Cresciuto nel negozio di alimentari gestito per mezzo secolo da suo papà Pino, storico commerciante trevigliese scomparso il mese scorso, Simone Conti sembrava lontano anni luce dal raccoglierne il testimone: si è laureato in Lingue e Letterature Straniere all’Università di Bergamo, in Editoria a Londra, dove ha vissuto e conosciuto la moglie Marisol Malatesta – pittrice peruviana e tutor all’ateneo di Bournemouth, al suo fianco nella nuova avventura, dopo una parentesi a Barcellona – occupandosi di fotografia e mantenendosi lavorando nei ristoranti della City.
Finché, dopo tante esperienze, ha ritrovato la strada di casa, aprendo un forno artigiano, nella frazione di Castel Cerreto, dove produce pane a pasta madre e recupera grani antichi. Le pagnotte sono a pezzatura grande, sugli 850 grammi, e destinate a negozi e ristoranti. Annessa, però, c’è la bottega per la vendita diretta. Il laboratorio, 120 metri quadri nella corte padronale di via Contessa Piazzoni, si chiama “Tilde”, come il simbolo dell’infinito che è impresso nel suo pane, usato in spagnolo e, fin dal Medioevo, dagli amanuensi per abbreviare risparmiando carta e inchiostro. «Richiama la mia filosofia: cura e rispetto della tradizione, usando tecnologie moderne», spiega Simone.
La svolta è avvenuta proprio a Londra, dove era “fuggito” nel 2005 con l’obiettivo di migliorare l’inglese. Il nonno paterno, Luigi, era agricoltore e aveva un banco al mercato. Il padre iniziò a stare dietro al bancone della carne che era dodicenne. Due anni dopo aveva ottenuto il primo contratto in regola. Dopo quattordici anni di lavoro come dipendente, il grande salto: l’opportunità, colta al volo, di comprare l’attività, diventata a conduzione familiare.
«Ricordo, da bambino, quando facevo da accompagnatore per le consegne con il furgoncino. Mio papà ha sempre amato il suo mestiere, tanto da dimenticarsi di aver raggiunto i requisiti per la pensione, ma ha anche sempre condotto una vita durissima e io, al contrario dei miei familiari, ho scelto di fare altre esperienze», sorride il panettiere.
Mentre cercava la sua strada, Simone si è mantenuto prima lavando i piatti, poi arrivando a occuparsi di pasticceria e diventando cuoco nella capitale inglese. L’incontro che gli ha aperto un nuovo mondo è stato con Giorgio Locatelli, il più famoso chef italiano a Londra, che vanta clienti come Madonna, Robbie Williams, Johnny Deep o i Beckham. «Mi ha fatto apprezzare la filosofia di Slow Food ed è stato allora che ho maturato il mio progetto – dice Conti -: usare farine ottenute da varietà di cereali rare e superiori per migliorare il prodotto, renderlo più aromatico e salutare, favorendo l’economia locale e facendo tornare sovrana la biodiversità alimentare». I grani provengono da aziende che praticano un’agricoltura in piccola scala, investono in pochi ettari di campi e non usano pesticidi. Il glutine è limitato. La macinatura avviene a pietra naturale in modo che il chicco non sia spaccato, né schiacciato, ma pelato, conservando tutte le proprietà nutritive originali. Il lievito madre è da farine tipo 2 e integrale con germe di grano e parte della fibra.
Difficile da lavorare, la miscela è impastata da una macchina speciale a braccia tuffanti, dopo un passaggio in apposite celle frigorifere che fanno ritardare la fermentazione. Il prodotto si mantiene in tutta la sua bontà per almeno per cinque giorni. Segreti e tecniche che Simone ha imparato frequentando un master a Bra nel 2010. Tornato a Londra, ha preso spunto da ciò che accadeva a Hackney, il quartiere dove viveva con Marisol, dalla riscoperta delle botteghe e del cibo a chilometro zero già avviata. A Bristol, al Bordeaux Quay, ristorante che ricicla anche l’acqua piovana, ha invece appreso l’importanza della sostenibilità, mentre all’E5 Bake House di Londra l’arte della panificazione, impastando ogni giorno a mano. «Gli inglesi si ispirano molto ai francesi nelle tecniche, ma sono più integralisti e sono copiati anche dagli americani. Nulla è approssimativo o lasciato al caso, da loro ho imparato l’importanza delle lievitazioni lunghissime, che superano le venti ore e che quasi nessuno, da noi in Italia, propone perché antieconomiche, ma che io metto in pratica ogni giorno», ammette.
Nel suo forno a Castel Cerreto, l’artigiano si concentra su quattro varietà. La prima è la più antica, il grano tenero che mescola sei-sette tipi di semi, forniti dall’azienda agricola Floriddia di Peccioli, nel Pisano. «Ogni risultato è un esperimento, provano a coltivare diverse specialità e quel miscuglio diventa il frutto tipico di quel territorio, un unico irripetibile altrove», aggiunge Marisol.
I nomi dei semi sono, per citarne alcuni, il monococco, la sarragolla, la tumminia, il farro spelta e il farro dicocco. Poi, i grani siciliani, i tre farri e la segale Val di Gesso. A fornire la materia prima sono anche il Mulino della Riviera di Dronero e dal Sobrino a La Morra, nel Cuneese, Del Ponte a Castelvetrano, in provincia di Trapani, e Podere Monticelli a Villanova del Sillaro, nel Lodigiano.
Il locale possiede uno spazio che sarà dedicato alle esposizioni d’arte e in programma ci sono anche corsi per i bambini. «L’educazione è la base, la differenza non sta nel prezzo, ma nella qualità, le nuove generazioni devono saper distinguere una fetta “vuota” da una ricca di vitamine», è l’opinione della coppia. La produzione iniziale è di 300 chilogrammi a settimana. A questi si aggiungono biscotti, dolci, focacce e la rivendita di prodotti del territorio come latte, uova, confetture, miele, lumache. Tra tanta esperienza, la più importante resta però quella di papà Pino: «Lui vale più di qualsiasi master, lo ricordo sempre felice dietro al bancone, conosceva i nomi dei clienti, scambiava battute in dialetto, li consigliava. Mia mamma e due mie sorelle gli erano sempre vicine – ricorda l’artigiano del pane -. Per lui i problemi non dovevano entrare nella bottega, doveva accogliere il suo cliente. Con il sorriso».
Tilde
via Contessa Piazzoni 7/a
Treviglio – Castel Cerreto
www.tildeforno.com