Il suo nome era tornato con insistenza nel pieno della questione Balzer, quando si vociferava un suo ritorno nella gestione del locale che aveva rilanciato in grande stile negli anni Settanta. Ma Tino Fontana – l’imprenditore che ha creato dal nulla molti locali da Mosca a New York e ha riportato in auge tante insegne storiche cittadine, dal Caffè del Tasso al Colleoni – non se l’era sentita, a71 anni e in piena crisi, di sfidare di nuovo la piazza bergamasca. Ora, in semi-pensione, va e viene da Bergamo tra un volo intercontinentale e l’altro, impegnato ancora a dare consulenze in giro per il mondo, specialmente in Russia dove ha anche favorito l’export del mercato italiano che andava a gonfie vele fino all’embargo voluto da Putin, uno dei tanti leader a cui Fontana dà del “tu” (senza contare personalità del mondo della moda, dello spettacolo e della grande industria italiana). Nel tempo libero Tino Fontana ama girare Bergamo in bicicletta e, tra una pedalata e l’altra, gli abbiamo chiesto come trova la sua città e in particolar modo il centro cittadino.
Il dibattito sul centro non è mai stato così acceso. Come vede la nostra città e il nostro centro con il suo sguardo internazionale e da imprenditore che proprio qui ha costruito, locale dopo locale, il suo successo?
“Bergamo non è mai stata una città aperta, ma credo che il centro si sia ulteriormente appiattito negli ultimi tempi. La cultura di Bergamo e di chi ha amministrato la città non ha mai favorito né la vitalità, né il commercio del centro cittadino. Tutti i centri del mondo vivono laddove c’è una certa cultura dell’accoglienza e solo se si sa ricevere ed attrarre gente. Credo che a Bergamo la tanto ricercata “valorizzazione sul centro” resti un bello slogan. Non si fa nulla per creare condizioni che invitino la gente a passeggiare in centro. E le bancarelle non portano certo vita nel cuore della città, specialmente se le manifestazioni non sono di qualità”.
Qual è stata la sua esperienza della città da imprenditore?
“Quando avevo “Il Caffè del Colleoni” e il “ Balzer” non potevo creare un evento, invitare anche solo un pianista a suonare, senza vedermi piovere addosso problemi di ogni tipo, dalle autorizzazioni alle lamentele del residente intollerante di turno. C’è gente a cui credo dia fastidio anche il semplice tentennare di una tazzina”.
E’ difficile gestire locali in città?
“Piazza Vecchia negli anni Settanta era un luogo di spaccio. Con il “Ristorante La Fontana” e il “Caffè del Tasso” avevo vinto la scommessa di rilanciare l’area a colpi di vitalità e animazione. Eppure invece di sentirmi dire grazie dal Comune, ho sempre dovuto combattere delle vere e proprie battaglie. Sembrava impossibile mettere qualche tavolino in Piazza Vecchia, benché non esista piazza al mondo che non si possa godere seduti comodamente al tavolo di un locale…”.
Ora in città soffre il Quadriportico del Sentierone e nel centro piacentiniano sono diverse le insegne, molte storiche come Sacerdote, desolatamente vuote. E’ sfumata l’attrattività del centro degli anni d’oro?
“In realtà alla fine degli anni Settanta, quando decisi di rilevare “Balzer” il Quadriportico del Sentierone era davvero in declino. Il centro si stava spegnendo ed il clima era desolatamente peggiore di quanto non lo sia ora. Tanto che rilevai gran parte dei locali di proprietà dell’Immobiliare Fiera e li subaffittai quasi tutti, anche a Tiziana Fausti, che ha dato un contributo fondamentale al rilancio dell’area. Il centro allora era vuoto, ma “Balzer” era davvero l’attrattiva. Tutta la città passava dal locale storico per fare colazioni, aperitivi per il dopo teatro, per acquistare pasticcini, praline e torte. Avevo settanta dipendenti, il laboratorio non si fermava mai. Il locale era il punto di ritrovo per antonomasia del centro, eppure se chiedevo un allargamento della terrazza nessuno me lo dava, per non parlare dell’affitto che nel giro di due anni mi venne raddoppiato. A Bergamo non si premia l’innovazione e manca la valorizzazione delle imprese che funzionano: non si possono spremere di tasse e basta. Non possono esistere solo obblighi, qualcosa bisogna concedere, specialmente se contribuisce alla vitalità di un’area. All’estero i centri e le attività vengono aiutati a creare quell’atmosfera che, grazie anche a locali e vetrine, rappresenta l’anima di un luogo”.
Quale possibile ricetta per un rilancio del centro?
“Sono le attività commerciali e i pubblici esercizi a fare i centri, non i bar dove che si limitano a fare caffè e cappuccini, gestiti ormai sempre più dai cinesi. Bisogna favorire l’apertura di negozi di un certo tipo: vedo poche insegne in grado di richiamare da sole visitatori, turisti o anche solo curiosi. Viaggio spesso per lavoro, specialmente in Russia, dove trovo che vi siano i negozi e i ristoranti più belli del mondo. Mosca e San Pietroburgo sono città che vivono grazie alla presenza di vetrine luccicanti, ristoranti frequentati. Un Sentierone ben curato non può non essere un asse commerciale attrattivo”.
Da dove crede si debba partire?
“Credo che il centro abbia senz’altro bisogno di una consulenza per l’arredo urbano, ma penso che debba in primo luogo lavorare per sviluppare al meglio una cultura dell’accoglienza. Mi godo la città girando in bicicletta e non posso che riconoscere quanto sia piacevole e anche bella. Eppure manca quel “quid”, quel qualcosa che la renda attrattiva. Si avverte soprattutto la necessità di una maggiore qualità, specialmente nei pubblici esercizi. Non mancano però aree che grazie ai locali, ai dehor e ai tavolini all’aperto sono riuscite ad attrarre gente, come in Piazza Pontida. Eppure sono puntualmente iniziate le polemiche sullo stile dei tavolini, sulle verande… La nostra è una mentalità chiusa: non c’è cultura del turismo e, di fronte alle novità, prevale la logica del “toca negot”. Del resto le stesse amministrazioni hanno contribuito a rendere la città in una certa misura “cupa”.
Come vede l’ipotesi di una grande isola pedonale?
“La chiusura del cuore della città alle auto senza eventi di richiamo non credo possa portare a nulla di buono. Tanto che mi viene da pensare che in questi anni la politica abbia favorito il successo dei grandi centri commerciali che ormai assediano le porte di Bergamo”.
Molti esercenti lamentano affitti alle stelle. Urge una politica di locazioni calmierate?
“Gli affitti del centro sono proibitivi. Sono sempre stati alti, ma ora con la crisi sono diventati insostenibili. Fa male passeggiare e trovare locali vuoti e sfitti, ma è intollerabile vedere zone centrali nell’abbandono: muri scrostati , serramenti divelti… La sensazione è che i proprietari immobiliari preferiscano lasciare i locali vuoti piuttosto che ritoccare i canoni di locazione. Nello stesso Quadriportico le luci sono rimaste quelle d’epoca, non sono stati ridipinti i serramenti e anche le arcate avrebbero bisogno di un tocco di restyling. L’affitto si paga in base all’attrattività dell’area e non può arrivare a determinare addirittura la sopravvivenza di un’attività, perché di affitti e tasse muoiono tante imprese. Spesso però gli stessi negozi non sono al passo coi tempi e non è possibile che i locali abbiano orari così ridotti. La liberalizzazione delle licenze non ha portato certo qualità nei centri storici”.
Quindi è anche colpa dello Stato e delle ondate di liberalizzazioni?
“Non si possono vedere locali dello stesso tipo uno a fianco dell’altro. C’è un turnover altissimo di insegne, di locali e gestioni che certo non contribuiscono a dare identità ad un luogo. Sono spuntati come funghi phone center, kebab ed altre attività che hanno ridisegnato borghi e vie storiche. E’ tutto un grande “mischiotto” che disorienta il visitatore”.
In quali aspetti crede che le nostre attività “non siano al passo coi tempi” come sostiene ?
“Nel resto del mondo i ristoranti e i locali aprono con orario continuato. Quella degli orari credo che sia invece una liberalizzazione positiva. Qui invece si può pranzare solo dalle 12.30 alle 14 e dalle 20 alle 22.30 al massimo. Gli orari dei locali determinano la vitalità di un’area. Se tutto è chiuso e spento la gente ha paura di andare in giro, anche solo a fare due passi. E’ inutile fare aperitivi e colazioni e basta. Bisogna fare in modo che la gente trovi locali in cui darsi appuntamento, in cui ritrovarsi prima e dopo teatro…”.
Bergamo è una città che non fa le ore piccole. Crede sia una città intollerante?
“Ricordo l’esperienza di successo del “Tropico Latino”, della catena che aveva tra i soci Renato Pozzetto, che spopolava in Via Tasso. Ricordo che dovevo chiudere per disperazione alle dieci di sera perché puntualmente iniziavano le chiamate a vigili e polizia dei residenti. Una vera e propria guerra ai decibel che porta come unico risultato ad un centro morto. Mi sembra vada meglio nel borgo storico: Città Alta mi pare decisamente più dinamica di Bergamo Bassa”.