Fusione dei Comuni della Presolana, è l’ora decisiva. Domenica il referendum

onore Scatta l’ora decisiva per il progetto di unione dei Comuni della Presolana. Domenica 20 novembre ci sarà l’atteso referendum consultivo e gli abitanti dei cinque paesi dell’Alta Val Seriana coinvolti dal progetto – Cerete, Fino del Monte, Onore, Rovetta e Songavazzo – saranno chiamati a esprimere la propria opinione.

Il voto dei cittadini sarà decisivo: perché la fusione si realizzi è necessario che il “sì” vinca in ognuno dei cinque Comuni. Nel caso vincesse il “no” anche in uno solo dei paesi, l’unione salterebbe. Se gli abitanti si esprimeranno invece in modo favorevole in tutti i paesi, inizierà la procedura per creare il nuovo Comune di 8.440 abitanti, esteso su un territorio di 67,6 chilometri quadrati, più grande di Clusone e di Castione della Presolana. E nel frattempo un commissario prefettizio, affiancato dai cinque sindaci, “traghetterà” le Amministrazioni fino all’appuntamento elettorale dell’aprile-maggio 2017, per la scelta del sindaco del nuovo Comune unico.

Sul possibile nome del nuovo Comune saranno gli stessi cittadini a esprimersi nel corso della consultazione; i nomi proposti sono Borghi Borlezza, Borghi Presolana, San Narno, Larna, Valborlezza e Valleggia.

Il progetto di fusione è stato portato avanti dai sindaci Cinzia Locatelli di Cerete, Matteo Oprandi di Fino del Monte, Angela Schiavi di Onore, Stefano Savoldelli di Rovetta e Giuliano Covelli di Songavazzo. Secondo i promotori, la creazione di un unico apparato politico e amministrativo porterebbe risparmi economici, migliori servizi grazie a personale più specializzato e più omogenei e un maggior aumento del peso politico-amministrativo all’interno del territorio seriano e bergamasco. Sul fronte del no al progetto le minoranze di Rovetta e Cerete, unici paesi nei quali dei consiglieri si sono apertamente schierati contro il progetto.

Partecipano al referendum regionale consultivo gli elettori iscritti nelle liste elettorali valide per le elezioni del Consiglio Regionale e residenti sull’intero territorio dei Comuni di Cerete, Fino del Monte, Onore, Rovetta e Songavazzo, che abbiano compiuto il 18esimo anno di età entro il giorno fissato per il referendum. Le votazioni si svolgeranno dalle ore 8 alle 21.


Ambulanti, «salvati dalla Bolkstein grazie alle associazioni di categoria»

 

Cosa succederà con l’entrata in vigore della direttiva Bolkestein? Cosa cambierà per gli operatori ambulanti? Se ne è parlato oggi alla sede Ascom di via Borgo Palazzo nel corso del seminario “Bolkestein, aspettando il 2017“, organizzato da Fiva Confcommercio Bergamo e Anva Bergamo. L’appuntamento, indirizzato alla Pubblica Amministrazione e alla Polizia locale, ha visto la partecipazione del presidente di Armando Zelli, segretario generale di Fiva Confcommercio, e Maurizio Innocenti presidente nazionale Anva, Adriano Ciolli, segretario nazionale Anva Confesercenti, oltre a Paolo Malvestiti, presidente Ascom e Camera di Commercio Bergamo, Oscar Fusini, direttore Ascom, Mauro Dolci presidente di Fiva Ascom Bergamo e Giulio Zambelli presidente Anva Bergamo.

La contestatissima direttiva europea, dopo una serie di rinvii, dovrebbe definitivamente entrare in vigore in Italia partire da maggio del prossimo anno, portando una “rivoluzione” nel mondo  degli ambulanti. Ce ne parla Mauro Dolci, presidente di Fiva Ascom Bergamo.

«Con l’applicazione della Bolkestein viene introdotto il sistema dei bandi nell’assegnazione dei posteggi per il commercio ambulante. La durata delle autorizzazioni verrà limitata a 12 anni e il rilascio delle concessioni avverrà secondo nuove procedure selettive. Dal prossimo maggio quindi tutte le concessioni scadranno e i Comuni dovranno riassegnarle secondo gare pubbliche, che tengano conto dei criteri di professionalità e longevità dell’impresa».

Quanti operatori saranno coinvolti?

«Il provvedimento riguarda duecentomila imprese in tutta Italia e circa 30mila imprese balneari. Si tratta soprattutto di microimprese a conduzione familiare. In bergamasca sono coinvolti 246 mercati per un totale di circa 7mila posteggi».

Quando andranno a bando i posti del commercio su aree pubbliche i commercianti rischiano di perdere le loro licenze? Secondo alcuni la nuova direttiva permetterà alla grande distribuzione di entrare nel commercio ambulante, mandando in soffitta i sacrifici di intere generazioni e le attività tramandate di padre in figlio. È così?

«Dopo una lunga trattativa con il Governo e all’interno della conferenza Stato-Regioni, Fiva insieme con Anva Confesercenti, sono riuscite a negoziare condizioni favorevoli così da blindare gli ambulanti italiani. La riassegnazione dei posteggi avverrà infatti in base a una graduatoria che dà 40 punti su 100 ai titolari uscenti, altri 40 agli iscritti alla Camera di Commercio da meno di cinque anni e 50 per quelli iscritti da cinque a 10 anni e 60 per di più di 10 anni. Per favorire la concorrenza inoltre sono state inserite delle limitazioni: in mercati sotto i 100 banchi non si potranno possedere più di due banchi, oltre i 100 posteggi non più di tre banchi. Nel caso di Bergamo, ad esempio allo Stadio che ha 50 posteggi si potranno avere al massimo due banchi, alla Malpensata che ne ha più di 100 al massimo 3».

Gli ambulanti possono stare tranquilli quindi?

«Questo sistema resterà in vigore fino al 2029, quindi gli ambulanti saranno tutelati per 12 anni perché nessuno toccherà i loro banchi prima di quella data. Inoltre proprio ieri Regione Lombardia ha previsto che anche nelle prossime selezioni verranno utilizzati questi stessi criteri. Questi risultati non sarebbero arrivati senza l’intervento delle categorie. Ci siamo sempre battuti perché la direttiva europea non toccasse i mercati. La rappresentanza associativa va considerata come uno strumento di garanzia per i posti di lavoro e per la sua presenza nelle situazioni critiche. L’obiettivo è comunque che la Bolkestein in Italia non sia applicata: il nostro è l’unico Paese al mondo nel quale il commercio ambulante rappresenta il 22% dei consumi interni».


Camere di Commercio, il riordino preoccupa le imprese

Con la prossima emanazione dei decreti attuativi, sta per entrare in vigore la riforma delle Camere di Commercio, che prevede, per razionalizzare l’organizzazione, un accorpamento delle sedi sul territorio nazionale (da 105 a 60, Bergamo dovrebbe restare autonoma) e una riduzione del personale, pari al 15% inizialmente e al 25% con il completamento del riordino.

Una manovra sulla quale Rete Imprese Italia esprime la più viva preoccupazione, invitando il Governo a valutarla con attenzione. «Le Camere, governate attraverso forme di democrazia economica – evidenzia il coordinamento che riunisce Casartigiani, Cna, Confartigianato, Confcommercio e Confesercenti -, devono essere strumento per la promozione e lo sviluppo delle economie locali, delle loro comunità di imprese che necessitano di sostegno per l’accesso al credito, per la creazione di reti, per l’internazionalizzazione. Proprio per queste funzioni insostituibili, organismi come le Camere di Commercio italiane esistono in tutti i Paesi Ocse e in tutta l’Unione Europea. Le Camere di Commercio non devono essere ridotte alla mera funzione, pur indispensabile, di soggetti con compiti anagrafico-certificativi. Le Camere si possono e si devono riformare con l’obiettivo di dare maggiore efficienza alla loro attività e risposte utili alle necessità delle imprese del territorio».

I tagli al personale sono legati alla razionalizzazione degli uffici che svolgono funzioni di supporto e strumentali (gestione del personale, ragioneria, affari generali) o che rappresentino duplicazioni o sovrapposizioni di compiti. Dovrebbero avvenire senza licenziamenti, ma attraverso un blocco delle assunzioni e l’eventuale ricorso alla mobilità. «Il Governo lo chiama “riordino”, ma quello che si prospetta – scrivono in un comunicato i dipendenti della Camera di Commercio di Bergamo -, è un vero e proprio smantellamento. Si tratta, in sintesi, di oltre 1.000 dipendenti camerali che arrivano a 3.000 considerando il sistema camerale nel suo complesso. Lavoratori che si sono distinti per gli alti livelli di efficienza e professionalità, facendo del sistema camerale una delle “eccellenze” della Pubblica Amministrazione. Lavoratori i cui costi attualmente non sono a carico del bilancio dello Stato in quanto le Camere di Commercio sono Enti Autonomi che si autofinanziano, ma con gli esuberi annunciati e l’eventuale ricollocamento in altri enti pubblici, diventerebbero una spesa in più per lo Stato e quindi per i cittadini».

All’incertezza dei lavoratori si aggiunge, secondo l’Rsu della Camera di Commercio bergamasca il venir meno del supporto alle piccole e medie imprese, «che rappresentano oltre il 90% del tessuto produttivo del nostro Paese. I piccoli imprenditori, come certificano ripetute indagini e testimonianze degli stessi interessati, hanno sempre trovato nel sistema delle Camere di Commercio, presenti in ciascuna provincia e quindi vicine al proprio territorio, e nella professionalità della stragrande maggioranza dei dipendenti pubblici che svolgono con professionalità ed onestà il proprio lavoro: supporto, sostegno, consulenza gratuita, sin dalla fase di avvio della propria attività. Per non parlare degli incentivi economici per il miglioramento delle strutture, la formazione, la capacità di competere anche sui mercati esteri».

«Il Sindacato non ha mai negato l’esigenza di profonde riforme nella P.A.. Anche nelle Camere – precisano i dipendenti -. Anche i lavoratori conoscono difetti, privilegi, inutili duplicazioni e iniziative di pura immagine in cui a volte sono state indirizzate le risorse camerali. Pronti a discutere di tutto questo. Ma a questo Governo, evidentemente, non interessa affrontare insieme i difetti reali del sistema. Preferisce trattare su altri tavoli. Ai pubblici dipendenti, da pessimo Datore di Lavoro, da anni nega il rinnovo dei contratti, non valorizza le professionalità, è pronto a dare battaglia e a far propaganda sui pochi, deprecabili, episodi di disonestà da parte di alcuni dipendenti pubblici che offrono pretesti ulteriori a giustificare queste “non riforme”».

I dipendenti della Camera di Commercio di Bergamo, che sono già in “stato di agitazione” dall’ottobre 2014, «se il decreto non verrà modificato – annunciano -, sono pronti a mobilitarsi con tutte le azioni di protesta possibili».