Ubi e la trasformazione in Spa, tutti i benefici di una partenza sprint

ubi45.jpgIl tempo è denaro, anche e soprattutto per i banchieri. Nella decisione di Ubi di rompere gli indugi e aprire ufficialmente per prima l’iter di trasformazione in Spa – seguita poi a distanza dalla Vicenza, non quotata in Borsa – c’è anche l’opportunità di essere i primi. In questo caso non c’è la necessità di competere su un mercato affollato, come è avvenuto alcuni anni fa, con l’aumento di capitale. Però c’è la possibilità di mettersi maggiormente in luce di fronte agli investitori, così che il titolo può beneficiare di una ripresa o comunque – anche nella fase di tensione per la crisi greca – di un andamento migliore rispetto ad altre popolari.

Finché sarà una cooperativa, e comunque Ubi lo sarà sicuramente fino alla assemblea di trasformazione, la formula per fare felici i soci resta essenzialmente una: dividendo e aumento della quotazione. Tutta la retorica sulla bergamaschità, la storia, il legame con il territorio e altri aspetti sentimentali sono temi che possono valere per una minoranza rumorosa. Ma la maggior parte dei soci guarda oggettivamente e pragmaticamente ad altro. Sul dividendo i tempi non permettono più di tanto, ma la rivalutazione è possibile ottenerla – anche per evitare che la proposta di trasformazione arrivi in un’assemblea mal disposta -, grazie al superamento dello sconto pagato delle cooperative rispetto alle spa per la mancata contendibilità. Per questa ragione, quindi, partire per primi ed essere più visibili diventa un vantaggio.

In ogni caso la finanza, pur vivendo di turbolenze, non le ama. E questo è vero soprattutto quando ad essere volatile, per non dire confusa, è la legislazione. L’amministratore delegato di Ubi Victor Massiah ha più volte insistito sul fatto che prima di ogni operazione bisogna avere le regole certe. Anche per sapere a che gioco si sta giocando. Le disposizioni attuative hanno fatto ulteriore chiarezza, se ce ne fosse stato bisogno, circa il fatto che l’unico modo per evitare la trasformazione in Spa per una popolare è quella di scendere sotto gli 8 miliardi di attivo consolidato. Le regole, insomma, non permettono di dividere fittiziamente un gruppo in tante banche più piccole, come facevano le industrie, prima del Jobs Act, quando non volevano far scattare le soglie per l’applicazione dello Statuto dei lavoratori. E non vale neanche la cooperativa di soci che controlla una società per azioni.

L’alternativa, suggestiva, ma sicuramente distruttrice di ricchezza, oltre che di molto corto respiro, sarebbe una reale divisione di Ubi in tante piccole banche autonome. Sognare il ritorno alla vecchia Popolare di Bergamo mutua cooperativa potrebbe alla fine ad una società territoriale, come qualcuno sogna, ma senza l’efficienza delle dimensioni e paradossalmente ancora più esposta a scalate. Trascurando tutti i problemi tecnici per realizzare questa ipotesi, si può infatti ipotizzare che il capitale della rinata Popolare di Bergamo cooperativa dovrebbe essere assegnato pro quota agli attuali azionisti di Ubi che attualmente ne controlla il 100%. Ma dato che una quota importante degli azionisti di Ubi sono grandi investitori istituzionali e risparmiatori di altri territori che sarebbero poco interessati a una banca locale bergamasca, è molto probabile che queste azioni verrebbero rapidamente rivendute sul mercato, facile preda di un possibile raider che, impegnando cifre più basse di quelle necessarie in Ubi, potrebbe rastrellare il tutto con l’aiuto di soci compiacenti, per poi cedere al migliore offerente, previa ritrasformazione in Spa.

DI fronte a strade impraticabili, una volta definita l’ineluttabilità della conversione, bisogna rassegnarsi: o si ottiene la modifica della legge, eventualmente anche con il ricorso alla corte costituzionale o la si deve applicare. E in questo caso, tanto vale non perdere tempo, se si possono ottenere benefici migliori del temporeggiare.