Brexit, alla fine sarà Londra a pagare il prezzo più alto
E’ inutile fasciarsi la testa: comunque vada, ci si abituerà anche alla Brexit, se i sudditi del Regno Unito decideranno alla fine di abbandonare l’Europa facendo una scelta più con il cuore che con la testa (e con il portafoglio). Quello di giovedì 23 giugno si presenta come un referendum contro tutto e tutti. Apparentemente doveva essere una vittoria facile – e il premier Cameron puntava su questo – invece c’è il rischio di una Waterloo, questa volta con gli inglesi nella parte che fu di Napoleone. Non vogliono infatti uscire le banche (che nella City valgono qualcosa), né le imprese, né la locale Confindustria, ma nemmeno i lavoratori. Non lo vuole il partito di maggioranza e buona parte di quello di minoranza. Non lo vuole il Times di Murdoch (anche se lo vuole il Sun, sempre di Murdoch, con una schizofrenia che sembra dettata dall’obiettivo di vincere in ogni caso). C’è poi un consenso generale da parte di tutte le organizzazioni internazionali sul fatto che lanciare l’Europa non convenga né al Regno Unito (né al resto del mondo, anche se questo ovviamente ai britannici interessa meno). Ma ugualmente, la Brexit rischia di passare dimostrando quanto meno uno scollamento tra gli inglesi e le loro istituzioni. In Italia lo chiameremmo voto di protesta, qualunque cosa questo voglia dire.
L’impressione è che più che di isolazionismo sia un’espressione di masochismo quella di rinnegare la scelta europea fatta due generazioni fa, con un altro referendum, nel 1975. I numeri confermano che la Gran Bretagna ha avuto più di quello che ha dato all’Europa. Si è conquistata un ruolo di preminenza nella finanza e nella presenza delle multinazionali anche per il fatto che Londra si presenta come la porta dell’Europa più che del Regno Unito. Le è stato concesso una sorta di status speciale, anche con la non adesione alla moneta unica, ulteriormente potenziato nei mesi scorsi per quanto riguarda la possibilità di chiamarsi fuori da interventi di solidarietà verso altri Paesi europei e di welfare verso altri cittadini europei. Ma come fanno tutti gli euroscettici, per supportare le loro tesi, anche i pro Brexit dimenticano di ricordare i vantaggi per contestare il giogo di Bruxelles, prendendo per riduzione della sovranità, quella che in realtà è sovranità condivisa. E sono temi sui quali Londra si mostra poco coerente perché non più di due anni fa ha sostenuto gli stessi argomenti degli europeisti per disinnescare il referendum sull’uscita dal Regno Unito degli scozzesi (che ora, non si sa quanto provocatoriamente, rivogliono votare in caso di Brexit per ritornare nell’Unione europea).
Se il Regno Unito vuole andarsene, alla fine non vale la pena di fermarla. Chi ci perderà di più alla fine sarà proprio Londra. E se questo non avverrà, forse una spinta definitiva potrà arrivare a seguito dell’omicidio – a questo punto il martirio – della deputata laburista, Jo Fox. Che ha fatto scoprire al mondo seppure post mortem, che lei era una delle più belle persone dell’impegno civile e al Regno Unito che c’è fanatismo irrazionale dietro alla Brexit. L’effetto Fox, come è avvenuto in Italia con l’effetto Berlinguer che ha portato il Pci a un record di consensi alle elezioni o con l’effetto Chernobyl che ha affossato in un referendum il nucleare, potrà dare forse un aiuto decisivo per la permanenza del Regno Unito nell’Europa. Jo Fox così avrà contribuito ad evitare un sacco di problemi al suo Paese, secondo quanto stimano le organizzazioni internazionali: una svalutazione della sterlina stimata nel 10%, lo sprofondamento in recessione già dall’anno prossimo, la fuga di 3 milioni di posti di lavoro verso il Continente insieme a qualche attività e multinazionali, una marginalizzazione del Paese, che dovrà tra l’altro anche rinegoziare con l’Unione europea nuovi accordi commerciali in posizione questa volta di grande inferiorità.
Il mondo non avrà da subire le conseguenze a catena della crisi britannica, mentre l’Europa non avrà un problema in meno, ma un problema diverso. La Ue, infatti, non correrà il rischio di emulazione con la fuga di altri Paesi verso una disgregazione definitiva, ma avrà ancora al suo interno la Gran Bretagna. E qui è da chiedersi se sia meglio avere un socio recalcitrante che ostacola l’attività o avere un gruppo coeso che guarda verso la stessa direzione. Insomma, alla fine, potrebbe essere che dalla no Brexit i danni maggiori li avrà proprio l’Europa, sempre grande di dimensioni, ma anche per questo senza una direzione univoca verso la quale dirigere.