Fava:
«La polenta?
Un elemento
culturale
del territorio»

L’assessore regionale al convegno organizzato dall’Associazione Promozione del Territorio. «Anche nella maiscoltura e nella produzione di farine Bergamo esprime un’eccellenza»

Un prodotto che si emancipa, che da povero e di sussistenza per antonomasia diventa alimento gourmet, mescolando tradizione, cultura, esperienza e capacità produttiva. E’ la polenta, oggetto simbolo di un’alimentazione che ricordiamo lontana, legata alle ristrettezze dei tempi di guerra, che invece oggi sempre più assurge al ruolo di “elemento culturale ed economico di un territorio” come ha ricordato lunedì scorso l’assessore regionale all’Agricoltura Gianni Fava, intervenendo al convegno “Polenta bergamasca e dintorni”, organizzato dall’Associazione Promozione del Territorio alla fiera di Bergamo in occasione di Gourmarte.
“Eppure non ci siamo ancora affrancati dalla logica per cui a volte ci si debba trovare quasi in imbarazzo parlando di polenta, quasi fosse un antidoto alla modernità – ha detto Fava, ricordando che nel suo recente viaggio promozionale a Hong Kong “di fronte a un piatto con la polenta il cuoco si era premurato di ricordare che era realizzata con farina bergamasca”.
Esempio di globalizzazione – Torna ancora una volta il tema della promozione. “Prodotti come la polenta – ha detto Fava – vanno ‘promozionati’ lanciando e rilanciando iniziative ed eventi. Del resto, ha ricordato l’assessore, per quanto “simbolo della tradizione” la polenta, e la farina di mais prima di tutto, rappresentano “uno dei primi casi di globalizzazione: pianura padana e provincia bergamasca hanno dovuto attendere la scoperta dell’America perché il mais diventasse parte integrante della nostra terra e della nostra cultura alimentare”.
Ricerca e innovazione per la qualità – Parlare di polenta oggi è tutto fuorché essere fuori moda. Ampiamente rivalutata partendo dalle ricette di tradizione, si declina spesso in piatti prelibati rivisitati da grandi chef che non prescindono dalla qualità nella preparazione dei piatti. “Anche nella maiscoltura e nella produzione di farine Bergamo e il suo territorio esprimono un’eccellenza per i livelli molto alti di qualità garantiti dalle imprese – ha ricordato l’assessore regionale – e per la cura e il rispetto dei valori della tradiziontradizione. Oggi il focus è sul miglioramento delle caratteristiche di qualità e sicurezza alimentare della granella e delle farine. Anche per questo, grazie all’informazione, c’è voglia di fare rete. Strumento giusto per prepararsi ad affrontare il mercato globale”. 


Lotteria
di Natale
per rilanciare
i consumi

Fino al 31 dicembre, nel distretto "Ville e Torri dell'Isola", chi farà acquisiti nei negozi che aderiscono all'iniziativa, verrà omaggiato di un coupon. In palio 2mila euro di buoni spesa

Spendi il Natale nel Distretto. Con questo invito il Distretto del Commercio Ville e Torri dell’Isola lancia sul territorio dei cinque comuni aderenti – Ambivere, Brembate di Sopra, Mapello, Ponte San Pietro e Terno d’Isola – una lotteria mettendo in palio due mila euro in buoni spesa. L’iniziativa, carica di aspettative, prende il via domenica 8 e si conclude martedì 31 dicembre coinvolgendo oltre 120 attività.
Nell’arco del mese, chi decide di fare acquisti nei negozi aderenti all’iniziativa, viene omaggiato di un coupon che gli permette di vincere uno dei 25 premi messi in palio: 1° premio 500 euro (10 buoni da 50 euro), 2° premio 250 euro (5 buoni da 50 euro), 3° premio 150 euro (3 da 50 euro), dal 4° premio al 25° premio 1 buono da 50 euro ciascuno. I vincitori hanno la possibilità di utilizzare i buoni nei negozi del Distretto entro il 31 marzo 2014. Per parteciparvi è sufficiente compilare i coupon e imbucarli nelle urne presenti in ogni negozio aderente.
L’idea che sostiene l’iniziativa è duplice: da un lato far riscoprire alla clientela i negozi di vicinato e dall’altro supportare i consumatori in un periodo di sentita difficoltà economica.
Il Distretto del Commercio Ville e Torri dell’Isola, sempre in un’ottica di promozione e valorizzazione del commercio locale, ha in essere e in programmazione una serie di iniziative. Prima fra tutte la Carta Fedeltà, attiva da pochi mesi ma che ha già raccolto le adesioni di 52 negozi in cui è possibile raccogliere punti e usufruire di una molteplicità di sconti e promozioni.
In arrivo anche la creazione di un vero e proprio sito internet (oggi il Distretto dispone di un blog all’indirizzo http://didvilletorri.wordpress.com). La sezione più innovativa sarà quella dedicata alla promozione delle attività commerciali attraverso la creazione di “vetrine online”, per mezzo delle quali gli operatori commerciali potranno fare conoscere la propria attività e la propria offerta su piattaforma virtuale. Al fine di portare a compimento la creazione del portale del Distretto, verrà sviluppata anche una App che permetterà la segnalazione diretta su smartphone e tablet delle vetrine, dei prodotti in promozione, dei servizi e degli eventi del Distretto, nonché le promozioni e le iniziative dei singoli commercianti.
Il Distretto ha in programma anche una serie di progetti orientati sempre a offrire supporto alle attività commerciali, tra le quali alcune iniziative volte specificatamente alla riduzione delle spese di acquisto dei servizi generali sostenuti dalle attività commerciali, attraverso un servizio di consulenza personalizzato per diminuire le spese legate ad utenze come acqua, gas, telefonia,elettricità. Ma obiettivo è anche quello di arrivare a una maggiore semplificazione e uniformazione delle procedure e dei regolamenti comunali, in modo tale da rendere più agevoli i rapporti burocratici tra imprese e Pubbliche Amministrazioni, attraverso la riduzione delle numerose procedure e degli strumenti di comunicazione richiesti, semplificando i regolamenti comunali, le pratiche autorizzative e di comunicazione con la Pubblica Amministrazione.


“Francesco”,
da un giornalista
bergamasco
la biografia
illustrata del Papa

Curata da Roberto Alborghetti, l’opera edita da Velar ricostruisce la vita e la testimonianza di Jorge Mario Bergoglio

Oltre 550mila battute di testo, quattordici capitoli, 340 fotografie: questi i numeri che definiscono la prima grande biografia illustrata dedicata a Papa Jorge Mario Bergoglio, il 266° Pontefice della storia, il primo ad assumere il nome di Francesco, il primo Papa sudamericano, il primo Papa appartenente alla Compagnia di Gesù.
“Francesco” (Editrice Velar) – scritto da Roberto Alborghetti, giornalista professionista bergamasco ed autore di saggi e biografie – ci aiuta a conoscere un “figlio di emigranti” diventato pastore della Chiesa universale. E lo fa andando “oltre gli istant books” e scavando in profondità nella documentazione storica a partire dalle notizie sulla famiglia di origine, della quale vengono ricostruiti momenti riguardanti anche l’emigrazione dall’Italia all’Argentina, precisando date, tempi e modalità. L’opera definisce i passaggi fondamentali dell’infanzia del futuro Papa Francesco, a partire dalle circostanze legate al suo battesimo (momento fondamentale, ignorato dai testi finora usciti) fino ai progressivi stadi del percorso scolastico.
Sempre sulla base di testimonianze e documenti, racconta anche l’episodio legato alla malattia polmonare del giovane Jorge Mario, alla sua vocazione religiosa, sullo sfondo degli scenari storici e sociali dell’Argentina degli anni Quaranta e Cinquanta. “Francesco” si addentra anche negli elementi distintivi della formazione culturale del futuro Papa Francesco, i suoi rapporti con il mondo dei pensatori e dei saggisti latinoamericani (Methol Ferrè, Gera, Scannone) che vanno disegnando nuove prospettive del Continente sudamericano, anche in relazione alla stessa azione della Chiesa.
Sempre contestualizzate da dati e notizie relative all’evoluzione storico-sociale dei vari periodi, testimonianze inedite contribuiscono a raccontare gli anni di padre Jorge Mario Bergoglio alla guida dei Gesuiti in Argentina, le sue intuizioni pastorali, il ruolo avuto nel salvare vite umane durante il periodo buio della dittatura militare (1976-1983), le sue esperienze come rettore presso il Collegio Massimo a San Miguel, l’opera di evangelizzazione e di promozione umana nei barrios, tra i poveri e le emergenze di Buenos Aires, la guida dell’episcopato Latinoamericano, la condivisione delle difficoltà della popolazione negli anni della grave crisi economica che colpì l’Argentina all’inizio degli anni Duemila.
Discorsi, omelie ed interventi pronunciati dall’arcivescovo Bergoglio durante il suo ministero episcopale occupano un singolare spazio tra le pagine di “Francesco” accompagnando il lettore alla scoperta della personalità del futuro Papa, le sue giornate all’insegna della sobrietà e della semplicità, la sua “pastorale della strada” vissuta sempre ed instancabilmente dalla parte della gente.
Gli ultimi tre capitoli sono dedicati ai mesi iniziali del pontificato, alle prime scelte del magistero e ai viaggi apostolici (Lampedusa, Rio de Janeiro, Cagliari, Assisi) dai quali emerge la grande passione di Francesco: “Annunciare Cristo a questo nostro mondo” e rimettere il cammino della Chiesa nel solco del Vangelo, dalla parte dei poveri, come presenza viva e sale dell’umanità, nella scia della testimonianza di San Francesco d’Assisi, del quale il Papa porta il nome. Il volume – aperto dalla prefazione del cardinale Giovanni Battista Re – presenta un eccezionale apparato fotografico, con immagini inedite, è di grande formato (23×29,5) e costituisce sicuramente un motivo di vanto e di orgoglio dell’editoria bergamasca. L’opera è presentata in due formati, uno dei quali (cofanetto + due volumi) ha la finalità di sostenere i progetti di cura e di riabilitazione dei disabili gravi dell’Istituto Serafico di Assisi.   


Shadow Line, il “qui e adesso”
del mondo artistico cittadino 

Molto più che un quadro. Un’opera di quello che può essere definito uno studio, con prospettiva sociologica, dell’ambiente artistico cittadino: è Shadow Line, che per i prossimi sei mesi resterà esposta nell’atrio del Centro Congressi XXIII e che porta la firma di Ferrario Frères, il nome del collettivo dove, dal 1995, con grande “fluidità” confluiscono varie personalità artistiche, in particolare bergamasche e milanesi. La produzione artistica del gruppo è intensa e segue un filo che ha iniziato a dipanarsi con l’ideazione di Atelier, un trittico in cui viene ripreso lo spunto di Courbet sulla rappresentazione dell’artista circondato dalle figure che ne hanno e ne influenzano tuttora la vita quotidiana e la vita estetica. Un filone che non si è esaurito, con una successione di opere legate fra loro da un nesso di casualità analogica e da spunti che emersi nel corso di un lavoro finiscono per generare quello successivo. Come nel caso di Shadow Line, appunto, dove sono raggruppati protagonisti, collezionisti, critici, curatori e artisti tutti bergamaschi, a cui si aggiunge una parte degli artisti delle precedenti generazioni che hanno lavorato a partire dagli anni 60. In questa opera nello spazio centrale si trovano gli artisti di precedente generazione, alla loro destra, appoggiata alla parete, l’opera Livesandworks, nella parte sinistra dell’opera in luce attenuata e riflessi in uno specchio ci sono collezionisti, critici e curatori. L’artista, Ferdinando Ferrario, è rappresentato all’esterno dello studio, in un parco mentre dipinge “en plein air” la sua modella preferita.
L’opera è idealmente divisa in quattro spazi che coincidono con altrettanti ambiti di frequentazione, di carriera e di sodalizio: ognuno di questi ambiti presenta una linea di confine, una linea d’ombra.
Questa è la quinta opera in forma di “Tableau” che avete creato dalla primavera del 2013. Come si colloca questa nuova opera esposta al Centro congressi di Bergamo nel panorama della vostra produzione?
“E’ l’ultima della serie iniziata a maggio del 2013, indaga i diversi aspetti dell’ambiente artistico di Bergamo in questi anni, in poche parole un “qui e adesso” dell’arte in città”.
Si tratta, infine, di ritratti di persone che fanno parte del mondo dell’arte cittadino: critici, galleristi, collezionisti, curatori , amministratori. Un modo per imbonirseli?
“In effetti l’operazione dà adito a margini di ambiguità. Essendo i personaggi ritratti elementi del sistema dell’arte del nostro territorio è chiaro che si autorappresentano nei loro ruoli e quindi la rete di relazioni sociali si ripropone e continua anche nell’opera. La loro è però stata una partecipazione attiva e gli si è chiesto di essere se stessi nel momento in cui venivano fotografati, mantenendo un certo distacco nel testimoniare la loro presenza”.
Quindi un modo anche per intessere relazioni che altrimenti non avrebbero potuto aver luogo.
“Parlavamo prima di ambiguità, è chiaro che il contatto con le persone, e a monte la scelta delle stesse, sono azioni che possono essere travisate: contattare una persona può portare la stessa a pensare che lo scopo è meno nobile di quello prospettato o scegliere chi deve apparire può essere una forma di censura verso coloro che non appaiono e lo meriterebbero. Tutto questo è parte integrante dell’operazione artistica che ha come elemento di maggiore visibilità l’opera da esporre, ma che si fonda sulle evidenziazione delle dinamiche del sistema dell’arte. Possiamo definirlo un grande happening in differita in cui ognuno dei partecipanti ha recitato se stesso e che è stato documentato da un totale di cinque opere con dimensioni medie di circa 1,3 x 3 metri”.
Allora dobbiamo pensare che una gran mole di lavoro, parte integrante dell’opera, non si vede e deve aver richiesto un buon dispendio di tempo ed energia.
“Il lavoro prevedeva una cernita iniziale degli esponenti delle diverse categorie del sistema dell’arte. La scelta dei personaggi ha subìto quindi modalità di scelta con criteri di tipo prevalentemente biografico e di opportunità. Ciò significa che alcune persone sono state scelte in quanto rappresentative di cariche istituzionali di tipo culturale, altre perché facenti parte della biografia del gruppo e altri ancora derivano dalla risposta del contesto. Dopo questa fase sono iniziati i contatti per richiedere la disponibilità, per spiegare le finalità e le modalità della partecipazione all’opera e infine l’esecuzione dei ritratti. A seconda dell’opera il ritratto è stato eseguito contemporaneamente per i singoli personaggi o in tempi diversi. Alla fine ogni partecipante è stato intervistato, proprio per sottolineare l’aspetto sociologico dell’operazione,e queste interviste saranno parte integrante di un catalogo futuro. E’ chiaro che il punto critico è stata la comunicazione delle motivazioni e degli obiettivi di queste opere. E qui le dinamiche delle relazioni fra l’artista e le altre figure del sistema dell’arte si sono evidenziate. Il risultato è stato quello di definire sinergie, affinità e, a volte, attriti che hanno modificato l’opera nel suo divenire”.
Un ottimo modo per promuoversi….
“L’equivoco fondamentale nel mondo dell’ arte è pensare che l’arte sia totalmente svincolata dalle dinamiche sociali ed economiche, per cui dire che devo contattare il tal gallerista o il tal curatore per farmi conoscere diventa qualcosa di scorretto. Oppure promuovere la vendita di un’opera diventa la mercificazione di un oggetto che dovrebbe rimanere ideale e puro. Questo lavoro composto da diverse opere invece ha voluto mettere in chiaro che queste dinamiche esistono, sono rappresentazione del sistema dell’arte e che il nostro tempo sta raffinando sempre più questi strumenti del sistema dell’arte. Dall’opera d’arte come merce si sta passando all’artista come merce”.
Il vostro parallelo è quindi mondo finanziario e sistema artistico. Mi può parlare delle analogie?
“Come per la finanza si vedono nel sistema dell’arte dei cambiamenti che si sono introdotti a partire dagli anni Novanta. E questi cambiamenti hanno accentuato la proletarizzazione di coloro che operano ai livelli bassi e le disponibilità di quelli che operano ai più alti livelli. Come nell’economia reale si dice che la forbice si è allargata. Nell’arte il mercato di primo livello diventerà sempre meno attivo a vantaggio di quello di secondo livello fatto di aste e di fiere. In questo modo gli artisti si vedranno costretti ad abbandonare i galleristi e ad affidarsi ai network che , secondo meccanismi propri, li lanceranno in aste on line per collezionisti che ristrutturano o ampliano la loro collezione. Con altre modalità verranno anche immessi nel circuito delle aste tradizionali oppure apriranno loro la possibilità di divenire oggetto di scambio fra gallerie e collezionisti in occasione delle fiere più importanti”.
Questa è una constatazione oggettiva. Cosa pensate di questi cambiamenti come artisti?
“Nella storia delle civiltà il sistema dell’arte ha subito continui cambiamenti. Dai committenti si è passati ai collezionisti e alle aste e l’artista è passato da artigiano passando per domestico a genio assoluto. E’ innegabile che i processi della società attuale siano molto veloci, non si ha più tempo di crescere col proprio lavoro: si arriva, in pochissimi casi, al traguardo immediatamente e poi si deve mantenere la posizione, pena il rapido oblìo. Invece, questo, per la maggior parte degli artisti diventa meta irraggiungibile. Come nel cinema abbiamo la star e nella musica la rockstar , così nell’arte è arrivato l’artista superstar. Mete desiderate da molti. Questo perché, in ognuno di questi ambiti, lo status di merce si è trasferito dall’oggetto al produttore. Malgrado ciò la nota positiva è che qualunque sia la posizione sociale raggiunta dall’artista esso deve mantenere sempre alta la qualità del proprio lavoro”.
Allora l’artista è diventato un prodotto finanziario?
“La cosa sicura è che il mercato si muove per una buona parte sulla creazione di attese verso le opere degli artisti e che prescindendo dalla qualità la loro desiderabilità si fonda su un mix di informazione, di passaggi di proprietà e di collocazioni ad hoc ben orchestrato. Per il sistema bisogna che il collezionista si muova, e lo può fare per affezione all’artista e alla sua opera, per investimento finanziario e, infine, per acquisire uno status sociale”.
E il vostro rapporto con i collezionisti ne ha guadagnato alla luce di questo lavoro?
“Indubbiamente con loro ci siamo misurati. Da parte degli artisti si tende a confondere collezionista e committente, mentre i collezionisti ti guardano secondo gli strumenti di stima dell’attuale mercato dell’arte. Vali per quanto il sistema ti riconosce. Certo un rapporto diretto basato sul riconoscimento del lavoro è quello che un artista auspica sempre”.
Tornando a questa ultima opera, ricorda “Scènes de la vie de province”, un centinaio di personaggi dislocati tra un interno e un esterno.
“Nella scena sono presenti artisti che hanno lavorato in prevalenza in questo inizio secolo, artisti che hanno lavorato sul finire del secolo appena passato e che continuano tutt’oggi, poi sono presenti curatori, critici amministratori, collezionisti e qualcun altro”.
Si notano anche due mise en abyme: una dei personaggi nel quadro di sinistra e l’ altra a destra nello specchio.
“Si in un caso è una citazione della quarta opera di questa ricerca e nell’altro abbiamo un riferimento alle prime tre opere trasposto in uno specchio. Nel primo caso abbiamo un gruppo di giovani artisti con i curatori e i collaboratori del Baco mentre nel secondo abbiamo collezionisti e curatori”.
E il fatto che questi siano riflessi nello specchio ha una qualche connotazione…insomma lo specchio e la vanitas…
“Nel mondo dell’arte , come negli altri mondi, ognuno propone se stesso: il curatore attraverso il suo museo, il collezionista attraverso la sua collezione , il critici attraverso le proprie visioni…”
E l’artista si propone en plein air …
“Fa parte del gioco. Questo lavoro si fonda sull’evidenza dei meccanismi del sistema, evidenti a tal punto da coincidere con gli elementi della rappresentazione”.


Treviglio, la stalla robotizzata
dove le mucche si “autogestiscono”

Il futuro è entrato in una stalla di Treviglio. Spetta alla Società agricola dei fratelli Assanelli, situata in via San Michele, il primato di azienda bergamasca più all'avanguardia. I sistemi di mungitura in continua evoluzione trovano qui la loro massima espressione. A compiere ogni azione è un robot di ultima generazione implementato da sistemi in grado di rilevare qualunque informazione sulle bovine.
L'aspetto è quello di una navicella con le braccia simili alle proboscidi degli elefanti e dotati di sensori laser in grado di identificare le mammelle dell'animale. Non a caso si chiama Lely astronaut A3 next e a produrlo è una ditta olandese. «Sono le vacche a recarsi dalla macchina quando ne sentono l'esigenza, anche più volte al giorno perché è sempre in funzione – spiega Simone, titolare dell'azienda insieme ai fratelli Cristoforo e Mattia -. La media è di 130 mungiture in ventiquattrore, 26 litri al giorno per animale, dunque 15 quintali, ma conto di arrivare a 20». Una volta entrata la mucca nel box, le mammelle vengono pulite e “agganciate” in modo veloce e delicato. Ma non succede a tutti gli animali. «Ognuno è dotato di un collare con un transponder, una sorta di microchip contenente tutte le informazioni, che viene letto mediante gli infrarossi – prosegue l'allevatore -. Se la bestia non deve essere munta, viene respinta fuori. Al contrario, riceverà il mangime come premio».
Sono 130 i capi presenti nell'azienda, di questi 56 sono vacche in lattazione, nutrite con il fieno, proprio secondo la migliore tradizione contadina. La nuova gravidanza comincia cento giorni dopo il parto, in modo da mantenere costante la produzione di latte che sarebbe destinato ai vitellini. L'allevatore mostra il monitor collegato al robot: «È tutto programmato – illustra -. C'è perfino il grafico giornaliero per ogni singolo capo sulla produzione quotidiana, le informazioni su alimentazione, attività fisica, si può sapere anche quante volte ha ruminato. Sono segnalate le vacche che non stanno bene, che soffrono di mastite o quelle in ritardo nel conferire il latte». L'azienda, costruita nel 1823, rappresenta un pezzo di storia agricola nel cuore della Bassa. Il padre dei tre fratelli, il signor Carlo, ricorda bene le fasi della mungitura a mano. «A me è successo poche volte di mungere, lo faceva mio padre Silvio, seduto sullo sgabellino con un unico piede centrale e in montagna c'è chi lo fa ancora, ma trovo giusto seguire il progresso – è il suo parere -. Il bovino è tranquillo perché ci si prende cura di lui. Oggi anche di più». I diversi metodi di allevamento impongono anche rapporti diversi tra uomo e animale. «Il contatto riamane sempre forte, grazie ad alcuni accorgimenti, dal parlare adagio all'accarezzare la mucca, un legame che è alla base della produttività – prosegue il capofamiglia -. E poi oggi, grazie all'anagrafe bovina, una vera carta d'identità, gli animali non sono mai stati più seguiti e controllati».
Il benessere sta anche nella libertà. «Una volta le bestie erano costrette a farsi mungere a orari prestabiliti dall'allevatore, oggi sono loro a deciderlo, mangiano quando ne sentono il bisogno, vanno a farsi spazzolare da sole. In una parola, si autogestiscono», spiega Simone mostrando le due stalle da seimila metri quadri. I vantaggi di questa scelta strutturale e gestionale sono rilevanti anche per la qualità del latte che l'azienda Assanelli vende all'industria e, in quantità ridotte, fornisce alla spina dal distributore sempre in funzione in via Terni, a Treviglio. «Il latte deve essere toccato dall'uomo il meno possibile – spiega Simone -. Il robot lo esamina e basta una piccola anomalia perché non sia conforme e venga scartato automaticamente, quello di prima qualità passa direttamente nel vaso, poi nel filtro e nelle cisterna frigo che funziona grazie a un sistema di pannelli fotovoltaici di cui è dotata la cascina». Ma il robot è in grado di fornire informazioni anche su conducibilità, colorimetria, caratteristiche cellulari. Prima della mungitura robotizzata c'è stato anche il sistema meccanico a secchio. È progettato per l'estrazione del latte sfruttando il vuoto d'aria. Gli aspiratori della macchina sono applicati sui capezzoli dopodiché, alternando il vuoto alla normale pressione dell'aria, raccolgono il latte senza danneggiare le mammelle. «È una tecnica adatta ad allevamenti di piccole dimensioni, lo svantaggio è il numero di vacche munte all'ora che rimane basso», afferma il produttore. C'è anche il lattodotto, meno faticoso, per l'applicazione di sistemi automatici di fissaggio. Si tratta comunque di operazioni dai tempi piuttosto lunghi. Meglio investire. Il costo di un robot per la mungitura si aggira sui 125mila euro. Meno del prezzo di una moderna vecchia sala da mungitura. «E aiuta gli allevatori a vivere meglio e a mantenere l'occhio vigile sulla loro mandria», conclude l'agricoltore trevigliese.


Gli albergatori Ascom
scrivono a Booking, «sul sito
anche strutture fuori norma»   

Il Gruppo Albergatori Ascom ha inviato tramite il suo legale a  Booking.com una lettera per segnalare la pubblicizzazione sul portale di prenotazione on-line di strutture ricettive che non rispettano i requisiti di legge e che utilizzano il sito con pubblicità illecita e ingannevole. Se il turismo “viaggia” sempre più in rete, un accurato “controllo” delle strutture presenti sul web ha infatti riservato più di una sorpresa ed è così scattata la prima azione da parte degli hotel bergamaschi. I risultati del lavoro di monitoraggio effettuato dal Gruppo Albergatori Ascom hanno evidenziato alcuni casi di strutture ricettive che non rispettano né i requisiti né i presupposti sanciti dalla legge regionale. L’articolo 45 della Legge Regionale della Lombardia del 16 luglio 2007 definisce infatti il servizio di ospitalità turistica bed and breakfast come “un’ attività di carattere saltuario svolta da privati che utilizzano parte della loro abitazione di residenza per offrire un servizio a conduzione familiare di alloggio e prima colazione, rispettando il limite massimo di 12 posti letto e non più di 4  stanze”. In barba alla legge, diverse strutture ricettive extralberghiere presenti nel territorio, con una concentrazione particolarmente rilevante in città, dichiarano apertamente su Booking di poter offrire anche 15 stanze o camere ubicate in edifici diversi. I casi raccolti in un dossier dagli albergatori sono i più disparati. Le strutture – in particolar modo bed and breakfast – promuovono la loro offerta sul web in modi non coerenti rispetto all’autorizzazione ottenuta e le recensioni pubblicate dagli utenti gettano ulteriori dubbi sulla gestione di altri aspetti, a partire dalla somministrazione di alimenti. Di fronte a lampanti esempi di concorrenza sleale e al dilagare di strutture “fuorilegge” a seguito del continuo sviluppo dello scalo bergamasco, il Gruppo Albergatori Ascom ha incaricato un legale per segnalare al provider specializzato nel servizio di prenotazioni on line, le principali ed evidenti violazioni pubblicate sul sito cui possono accedere turisti da ogni angolo del mondo. Gli albergatori Ascom sostengono come l’attività di controllo e gestione del legale utilizzo del servizio di prenotazione on-line rientri negli oneri che la società  proprietaria del sito web è tenuta a rispettare. Gli albergatori – sottolineano nella lettera a firma del legale dell’Associazione inviata nei giorni scorsi a Booking – evidenziano come, in difetto di utilizzo legale  del servizio di prenotazioni, la società che offre e fornisce il servizio si renda partecipe di tale illegalità, che lede tutte le imprese in regola tramite una concorrenza sleale e per di più completamente fuori da ogni regola.


Rodeschini “adotta
i talenti” dell’Università

Piero Rodeschini, primo da destra, con i fratelli in una fotografia della fine degli anni Quaranta

Il prossimo 24 dicembre Piero Rodeschini, fondatore della Figli di Pietro Rodeschini Spa, avrebbe compiuto cento anni. Al compleanno non ci sarà – è scomparso troppo presto, a 53 anni nel 1967 – ma sarà comunque un evento. Il figlio Ivan, presidente della storica azienda di Gorle, impegnata sul duplice versante del commercio all’ingrosso di casalinghi e giocattoli e nel settore del riscaldamento e del risparmio energetico, ha infatti deciso di sottolineare l’anniversario istituendo, a titolo personale, quattro contributi per altrettanti studenti della facoltà di Economia dell’Università di Bergamo. La cerimonia si terrà lunedì 23 dicembre, alle 15 nella sala Consiglio del Rettorato, e sarà l’occasione non solo per ricordare la figura dell’imprenditore, ma anche per tenere viva con un gesto concreto la sua visione.
«Mio padre – ricorda Ivan Rodeschini – ha sempre considerato fondamentale la conoscenza e la formazione personale ed aveva una mentalità molto aperta sull’argomento, al punto che quando, nel ‘58, vinsi una borsa di studio per un anno negli Stati Uniti mi appoggiò con entusiasmo, convinto della necessità di ampliare il più possibile lo sguardo sul mondo. Ora viviamo altri tempi ma il sapere e l’istruzione continuano a rappresentare il vero patrimonio di una persona e di un territorio, per questo abbiamo pensato di sostenere, in suo nome, alcuni studenti della nostra Università».
L’iniziativa, ancor più preziosa considerando le difficoltà del momento economico e dei giovani soprattutto, si realizza nel quadro di “Adotta il talento”, programma dell’ateneo cittadino che permette a privati, aziende e istituzioni di supportare studenti meritevoli oppure specifici progetti scientifici. «Con il nostro contributo – spiega Rodeschini – andremo a coprire, in particolare, le tasse di iscrizione di quattro studenti di Economia, il campo più vicino all’attività e alle inclinazioni di mio padre, grande uomo di marketing, si direbbe oggi, per le sue intuizioni capaci di migliorare prodotti e servizi. Ad esempio, fu lui a suggerire ai produttori di creare una riserva per le bombole a gas, per evitare che le famiglie rimanessero senza combustibile proprio “quando la polenta era sul fuoco”. Anche quando venne a trovarmi negli Stati Uniti se ne tornò con qualche buona idea».
Bastano, del resto, pochi cenni della biografia di Piero Rodeschini per confermare come coraggio e intraprendenza facessero parte del suo Dna. Nato a Valtesse (che allora faceva Comune a sé) da una famiglia originaria della Valle Imagna, primo di sette fratelli ed erede del nome del padre, si è ritrovato nel giro di un anno, dal ’34 al ’35, orfano di entrambi i genitori ed unico componente maggiorenne della stirpe. Non era però la capacità di darsi da fare che gli mancava visto che da quando aveva otto anni (ne è testimone un riconoscimento assegnato nel ’21 al mercato di San Giovanni Bianco) aiutava i genitori, ambulanti di casalinghi, ferramenta e manufatti in legno “made” in Valle Imagna. Nel 1935 nasce quindi la Figli di Pietro Rodeschini, che in seguito vedrà spartirsi le attività, con Piero e il fratello Antonio a porre le basi di quell’ingrosso che ancora oggi è una realtà aperta sul mondo e in costante evoluzione.
«Il centenario della nascita ha fornito lo spunto per l’istituzione delle borse di studio, ma l’obiettivo è dare continuità all’iniziativa», assicura Ivan Rodeschini.


Altromercato, un bergamasco al vertice

Mamma di Serina, papà di Zogno, si definisce un “montanaro”, anche se le scelte di studio, vita e lavoro lo hanno ben presto portato in giro per il mondo. Vittorio Rinaldi, 51 anni, antropologo, docente universitario, residenza (tra un viaggio e l’altro) a Ponteranica, è un esperto nel campo della lotta alla povertà, nello studio delle carestie e dei fattori di crisi e resilienza delle società contadine contemporanee, temi ai quali ha dedicato anche il volume “Anatomia della Fame”. È stato impegnato in programmi di aiuto allo sviluppo e cooperazione internazionale realizzati in vari Paesi – tra cui Nicaragua, Filippine, Somalia, Vietnam e Perù – ed è dirigente di associazioni e cooperative sociali che in Italia si occupano del reinserimento di soggetti svantaggiati. Oggi è anche il presidente di Altromercato, la maggiore organizzazione del commercio equo e solidale in Italia, di cui era già vicepresidente.
Ha passato lunghi periodi all’estero in contesti di forte difficoltà economica e sociale. Che cosa l’ha spinta e cosa ha “imparato” da queste esperienze?
«Mi ha condotto la curiosità di conoscere il modo di vivere di altre genti e come stava cambiando il pianeta, così ho colto alcune opportunità che mi si sono presentate. Nelle scelte giovanili hanno influito anche la mia cultura cattolica e i valori del mondo missionario, poi la direzione è un po’ cambiata. Tra le cose principali che ho imparato, soprattutto in riferimento al ruolo che oggi ho di presidente di Altromercato, è che più che impostare relazioni semplicemente sul concetto del dono o dell’assistenza è importante la valorizzazione del rapporto attraverso il lavoro, stabilire accordi di impegno reciproco, che è poi la filosofia del commercio equo: non si regala niente ma riconoscendo un compenso maggiore ai lavoratori si dà valore e dignità a ciò fanno. Mentre l’approccio assistenziale può creare dipendenza e disabituare all’assunzione di responsabilità».
Il Consorzio Altromercato compie quest’anno 25 anni, cos’è cambiato dagli esordi a oggi?
«La grande differenza, oltre alla crescita dei volumi delle vendite, è che 25 anni fa bisognava spiegare il senso dell’operazione, oggi “commercio equo” è un termine entrato del linguaggio comune e nella consapevolezza delle persone, il che è di certo una bella conquista. Nel frattempo è però radicalmente cambiato il mondo. E se prima l’importatore era l’Europa e i produttori da aiutare quelli dei Paesi del terzo mondo, oggi produttori deboli e poveri sono anche i nostri vicini di casa. La sfida per i prossimi anni di Altromercato è proprio questa, stringere rapporti anche con i produttori agricoli del nostro Paese».
C’è già qualche iniziativa in questa direzione?
«Abbiamo creato il marchio Solidale Italiano con il quale vengono commercializzati i prodotti delle terre confiscate alla mafia e quelli realizzati nelle carceri, ma si tratta ancora di operazioni limitate. L’obiettivo è un intervento di maggiore portata nei confronti dell’agricoltura “sofferente”, penso ad esempio a quella degli Appennini, delle Valli alpine abbandonate e naturalmente del Sud».
Avete avuto modo di verificare gli effetti del commercio equo sui produttori e i territori in cui si realizza?
«Più che dati complessivi, sono stati approfonditi singoli casi. Ebbene, da questi risulta che. più che il prezzo equo, ha un impatto importante l’assistenza tecnica fornita, perché rafforza le capacità di organizzarsi, amministrarsi, vendere, dando così l’opportunità di muoversi anche su altri mercati, ad esempio quello locale».
Quali possibilità ha oggi il consumatore di sapere con certezza se un prodotto rispetta i diritti dei lavoratori e dell’ambiente?
«I sistemi sono due. Altromercato attua un controllo diretto sui propri fornitori con persone in loco, esistono poi società di certificazione che non si occupano dell’importazione, ma verificano il rispetto dei criteri del commercio equo da parte dei produttori ed anche queste hanno un buon grado di credibilità. Al di fuori di queste due strade non ci sono certezze. È vero che l’attenzione alla responsabilità sociale è cresciuta da parte di tutti, aziende comprese, resta però difficile conoscere effettivamente cosa c’è dietro un prodotto».
Quali tra i prodotti che portiamo comunemente in tavola nascondono un grave sfruttamento?
«La filiera tradizionale del cioccolato che parte dal cacao dell’Africa e le banane del Centro America. Sono situazioni inimmaginabili, dove è impossibile trovare una qualsiasi forma di tutela dei lavoratori».
La crisi ha colpito anche le vendite “eque e solidali”?
«Decisamente, i problemi del portafoglio si fanno sentire su tutto il commercio ed il nostro settore non è stato immune. Possiamo parlare complessivamente di un calo di oltre il 10% nell’ultimo anno. Stiamo però pensando, compatibilmente con le risorse disponibili, ad un rilancio della rete dei punti vendita, con l’apertura di nuovi spazi e il miglioramento di quelli esistenti attraverso una diversa impostazione».
Cosa pensa del chilometro zero? È un criterio sufficiente per la scelta?
«È un’utile provocazione per riflettere sull’importanza delle produzioni locali e della stagionalità, anche se letteralmente è un concetto impraticabile, perché se dovessimo consumare solo ciò che cresce nell’arco di un chilometro moriremmo tutti di fame. E poi non è detto che un prodotto vicino sia per forza buono e giusto, anche se l’attenzione a quanto “viaggia”, ripeto, è importante».
I vostri non sono proprio prodotti vicini…
«Oggi quasi tutte le merci vengono da lontano, non si può fare diversamente, nessun Paese produce tutto ciò di cui ha bisogno».
C’è un prodotto che può essere preso a simbolo della filosofia di Altromercato?
«Direi la quinoa (un pianta della famiglia degli spinaci, i cui semi si utilizzano in alternativa ai cereali ndr.), il cui valore è stato sottolineato anche dall’Onu che ha dichiarato il 2013 Anno internazionale della quinoa. È un alimento buono e dalle importanti proprietà nutrizionali ed è prodotto da popolazioni molto povere sulle Ande, a 4mila metri di altitudine. In più è qualcosa che prima non c’era nei nostri mercati, che abbiamo contribuito a diffondere. Il commercio equo è anche l’occasione per incontrare una diversa cultura alimentare, sperimentare nuovi piatti e aprire gli orizzonti».
La sostenibilità del cibo sarà al centro dell’Expo…
«La scelta di questo tema è senz’altro positiva e interessante. È un invito aperto a riflettere sul fatto che il cibo non sarà più qualcosa di scontato e a buon mercato, come tutti oggi siamo abituati a pensare. Già ora le tensioni sono molto forti, dal 2005, ad esempio, i prezzi su scala mondiale stanno aumentando e fenomeni speculativi, sviluppo dei biocarburanti e land grabbing (ossia l’acquisizione di vaste estensioni agricole in Paesi in via di sviluppo da parte di altri Stati o grandi compagnie) non faranno che portare ulteriori aumenti nei prossimi decenni. Expo è perciò una buona occasione per portare alla luce questi aspetti. Non a caso, da parte nostra, organizzeremo proprio a Milano nel 2015 la Settimana mondiale del commercio equo, riunendo le diverse organizzazioni che se ne occupano».
Ha un suggerimento da dare a chi è perennemente indeciso sui regali di Natale?
«Un oggetto di artigianato. Gli artigiani sono i produttori più poveri di tutto il mondo e con la crisi il genere ha subito un crollo netto, molto più dell’alimentare».


Da gennaio “Pos” obbligatorio
«Grave la mancata regolamentazione»

di Laura Bernardi Locatelli

Il decreto legge 18 ottobre 2012, numero 179 (Sviluppo bis) stabilisce all'articolo 15, comma 4, che a decorrere dal 1° gennaio 2014 i soggetti che effettuano l'attività di vendita di prodotti e di prestazione di servizi, anche professionali, sono tenuti ad accettare i pagamenti effettuati attraverso carte di debito. Inoltre, il comma 5 dello stesso articolo prevede che "con uno o più decreti del Ministro dello Sviluppo Economico di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, sentita la Banca d'Italia, vengano disciplinati gli eventuali importi minimi, le modalità ed i termini, anche in relazione ai soggetti interessati. Con gli stessi decreti ministeriali potrà essere disposta l'estensione degli obblighi ad ulteriori strumenti di pagamento elettronici, anche con tecnologie mobili". Allo stato, tali decreti non sono ancora stati emanati ma si ritiene, che pur in loro assenza, l'obbligo decorra dal prossimo 1° gennaio: “L'assenza di specifiche sanzioni non esonera comunque in alcun modo i destinatari dagli obblighi previsti – spiega Ernesto Ghidinelli, responsabile del settore credito e incentivi Confcommercio -. Si segnala che, riguardo alla mancata emanazione delle disposizioni attuative, abbiamo intrapreso un'azione presso i Ministri competenti. In particolare, sono state evidenziate forti preoccupazioni rispetto ad ipotesi di coinvolgimento generalizzato di tutti gli operatori economici in un contesto in cui il costo della moneta elettronica, specie per i piccoli operatori, continua a permanere elevato”.
Si è altresì sottolineata l'importanza di assumere, con urgenza, iniziative coerenti con la necessità di assicurare alla vasta platea degli operatori interessati un quadro di riferimento certo e tempi di attuazione che, allo stato, non risultano essere quelli previsti dal decreto legge n. 179/2012. “E’ grave che manchi una regolamentazione relativa alle transazioni per piccoli importi – continua Ghidinelli -. E’ chiaro che di fronte ad una commissione minima di 20 centesimi e una spesa di un euro o poco più è impossibile parlare di sostenibilità d’impresa. Le commissioni non possono superare i margini del piccolo imprenditore e lavorare in perdita non è contemplabile”.
Confcommercio insieme alle altre associazioni che aderiscono a Rete Imprese Italia ha sollevato a fine novembre la questione per richiedere un sollecito intervento da parte dei Ministeri competenti e una tutela per tutte le operazioni al di sotto dei 10 euro, che altrimenti vanno ben oltre la sostenibilità d’impresa: “Siamo ancora in attesa di una risposta – allarga le braccia Ghidinelli -. La questione va affrontata perché il problema non può essere certo risolto con convenzioni bancarie, dato che i principali circuiti impongono dei costi fissi per l’utilizzo di carte di debito. Il problema va risolto a monte”. All’estero i costi della commissione sono spesso indicati nella ricevuta e nello scontrino, da noi i costi di transazione se li accolla l’impresa: “All’esercente in Italia è vietato caricare il consumatore del costo di commissione di ogni operazione effettuata con moneta elettronica, cosa che accade in altri Paesi europei, come Belgio, Svezia e Regno Unito – spiega il responsabile del settore crediti e incentivi Confcommercio -. La direttiva Cee del 2007 sui servizi di pagamento afferma la possibilità di trasferire o viceversa di decurtare i costi della commissione all’acquirente. Ma la direttiva concede agli stati membri la deroga. Nata per armonizzare i pagamenti elettronici in tutta Europa, la normativa finisce invece col creare frammentazione. Sono stati profusi tantissimi sforzi per creare una moneta unica, ma non altrettanti per l’euro di plastica. Le differenze tra uno stato membro e l’altro sono in molti casi davvero considerevoli”. Le contraddizioni non mancano nel sistema di pagamento elettronico: “La commissione per l’incasso tramite moneta elettronica è calcolata sull’intero importo, comprensivo di Iva. Una sorta di tassa che il sistema bancario richiede su una imposta che viene versata allo Stato. Eppure il sistema bancario accusa i commercianti e le piccole imprese di non volere accettare pagamenti elettronici per una questione di trasparenza, quando a non essere assolutamente trasparenti sono i criteri di applicazione delle commissioni”. Bisogna rendere il sistema più chiaro e rendere più conveniente ed accettabile l’importo richiesto ad ogni transazione: “La commissione viene pagata dall’esercente e versata alla sua banca che la versa all’istituto di credito del titolare della carta. Che i rapporti interbancari non siano di immediata e chiara lettura non ha del resto fatto mistero l’Authority che ha già puntato il dito sull’interchange fee e sui meccanismi che lo guidano. Urge un intervento sulle commissioni interbancarie per armonizzare il mercato e favorire un processo di innovazione sostenibile anche dalle imprese più piccole, in un contesto in cui la grande distribuzione organizzata spunta con grande potere contrattuale commissioni decisamente più basse”.
Confcommercio ha siglato convenzioni per contenere i costi e ha espresso le proprie perplessità di fronte all’imposizione del nuovo onere che porterebbe l’Italia ad avere 4 milioni di Pos, molti più del resto d’Europa, la cui media è in linea con quella attuale italiana ed è di 1 milione e 200mila point of sale. L’Italia sarebbe l’unico Paese a rendere obbligatoria l’accettazione di carta di debito da parte di qualsiasi attività, dai bar alle bancarelle del mercato, dalle edicole alle cartolerie, dalle imprese dei servizi ai professionisti. Di fatto, a due settimane dall’entrata in vigore della legge, non sono state formulate regole attuative. “Siamo al solito problema delle leggi in Italia, che non si conoscono fino al momento stesso in cui entrano in vigore, creando seri danni alle piccole imprese – commenta Oscar Fusini, vicedirettore Ascom -. Il decreto che impone l’obbligo dei Pos è da giorni nel mirino degli ordini professionali che chiedono di esserne esonerati e getta nell’incertezza e nella preoccupazione intere categorie del piccolo commercio e dei servizi”. La principale questione è la mancata definizione delle commissioni per gli importi minimi: “Edicolanti, tabaccai, bar, cartolerie ed altre categorie potrebbero trovarsi ad incassare tramite Pos importi il cui margine è inferiore al costo delle transazioni. L’obbligo di dotarsi di Pos può rappresentare un passo avanti per l’impiego di moneta elettronica, solo se verranno discussi i termini delle condizioni riservate agli esercenti – continua Fusini -. Due anni fa fu eclatante la disdetta da parte degli istituti bancari dei contratti in essere con i distributori di carburante per aggirare la gratuità per le transazioni inferiori a 100 euro sancita dall’articolo 27, comma 1, della legge 27/2012 di conversione del decreto liberalizzazioni”. “Il sistema bancario e le società di gestione adottarono in quell’occasione la condotta di interrompere o disdire il servizio di acquisizione di pagamenti con carta ai gestori di impianti di distribuzione di carburante, sostenendo di non poter più fornire un servizio senza copertura dei costi ed adeguata remunerazione della propria attività, svuotando di fatto tutta l’operatività della norma – continua il vicedirettore Ascom – . Sembra di rivedere un film già visto”.


Ristoratori, aperte
le adesioni a “Caccia in cucina”

È aperta la raccolta delle adesioni dei ristoratori alla nuova edizione – la dodicesima – di “Caccia in cucina” la rassegna dedicata alla valorizzazione della tradizione culinaria a base di selvaggina organizzata in tutta la Lombardia da Anuu Migratoristi con la collaborazione delle associazioni provinciali dei ristoratori e i patrocini delle Province e della Regione. L’appuntamento è in programma da lunedì 24 febbraio a domenica 2 marzo 2014 (con la possibilità per gli esercenti di una proroga per un’ulteriore settimana da indicare nella scheda di partecipazione) ed è coordinato, in Bergamasca, dall’Ascom. La manifestazione prevede durante tutto il periodo di svolgimento la presenza in carta di piatti o interi menù a base di cacciagione abbinati ai vini. Per i clienti è l’occasione di gustare ricette “classiche” o nuove interpretazioni di una tradizione ben presente nella cucina bergamasca, mentre per i locali è un’iniziativa coordinata che permette di far conoscere ad un ampio pubblico la propria offerta. I ristoratori che aderiscono alla campagna potranno approvvigionarsi dei prodotti attraverso i canali abituali e riceveranno locandine, segnaposto ed altro materiale promozionale predisposto dal Comitato organizzatore. Ogni anno la manifestazione raggiunge un significativo numero di adesioni, permettendo di comporre un interessante itinerario tematico tra valli, laghi, città e pianura. La partecipazione degli esercizi è gratuita. L’Ascom ha già inviato agli interessati il modulo di adesione che dovrà essere compilato e restituito via fax (al numero 035 224572) entro il 20 dicembre. Per informazioni è possibile contattare la segreteria del Gruppo allo 035 213030.