“Buonascuola”? No, grazie. Non mi fido più di nessuno

InsegnanteIo non sono un grosso esperto di politica: ogni volta che ho dato retta ad un politico, anche se era un amico di vecchia data, ho preso sonore fregature. Però, con il mestiere che faccio, sono diventato un discreto esperto di ciarlatani. E vi posso garantire che quel progettone di rinnovamento e di miglioria della scuola italiana che passa sotto il nome di “Buonascuola” è l’evidente prodotto di una ciarlataneria assurta a dimensione ideologica. Perché, purtroppo, la cosa che manca di più a questo Paese, e massime in materia di pubblica istruzione, è il semplice buon senso. Quel buon senso che ci porterebbe a preferire una serena gestione della normalità a proposte da jimmy il fenomeno, in una materia in cui mancano perfino i soldi per comprare i pennarelli. Non entro nello specifico delle proposte, più o meno rimaneggiate a forza di emendamenti, di questa sedicente riforma della scuola: parlerò della sostanza, se me lo permettete, perché di chiacchiere e di teorie la scuola italiana ne ha messe in cascina già a sufficienza. E la sostanza sono le persone: la qualità delle persone, intendo. Perché il mondo della scuola ha una sua prerogativa essenziale: gli entusiasti sono quasi sempre i cialtroni, le mezze calzette, i miracolati da qualche infornata sanatoria. Invece, quelli bravi, quelli seri, quelli anche solo normali, a forza di piattume, di calci nel preterito, di palesi soprusi, hanno perso la voglia: vorrei vedere voi, se vi pagassero allo stesso modo del vostro collega assenteista, fancazzista o del tutto incapace.

Dunque, mi direte, la “Buonascuola” va nella direzione giusta: valutazione dei docenti, meritocrazia e alè hop! Adesso vi spiego come funzionerà, ammesso e non concesso che la leggina entri mai in vigore: funzionerà come la recente legge sui vitalizi. All’apparenza, si tagliano i vitalizi ai condannati: nella realtà, tali e tante sono le eccezioni, che, di fatto, il provvedimento colpirà soltanto i casi più eclatanti o i poveri fessi che non contano nulla. Così andrà per la valutazione: a chi pensate che sarà affidato l’arduo compito di valutare gli insegnanti? Nella migliore delle ipotesi, si valuteranno dei titoli scolastici risibili: una certificazione di uso del computer, un corso di inglese per principianti, tutti organizzati dai soliti sindacati e di nessun reale valore culturale o professionale. Nella peggiore, invece, a valutare saranno gli uomini: gli uomini del ministero, per intenderci.

Avete mai sentito parlare un ispettore del MIUR? Un dirigente, un funzionario di un CSA? La prima impressione, di solito, è di essere al cospetto di creature che appartengano ad un’isoglossa aliena: il primo scoglio, normalmente, è di tipo banalmente denotativo. Qualunque argomento, sia pure il più generale, in bocca a questi signori si trasforma in un’inestricabile accumulazione di tecnicismi insensati, di forme idiomatiche in italian-english e di fumosi concetti didattici. Poi, subentra la sensazione imbarazzante di trovarsi al cospetto di una persona culturalmente svantaggiata: un po’ come quando ti arrivano in casa i Testimoni di Geova ed iniziano a spiegarti la Bibbia, non sapendo che sei laureato in teologia a Tubinga. Insomma, queste figure di riferimento del comparto educativo, il più delle volte sembrano appartenere alla commedia all’italiana e non ad una burocrazia moderna. E, presumibilmente, i dinamici ed acuti esaminatori delle qualità culturali e didattiche del corpo docente nazionale saranno selezionati in questa brillantissima compagine: a meno che si voglia istituire una “task force” di insegnanti d’élite, delle “Stosstruppen” che si dedichino a questa lodevole operazione di selezione dei propri colleghi. Quod deus avertat. Già me le vedo, le truppe cammellate del ministero, coi loro completini di cattivo taglio, con le loro giacchettine striminzite, tutte orgogliose delle proprie vantardigie, che esaminano con sussiego curricula e candidati e poi scrivono sul verbale “innoquo” e “disdicievole”.

Me li vedo, perché li vedo, tutti i giorni, questi aspiranti superprofessori: dei poveracci sottopagati, cui rimane, ormai, soltanto l’alterigia del nobile decaduto, con la sua marsina rattoppata. E sono gli uomini che devono giudicare gli uomini, alla fine. E io di questi uomini, scusate tanto, non mi fido. Come non mi fido di Renzi con la sua lavagnetta e gli errori in streaming. Come non mi fido dei sindacati, che mantengono uno stuolo di distacchi inutili, che ci costano un capitale. Come non mi fido di questa scuola, né buona né cattiva, perché è proprio dalla scuola che parte il nostro disastro educativo e sociale. Dalla scuola degli uomini: non da quella delle parole, che da cinquant’anni è sempre bella e buona e brava, ad ogni farsesca riforma che Dio o chi per lui manda in terra. Sono gli uomini il problema dell’Italia: gli uomini sbagliati nei posti sbagliati. Gli imbroglioni a fare i politici, i cioccolatai a fare i professori. Non è che ci manchi il materiale migliore, è che da noi vige semplicemente la peggiocrazia: e che te ne fai di una buona scuola pensata da pessime persone?

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