Paolo Malvestiti: “Lascio l’eredità del metodo dell’ascolto, della proposta e della condivisione”

Paolo Malvestiti: “Lascio l’eredità del metodo dell’ascolto, della proposta e della condivisione”

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“Questa è la mia ultima assemblea da presidente di Ascom. Dopo 18 anni con oggi termino il mio impegno. Non è questa l’occasione per celebrare quanto di buono ho fatto durante questi lunghi anni di presidenza. Lascio a tutte le persone coinvolte nell’Associazione, ai soci, ai consiglieri, ai presidenti, ai dipendenti, alla pubblica opinione e a chi mi ha voluto bene, il compito di dare una valutazione al mio operato”. Queste le parole di Paolo Malvestiti, con cui ha introdotto la sua relazione, con quel piglio concreto che da sempre lo contraddistingue. Il suo primo pensiero va all’Ascom di domani, cui lascia la preziosa eredità della sua guida: ” Voglio indicare a chi mi succederà, l’eredità del metodo con il quale abbiamo affrontato i problemi delle imprese in questi anni. É stato il metodo dell’ascolto, della proposta e della condivisione e anche della collaborazione con la parte politica. Non abbiamo mai alzato la voce, ma abbiamo sempre cercato di condividere proposte e trovare soluzioni ad ogni livello, nazionale, regionale e locale.  Non ci è mai appartenuto quel modo che caratterizza oggi il fare politica di  annientare gli avversari, giocare sul sentimento di pancia e trovare facili slogan. Non è mai stato nostro e mai dovrà entrare nelle corde del fare associazione. Noi siamo per la buona politica e per la collaborazione con chi pone al centro il bene delle imprese e del sistema Paese”.  Il primo ingrediente per una gestione di successo è la responsabilità: “Siamo convinti che non si possono più affrontare le grandi sfide agendo sulla difesa degli interessi di corporazione, ma partendo dalla logica della difesa di un bene più grande che è il futuro di questo Paese.  Credo che il giudizio su quanto ho fatto e su quanto la nostra Associazione sarà chiamata a fare, dovrà essere valutato alla luce di ciò che sta avvenendo e delle difficoltà che il nostro sistema economico vive.  Oggi, da più parti, si torna a riconoscere il ruolo delle associazioni datoriali e questo ci rimette al centro di un progetto Paese e ci chiama a delle responsabilità”. 

Lo scenario economico 

Le nostre imprese hanno bisogno di aiuto.  Dall’analisi dei dati risulta che la crisi è terminata; i principali indicatori rilevano che il Paese è ripartito. Non è proprio così, perché i nostri settori, quelli vocati alla soddisfazione del mercato interno, sono ancora fermi al palo. Ad aprile il clima di fiducia è peggiorato; e quello dei consumatori è diminuito da 117,5 punti a 117,1 mentre le imprese hanno registrato una flessione da 105,9 a 105,1. Molto marcato è il calo avvenuto nel commercio al dettaglio (da 105,0 a 97,5).  È come se, con la decennale crisi, fossimo franati in un pozzo alto dieci metri. Ci serviranno altrettanti anni per recuperare quanto abbiamo perso e non sarà facile.

Il quadro politico 

Il quadro politico internazionale e nazionale non aiuta. Il muro doganale degli Stati Uniti, la situazione orientale e in particolare quella siriana, i paesi del Sud America con la crisi del Venezuela, e, per stare in Europa, la Brexit, e l’asse produttivo della Germania con i paesi dell’est, sono situazioni che stanno indebolendo il quadro geopolitico internazionale.  Se veniamo all’Italia il contesto non migliora con l’incertezza degli esiti del voto, un governo che stenta a formarsi e i veti incrociati dei diversi partiti.  Quanto avviene a livello internazionale, a causa anche del suo clamore mediatico, incide sull’economia reale con gli stessi effetti immediati che da sempre ha sui mercati finanziari. Abbiamo davanti un quadro preoccupante che non aiuta né la spinta ottimistica dei consumi né gli investimenti delle imprese.  Non solo. A ciò si aggiunge il cambiamento di acquisto dei consumatori che hanno ridotto programmazione e prevedibilità. 
Il consumatore non solo compra meno nei negozi e più on line, ma  è soggetto a spinte spesso compulsive.  Questo si traduce in un altalenarsi di periodi di punta molto forti a lunghi periodi statici, che comportano evidenti e seri problemi di gestione del lavoro. 

Le richieste al Governo 

Servono risposte urgenti per le imprese. La prima è sicuramente la riduzione della pressione fiscale, in modo da liberare risorse  che possano tradursi in consumi per le famiglie e in investimenti per le imprese. Solo una politica fiscale coraggiosa può invertire un ciclo che è stato negativo in questi anni. Occorre ridurre la spesa pubblica, alleggerire il sistema della spesa improduttiva, diminuire le tasse e far ripartire l’economia. Una seconda risposta deve essere data sul versante degli adempimenti. Sono troppi, troppo onerosi e penalizzano il desiderio di fare impresa. Come può un imprenditore dedicare metà del suo tempo lavorativo per i corsi obbligatori e l’altra metà per gli adempimenti fiscali? La terza risposta è lo snellimento dell’approccio verso le PMI. Se dobbiamo recepire le normative europee lo dobbiamo fare bene e non come è avvenuto spesso in maniera maldestra o addirittura punitiva per il nostro tessuto economico. I modelli di applicazione delle norme per le micro e piccole imprese devono essere diversi e più agevoli rispetto alle grandi aziende. Come è possibile che l’applicazione della normativa sulla privacy, che a breve entrerà in vigore, metta sullo stesso piano grandi e piccole imprese? Infine, la risposta più incisiva che chiediamo alla buona politica  è di  affrontare con urgenza e in chiave europea il tema della concorrenza del commercio elettronico, che rischia seriamente di uccidere il commercio tradizionale. Non è certamente possibile sostenere o difendere le grandi piattaforme che stanno sottraendo capitali alle nostre imprese, ai nostri lavoratori e allo Stato. In questo modo si creano solo concentrazioni di capitali che si dirigono verso paradisi fiscali e un modello di dualismo che non appartiene al nostro modo di vivere e lavorare, ponendo una frattura tra chi è ricco, pochi, e chi si impoverisce, molti.

La sfida dell’innovazione 

L’innovazione non va demonizzata, ma va governata. Questo deve valere tanto nel ragionamento dell’equilibrio tra uomo e macchina quanto nel commercio on line. Bisogna trovare soluzioni anche dal punto di vista ambientale, perché non è sostenibile un modello che muove corrieri per portare anche un solo articolo a casa del consumatore.  Così come l’industria ha lavorato per la sostenibilità dell’ambiente in questi decenni, anche nel comparto del terziario servono misure urgenti e forti per impedire che la situazione  degeneri. 

Lavoro e sviluppo

È necessario produrre buon lavoro su tutti i fronti. La nostra Associazione ha attraversato sia le fasi delle relazioni conflittuali che quelle partecipative con i sindacati dei lavoratori. Ora ci troviamo nelle condizioni di costruire relazioni collaborative per frenare l’espansione di modelli che danneggiano le imprese e il lavoro. Il commercio per tornare a crescere deve ritrovare un percorso di sviluppo equilibrato.  La nostra Associazione ha sempre sostenuto la crescita armonica del terziario. Un mix di grandi, medi e piccoli esercizi che rispondono al bisogno della clientela e assicurano la vivacità e il presidio dei centri storici.  All’indomani del decreto Bersani del 1998 i nostri settori hanno registrato un decennio di crescita per numero di aziende, fatturato e addetti.  Poi, complice la crisi, ma anche l’attuazione di alcune direttive comunitarie, negli ultimi anni stiamo registrando una crescita esagerata e caotica del numero di medie superfici.  Questi insediamenti, non essendo sottoposti alla conferenza di servizi regionali, sfuggono a qualsiasi controllo e supervisione e stanno realmente minacciando il commercio di vicinato.Occorre una modifica della normativa che sottoponga di nuovo gli insediamenti di medie superfici alla conferenza di servizi e riassegni un ruolo consultivo alle associazioni di categoria.
Il lavoro è l’altro elemento fondante i nostri settori. Siamo un paese con forti difficoltà occupazionali sul fronte giovanile e le nostre imprese faticano a trovare manodopera.  I modelli di istruzione devono cambiare e devono essere assegnate più risorse alla formazione senza la quale il paese non potrà crescere. I percorsi scolastici devono essere adeguati alle necessità attuali e prospettiche delle imprese.  L’alternanza scuola lavoro è una prima risposta al bisogno di creare ponti tra il mondo dell’impresa e gli studenti. Ci stiamo lavorando grazie anche ai fondi stanziati dalla Camera di Commercio, ma la programmazione deve ancora essere messa a punto perché lo strumento dispieghi il suo effetto di crescita dei ragazzi.   Il titolo di questa assemblea “Il terziario cresce. Tradizione e innovazione” indica quale è la chiave di volta per le imprese: dobbiamo  mantenere le nostre radici, nostri  valori, l’attenzione all’accoglienza e al servizio ai clienti. Un modus operandi che ci ha portato a sopravvivere e a resistere in un mondo sempre più difficile. Siamo chiamati a continuare su questa strada con metodi e strumenti nuovi, innovativi e al passo con i tempi. 

Gli orari di apertura 

A più di sei anni dall’introduzione del decreto Monti è inoltre ancora ferma la questione degli orari di apertura. La liberalizzazione totale non ha portato ad una crescita delle vendite ma alla loro distribuzione su 7 giorni anziché 6. Non è tanto in gioco il sistema della concorrenza tra grandi e piccoli, quanto la necessità di assicurare condizioni lavorative migliori agli addetti del commercio, titolari e dipendenti. Per questo a distanza di qualche anno di sperimentazione auspichiamo che il Governo torni sul tema con una legge snella che preveda un numero minimo di chiusure nelle principali festività nazionali. Anche in questo caso sarebbe opportuno riassegnare un ruolo consultivo e di proposta alle associazioni di categoria che potrebbero mediare tra i diversi interessi in gioco. 

I distretti del commercio 

Questi anni sono stati contraddistinti dalla costituzione e dallo sviluppo dei distretti del commercio. Ricordo che nacquero all’indomani di alcuni viaggi di studio in alcuni paesi europei ai quali partecipammo come Ascom. I distretti sono una felice intuizione lombarda per favorire l’investimento pubblico e privato nel commercio e creare cabine di regia per il confronto tra i diversi attori sulle opportunità e i problemi che affliggono la distribuzione. Sono inoltre occasione di integrazione tra commercio e turismo. 

Il turismo 

Quest’ultimo è il comparto che maggiormente è cresciuto in questi anni in provincia, in particolare grazie al successo registrato dal nostro aeroporto e dagli sforzi che gli enti preposti –  Regione, Camera di Commercio Provincia e Comuni – hanno compiuto in questa direzione. Le ricadute del turismo sono strategiche per il commercio. Soprattutto la città e l’hinterland hanno goduto di evidenti vantaggi dalla crescita dei visitatori, arricchendo anche la proposta per i cittadini residenti.

La formazione 

La vocazione turistica si deve ancora affermare appieno e come per altri comparti serve più managerialità nel lavoro. Per questo, accanto agli investimenti, devono crescere le competenze degli addetti. Come organizzazione stiamo per scendere in campo soprattutto su questo versante, dove la difficoltà di reperire manodopera e la distanza tra scuola e imprese sono più evidenti. Nei prossimi anni il nostro sistema dovrà puntare in maniera sinergica alla creazione di percorsi scolastici e di formazione che preparino le figure necessarie nel campo dell’accoglienza.
Oggi è necessario più che mai migliorare i collegamenti tra l’aeroporto, la città e i principali centri della nostra provincia, in modo da rendere più appetibile la destinazione Bergamo e favorire una distribuzione equilibrata dei benefici dei flussi turistici. Inoltre occorre proseguire nella direzione di costruire e valorizzare i percorsi che interessano i turisti, le proposte culturali ed enogastronomiche.  
Infine, pur riconoscendo il ruolo importante della ricettività extralberghiera, occorre proseguire sulla strada del rigore e del rispetto delle regole in modo che allo stesso mercato corrispondano le stesse regole per tutti.

Appello agli imprenditori 

In questo contesto chiediamo ai nostri imprenditori, in primo luogo, di continuare a fare bene. Anzi, meglio di quanto abbiano fatto fino ad oggi. 
Chiediamo di fare impresa per il bene loro, dei loro familiari e dei loro dipendenti. 
Chiediamo di credere che questo Paese ha ancora un futuro e può continuare ad essere un Paese in cui si vive e si lavora bene.
Chiediamo di tornare ad investire. L’investimento e la programmazione sono la base per la crescita delle imprese.
Chiediamo di credere nella formazione, che è la strategia sulla quale puntare per la crescita della managerialità.
Chiediamo di cogliere la sfida dell’innovazione e della digitalizzazione.
I dati dicono che i nostri settori sono quelli che hanno investito meno, in questi anni, nell’innovazione tecnologica. Siamo in ritardo, perché abbiamo prima investito nella costruzione dei punti vendita, nel loro ammodernamento e nelle competenze di accoglienza. Ora è necessario investire in digitalizzazione, perché senza tecnologia si compete con maggior difficoltà. L’introduzione della fattura elettronica, per esempio, che oggi è fonte di grandi disagi per i piccoli imprenditori, rappresenterà l’occasione di far entrare la tecnologia nella gestione quotidiana delle imprese. L’Ascom è consapevole di questo cambiamento e pronta ad affrontare, insieme a ciascuno di voi, questa nuova sfida.
Perché prima delle imprese ci sono gli uomini, le persone e il loro lavoro.