Emergenza Covid, attestato di merito a 500 attività alimentari che non hanno mai chiuso

Ad alimentaristi, macellai, fruttivendoli e ambulanti alimentari una pergamena in riconoscenza dei sacrifici fatti durante i mesi di pandemia

Ascom Confcommercio Bergamo sta provvedendo a consegnare un attestato di ringraziamento alle attività alimentari associate che si sono distinte durante il lockdown e che non hanno mai chiuso. Oltre 500 soci tra alimentaristi, macellai, fruttivendoli e ambulanti alimentari riceveranno una pergamena in riconoscenza della passione, dell’impegno, del coraggio dimostrato e dei sacrifici fatti durante i mesi di pandemia. “Dovendo ancora prestare attenzione alle norme per il contenimento della pandemia – sottolinea Oscar Fusini, direttore Ascom Confcommercio Bergamo – non riusciamo a organizzare una cerimonia collettiva di consegna nella nostra sede cittadina e per questo stiamo invitando le attività coinvolte a ritirare l’attestato presso la sede in via Borgo Palazzo 137 o nelle delegazioni Ascom più vicine”.

Oltre all’attestato, gli associati riceveranno anche una locandina con le indicazioni per partecipare alla raccolta fondi a sostegno de “Il Bosco della Memoria”, il progetto promosso dall’Associazione dei Comuni virtuosi e dal Comune di Bergamo e in fase di realizzazione al Parco della Trucca. Il sostegno al progetto si concretizzerà tramite la Fondazione della Comunità Bergamasca Onlus e la campagna coinvolgerà tutti gli associati Ascom e Aspan che possono effettuare un bonifico sul conto corrente legato ai rispettivi fondi presso la Fondazione.

La targa commemorativa

Infine, in direzione Ascom si è tenuta nei giorni scorsi una cerimonia riservata per la consegna delle targhe commemorative alle famiglie del presidente di Ascom 50%Più (Franco Pulcini) e di due consulenti (Giuseppe Rosignoli e avv. Giancarlo Lodetti) scomparsi nel 2020.


9 marzo, un anno dopo. Siamo tornati al punto di partenza o vediamo la luce?

È passato un anno dal lockdown del 9 marzo 2020. Sembra ieri, eppure è trascorso tanto tempo e siamo ancora qui. Abbiamo sofferto molto e questo non è bastato perché ci sentiamo nella stessa situazione di dodici mesi fa.

La paura della malattia resta forte, come l’incertezza di quello che sarà del futuro della nostra società. Cosa sarà del nostro lavoro, della nostra impresa e dei nostri figli? Domande forti e ingombranti, che ci accompagnano da un anno a questa parte. Ciò nonostante, i sentimenti sono distinti. Un anno fa non sapevamo cosa avremmo affrontato, ma pensavamo che si sarebbe risolto in fretta. Ora, invece, siamo consapevoli di quanto è lungo e pesante questo percorso. Ma vediamo la fine.

Non so cosa sia peggio: essere forte all’inizio di un tunnel senza vederne la fine oppure sentirsi stremato, forse in fondo, e vederne la luce? Speriamo sia l’ultimo miglio e quindi realmente l’uscita, perché oltre non riusciremo a procedere.

Un commerciante come tanti altri

 


Il lockdown annulla le ferie di agosto: commercianti, baristi e ristoratori non si fermano

Il lockdown annulla le ferie di commercianti, baristi e ristoratori. In città e nei centri della provincia nel mese di agosto le attività commerciali resteranno aperte. Secondo un sondaggio fatto da Ascom Confcommercio Bergamo il 90% di bar e ristoranti e l’80% dei negozi alimentari e non alimentari non chiuderà per ferie, sia in provincia che in città. «Non è tempo di fermarsi – afferma Oscar Fusini, direttore di Ascom Confcommercio Bergamo – È questo quello che dicono i nostri associati, che sono stati segnati dall’emergenza sanitaria che ha stravolto il nostro territorio».Commercianti, baristi e ristoratori non si fermano nonostante la presenza limitata di turisti.

Chi chiude lo farà nella settimana dal 15 al 22 agosto e per molti le ferie si restringeranno ad fine settimana lungo: da sabato 15 a lunedì 17 agosto. «È un agosto diverso da quello degli anni precedenti – prosegue il direttore di Ascom Confcommercio Bergamo – non solo per ragioni climatiche ma anche perché sono molte le persone che non sono o non andranno in ferie e molte sono ancora al lavoro. Questo significa che le attività commerciali saranno per lo più aperte e non ci sarà il pericolo di serrate. Otto negozi su dieci non chiuderanno e per quanto riguarda il mondo della ristorazione nove bar e ristoranti su dieci resteranno aperti. Tutti sono impegnati a cercare di recuperare quei mesi di inattività che hanno fiaccato i bilanci delle imprese».

 


Il lavoro che non c’è metterà alla prova le politiche attive. Siamo pronti?

Quello che stiamo registrando nel lavoro sono le prime avvisaglie delle nuvoloni neri che da tempo si addensavano all’orizzonte. Il presidente di Confcommercio Imprese per l’Italia, Carluccio Sangalli, ha definito l’effetto economico della pandemia come “la tempesta perfetta”. Il nostro osservatorio sulle imprese del terziario realizzato ad aprile con Format Research metta a rischio la sopravvivenza tra le 8.000 e le 15.000 imprese del terziario orobico.

Il lavoro che non c’è è il “palo misuratore” dello sprofondo dell’economia. L’acqua è già molto alta. La pubblicazione del “primo impatto del Covid-19 sul lavoro dipendente in provincia di Bergamo” evidenzia che nel mese di aprile, quello focale per il lockdown si è raggiunto il valore più basso mai registrato del saldo tra assunti e cessati. In due mesi, marzo e aprile, si sono persi nella nostra provincia oltre 6.500 posti di lavoro, quasi tutti riferibili al crollo di tirocini e apprendistati e al termine dei contratti a tempo determinato.

Sta quindi terminando drasticamente un ciclo virtuoso che, iniziato nella seconda metà del 2015, aveva portato il numero degli occupati della Bergamasca ai livelli pre-crisi del 2009, con punte di crescita molto sostenute nel 2017 e nel 2018.

Quanto sta avvenendo è infatti l’arrivo dello tsunami. Il Decreto Rilancio ha esteso il divieto dei licenziamenti collettivi e per giustificato motivo oggettivo per un totale di 5 mesi, prorogando quindi al 17 agosto la scadenza inizialmente prevista dal Dl “Cura Italia” al 17 maggio. Dopo l’estate o al più tardi quando termineranno i fondi per gli ammortizzatori sociali arriverà l’ora della verità. Le previsioni sono nere: il nostro Osservatorio stima la perdita di 49.000 posti di lavoro nel terziario.

Dobbiamo interrogarci se siamo pronti a gestire anche questa emergenza.

Partiamo dagli errori che abbiamo fatto. Eravamo impreparati al lockdown. L’urto della pandemia ha evidenziato a pieno le deficienze strutturali del sistema. Gli ammortizzatori sociali in campo in questi mesi Fis, Cid, Cio non hanno funzionato e la burocrazia ha prodotto costi per le aziende, un lavoro immane per i professionisti e ritardi odiosi nel pagamento dei lavoratori.

Siamo scivolati su quello che doveva essere un semplice atto amministrativo di liquidazione di un assegno ai dipendenti. Senza contare che gli ammortizzatori così come sono concepiti e che abbiamo ereditato dalla crisi partita nel 2009 sono più adatti a un fermo della produzione che a una gestione flessibile della ripartenza da lockdown. Non c’è flessibilità di utilizzo sul personale e questo mette in grave difficoltà, bar ristoranti e negozi. Chiediamo a gran voce una revisione della cassa integrazione, magari con un unico accordo nazionale e un unisco strumento che la renda più moderna. Se la cassa è un sostegno al reddito del lavoratore, allora deve essere (quasi) immediata e non quando il lavoratore è allo stremo; mentre se deve salvare posti di lavoro deve offrire risposte certe di flessibilità agli imprenditori. Infine, deve essere semplice da gestire evitando crisi di nervi tra i professionisti e le associazioni.

Ora la piena prosegue. La partita si sposterà tra qualche mese sulle politiche attive del lavoro che hanno già malfunzionato in periodi di bassa disoccupazione. Tra qualche mese gli enti pubblici e i centri privati si troveranno sott’acqua. Io non credo infatti che i successi occupazionali di questi anni siano il frutto dell’efficienza dei servizi per l’impiego, soprattutto di quelli erogati dai Centri per l’impiego.

Anche qui dobbiamo capire se gli strumenti vecchi saranno adeguati all’emergenza Covid. Non penso.

Per le imprese dovremo lavorare sulla crescita delle competenze, l’innovazione per generare nuovi business a sostegno dei rami d’azienda tradizionali delle Pmi. Questo sarà compito delle associazioni datoriali e del sistema delle Camere di Commercio. Interroghiamoci però già da ora, prima che l’onda arrivi e le tensioni sociali crescano, se il sistema sarà in grado di dare risposte soddisfacenti con formazione, riconversione e collocamento alle tante persone che saranno in seria difficoltà. Forse potremmo fare un po’ meglio.