Saldi, i negozi si accontentano 
«Almeno non sono un flop»

Saldi, i negozi si accontentano «Almeno non sono un flop»

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Quando iniziano i saldi a Londra, i più incalliti maniaci dello shopping si mettono in fila davanti ai negozi di Oxford Street per essere in pole position al levare delle saracinesche. Chissà cosa darebbero i commercianti orobici per vedere, anche in centro, uno scenario così. Ma la realtà, qui da noi, è un po’ diversa. Qualche temerario che durante il weekend dell’Epifania ha sfoggiato il suo ombrellino portatile alla ricerca di occasioni in via XX settembre c’è stato. Ma chi ha sfidato il maltempo lo ha fatto più per curiosità che per una reale voglia di buttarsi a capofitto in acquisti sfrenati. Occhi puntati alle vetrine ma mano poco propensa ad aprire il portafoglio, insomma, se guardare non costa nulla, prima di spendere i bergamaschi ci pensano due volte. La crisi li ha fatti diventare oculati nelle scelte dei capi da acquistare, limitati da un budget sempre più ristretto. E così ai futili ornamenti si prediligono articoli pratici, ma soprattutto duraturi. «Nei primi due giorni di saldi abbiamo registrato un +0,5% delle vendite rispetto all’anno scorso con uno scontrino medio che si aggira intorno ai 180 euro», afferma il presidente del gruppo abbigliamento dell’Ascom Diego Pedrali. Il temuto flop, quindi, non c’è stato, anche se, a forza di sentir parlare di recessione, molti commercianti hanno assunto un atteggiamento remissivo e non riescono più a provare entusiasmo per un periodo che un tempo era atteso da tutti con ansia. «Io sono una mosca bianca perché nel mio negozio di Torre Boldone non aderisco mai ai saldi – dice Pedrali –. Vendo tutto l’anno marchi medio-alti a un prezzo un po’ più contenuto rispetto alle boutique blasonate della provincia, quindi non ho bisogno di prendere parte a queste sfide al ribasso. Comunque, in generale sono convinto che se la Regione liberalizzasse le vendite promozionali, scatterebbe una corsa al prezzo più stracciato. Ma l’eterna svendita non è la soluzione per risollevare l’economia del settore, anzi, questi stratagemmi snaturano la nostra attività». «La ristorazione bergamasca – evidenzia – ha trovato in alcune iniziative di gruppo con menù a prezzi fissi e convenienti un’idea per stimolare i consumi e ottimizzare forniture e organizzazione del lavoro. Peccato che nel settore dell’abbigliamento questo non sia possibile perché non si può prevedere quanta gente entrerà in negozio, quanti commessi serviranno e non si può decidere di vendere solo giacche blu e pantaloni grigi. Inoltre le ditte ci obbligano ad acquistare le stesse quantità di prodotti di cinque anni fa, ma i tempi sono cambiati. Oggi vendiamo il 40% in meno rispetto al 2008. Si rischia di comprare in anticipo un sacco di capi che magari non venderemo e che comunque non potremo tenere a lungo in magazzino perché poi passano di moda».
A penalizzare i negozianti del centro concorrono inoltre le spese fisse dell’attività, che incidono in maniera pesante sul bilancio annuale. Gli affitti per chi vuole aprire un locale in via XX settembre oscillano dai 20mila ai 100mila euro annui, a seconda delle dimensioni. Chi resiste è perché ha locali di proprietà. Bisogna poi fare i conti con le tasse, da quelle sui rifiuti a quelle legate all’occupazione del suolo pubblico. E poi ci sono i contributi da versare ai dipendenti, l’Iva, per non parlare delle bollette. C’è chi la mattina tiene la luce spenta per risparmiare e chi, se non fosse per il Pos, della linea telefonica fissa farebbe volentieri a meno, visto che sono solo più le tasse a pesare sulla cifra finale della bolletta che non gli effettivi consumi. A cavarsela meglio in queste prime settimane di saldi, sono stati i centri commerciali. È negli ipermercati, infatti, che bergamaschi e turisti si sono riversati in maniera più massiccia, in particolare nel weekend dell’Epifania. Basti pensare che il 3 gennaio l’apertura straordinaria di Oriocenter fino a mezzanotte ha attirato oltre 42mila persone. Sabato 4, primo giorno di saldi, in due ore sono entrate nel centro commerciale 15mila persone. 

KAMMI (passaggio Bruni)
«L’orario continuato ci sta dando una mano»

Gli anfibi biker non sono più appannaggio dei motociclisti. Da qualche tempo sono infatti entrati a far parte anche del guardaroba delle ragazze alla moda. E proprio questi scarponcini, presenti in ogni stile, forma e colore, sono tra i capi di abbigliamento più ricercati dalle bergamasche durante gli ultimi saldi. A confermarlo è Elena Gnecchi, commessa di Kammi: «Stiamo vendendo bene questi stivali perché sono adatti al clima invernale. In generale sto notando che la clientela chiede soprattutto articoli di stagione, a prescindere dallo sconto. Il pregio del nostro negozio sta proprio nel fatto che i prodotti sono di qualità e non vendiamo certamente dei fondi di magazzino o articoli a prezzi gonfiati per poi applicare ribassi esagerati al 50 o al 60%. I nostri prezzi sono adeguati anche durante l’anno, così come gli sconti, che oscillano tra il 20 e il 30%». Per incentivare la clientela all’acquisto, Kammi ha deciso di tenere aperto con orario continuato dalle 9.15 alle 19.30 due volte la settimana, il giovedì e venerdì. Una soluzione che sta risollevando il trend negativo registrato nel primo weekend di saldi: «Siamo partiti male – prosegue la commessa – poi c’è stata una ripresa. Nel primo fine settimana siamo stati un po’ penalizzati dal brutto tempo che di certo non ha invogliato la gente a fare due passi all’aria aperta. E così si sono riversati tutti nei centri commerciali. La tendenza è più o meno quella dell’anno scorso, non noto cambiamenti. Comunque non temo la concorrenza della grande distribuzione perché sono convinta che se una persona cerca un prodotto di qualità là non lo trova». Il problema dei negozi del centro, secondo Elena Gnecchi, sono semmai i parcheggi: «La sosta dura al massimo un’ora – conclude – e questo, purtroppo, induce i passanti a guardare le vetrine di fretta, sempre con l’orologio alla mano».

DIOGENE (via XX settembre)
«Nei prezzi si è ridotta la corsa pazza al ribasso»

Lo sconto di partenza non si cambia. È questa la filosofia di Antonello Colombi. Il titolare del negozio di abbigliamento Diogene, che da anni fa capolino in via XX settembre, è fermamente deciso a non andare oltre il 30% per i suoi capi, a prescindere da come andranno i saldi. «Vada come vada – dice – manterrò gli sconti stabiliti all’inizio di gennaio. Non è possibile vendere prodotti di stagione a metà prezzo senza andare in perdita e chi lo fa, sicuramente, tira fuori dal magazzino articoli vecchi che altrimenti rimarrebbero invenduti. Comunque, rispetto a qualche anno fa, non vedo più una rincorsa pazza al 50%. D’altronde da noi non è che ci si può aspettare un afflusso esagerato con file fuori dai negozi come avviene a Londra o alle gallerie Lafayette di Parigi. E poi diciamoci la verità: non c’è più la reale esigenza di acquistare un capo di abbigliamento. Se lo si trova, bene, sennò pazienza, tutti hanno un cappotto o una giacca per coprirsi, no? In questi tempi di crisi non si spende più per capi futili». Nonostante le inclementi condizioni meteorologiche imperversate su Bergamo nel weekend dell’Epifania, Colombi non traccia un bilancio negativo: «I primi tre giorni sono andati bene – spiega –, ho tenuto aperto il negozio anche nei festivi e con orario continuato. Solo che anche se di gente in giro ce n’è, è diminuita la capacità di spesa. E così, dopo il primo acquisto emozionale in cui i bergamaschi sono stati trascinati dalla voglia di accaparrarsi qualche occasione, poco alla volta il flusso di clienti sta scemando e tra qualche settimana la mole di lavoro tornerà normale. Ormai succede così da tre anni a questa parte».

TIMBERLAND (passaggio Bruni)
«Pochi acquisti nel weekend, meglio durante la settimana»

«I primi giorni di saldi sono andati discretamente. Siamo sotto rispetto all’anno scorso, ma pensavo peggio». Così Andrea Riccardi, commesso del negozio Timberland di passaggio Bruni, commenta l’esordio dei saldi. E nonostante il tam tam mediatico che ha creato forti aspettative tra i commercianti per il weekend della Befana, a sorpresa pare proprio che i migliori acquisti si facciano durante la settimana. «Il sabato c’è tanta gente in giro ma pochi comprano – conferma Riccardi –, la domenica, poi, passano più curiosi che altro. Ci sono soprattutto famiglie che passeggiano e osservano le vetrine, ma non sembrano intenzionati a spendere. I migliori affari li facciamo durante la settimana perché i clienti arrivano da noi già con l’idea precisa di quello che vogliono acquistare». Con lo sviluppo delle nuove tecnologie, sono sempre di più i bergamaschi che prima di recarsi fisicamente in negozio, consultano i cataloghi in internet sperando poi di trovare le stesse occasioni. Ma spesso vigono dinamiche differenti, come spiega Riccardi: «Ho notato che sempre più giovani e persone di mezza età guardano i siti internazionali della Timberland e magari passano da noi sperando di trovare anche nel nostro piccolo punto vendita tutti i prodotti che sono segnalati anche sul portale americano. Questo non è chiaramente possibile. Tra l’altro, pur trattandosi della stessa catena commerciale, ogni nazione predilige determinati articoli a seconda delle esigenze di mercato». Timberland, inoltre, può fare i conti con una duplice realtà, quella del borgo storico e quella del centro commerciale: «Abbiamo vari punti vendita, sia in città che in grandi centri come l’Oriocenter – conclude Riccardi – e ho sentito dire che lavorano di più i nostri negozi collocati nelle grande catene di distribuzione. Cambiano però i target: là bisogna puntare sulla quantità, nei centri storici invece sulla qualità e sulla clientela affezionata. I nostri sconti variano dal 20 al 30%. Può essere che qualcuno si aspettasse fin da subito una percentuale di sconti più alta. Comunque, già nelle prossime settimane alcuni pezzi verranno ulteriormente ribassati. Questo è in linea di massima il consiglio aziendale che ci è stato dato, ma i ribassi riguarderanno prevalentemente gli articoli che vanno di meno».

CAROM (piazza Matteotti)
«Sono tempi duri, ma spese e tasse non danno tregua»

Nel cuore di Bergamo, tra piazza Matteotti e passaggio Zeduri, fa capolino da oltre mezzo secolo il negozio di abbigliamento uomodonna Carom. Anche in questo piccolo angolo di storia, che ha contribuito con la sua eleganza a vestire generazioni di bergamaschi, lo spettro della crisi si fa sentire. Ma periodi come questi non spaventano i fratelli Carlo e Romolo Volpi che, insieme alle figlie Maria Grazia e Monica, sono ancora a capo di questa azienda sorta nel lontano 1951, il giorno del patrono Sant’Alessandro: «Anche in passato ci è già capitato di vedere dei momenti così calmi – conferma Romolo Volpi –. Certo provo tristezza quando sento storie di operai e specialisti del settore che hanno una famiglia alle spalle da mantenere e, nonostante tutte le loro competenze, non riescono più a trovare un lavoro sicuro. Sono tempi duri». A destare maggior preoccupazione sono soprattutto le tasse e le imposte che ruotano attorno all’attività: «I saldi sono un’opportunità se si è lavorato bene tutto l’anno, altrimenti è una perdita – interviene Monica Volpi –. Stiamo vendendo qualcosina in più dell’anno scorso ma non basta per recuperare le spese. Il nostro guadagno è il ricarico che si ha sul prezzo base dei nostri capi, ma va scremato di tutte le spese fisse: l’Inps, i dipendenti, le tasse, le bollette. Lo sa che il Comune chiede 1.510 euro all’anno solo per avere la scritta Carom stampata sulle tendine e 200 euro l’anno per esporre lo zerbino con il nostro marchio?». «Avevamo anche i vasi di fiori fuori dal negozio – la interrompe Monica – ma visto quello che bisogna pagare per l’occupazione del suolo pubblico, li abbiamo tolti. Una volta offrivamo ai clienti anche un servizio sartoria interna ma visti i costi abbiamo dovuto rinunciare. Il fatto è che i rappresentanti ci pressano per farci acquistare la merce un anno prima e noi dobbiamo chiaramente pagare in anticipo senza poi sapere se tutti quei prodotti riusciremo a venderli».

TASCHINI (piazza Matteotti)
«Gli stranieri spendono di più, ma fanno fatica a scoprire il centro»

È una lunga storia legata alla moda e all’abbigliamento di qualità anche quella della famiglia Taschini. Negli anni d’oro, quando l’economia era in ripresa e c’era ancora margine per investire, di boutique che portavano questo nome ce n’erano cinque in città. Oggi, dopo la chiusura nel 2008 di due punti vendita in via San Bernardino e in via XX settembre (dove oggi ha trovato spazio la libreria Feltrinelli) il marchio Taschini resta solo in piazza Matteotti. Una scelta obbligata, visti i tempi di crisi. E di certo i saldi non aiutano a risollevare le sorti di un mercato in stallo: «L’affluenza è quella che è – si sfoga Andrea Taschini –. Di gente in centro ne passa sempre meno e noto una sfiducia generale. Una volta c’erano grandi aspettative per i saldi, adesso sembrano gli incassi di un periodo normale. Purtroppo la crisi sta colpendo tutti. Noi esistiamo come marchio dal 1945, avevamo cinque punti vendita e ora ne è rimasto uno. Persino un’istituzione nel settore dell’abbigliamento come Sacerdote ha chiuso. Sono finiti i bei tempi e temo che non ritorneranno più. Io ormai sono prossimo alla pensione ma mi chiedo che futuro ci sarà per i giovani». Chi acquista di più rispetto a un tempo sono invece gli stranieri: «L’unico problema – commenta Taschini – è che, atterrando ad Orio, i turisti vengono immancabilmente attirati dall’Oriocenter oppure preferiscono visitare Città alta. Una volta sono rimasto allibito quando un turista mi ha chiesto: “Scusi ma dove si trova il centro?”».

POMPEO CALZATURE (passaggio Limonta-via XX settembre)
«Forte anche la concorrenza delle boutique-outlet»

«Calma piatta dal punto di vista degli acquisti». A lamentare questo trend sono i titolari del negozio di calzature Pompeo che fa angolo tra passaggio Limonta e via XX settembre. «Di gente che cammina per le principali vie del centro nei fine settimana se ne vede anche parecchia – dicono i titolari –, il problema è che in pochi spendono. Non ci sono più i soldi da buttare via come una volta. Non è il periodo per sperperare». Anche le calzature d’alta moda, quindi, stanno affrontando un periodo non facile. La storia imprenditoriale di questo noto marchio di famiglia ha inizio nel 1957. Fondato dal nonno Cristiano Pompeo, il progetto continua ancora oggi ad essere attuale. Dopo anni di esperienza, nel 1974 grazie al figlio questa linea di calzature tipiche dell'area campana è ben presto diventata un modello di stile apprezzatissimo anche tra i bergamaschi più abbienti. Oggi però tutti devono fare i conti con la crisi: «Sentiamo molto anche la forte concorrenza degli outlet – proseguono i responsabili –. Ormai sembra che tutte le nuove boutique amino etichettarsi con questo titolo solo per far vedere che hanno grandi firme a poco prezzo. Però bisogna stare attenti. Abbiamo visto molti commercianti acquistare a poco prezzo partite di vestiti fuori stagione che poi all’occorrenza mettono in vendita nel periodo dei saldi. Questo non è, a nostro avviso, l’approccio giusto».

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