Se la politica avesse dedicato ai problemi dell’economia reale un centesimo dell’attenzione prestata a una riforma importante, ma così lontana dagli interessi della collettività, come quella del Senato, forse la ripresa potrebbe essere più consistente. E’ però auspicabile, adesso, che nelle prossime due settimane ci sia maggior concentrazione sulla preparazione della “manovra” che deve essere presentata entro metà ottobre, tirando le somme su quanto ipotizzato negli ultimi mesi, in modo da vedere cosa si potrà concretizzare e cosa invece resteranno
chiacchiere estive, buone per riempire i giornali nel momento del calo di notizie agostano. Un’indicazione saggia è arrivata. “Se si decide di fare riduzioni fiscali, bisogna che si faccia anche la riduzione delle spese corrispondenti: bisogna fare la cosa più efficace dal punto di vista economico”. A dirlo, purtroppo, è stato Pierre Moscovici, commissario europeo per gli affari economici e monetari. Si premette il “purtroppo” perché i consigli di Bruxelles sono sempre maldigeriti a Roma che a volte si ostina a fare il contrario quasi per partito presto. E in effetti l’orientamento è quello di arrivare a una legge di Stabilità ingannevole fin dal nome. L’idea di stabilità è infatti legata all’equilibrio che in un bilancio dovrebbe vedere un pareggio tra entrate e uscite, dando per scontato che queste siano relativamente contestuali anche dal punto dei finanziamenti. Invece il governo rende instabile la legge di stabilità trovandone l’equilibrio grazie al finanziamento in deficit, cioè rinviando al futuro il pagamento con interessi delle spese attuali, a seguito di un mix di maggiori oneri (alcuni resi obbligatori da sentenze che cancellano tagli precedenti), di minori entrate (la riduzione di tasse previste) e di mancate riduzione di spese. Il principale taglio che si prospetta è infatti alla Spending review che, secondo le promesse pre-estive, doveva essere la fonte di finanziamento per la riduzione delle imposte, come del resto ricorda Moscovici nell’ingrato ruolo di “grillo parlante” per la politica Pinocchio, suggerendo tra l’altro che soluzioni fiscali efficaci per la competitività sono quelle che riducono le tasse sul costo del lavoro e sulle imprese. Sottintendendo: “Non quelle che tagliano Imu e Tasi sulla prima casa”.
Attualmente dai 10 miliardi attesi dalla revisione degli sprechi o della spesa superflua si è già scesi a 6-7, ma il taglio probabilmente non si fermerà, come non si è fermato negli anni scorsi. Resteranno soprattutto alcune agevolazioni a categorie speciali nate in condizioni diverse dalle attuali e che a questo punto sono diventati dei privilegi. E’ il caso, ad esempio, degli sgravi sulle accise per i carburanti (valore 1,4 miliardi) giustificabili per non mettere l’autotrasporto in ginocchio quando il petrolio era salito a 100 dollari al barile, ma meno comprensibili, anche inserendo il fattore cambio, quando il prezzo è sceso a meno della metà. E’ il caso delle 13 esenzioni per l’agricoltura (valore 2,3 miliardi), è il caso dei crediti d’imposta concessi per quasi 200 milioni agli armatori per metterli in condizioni pari ai concorrenti greci (che però i loro li stanno per perdere come condizione per il salvataggio di Atene da parte dell’Europa) ma lo è soprattutto per una serie di detrazioni concesse apparentemente in base al reddito, ma che rappresentano ancora, nonostante l’introduzione dell’Isee, un “premio” a chi pratica quell’evasione fiscale che l’agenzia delle Entrate stima in 91 miliardi di euro per le sole imposte erariali, una cifra che rappresenta quasi tre volte la manovra in arrivo.
Chi si “autoriduce” la dichiarazione infatti può ancora scaricare sulle spalle di chi compila onestamente il suo 730 le spese per il veterinario o le rette nelle scuole private, godendo di sconti, tariffe agevolate o anche di autentici regali, come i “buoni scuola”, ai quali non avrebbe diritto in base al reddito-patrimonio reale. Questa situazione è l’immagine che sintetizza la schermaglia riguardo al fatto che la “sinistra sia il partito delle tasse”, come ha continuato a proclamare per anni in tutte le sedi possibili Silvio Berlusconi, oppure al contrario che “tagliare le tasse sia di sinistra” come twitta Matteo Renzi: di sicuro non è di sinistra chi non si preoccupa di abolire privilegi ingiustificati.