Roberto Calderoli lo conosciamo bene. Pur essendo persona dotata di intelligenza non comune, ha costruito la sua carriera politica sulle battute, sull’iperbole, sull’esagerazione elevata a condotta di vita. Calca i velluti del Parlamento ormai da più di vent’anni e non si può dire che non abbia saputo propinarci un cartellone di trovate quantomai variegato e variopinto. Gli 83 milioni (ma sono subito diventati 85 e oltre) di emendamenti alla riforma del Senato rappresentano solo l’ultimo exploit. Non il più clamoroso e, malgrado sia già partito il coro dei moralisti, nemmeno il più esecrabile. Inutile star qui a ricordarli tutti: dalle magliette anti-islam alle battutacce a sfondo razziale (i bingo bongo extracomunitari e la Kyenge derubricata a orango).
Stavolta ha tenuto la bocca chiusa preferendo affidarsi alle risorse dell’informatica, con quell’algoritmo che gli ha permesso di scaraventare addosso a Palazzo Madama decine di milioni di emendamenti. Roba che se fossero stampati comporterebbero lo spreco di tonnellate di carta. Davvero un curioso paradosso per chi una volta si è erto a novello Nerone dando letteralmente fuoco a migliaia di leggi inutili (che poi siano state effettivamente cancellate è tutto da dimostrare). Senza dire che già poche settimane fa, quando le proposte di modifica erano poco più di 500 mila, aveva pensato bene di utilizzarle come merce di scambio per la concessione della grazia ad Antonio Monella, l’imprenditore di Arzago d’Adda in carcere per aver ucciso un ladro albanese. Operazione abortita, salvo che poi è rientrata, grazie alla compiacenza dei senatori del Pd, per ottenere una autorizzazione a procedere mutilata dell’aggravante della discriminazione razziale per il greve insulto riservato all’ex ministro di colore.
Ed è proprio qui il punto su cui occorrerebbe riflettere se non prevalesse l’istinto ad abbandonarsi ad un emotivo, seppur motivato, senso di vergogna per le sue gesta. Bisognerebbe infatti mettersi d’accordo una buona volta sull’atteggiamento da tenere nei confronti di Calderoli. Scusateci la brutale semplificazione: è un saltimbanco, un guitto che usa la politica come palcoscenico oppure è l’uomo che conosce alla perfezione i regolamenti parlamentari, che assolve al meglio la funzione di vice-presidente del Senato, che è considerato da molti un valido interlocutore su materie costituzionali? In questi anni ha dimostrato di saper essere l’uno e l’altro, una sorta di dottor Jekyll e mister Hide, con il quale di volta in volta abbracciarsi o litigare furiosamente. Ma si può continuare ancora così? Non sarebbe invece arrivato il momento di stabilire un discrimine, cioè il rispetto delle istituzioni (e magari pure del buon gusto), oltre il quale non si può andare?
In fondo, Calderoli vive e prospera fintanto che viene considerato dagli altri inquilini del palazzo. Se lo si lascia a divertirsi nel suo brodo, interrompendo qualsiasi forma di dialogo, forse lui per primo potrebbe chiedersi l’utilità di perseverare nel buttare in burla quanto di buono riesce ad elaborare. Spegniamo i riflettori e smontiamo il palcoscenico. Una buona dose di indifferenza può essere davvero l’unica arma letale.