un nuovo punto vendita del nostro panificio e sta vivendo un più generale ritorno alle funzioni di vicinato che aveva perso».

Nel Direttivo delle Botteghe siete in maggioranza giovani, anche le nuove generazioni di commercianti, dunque, hanno voglia di impegnarsi…
«Fino a qualche anno fa avere trent’anni era considerato un limite, oggi è un merito. In realtà non è né l’uno né l’altro, Renzi ha però sdoganato il fattore età e si sta facendo largo l’idea che i giovani possano dare un proprio contributo. Per quanto riguarda la mia scelta, ho cominciato ad occuparmi dell’attività di famiglia da due anni ed ho pensato che la mia esperienza di studio e professionale potesse essere messa al servizio anche dell’Associazione. Il nostro approccio è realistico, ci siamo messi al lavoro da subito, con proposte concrete. Se ci saranno risultati andremo avanti e accelereremo pure, altrimenti passeremo il testimone a qualcun altro».

Le prossime iniziative?
«Probabilmente una festa a primavera inoltrata e una “bomba” per la festa di settembre, una manifestazione che aveva già un format interessante perché portava in primo piano le attività della via e che vogliamo rilanciare in grande stile».


“Vi racconto com’era la Città Alta delle botteghe”

«Dopo la guerra Città alta era più brutta, più povera di oggi ma c’era il lavoro e pian piano chi ha potuto ha cominciato a sistemare le case». Così racconta i suoi esordi Ezio Lorenzi, 85 anni compiuti a maggio, che domenica scorsa ha ricevuto, insieme ad altre 13 aziende, il “Riconoscimento del lavoro e del progresso economico” della Camera di Commercio per i 58 anni del suo negozio, avviato da elettricista con rivendita di materiale elettrico, con l’aggiunta poi di ferramenta e casalinghi, seguendo l’evoluzione del mercato. È uno dei pochi esercizi di vicinato rimasti nella città vecchia. L’ha aperto nel 1956 nell’attuale sede di via Salvecchio, affiancato dal fratello Severino, morto nell’88. Negli anni ha cambiando diverse sedi, sempre nel centro storico, fino a riapprodare nell’86 nel locale d’origine, che nel frattempo aveva ospitato anche la libreria universitaria.

«Quello che caratterizzava Città alta era la presenza degli artigiani – racconta -, c’era il falegname, il tappezziere, il lattoniere, il materassaio, il fabbro, che non erano solo artigiani, ma quasi degli artisti. Perché a quei tempi si usciva dalla miseria e c’era più inventiva, si cercavano soluzioni. Eravamo giovani, c’era più vivacità, più socialità. Quest’ultimo aspetto, per la verità, non è andato perso. Tra gli abitanti di Città alta continua ad esserci un rapporto speciale, ci si conosce, si domanda come si sta, ci si dà una mano se serve. In fondo è ancora un paesotto, non come “giù” dove non si sa nemmeno chi abita nel proprio palazzo». Il “giù” sta per Bergamo bassa. «Per noi la Città è questa, sotto ci sono i borghi».
«Poi hanno costruito quartieri come Celadina e Monterosso – prosegue – e se ne sono andati in tanti perché erano case nuove ed era più comodo vivere lì. Saremmo stati 10-15mila, oggi forse arriviamo a tremila (2.500, il minimo storico ndr.) ». La nascita dei supermercati ha fatto il resto e decretato il tramonto delle attività di vicinato. «C’erano 3 o 4 salumerie, ne è rimata una; 2 o 3 macellerie, ce n’è una; 3 o 4 fruttivendoli, ora sono 2; le latterie erano due, oggi una. Hanno resistito i panifici, che però hanno cambiato impostazione e fanno pizza e prodotti da mangiare al momento, anche il mercato del venerdì si è ridotto a poche bancarelle, mentre quando lo istituimmo con la Circoscrizione, di cui facevo parte, c’era anche il banco del pesce. Quello che servirebbe davvero è una drogheria con tutti i prodotti per fare la spesa, ma i numeri sono troppo bassi, non credo che resiterebbe. C’è invece abbondanza di negozi di vestiti e accessori, anche se non è tutto rose e fiori nemmeno in questi settori. Chi viene in Città alta la domenica e la vede piena di gente pensa che gli affari sono assicurati, in settimana però è tutta un’altra storia, dopo le 17 le persone che girano si possono contare. Tanti hanno aperto per poi chiudere dopo poco».
Nonostante tutto, Lorenzi vede positivo. «Secondo me, vivere in Città alta è meglio che in altri quartieri, perché c’è questo forte senso della comunità e tutto sommato si sta tranquilli. Del resto sappiamo di abitare in un luogo storico e turistico ed i disagi legati a questo vanno un po’ messi in conto. Io il futuro non lo vedo brutto, ci sono tante potenzialità da sviluppare». Ezio Lorenzi

Si sentono solo i propri passi sulla Corsarola e si ha l’impressione di disturbare il sonno di un gigantesco organismo finalmente quieto. E pure generoso, qualche metro più in là, nel mettere a completa disposizione il suo più bel gioiello: una piazza Vecchia sgombra da ogni traccia della frenesia del giorno, che pare messa lì solo per accogliere. Sono le sei del mattino. Per farci raccontare da Ezio Lorenzi la sua vita da residente-commerciante di Città Alta abbiamo scelto di accompagnarlo nella passeggiata che apre ogni sua giornata. A guardarlo mentre esce dalla porta di casa su via Gombito pare proprio che la corroborante sgambata mattutina sulle mura faccia bene. Sul volto e sull’incedere deciso non si notano proprio gli 85 anni scoccati il 15 maggio e nemmeno lui – ci riflette – si considera vecchio.
Sceglie la versione corta del percorso. Si scende da via San Giacomo («questa è la via dei “titolati”, con i palazzi Colleoni, Moroni, Perini, mentre l’altra, via Porta Dipinta, è quella dei “signori”») e raggiunte le mura individua tutti i punti di riferimento («il treno delle sei e cinque è già passato, sennò era bello da vedere»). «La passeggiata è un’abitudine che ho da una ventina d’anni – spiega -, mi piace perché mi dà l’opportunità di mettere in ordine i pensieri e poi è l’occasione per respirare un po’ di aria pulita, altrimenti c’è troppo smog. Così mi godo davvero la città dove sono nato e cresciuto, ma a quanto pare anche altri hanno scoperto questo piacere, perché adesso incontro sempre più gente, soprattutto chi corre e si allena».
In Colle Aperto, sulle panchine fuori dal Caffè Cittadella, lo aspettano due “nottambuli” come lui, Angelo Piazzalunga, muratore di Petosino che è nato in Città Alta ed ha dei lavori lì attorno, e Ivan Benaglia, custode del Museo archeologico, che abita a Redona e preferisce alzarsi presto per evitare il traffico. Un tempo la compagnia era più numerosa, qualcuno ha cambiato giro, ma loro resistono. Ogni mattina, escluso il lunedì ed i festivi, in ogni stagione, anche al freddo o con l’ombrello scambiano qualche chiacchiera, prima di passare dall’edicola e tornare al bar in attesa dell’apertura, alle 7. Sono i primi clienti di ogni giorno, Angelo ha anche l’“incarico” di portare fuori le sedie da esterno. In perfetta successione arrivano tutti gli altri personaggi, Matteo Roncalli che consegna le brioche, le signore che vanno a servizio nelle case, Nelson, un incrocio di bulldog al quale Ivan porta sempre un biscotto per cani, e il suo padrone. Qualche commento sulla giornata e, per i due imprenditori, sulle tasse e le scadenze, poi ognuno va per la sua strada.
Lorenzi passa ancora per le mura e raggiunge il negozio in via Salvecchio dal vicolo di Santa Grata. Porta e vetrina sono chiuse da pannelli di ferro che vanno sfilati uno alla volta, l’insegna non c’è. All’interno, lo spazio è piccolo, gli scaffali, pieni, arrivano fino al soffitto e lui usa la scala tranquillamente. «Per capire cosa manca mi basta un colpo d’occhio – racconta -. Perché ogni articolo è sempre nello stesso posto, quindi se vedo qualche spazio vuoto so già di cosa dovrò rifornirmi», con buona pace di computer e programmi gestionali. «Possiamo definirlo un bazar – prosegue -, dove si trovano le piccole cose che servono in casa, dalle lampadine alla ferramenta, dagli utensili per la cucina ai prodotti per la pulizia, alle vernici. Scelgo l’assortimento in base a ciò che va di più. Spesso rappresento la risposte per chi ha bisogno di qualcosa in Città Alta, altre volte, lo confesso, mi chiedono prodotti che non so nemmeno cosa siano». Il lunedì è il giorno che dedica alle forniture e alle pratiche amministrative. Si muove in pullman («ma “giù” arrivo a piedi») a va da Rodeschini a Gorle per le prime, all’Ascom di Zogno per la contabilità («mi è più comodo salire presto in Valle che muovermi in centro»).
Inutile nascondere che di grandi incassi non ne fa. «Fino alle 10.30 non entra nessuno. Riesco ad andare avanti perché non ho dipendenti, non devo pagare l’affitto del negozio né quello di casa e mi basta ricavare quanto serve per pagare le tasse e le mie spese personali – dice –, altrimenti sarebbe un’attività da chiudere. Per il momento è un’idea che non ho ancora preso in considerazione, non fare niente mi sembra più faticoso che lavorare e finché la salute me lo permette resterò in negozio». La crisi, è vero, ha complicato le cose, ma nemmeno in passato era tutto rose e fiori. «Gli ostacoli in un’attività ci sono sempre – nota -, la cosa importante è che piaccia il mestiere che si fa, solo così si trovano soluzioni, altrimenti i problemi diventano insormontabili».
Anche il resto della sua giornata è scandito da riti precisi come quello mattutino. Attorno alle 17.30 lo si può trovare al Circolino per una “mini merenda” in compagnia («chi non mi trova in negozio mi viene a cercare lì»), mentre dopo la chiusura delle 19.30 il ritrovo è con Angelo Mangili della storica gastronomia e qualcun altro alla Pasticceria Cavour per un bicchiere di vino e qualcosa da stuzzicare (non lo chiama aperitivo). E poi a casa. Ecco la sua Città Alta.